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Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II
Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II

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Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II

Язык: Итальянский
Год издания: 2017
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Non ostante sue minacce agli ambasciatori delle città, Ibrahim tardò a investir Cosenza. Ei che avea saputo maneggiare quell'esercito innumerevole e discorde,191 in cui fermentavano tanti odii, era sforzato adesso di restare al retroguardo per una dissenteria mortale; e invano si studiava ad occultare suo pericolo con la tenacità dei tiranni. Pur fece dar mano all'assedio il primo ottobre; accampare le genti su le sponde del Crati;192 fronteggiar tutte le porte di Cosenza dai suoi figliuoli o uomini fidati, con forti schiere; drizzare i mangani contro le mura: ma par ch'ei poscia non abbia potuto esercitare nè voluto delegare il comando, nè altri abbia osato pigliarlo. Per più di venti giorni dunque si scaramucciò con disavvantaggio degli assedianti; ai quali cadean le braccia, non più sentendosi reggere da quella feroce e ferma volontà del capitano. Aggravatoglisi il morbo, perduto il sonno, Ibrahim s'andò a chiuder tutto solo in una chiesetta;193 ove spirò il sabato ventitrè ottobre, a cinquantatrè anni di età, dopo ventisette anni di tirannide e sette mesi di penitenza; trapassato come un santo, guerreggiando la guerra sacra, disponendo di tutto il contante in limosine, degli stabili in opere pie. Non prima saputo ch'ei boccheggiava, i capitani dell'oste, adunatisi in segreto, cavalcarono alla tenda di Ziadet-Allah, figliuolo del suo figliuolo Abd-Allah, e instantemente il richiesero che si mettesse alla testa dell'esercito per ricondurlo in Affrica. Al quale segno d'ammutinamento, il giovane, pigro, dissoluto, vigliacco, scellerato senza il vigor dell'avolo, tentennò: volea scaricarsi del supremo comando sopra lo zio Abu-Aghlab; ma questi gli uscì di sotto. Capitanando dunque suo malgrado la ritirata, Ziadet-Allah aspettava che tornassero al campo le gualdane sparse intorno a far preda: accordava patti ai Cosentini che di nuovo ne avean chiesto, ignorando la morte d'Ibrahim: e poi con tutto l'esercito e le rapite ricchezze e le salmerie prendea la via di Sicilia; portando seco il corpo dell'avolo in un feretro. Dice uno scrittore cristiano che al ritorno gran parte delle genti perisse per naufragio. Giunto Ziadet-Allah in Palermo, secondo Nowairi e il Baiân fuvvi sepolto Ibrahim quarantatrè giorni dopo la morte, e innalzato un monumento su la sua fossa. Secondo altri, lo recarono al Kairewân: talchè s'ignora qual delle due terre sia profanata da quelle ossa.194

La morte d'Ibrahim, avendo liberato l'Italia meridionale senza fatica degli abitatori, vi fu tenuta necessariamente opera del Cielo. Scrive Giovanni Diacono che mentre i Napoletani stavan tra sì e no su l'augurio delle stelle cadenti, venne a confermar la rivelazione di San Severino un prigione testè fuggito di Cosenza. Narrava questi a Gregorio Console di Napoli, che, dormendo Ibrahim nella chiesa di San Michele, gli era paruto di vedere un vegliardo di maestoso aspetto, il quale minacciato di morte dal tiranno perchè osava entrar nella stanza, gli scagliò un bastone che avea alle mani e si dileguò. Destatosi, ma pur sentendosi ferito al fianco Ibrahim, richiedea di alcun prigion latino, e, addottogli il narratore, gli domandava se conoscesse il vecchio Pietro di Roma, o n'avesse mai visto la effigie; e saputo che lo si dipingea di grande statura, raso i capelli e la barba, ravvisò lo spettro del sogno, e in breve tempo gli s'ingangrenì la ferita.195 Il biografo di Sant'Elia da Castrogiovanni toglie l'impresa a San Pietro per onorarne il suo protagonista; il quale, riparato ad Amalfi, tanto pregò con lagrime, digiuni e cilizii, che il fier Brachimo, mentre assediava Cosenza e pensava a Costantinopoli, venne a morte,196 percosso non si sa come dalla orazione del sant'uomo. Un'altra tradizione italiana ripetuta da parecchi cronisti, senza macchina di iddii minori, lo fe' spacciare, all'antica, con una folgore.197

CAPITOLO V

Non bastando ormai alla storia il classico quadro dei fatti e delle passioni umane, se non siano anco divisati gli ordini e le opinioni che nascono da sorgenti assai remote, forza è ch'io interrompa nuovamente la cronica di Sicilia, e torni addietro parecchi secoli, per rintracciare in Asia le cagioni del mutamento di dinastia che s'apparecchiava alla morte d'Ibrahim-ibn-Ahmed. Lo apparecchiava la setta ismaeliana, della quale mi fo ad esporre l'origine, l'indole, i progressi.

L'autorità dell'impero musulmano, si come portava sua natura mista, fu combattuta da tre maniere di nemici: le fazioni politiche, gli scismi religiosi, e le sètte partecipanti dell'uno e dell'altro. Fazioni chiamo quelle che agognavano a mutare il principe non le leggi; onde nè impugnarono durante la lotta, nè toccarono dopo la vittoria, quegli assiomi teologici e civili che costituivano l'islamismo ortodosso; cioè la fede che parea diritta al maggior numero. Parecchi Stati in fatti continuarono a rispettar come pontefice il califo, cui disubbidivano come principe. Fino gli Omeîadi di Spagna, con lor pretensioni di legittimità, esitarono per un secolo e mezzo a ripigliare il sacro titolo di Comandator dei Credenti, usurpato, dicean essi, dalla casa di Abbâs, ma pure assentitole dalla più parte dei popoli musulmani.

Al contrario nacquero di molte eresie, i cui settatori non si proposero dominazione politica, nè vollero sostener le opinioni con la forza delle armi; ma la ragione o l'errore, la coscienza o la superbia dell'intelletto, li spinsero a propagar, dottrine diverse dalle sunnite; affrontando spesso la crudeltà dei principi, il furor della plebe, i disagi delle persecuzioni, la fatica d'una continua lotta, il pesante biasimo delle moltitudini. Svilupossi tal movimento tra la metà del primo e la metà del terzo secolo dell'egira, nella Mesopotamia e province persiane; nelle quali regioni e nel qual tempo la schiatta arabica, venendo a contatto con genti più incivilite, apprese le speculazioni dell'umano intelletto accumulate per sessanta secoli da panteisti, politeisti, dualisti, unitarii, razionalisti. Dettero materia agli scismi maomettani quelle tesi che gli uomini in tutti i tempi han proposto sì facilmente e poi sonvisi avviluppati come in laberinto di spine: la natura dell'Ente supremo; la influenza di quello sopra le azioni umane e però predestinazione, libero arbitrio, grazia; il merito della Fede e delle opere; i gastighi serbati, a chi peccasse nell'una o nelle altre; e via discorrendo. Su cotesti argomenti l'autorità sunnita s'era appigliata sovente al partito più ripugnante alla ragione. Basti in esempio il domma ortodosso della eternità del Corano, negata dai Motazeliti; i quali furono perseguitati; finchè, persuaso alcun califo abbassida, a lor volta divennero persecutori. Ma gli scandali, i tumulti, il sangue sparso per questa e altre liti teologiche, non portarono a rivolgimenti politici. Dei settantadue scismi che novera la storia ecclesiastica dei Musulmani, una ventina si mantenne entro i detti limiti della disputa; come i Kaderiti sostenitori del libero arbitrio; i Geberiti dell'opera passiva dell'uomo; i Motazeliti che faceano eterna la sola sostanza della divinità; i Sefetiti che le accomunavano nella eternità i suoi accidenti o qualità; i pigri Morgii affidantisi tutti nella Fede; i Nizâmiti che negavano la libera volontà di Dio, e s'accostavano ai filosofi materialisti; e altre sètte i cui nomi e opinioni sarebbe superfluo a ripetere.198

Avviati ch'e' furono a libero esame, i pensatori musulmani non poteano trattenere il piè, che dalle eresie non passassero ai razionalismo. A ciò li condusse la serena luce della scienza greca, la quale cominciò a splendere nell'impero dei califi più presto che non si crederebbe. Qualche libro di filosofia era stato voltato in arabico dal greco e dal copto verso la fine del settimo secolo dell'era cristiana, primo dell'era musulmana, per opera di Khâled-ibn-Iezîd-ibn-Moa'wia, principe del sangue omeîade, soprannominato il filosofo della casa di Merwan.199 Ma accelerato l'incivilimento dai Persiani che esaltarono la casa di Abbâs,200 si diè mano a volgarizzare i pochi libri che avanzavano in Persia della letteratura indiana e nazionale dei tempi sassanidi; si pose maggiore studio a interpretare i libri scientifici dei Greci: immenso beneficio che la civiltà riconosce dai califi Mansûr (754-755) e Mamûn (813-833), e da' costui ministri della schiatta persiana di Barmek. Le scienze greche penetrarono allora nella società musulmana per triplice via: di Siria, di Persia e dell'impero bizantino; perchè in quelle due province dei califi se ne serbavano le tradizioni e qualche scritto; e dalle province bizantine s'ebbero moltissimi libri per richiesta che ne fece Mamûn agli imperatori di Costantinopoli

Così fiorivano nella capitale abbassida, e poscia in altre città dell'impero, gli studii di medicina, astronomia, geografia, matematiche, storia naturale, logica, metafisica; e correano per le mani dei dotti le opere degli antichi filosofi, massime di Aristotile.201 Vo dir di passaggio che quelle di Empedocle d'Agrigento o d'alcun suo discepolo furono anco studiate in Oriente; e che nei principii del decimo secolo un Musulmano di Spagna tentò di fondare con tai dottrine una scuola, la quale non resse alle persecuzioni.202 La filosofia greca da una mano diè armi agli eresiarchi musulmani dei quali abbiam detto di sopra; dall'altra mano fe' nascere varie scuole di liberi pensatori che combatteano, più o meno apertamente i principii d'ogni religione. Tali i Bâteni che presero il nome dal significato latente, o vogliam dire allegorico, supposto da loro nei libri sacri; ma alcuni arrivavano a pretto ateismo; per esempio, il cieco Abu-l-'Ala da Me'arra in Siria, il quale, in versi che parrebbero di Lucrezio, sferzava insieme Giudei, Magi, Cristiani, Musulmani; e conchiudea che l'uman genere va spartito in due: pensatori senza religione, e devoti senza cervello.203 Le denominazioni delle scuole razionaliste furono sempre confuse appo i Musulmani, tra per cautela degli adetti, sforzati a nascondersi sotto i misteri e gli equivoci di sètte men radicali, e tra per la ignoranza della comune degli uomini e la pronta calunnia dei devoti. Appiccaron costoro malignamente a tutti i liberi pensatori l'appellazione di zindîk, perch'era abborrita in persona dei comunisti persiani e fatta sinonimo d'empio, com'or si dirà. Quando poi suonarono sì terribili in Oriente i nomi d'Ismaeliani, Karmati, Drusi, Assassini, novelle sètte miste aiutantisi con le spiegazioni allegoriche, i devoti colsero il destro di gridarli a gran voce Bâteni; mettendo i filosofi a fascio con loro. E così è pervenuta la storia agli eruditi europei del nostro secolo; i quali, con loro preoccupazioni politiche e religiose, o non si sono accorti di quegli errori o non si sono affrettati a chiarirli. Indi si è esagerata la parte ch'ebbe la filosofia greca nelle sètte più odiose. Indi si è supposta tra varie sètte quell'analogìa di modi è d'intenti che di certo non ebbero.204 E però è mestieri ch'io tratti questa materia più minutamente che non si addica a quadro generale; ma tra due scogli mi par meno male la digressione che l'errore.

Gran tratto innanzi i dissentimenti speculativi, s erano mostrate nell'islamismo le sètte miste d'eresia e di fazione; i due ceppi delle quali, suddivisi in rami secondo le opinioni accessorie, si chiamarono Khâregi e Sciiti. Il nome dei primi s'intese quando il califo Othmân cominciò a falsare la democrazia musulmana. Difenditori della democrazia, i Khâregi eran uomini di schiatte arabiche, e non pochi tra loro rinomati per virtù, sapere e pietà.205 Collegaronsi con gli ottimati religiosi206 e coi partigiani di Ali; e tutti insieme spensero Othmân: se non che l'accordo di tre fazioni, sì diverse negli intendimenti loro, si ruppe alla esaltazione di Ali, prima che fosse abbattuto il terribile nemico comune, ch'era l'antica nobiltà, capitanata da Mo'awia-ibn-abi-Sofiàn. La parte più turbolenta degli ottimati religiosi levossi contro Ali; fu sconfitta nella giornata che chiamarono del Camelo; e i Khâregi tuttavia seguirono il vincitore su i campi di Seffein, ov'ei si scontrò con Mo'awia. Ma posate le armi per lo noto compromesso, i Khâregi spiccavansi da Ali, vedendolo sospinto da' suoi partigiani alla monarchia assoluta di dritto divino. A rintuzzare sì pericolosi principii d'usurpazione, i Khâregi immantinente bandiscono non necessario nella repubblica musulmana il califo; se talvolta il popolo creda espediente di nominarne, possa sceglierlo di qualunque schiatta e condizione, coreiscita o no, libero o schiavo; sia tenuto il califo a governare secondo certi patti fondamentali; declinando lui dalle vie della giustizia, il popolo possa deporlo, combatterlo, metterlo a morte. Quanto ad Ali, per rispondere all'apoteosi che ne faceano i suoi, i Khâregi a dirittura lo incolparono di peccato per l'accettato compromesso; e poco stante, per cagion di questo o d'altri atti di governo, lo chiarirono infedele in religione; alfine pubblicamente lo maledissero, per avere, combattendo contro di loro, messo a morte gli uomini da portar arme, fatto bottino dei beni e menato in cattività le donne e i fanciulli: crudel rigore di guerra, lecito solo contro Infedeli e non usato da Ali verso gli altri nemici musulmani. Quest'ultimo fatto prova che Ali tenne i Khâregi non solo ribelli, ma sì eretici. E veramente quei loro assiomi sì precisi di sovranità del popolo, tornavano a scisma secondo le idee musulmane; e a scisma tornava, secondo le idee di tutti i popoli, il dichiarar peccatore e infedele un pontefice, e affermare che le peccata gravi portassero a infedeltà.207 Del resto ognun vede quanto semplice, e, direi quasi, pratica sia stata cotesta eresia, nata dalla schiatta arabica, al paragon delle sottilità straniere. Sursero poi novelle sètte kharegite più feroci in lor teorie rivoluzionarie e più speculative e audaci in punto di eresia; come portava da una mano la rabbia della persecuzione e la coscienza della propria debolezza, dall'altra il miscuglio coi forastieri. Ognun sa che Ali cadea sotto il pugnale dei Khâregi e che due altri despoti in erba ne campavano a mala pena. Il ramo kharegita detto dagli Azrâkiti, che poi levò tanto romore in Oriente, disse infedele chi dissimulava in parole o in opere trovandosi in pericolo, e chi non correva alla guerra sacra, quella cioè di lor setta contro ogni altra; e fe' lecito di uccidere fin le donne e bambini dei dissidenti; ma altri rami non arrivarono a tali estremi. Quanto alle leggi estranee alla contesa politica, gli Azrâkiti abolirono la pena di morte per stupro; altri permessero il matrimonio con la figliuola della propria figlia e con la figlia di fratello o sorella, e alsì il matrimonio di Musulmana con uomo infedele; nei quali punti di scisma traspariscon le dottrine persiane. Altre sentenze teologiche e casuistiche tolsero or dai Motazeliti or da altri eterodossi.208 Segnalaronsi le sètte kharegite per indomito ardire contro la tirannide, sì nel campo e sì in faccia al supplizio. Per due secoli accesero atrocissime guerre nelle province orientali e in Affrica; e molte dure scosse dettero allo Impero; ma alla fine gli eserciti dei califi trionfaron di loro. Tanto ardua impresa ella era di ristorare la democrazia di Abu-Bekr e di Omar tra masse di popolo eterogenee, ignoranti, superstiziose; e tanto nocquero all'intento quei mezzi rabbiosi ed efferati, che al certo discreditarono e assottigliarono i Khâregi più che non li rinforzassero col terrore.

A un tempo con quei campioni della libertà erano comparsi i settatori più frenetici che abbian mai sostenuto l'autorità, gli Sciiti o Scî'i, come si dovrebbe scrivere, e significa Partigiani. L'erano di Ali. Teneano: il pontificato non procedere dalla comunità musulmana, nè potersi conferire da uomini; essere fondato su dritto divino, che il Profeta stesso non ebbe autorità di cancellare nè modificare; tramandarsi il pontificato per successione di sangue e designazione del predecessore; appartenere evidentemente ad Ali e sua schiatta. In ciò si accordavamo a un di presso tutti i rami di setta sciita. Dissentivano su l'ordine della successione d'Ali. Inoltre i Kaisaniti, ramo sciita, compendiavano stranamente la religione nella assoluta obbedienza al pontefice.209 I Gholâ, altro ramo,210 scoprirono nei pontefici alìdi non so che ipostasi divina, non so che spirito trasmigrante da persona a persona, e vi fu chi sostenne, dopo la morte di Ali, ch'ei fosse salito in cielo per tornare al mondo quando che fosse a ristorar la giustizia, e che aspettasse passeggiando su i nugoli; e sentian la sua voce nel tuono; e vedean guizzare nelle folgori la frusta dell'immortal cavaliero. Principii filosofici, miti, pensieri, imagini, estranei tutti alla schiatta arabica; nei quali non è chi non raffiguri il sogno indiano delle incarnazioni, la superstizione tibetana del pontefice Iddio, e la trasmigrazion delle anime, e l'aspettativa del Messia, e un mito eroico di vero conio indo-europeo. Coteste merci straniere entrarono nell'impero musulmano coi liberti che avean prima professato magismo, sabeismo, giudaismo, cristianesimo, o alcuna setta di esse religioni; e veramente un liberto di Ali per nome Kaisân diè origine e nome al ramo sciita ricordato di sopra; un Giudeo rinnegato, per nome Abd-Allah-ibn-Saba, fu il primo dei Gholâ; e, vivendo Ali, aveva osato dirgli “Tu sei tu” che volea significar “sei Dio.”211 I barattieri che cercavano un capo di parte e gli sciocchi sì correvoli ad ogni maraviglia, avean trovato bello e pronto il soggetto del mito: Ali, cugino, fratello elettivo, genero, compagno dall'infanzia, e impavido difensore di Maometto; il guerriero dalla spada a due tagli, il quale mai non combattè uomo che nol vincesse; il novello Sansone che all'assalto di Khaibar avea schiantato la porta dai cardini e fattosene scudo; Ali nobilissimo, caritatevole, liberale, e con ciò ambizioso e leggiero. Indi l'apotéosi presto fu compiuta. Ali, che in su le prime avea lasciato fare, s'accorse della empietà alla quale il tiravano, e sbandì il giudeo Ibn-Saba;212 poi, incalzandolo altri adoratori; inorridito, accese il fuoco e chiamò Kanbâr, come dicea poetando egli stesso, per significar che gli avesse fatto uccidere e ardere i cadaveri da quel suo liberto.213 Ma la superstizione non si dileguò a tal esempio; non alla morte del semideo. La stirpe di Ali, atrocemente proscritta, forniva alla leggenda altre pagine spiranti tragica pietà: Hasan, avvelenato dagli Omeîadi per man della propria moglie, le perdona dal letto di morte; Hosein con un pugno di uomini fa testa a un esercito e cade, ultimo dei combattenti, tra i cadaveri dei congiunti, con un fanciullo figliuol suo trafittogli nelle braccia; i discendenti si segnalano, quali per dottrina o valore, quali per pietà e rassegnazione, e per lo più son vittima anch'essi dei sospetti di Stato; il glorioso nome di Ali per sessant'anni è maledetto nella pubblica preghiera dell'impero. Pertanto la compassione dei popoli accresceva e infocava i partigiani della sacra schiatta, i quali le attribuivano novelli miracoli, e correano al martirio per ristorarla in sul trono; ma prevalendo sempre sopra di loro le armi dei califi, si ordinarono alfine in società segreta. Fuori da quella congrega, continuò il fanatismo delle moltitudini ad esaltare gli eroi di casa alida; sfogossi in sedizioni contro i Sunniti; e fino a questi dì nostri ardentissimo si manifesta in Persia e nelle popolazioni musulmane dell'India.

La società segreta che raccolse le forze popolari e le adoprò ad esaltare in Affrica i veri o supposti discendenti di Ali, ebbe origine da sodalizii più antichi. Esaminando i due elementi dei quali necessariamente si componea, cioè le dottrine e gli ordini, si trovano entrambi nella schiatta persiana. Le dottrine nacquero, o a dir meglio, presero forma propria e novella, nei principii dell'era volgare e in Persia; ove il magismo avea già cominciato ad ascoltare le teorie buddiste dell'Asia centrale, le avea trasmesso insieme con le proprie nell'Asia anteriore, e questa gli avea rimandato le une e le altre modificate dal cristianesimo. In fatti il gran riformatore della setta sciita, quegli che la ordinò in società segreta, seguiva tuttavia la scuola d'un eresiarca del secondo secolo, rimaso incerto tra il magismo e il cristianesimo, Ibn-Daisân, o Bardesane, come chiamasi con forma siriaca: dottore ascetico e dualista, il quale immaginò l'uomo mediatore tra la Luce e le Tenebre.214 Ma i Daisaniti sono stati confusi spesso coi Manichei, setta analoga che levò assai maggior grido. Mani, come ognun sa, non contento di recar da mero profeta un libro dettato dal Cielo, osò affermare con idea buddista e linguaggio cristiano ch'ei chiudesse in petto lo spirito paracleto o divin consolatore del vangelo; predicò in Persia, Tartaria e India una novella religione accozzata di varie altre, soprattutto di magismo e cristianesimo; dove, tra molte assurdità teologiche e molti ottimi principii di morale, insegnò aver tutti gli uomini uguale diritto al godimento dei beni e piaceri del mondo.215 Spento Mani dai monarchi sassanidi (272), e costretti i discepoli a rifuggirsi nella Transoxiana, ricomparvero dopo il conquisto musulmano in Khorassân e altre province dell'impero, e fino a Bagdad; ove se ne contava trecento nella seconda metà del decimo secolo. Or ignorati or perseguitati, e una volta (908-932) tollerati per intervenzione dei principi dell'Asia centrale,216 i Manichei dell'impero musulmano ordinarono una gerarchia occulta, la cui sede era per Io più in Babilonia e nei tempi difficili la trasportavano ove poteano.217

Surse anche sotto i Sassanidi Mazdak,218 sacerdote e teologo di scuola manichea; il quale, speculando novità su la teoria socialista del maestro, talmente la allargò, che ne venne a bandire il comunismo dei beni e delle donne e la licenza di soddisfare a ogni desiderio che non nuocesse alla persona altrui: esortando, del resto, i proseliti alla beneficenza, all'ospitalità, ad astenersi dall'uccisione e afflizione corporale degli uomini e fin degli animali. Per trent'anni (498-531) Mazdak sconvolgea l'ordine costituito in Persia: e. arrivò a impadronirsi della autorità pubblica e mettere in pratica alcuna di sue dottrine; finchè il principato e la nobiltà, uniti insieme, lo spensero con uno spaventevole eccidio de' seguaci.219 Le teorie, che sopravvissero, divamparon di nuovo, due secoli appresso, in quelle medesime regioni signoreggiate ormai dai Musulmani.

Perchè le sètte dell'antica religione dei Persiani, incoraggiate dall'antagonismo nazionale contro i vincitori, tentarono una serie di movimenti religiosi a insieme politici e sociali; nei quali apparisce sovente il lavoro di società segrete, e sempre vi primeggia la superstizione indiana dell'ipostasi. Volle dapprima un Khawâf, verso la metà dell'ottavo secolo, innestare il manicheismo sull'islam; e, denunziato, com'e' pare, da una setta rivale, fu messo a morte dal governatore musulmano a Nisapûr: se non che i suoi proseliti lo vider salire in cielo sopra un bel cavallo baio dorato, e lungamente poi aspettarono che tornasse giù a far vendetta.220 Nel medesimo anno o poco innanzi, Abu-Moslim,221 anch'egli del Khorassân, metteva in trono gli Abbassidi con una cospirazione, tramata sotto forme di società segreta: il quale ucciso poi a tradimento dagli Abbassidi (754), moltissimi uomini del Khorâssan lo tennero non morto nè mortale; e formarono un novello ramo di setta Mazdakiana, che fa detto degli Abumuslimiti.222 Un altro ramo si chiamò dei Rawendi; i quali pensarono adorar come iddio il califo abbassida Mansûr (758), ed egli molti ne imprigionò; gli altri apertamente sollevaronsi contro il nuovo lor nume.223 Non andò guari che Mokanna, come l'appellarono gli Arabi dall'uso di andar coperto d'una maschera di metallo, spacciava in Khorassân che lo spirito di Dio, trasmigrando di profeta in profeta, e, poc'anzi, in persona d'Abu-Moslim, fosse venuto per ultimo ad albergare in lui; e raggirava i proseliti con tiri da saltimbanco; accendeali di fanatismo; resisteva alle armi del califo; ridotto allo stremo in una fortezza (776), dava la morte a sè e ai compagni.224 Le quali repressioni non interruppero la propaganda occulta di tutte queste sètte del magismo, dei Zindîk, come furono detti, con voce generica che credesi derivata dal noto nome di Zend. Mehdi, di casa abbassida, fieramente li perseguitava (784-785); istituiva contro di essi un magistrato speciale detto il Preposto degli Zindîk,225 e, nell'atto di mandarne alcuno al supplizio, esortava il figliuolo Hadi a continuare la proscrizione, succedendogli nel califato, per essere i Zindîk, com'ei diceva, Manichei, scellerati che vietavano di mangiar carne, viveano in ippocrita astinenza, credeano a due principii Luce e Tenebre, praticavano schife abluzioni, permetteano il matrimonio con le figliuole e sorelle, e andavano rubando i bambini altrui per educarli al culto della Luce.226 Il poeta Besciâr-ibn-Bord, cieco e vecchio di novant'anni, era stato messo a morte da Mehdi (782) nella medesima persecuzione, la crudeltà della quale par consigliata da sospetto di Stato, più che da fanatismo religioso.227 Poi un Giân dewân228 aspirò agli onori divini; tenne la fortezza di Bedsds229 nell'Aderbaigiân; ebbevi adoratori e soldati; e spianò la via a Babek oriundo di Medâin, assai più terribile impostore. Perchè alla morte di Giân dewân, la moglie attestava ai partigiani aver visto raccogliere dal giovane Babek il soffio divino reso dal moribondo; ed essi, avendo mestieri d'un capo, credean queste e tante altre favole. Babek seguì necessariamente i dommi della trasmigrazion delle anime e della divinità dei ciurmadori antecedenti; seguì le dottrine comuniste di Mazdak, trascorrendo sino all'incesto; ma a quel vergognoso epicureismo aggiunse i furori dei Khâregi, il dovere di far guerra, la licenza di commettere guasti, rapine, omicidii sopra i seguaci d'altre credenze. La loro fu chiamata dagli Arabi la religione del libertinaggio, e ai settatori dieron anco il nome di Khorramii, o diremmo noi gli Sfrenati. Traendo alle bandiere di Bâbek uomini rotti ad ogni scelleratezza, costui per venti anni (816-836) affrontò e sovente sconfisse gli eserciti abbassidi nelle regioni settentrionali della Persia, ove si dice abbia fatto incredibili carnificine. In ultimo, presagli la cittadella di Bedsds, inseguito, raggiunto in Armenia, condotto a Bagdad, messo ad orribili supplizii, li durò fino alla morte con fortezza da eroe.230

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