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Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II
Non guari dopo cotesti estremi sforzi della schiatta persiana, veggiamo cominciare il movimento con altre forme nella schiatta arabica. Ne fu autore un Abd-Allah-ibn-Meimûn, detto il Kaddâh ossia l'Oculista, della gente di Kuzeh231 presso Ahwâz nel Kuzistân, uom di setta deisanita al par che il padre, come sopra accennammo.232 Meimûn avea promosso un novello ramo che prese nome da lui. Il figlio salì in maggior fama, per arte d'indovino e prestigii di fisica e destrezza di mano;233 imbeccando alla gente che gli bastava l'animo di passare in un baleno da un capo all'altro del mondo; e s'indettò con astrologi e intriganti e con qualche tardo discepolo di Babek e altri rottami delle sètte dei magi:234 che par leggere le memorie di Cagliostro a quel congegno di scienze naturali, imposture d'ogni maniera e cospirazioni; a quel sì lontano scopo politico, pazientemente apparecchiato ai figli dei figli. Lo scopo di Abd-Allah sembra di far ubbidire, se non a sè medesimo almeno a sua gente e a sue dottrine, la schiatta vincitrice, invano combattuta con le armi persiane da Mokanna e da Babek. Perciò volle impadronirsi della fazione sciita, sì grossa e zelante e fin allora disordinata; volle innestar su quel robusto ceppo gli ordinamenti misteriosi dei Persiani; onde i capi della setta lo sarebbero stati anche di una gran parte della società arabica, e avrebbero rivoltato lo impero e mutato la dinastia. Tra gli Sciiti, come accennammo, si notavano varii rami, ciascun dei quali tenea legittima una diversa linea di imâm, o vogliam dire califi, del sangue di Ali; chi i successori di Mohammed figliuolo di Ali e di Hanefia; chi quelli di Hasan e chi di Hosein figli di Ali e di Fatima; e nella discendenza di Hosein si correa d'accordo infino a Gia'far, detto il Verace (a. 765), ma poscia altri riconoscea Musa, quarto figliuolo lui, altri i figli d'Ismaele, secondogenito premorto a Gia'far: onde i partigiani di cotesta linea furon chiamati Ismaeliani.235 Costoro par non avessero in pronto chi mettere in trono, poichè o spacciavan vivente tuttavia Mohammed figlio d'Ismaele, o favoleggiavano in sua stirpe una serie di imâm mestûr, o, diremmo noi, pontefici nascosi, che il volgo non dovea saperne nè anco i nomi. Per la comodità di tal mistero o per altra cagione che fosse, lo straniero Ibn-Kaddâh elesse a suoi disegni questo ramo della fazione sciita.
Dalla Persia meridionale venuto a Bassora, Ibn-Kaddâh comínciavi sue mene; scoperto indi e costretto a fuggire, tramutasi in Selamîa presso Emesa; vi compera poderi, e, infingendosi d'attendere all'agricoltura, va spacciando qua e là dâ'î, o vogliam dire missionarii, un dei quali, nel distretto di Cufa, indettava Hamdan-ibn-Asci'ath, soprannominato il Kirmit, uom di schiatta arabica, che parve ottimo strumento ad Abd-Allah. Ma l'Arabo, rubatagli l'arte, si fe' capo d'una setta novella che da lui si addimandò dei Karmati, o meglio direbbesi Kirmiti.236 Dopo venti anni (899) levaron la testa in Bahrein, provincia d'Arabia, ove la setta s'era agevolmente propagata tra fiera e libera gente, che poco temeva il califato lontano. Negli ordini loro si scerne il miscuglio delle superstizioni e dottrine persiane col genio independente della schiatta arabica: da una mano la ipostasi dello imâm, e novelle pratiche religiose, manichee anzi che musulmane; dall'altra qualche eccesso di comunismo mazdakiano e tutte le virtù e i vizii della democrazia kharegita. Sembrami error manifesto degli eruditi di noverare i Karmati tra gli Ismaeliani, coi quali non ebbero altra comunanza che le pratiche condotte e poi spezzate tra il Kirmit e Ibn-Kaddâh; nè altra somiglianza che di qualche forma e qualche mistero. Del rimanente correano per due vie opposte e come a due poli del mondo. Gli Ismaeliani, ritennero gli ordini di associazione segreta quando non n'era mestieri, dopo la esaltazione cioè della dinastia fatemita (910), e dopo la ribellione di Hasan-ibn-Sabbah ad Alamût (1090); nè disdissero mai il nome maomettano; e s'abbian promosso il dispotismo e la superstizione lo mostrano i lor discepoli Drusi e Assassini. I Karmati al contrario, non contenti di calpestare l'islamismo, si risero d'ogni domma e rito, e si tediarono di star nelle tenebre dell'associazione occulta: costituirono uno Stato libero e forse licenzioso; ebbero non principe semideo, ma capo politico, non altrimenti chiamato che Kabîr, ossia superiore; e talvolta, in luogo d'uno, ubbidirono a sei magistrati con titolo di sâid che suona signori, come que' della Mecca avanti Maometto e delle nostre repubbliche del medio evo.237 Ognun sa che i Karmati, per tutto il decimo secolo, fieramente combatterono dall'Arabia fino all'Egitto il califato abbassida e poi anco il fatemita; che sparsero fiumi di sangue; che presero la Mecca, e portaron via la sacra pietra nera della Caaba, per rivenderla a carissimo prezzo ai devoti Musulmani; e che da lor venne, in parte, la rovina dello impero musulmano.
La società segreta degli Ismaeliani per una trentina d'anni lenta camminò, sotto parecchi gran maestri della schiatta di Abd-Allah-ibn-Kaddâh, succeduti l'uno all'altro fino a Sa'îd-ibn-Hosein (874-883) il quale incalzò la propaganda in Persia, Arabia, Siria,238 e par abbia compiuto l'ordinamento. Era stretta gerarchia: un dâ'î supremo, o gran maestro che noi diremmo; sotto di lui altri dâ'î di provincia e altri di distretti, città, villaggi, che ciascuno eleggeva il subordinato e non conosceva altri che costui e l'immediato superiore. I dâ'î affiliavano. Una contribuzione forniva il danaro ai bisogni della associazione de' capi; e quando gittavan la maschera, teneano apparecchiata una fortezza, “Casa del Rifugio” la chiamavano in lor gergo; e quando regnarono, apriron adunanze pubbliche in una “Casa della Sapienza” ove il dâ'î leggea sermoni su i misteri e la morale. Tanto si ritrae con certezza storica. Sembra che abbiano avuto varii gradi d'iniziazione; dicono nove, dal primo vestibolo ai penetrali di un ultimo mistero, o piuttosto fin di mistero; cioè svelar che imami e religione e morale, tutto fosse una burla. Il dâ'î cominciava a tentare il neofito con dubbii sopra alcuni punti dell'islamismo; si facea giurar segreto e ubbidienza; lo conducea successivamente fino al grado di che gli parea capace: passando dalla confermazione dei dommi e precetti dell'islamismo, alla eredità dello imamato negli Alidi e nella linea d'Ismaele; alla dottrina dell'imam nascoso, noto al dâ'î supremo; alla spiegazione allegorica del Corano: e le allegorie si assottigliavano a mano a mano, e in ultimo si dileguavano nella incredulità. Ma quest'ultimo stadio parmi quello del Gran Maestro, il quale spacciando di tenere in serbo un Messia non potea veramente credere all'islamismo nè a religione che fosse al mondo. Gli altri gradi d'iniziazione delineano esattamente la piramide che si volea fabbricare: tutti i Musulmani alla base; sovrappostivi gli Sciiti; a questi i partigiani d'Ismaele; ad essi i dottori in miti manichei; e sul vertice la famiglia persiana d'Ibn-Kaddah.239
Sa'îd-ibn-Hosein, di questa gente, tenea la fila della gran trama in Selamîa, quando Ibn-Hausceb, dâ'î del Iemen, pensò mandar nell'Affrica Settentrionale chi dissodasse il terreno, come diceasi nel gergo della setta. Lavoraronvi prima un Ibn-Sofiân, indi un Holwâni; alla morte del quale, Ibn-Hausceb gli surrogò uomo di maggior polso, che per antonomasia fu detto lo Sciita. Ebbe nome Abu-Abd-Allah-Hosein-ibn-Ahmed, da Sana'a nel Iemen; ardente partigiano degli Alidi; stato una volta Mohtesib, ossia magistrato di polizia, degli Abbassidi presso Bagdad; audace, dotto e pratichissimo d'ogni via coperta ed obbliqua. Con danari della setta, costui si reca (893) dal Iemen alla Mecca, a far proseliti tra gli Affricani che vi attirava il pellegrinaggio; e adòcchiavi, uno sceikh della gente di Kotâma e l'onorevole brigata che lo seguiva. Facendo le viste d'imbattersi per caso tra costoro, Abu-Abd-Allah si insinua, li tenta e comincia a fare e ricever visite; e conosciutili Ibaditi, setta kharegita, come dicemmo, a poco a poco si scopre anch'egli nemico dei califi: aver lasciato il servigio loro perchè nulla v'era di bene; voler vivere ormai spiegando il Corano ai giovanetti; amerebbe a farlo in Occidente, ove non gli parean disperate le sorti del popolo musulmano. Tra lusinghe e dotto parlare e apparenza di pietà, austerità e liberi sentimenti, si cattivò gli animi di quegli stranieri, sì bene che il pregavano di accompagnarli in Affrica ed aprirvi scuola; ma non rispose nè sì nè no, lasciandosi trarre, quasi contro voglia, alle capitali dello Egitto e dell'Affrica; ove indagò profondamente le condizioni delle tribù berbere; e Kotâma gli parve proprio il caso. Allor, come vinto da' preghi dei Kotamii, accetta la ospitalità e gli oficii di imâm d'una loro moschea e di pubblico professore; ma ricusa lo stipendio; fa vedere ai più intrinsechi un gruppo di cinquemila dinâr; accenna alla sorgente misteriosa e inesauribile di quell'oro; alla sacra schiatta d'Ali; alle migliaia di migliaia che cospiravano per essa in tutta musulmanità; ai premii maravigliosi che dovea aspettarsi in questa vita e nell'altra chiunque aiutasse alla esaltazione del pontefice nascoso. Le quali pratiche non piacquero a tutti tra quella gente ibadita e però nimica all'autocrazia di Ali; ma il maggior numero odiava mille volte più Ibrahim-ibn-Ahmed vivo, che Ali sepolto da secoli; più la dominazione straniera, che il dispotismo; e il giogo stesso del dispotismo tanto lor parea duro a portarlo sul collo, quanto comodo e piacevole a metterlo addosso altrui. Ebbe dunque gran séguito Abu-Abd-Allah; gli proffersero avere e sangue; i misteri quanto più assurdi, tanto più furibondo accendeano lo zelo; un capo uccise di propria mano il fratello che andava gridando impostore Abu-Abd-Allah. A capo di sette anni, correndo il novecento dell'era volgare, costui cominciava a scoprirsi240 presso Setif, nei monti detti di Ikgiân, sede d'una tribù della gente di Kotâma.241
La gente di Kotâma tenea la più parte della odierna provincia di Costantina: un quadrilatero da Bugia e Bona su la costiera, a Belezma e Baghaia nella catena degli Aurès: territorio montuoso, dove coltivato dalle tribù stanziali, dove abbandonato a pascolo e corso dalle tribù nomadi della medesima gente. Si distinguea questa dagli altri Berberi per non so che divario di tradizioni, usanze, dialetto; tanto che gli eruditi vi trovarono appicco a consanguineità con la schiatta arabica. Che che ne fosse, i Kotamii non si affratellarono punto coi vincitori, nè lor ubbidiron altrimenti che di nome, nè si piegarono a tributo, non che smettere lor costumi aborigeni. Com'ogni altra nazione berbera, i Kotamii par sian vissuti in rozza confederazione, vincolo di schiatta più che di legge; il quale se non bastava a campar le tribù loro dalla guerra civile nè dalla dominazione straniera, potea stringerle insieme ad un tratto in brevi ma gagliardi sforzi. Allo entrar del decimo secolo, fortissima era la nazione kotamia per numero totale degli uomini o relativo degli armati; poichè la tradizione esagerando portò che ne andassero trecentomila ad assalire Kairewân; e da più certi ricordi sappiamo quanti eserciti kotamii corsero in quel secolo fino all'Atlantico e oltre il Nilo sotto le bandiere dei Fatemiti: nelle quali imprese la nazione kotamia si dissanguò; si trovò menomata a quattromila uomini verso la metà del duodecimo secolo; nel decimoquarto, qualche tribù che ne rimanea soffriva il giogo di Tunis, e in oggi se n'è dileguato il nome.242 Non primeggiava per vero nella confederazione la tribù stanziata a Ikgiân. Ma la mente di Abu-Abd-Allah, l'accentramento e ardore della setta ismaeliana le dettero tal vigore, da soggiogare qualche tribù rivale, tirarsi dietro le altre, e unire la nazion kotamia, anzi una gran parte della schiatta berbera, contro i vincitori Arabi. Ibrahim-ibn-Ahmed dal suo canto aveva arato quel terreno più che i mistici agricoltori ismaeliani; fin avea liberato la nazione kotamia del disagio che le davano i bellicosi Arabi di Belezma.
Ed egli stesso gittò la prima scintilla. Risaputo dal governator di Mila come l'oscuro professore d'Ikgiân osasse accusare d'eresia Abu-Bekr e Omar, mandò ad ammonirlo di frenare la lingua; e, se no, vedrebbe. Abu-Abd-Allah, invece di rispondere, si mostrò in campo (901) con giusto esercito, con simboli non più visti, scritti su le bandiere, nei suggelli delle lettere e nel marchio dei cavalli; ordinò gli oficii d'amministrazione militare; afforzò la casa del rifugio a Ikgiân; diè il motto di guerra “In sella, cavalieri di Dio;” apertamente bandì la rivoluzione politica e religiosa. Così la società ismaeliana, compiuti i lavori a suo bell'agio tra genti guerriere e luoghi inaccessibili alla vigilanza dei governanti, uscia dalle tenebre improvvisamente in sembianza di Stato antico che facesse guerra, non di moltitudine tumultuante e confusa. Sbigottì Ibrahim a quel terribil segno. Comprese che la viva forza da lui sciupata si stoltamente, ormai non bastava contro la ribellione sciita: pertanto si provò a suscitar la guerra civile tra i Kotamii; a calmare gli altri popoli con le riforme; e si affrettò all'abdicazione. Scendendo dal trono raccomandò al figliuolo che non assalisse mai primo gli Sciiti, si difendesse, e abbandonato dalla fortuna si ritraesse in Sicilia.243
CAPITOLO VI
S'uom potea riparare alla rovina di casa aghlabita, quel desso era Abd-Allah, successor del tiranno. Abd-Allah par modello dell'ottimo principe musulmano del medio evo: prode della persona, cavaliero e schermidore perfetto, savio capitano, bell'ingegno, poeta, dialettico, erudito, rettorico, e, quel che monta assai più, giusto, magnanimo, benigno, temperato nell'esercizio del comando, osservatore d'ogni precetto di sua religione. Preso lo Stato alla abdicazione del padre,244 mandò lettere circolari da leggersi al popolo adunato, per le quali promettea zelo nella guerra sacra, e nel governo umanità, giustizia, amor del ben pubblico. E che non scrivesse ciance di principe nuovo provollo coi fatti, chiamando appo di sè un consiglio di molti savii e dotti uomini (queste son le parole d'Ibn-el-Athîr), che lo aiutavano a condurre gli affari secondo giustizia e proponeano i provvedimenti richiesti dalle condizioni del popolo. Come i predecessori, sedè egli stesso nel Tribunal dei soprusi. Volle che i magistrati ordinarii rendessero ragione, senza contemplazion di persone, contro oficiali, cortigiani, congiunti o figli del principe e contro lui medesimo. Eletto il novello cadi dal Kairewân, gli commise di reprimere severamente i soprusi dei riscuotitori delle tasse e proteggere gli oppressi. Riformò al tempo stesso la corte: vestitosi di lana come i primi califi; sgombrati que' nugoli di pretoriani; fuggito a precipizio dalle insanguinate castella del padre, sì che soggiornò nei primi tempi in una casuccia di mattoni, poi ne fece acconciare una più spaziosa, comperate entrambe del proprio. Forte di sua virtù, sdegnando i consigli tiberiani del padre, Abd-Allah mandava contro gli Sciiti un esercito capitanato dal proprio figliuolo, altri dice fratello, soprannominato Ahwâl. E già la vittoria seguiva gli auspicii del principe guerriero; e la contentezza de' popoli promettea che la ribellione, ristretta a una tribù, presto sarebbe spenta.
Quando un vil parricida troncò ogni speranza degli Arabi d'Affrica. Ziadet-Allah, figliuolo di Abd-Allah, rimaso a reggere la Sicilia dopo la morte d'Ibrahim, s'era dato a vita sozza e bestiale con vili cortigiani che lo stigavano contro il padre perchè sentiansi soffocare da quella severa riforma. Risapendo tai vergogne, Abd-Allah deponea d'oficio il figliuolo; chiamavalo a Tunis; e, arrivato ch'ei fu del mese di maggio novecentotrè, come a fanciullo discolo, gli tolse danaro e arredi e sì il chiuse in un appartamento del palagio, messi in prigione a parte i suoi cagnotti. Ma le mura non furon ostacolo a una congiura di corte che si ordì, consapevole Ziadet-Allah. Il mercoledì ventisette di luglio,245 uscito Abd-Allah dal bagno e gittatosi a dormire in parte solitaria del palagio sopra un sofà di stuoie, tre eunuchi schiavoni ch'ei tenea molto fidati gli si appressano; un trae pian piano la spada di sotto il capezzale; e d'un fendente tagliò netto e collo e barba e intaccò la stuoia. Corre un altro alla prigione di Ziadet-Allah; scala il muro; lo saluta re; gli fa pressa di mostrarsi alla corte: ma quei temendo doppio tradimento, risponde che, se dice il vero, gli rechi la testa del padre: onde l'eunuco andò e tornò e gli gittò la testa d'in sul muro. Presala in mano, raffiguratala, il parricida balzò di gioia; fe' spezzare le porte della prigione; assembrare i grandi di casa aghlabita; i quali sospettando, o no, il vero, per paura degli stanziali, o perchè la virtù di Abd-Allah lor fosse stata anco molesta, giurarono fedeltà al successore. A cancellar sue proprie vestigia, questi fece scannare immantinente i tre sicarii, e appendere i cadaveri al patibolo.
Pria che si risapesse il misfatto, Ziadet-Allah scrivea col suggello del padre ad Ahwâl di venir subito a Tunis; il quale senza sospetto, lasciò lo esercito, e per via fu preso e morto. Uccisi al paro da trenta, tra fratelli, zii e cugini del novello tiranno, in un isolotto246 ove li mandò sotto colore di rilegazione; dato lo scambio a' primarii magistrati; gratificati con largo donativo gli oficiali pubblici. Del rimanente, non curando se lo Stato andasse bene o male, Ziadet-Allah ripassava dal sangue nel fango: regnava sette anni trescando con sicarii, giullari, beoni, concubine e giovani svergognati; arrivava a far batter moneta col nome del paggio Khattâb; e quando avea mala nuova della guerra sciita, diceva al coppiere: “Mescimi; e anneghiamola in questa tazza.”247
Abu-Abd-Allah intanto conquistava l'Affrica. Nel regno d'Ibrahim-ibn-Ahmed avea soggiogato qualche popolazione agricola (901) e combattuto una tribù guerriera della nazione stessa de' Kotâmii. Venuto alla prova contro gli eserciti aghlabiti al tempo d'Abd-Allah, il ribelle or vinse or fu vinto; e n'avea la peggio, quando Ziadet-Allah lo cavò di briga col parricidio e il fratricidio (903). Poscia, tra le vicende della guerra, salì pur sempre la parte sciita. Non solo tutta la gente kotamia, ma anco altre popolazioni berbere seguiron volentieri un capo che promettea la venuta del Messia e quanto prima soggiogati tutti i popoli della Terra, e fatto spuntare il sole di Ponente; e dava pur qualche arra de' prodigii. Arra la vittoria, il bottino, la propria temperanza, austerità, abnegazione, l'abolizione del kharâg o diciamo tributo territoriale, antichissimo sopruso degli Arabi sopra i Berberi: e questo ribelle, entrato a Tobna, e recatogli il danaro pubblico, rendeva il kharâg ai possessori musulmani; aboliva le tasse non prescritte nel Corano o nella Sunna; e bandiva ai popoli che ormai non avrebbero ad osservare altre leggi che i sacri testi. All'incontro i sudditi fedeli pagavan troppo caro le vergogne di Ziadet-Allah. Gli eserciti, accozzati di stanziali e avanzi del giund, che è a dire di tormentatori e tormentati, marciavano di pessima voglia; e talvolta sbaragliavansi pria di venire alle mani, non ostante gli immensi appresti d'armi e macchine da guerra; e quali capitani lor potea dare tal principe? Entro pochi anni, Abu-Abd-Allah minacciò la metropoli dell'Affrica (907). Il tiranno, provatosi a far grande armamento e montare a cavallo egli stesso, tornò addietro spaurito a Rakkâda, rifatta sede della corte aghlabita; afforzolla con mura di mattoni e mota;248 affidò l'esercito, troppo tardi, ad un uom di guerra di sangue aghlabita, per nome Ibrahim-ibn-abi-Aghlab; la cui virtù non valse che a ritardare la vittoria del nemico. Di marzo novecento nove, Ziadet-Allah, all'avviso di un'ultima sconfitta d'Ibrahim, tenendosi spacciato e tradito da costui, dal primo ministro, dai soldati, dai cittadini, si deliberò a fuggire incontanente. Dà voce di riportata vittoria; fa tagliar le teste ai miseri che teneva in carcere e condurle a trionfo per le strade di Kairewân, come se fossero dei nemici uccisi in battaglia; e intanto a Rakkâda, ch'era discosta a quattro miglia, entro il palagio si caricavano trenta cameli d'arredi preziosi, oro, gioielli; mille Schiavoni della guardia erano messi in ordinanza, e dato loro a portar mille dinar d'oro per cadauno; le mogli e le più gradite concubine del tiranno montavano in lettiga. Al cader del giorno ei con la corte cavalcò in fretta alla volta di Tripoli, per passare indi in Egitto.
Risaputa la quale fuga, tutta Rakkâda sgombrò, ch'era soggiorno di scrivani e servidori di corte: a lume di fiaccole tante famigliuole, con loro robe preziose, correano per la campagna su le orme del principe. Ma il popolaccio di Kairewân, invidioso e turbolento, piombò la dimane sopra la città regia; per sei giorni continui frugò le case cercando tesori sepolti, e portò via masserizie; finchè comparve la vanguardia di Kotâma, che ricacciollo alla capitale. Dove la schifosa anarchia della paura avea consumato, in questo mezzo, quel po' di forza vitale che rimaneva alla schiatta arabica. Ibrahim-ibn-abi-Aghlab, usando un attimo di favor popolare, convocò i giuristi, i capi delle famiglie nobili della città e i principali mercatanti; lor disse, che se Ziadet-Allah se n'era fuggito, tanto meglio; poichè la mala fortuna se ne andrebbe con quel poltrone; or si potrebbe far la guerra; lo aiutassero di danari ed egli saprebbe rannodare l'esercito, salvar l'onore e la dominazione degli Arabi: per Dio non si dessero in mano di quelle frotte di vinti rivoltati, di barbari settatori d'un eretico, calpestatori d'ogni legge. Ma i notabili risposero, al solito, ferocemente a chi parlava di onore e di pericoli; conchiusero che il danaro lor serviva a ricattare dalla schiavitù sè stessi e le famiglie; e replicando Ibrahim che si potean togliere i capitali dei lasciti pii, l'adunanza gridò sacrilegio. Sdegnosamente uscì Ibrahim dalla sala; e in piazza ebbe a soffrire gli insulti della plebe che ripeteva a modo suo gli argomenti dei barbassori, e dava mano anco ai sassi: se non che l'Aghlabita con uno stuol di cavalli si fe' largo caricando fino alle porte della città. Audace, anzi temerario, andò a Tripoli, sperando di scuotere Ziadet-Allah; e per poco non incontrò la sorte del primo ministro; il quale s'era imbarcato per la Sicilia, ma i venti lo spinsero a Tripoli, nelle mani del tiranno, ch'egli avea confortato alla difesa, e or n'ebbe in merito la morte. Ziadet-Allah, chiesta licenza dal califo abbassida, soggiornò or in Egitto or in Siria, sperando sempre che il califo riconquistasse l'Affrica per lui; e mentre aspettava, rubato dai proprii servitori, ammonito per sue infami dissolutezze dai magistrati, vilipeso da' governanti, impoverito, invecchiato in pochissimi anni, morì (916) di malattia o di veleno.249 Così cadde dopo un secolo la dinastia d'Aghlab.
Finì con vergogna non minore la dominazione degli Arabi in Affrica. La municipalità di Kairewân, sbrigatasi da quella molesta virtù d'Ibrahim-ibn-abi-Aghlab, mandava in fretta oratori allo Sciita poc'anzi scomunicato con tanta rabbia dai giuristi; il quale era entrato a Rakkâda (26 marzo 909) con sue miriadi di Berberi. Il vincitore accordò l'amân, distogliendo a gran fatica i capi di tribù di Kotâma dal promesso saccheggio di Kairewân. Nè solamente assicurò vita e sostanze al popolo della capitale, e a quanti altri si sottomettessero, ma anco alla parentela degli Aghlabiti e ai condottieri del giund. Prepose agli oficii pubblici molti capi kotamii e qualche giureconsulto arabo sciita; rinnovò i simboli della moneta, bandiere, atti pubblici, senza porvi nome di principe; mutò due parole nell'idsân, o diremmo appello alla preghiera;250 del rimanente non molestò gli ortodossi; nè sparse altro sangue, che degli schiavi negri soldati di casa d'Aghlab. D'ogni parte dell'Affrica propria, gli Arabi sottometteansi ad uom sì civile che tenea in pugno trecentomila barbari. Non che i cittadini, piegavan la fronte i nobili del giund; non sentendosi forza di salvar sè stessi e i figliuoli dalla schiavitù;251 onde credeano uscirne a buon patto se non perdean altro che la dominazione. E al solito avvenne che il giogo si aggravò quando l'ebbero assestato sul collo.
Perchè lo Sciita tra non guari risegnava il comando. Sembra che tanti anni innanzi, i capi kotamii iniziati a Ikgiân non avessero voluto mettere a rischio vita e sostanze senza sapere per chi; onde lo Sciita lor additava il custode del gran segreto in Selamia di Siria. Andativi i messaggi di Kotâma, trovarono Sa'îd-ibn-Hosein; il quale, richiesto di svelare il pontefice, rispose “son io,” aggiugnendo chiamarsi, per vero Obeid-Allah; e infilzava una genealogia fino ad Ismaele, e da questi ad Ali e Fatima, figliuola del Profeta. Indi l'appellazione di Fatemita che usurpò questa dinastia persiana, detta altrimenti Obeidita, dal nome del primo monarca. In sul trono non le mancaron poi dottori che provassero genuina la parentela con Ali; mentre i dottori di parte abbassida la negavano con pari asseveranza: gli argomenti pro e contro rimasero per mantener viva la lite, tra gli eruditi musulmani più moderni; e fin oggi dotti europei han creduto alla legittimità dei Fatemiti.252 Ma Abu-Abd-Allah lo Sciita, vero fondator del califato d'Affrica, non mi par complice di quell'albero genealogico falsato per tiro del Gran Maestro.