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Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II
Trapelando intanto il segreto, e sendo venuto Obeid-Allah in sospetto ai luogotenenti del califo in Siria, per quei misteriosi andamenti e visite di stranieri, fuggissi in Egitto col giovanetto Abu-l-Kasem, che dovea far la parte di Alida, s'ei nol potesse.253 Apparve in questa fuga, mirabile effetto dell'affiliazione ismaeliana: quegli occhi d'Argo che spiavan sopra le spie del governo; quelle mani pronte e fedeli per ogni luogo; e la verga dell'oro che veniva a sciogliere tutti i nodi. Accortosi Obeid-Allah che gli Abbassidi lo cercassero in Egitto, lor tolse la traccia, passando a Tripoli d'Affrica e di lì a Segelmessa, città su le falde meridionali del Grande Atlante, in oggi decaduta e soggetta a Marocco, allora capitale del principato dei Beni-Midrâr, berberi, eretici di setta Sifrita e independenti degli Aghlabiti. S'appresentò come ricco mercatante che bramasse far soggiorno nel paese; entrò in grazia del regolo, per nome Eliseo; e si tenea sicuro, quando Ziadet-Allah diè avviso a quei di Segelmessa che il capo di cotesta setta sterminatrice dell'Affrica si ascondesse appo di lui. Perciò caddero i sospetti sul mercatante straniero; e fu sostenuto, interrogato, confrontato col figlio e coi famigliari e costoro torturati a frustate; ma tutti negavano e parlavano a un modo. Eliseo non s'appose al vero, finchè lo Sciita, trionfante a Rakkâda, non gli domandava con lusinghe e promesse, la liberazione d'Obeid-Allah. Ricusò; gittò le lettere in faccia agli ambasciatori; e li fe' mettere a morte. Lo Sciita, dicon le croniche, tremando per Obeid-Allah, dissimulava l'insulto; tornava a pregare; e di nuovo gli furono uccisi i messaggi. Allor con gran furore mosse di Rakkâda (maggio 909) sopra Segelmessa.
E forse in suo segreto il men che bramasse era di liberare Obeid-Allah. Fin dai principii della ribellione d'Affrica, lo Sciita, per lealtà alla verace schiatta d'Ali o ambizione propria, par si fosse studiato a tener lungi dallo esercito l'impostore di Selamîa. Ma nol potea disdire apertamente, avendo amici e nemici tra i capi di Kotâma, padroni dell'esercito, abboccatisi con Obeid-Allah in Oriente, entrati in quell'orditura di spionaggio, menzogne e superstizioni, nella quale era avvolto lo stesso Sciita, e le fila, maestre teneale in mano Obeid-Allah. Con ciò le moltitudini cominciavano a ripetere il nome del pontefice nascoso; a saperlo in pericolo; nè forza umana le avrebbe ritenuto. Lo Sciita, non osando dunque spezzare l'idolo fabbricato con le proprie mani, gli si prostrò il primo; differì i disegni; sperò che i meriti avrebbero cancellato le offese; che il novello principe non avrebbe potuto far senza di lui: e quando s'accorse dell'errore, mormorò, cospirò, e fu spento.
Ed ora cavalcando alla testa dell'esercito vittorioso, vedea le altre nazioni berbere sottomettersi di queto o sgombrargli il passo; giugnea a Segelmessa; rompea le genti d'Eliseo, uscite a combatterlo; ed occupava la città. Ansiosamente corre alla prigione di Obeid-Allah, coi capi kotamii; i quali, a vederlo salvo, proruppero in lagrime di gioia. Lo condussero al campo (20 agosto 909) con riverenza che puzzava d'adorazione: Obeid-Allah e il figliuolo soli à cavallo, ogni altro a piè; e primo lo Sciita, che andava gridando “Ecco il mio e il vostro Signore!” Si rinnovò tal rito a Rakkâda (gennaio 910), quand'ei fe' la entrata trionfale coll'esercito; uscitogli all'incontro il popolo di Kairewân co' soliti plausi; nè mancarono poeti che lo rassomigliassero alla divinità. Prese titolo di Comandator dei credenti e soprannome di Mehdi, ch'è a dire “Guidato da Dio;” e così fu ricordato ogni venerdì nella khotba. Oltre lo stato di Segelmessa, lo Sciita gli avea conquistato poc'anzi quel di Taiort, independente dagli Aghlabiti: onde l'impero Fatemita fin dal principio si estese a tutta l'Affrica settentrionale, eccetto le estreme province di ponente, tenute dagli Edrisiti.254
Fornite le cerimonie, il Mehdi diè opera a fabbricar le fondamenta del nuovo impero. Alla tolleranza religiosa d'Abu-Abd-Allah era già succeduto il fanatismo del fratello preposto all'Affrica propria durante la guerra di Segelmessa; il quale perseguitò molti ortodossi. Ed or il Mehdi faceva osservare più rigorosamente le pratiche sciite nei punti di disciplina ecclesiastica o diritto civile in che differivano dalle sunnite: le parole mutate nell'appello; un digiuno sostituito a una preghiera; maledire i compagni del Profeta fuorchè Ali; permettere altre forme di divorzio; dar più larga parte alle figliuole nei retaggi; e somiglianti novazioni, qual ridicola e qual seria, odiosissime tutte agli Arabi d'Affrica.255 Con peggior consiglio ei tentò d'incorporar lo Stato alla setta. Ai capi berberi di Kotâma richiese il giuramento di fedeltà “per la Verità di chi intenda i misteri:” al qual gergo ismaeliano erano avvezzi, e passò. Ma la schiatta arabica vide con orrore seder pro tribunali a Rakkâda una mano di dâ'î preseduti dallo Scerif, più alto dignitario, i quali, chiamavano i cittadini per affiliarli alla setta con lusinghe, poi con minacce; e mandavano in carcere i ricusanti; e quattromila ne furono uccisi, per comando del principe o brutalità dei satelliti kotamii. Contuttociò i proseliti arabi si contarono a dito. Il Mehdi, necessitato alfine a smetter la violenza, riempì le logge ismaeliane come potea.256 Fallì lo scopo d'imbeccare alle moltitudini quella sua ipostasi, onde avrebbe regnato con doppio comando, di re e d'Iddio. Trapiantata poi la sede in Egitto, i successori rincalzarono la propaganda: il più pazzo, il più codardo, il più crudele tra i Fatemiti, l'empio Hakem-biamr-illah, arrivò per tal modo agli onori divini; e i Drusi l'adoran tuttavia.
Ma il Mehdi, non potendo soggiogar le coscienze, assestò ogni altra cosa da uom di Stato. Prodigò facoltadi, carezze, oficii militari e civili ai Kotamii più che non avesse fatto lo Sciita; e pur non si abbandonò tutto alle milizie loro, ordinò un esercito stanziale di liberti e schiavi, parte di schiatta greca e italiana,257 e parte negri. Pose diligenza e regola nell'amministrazione delle entrate pubbliche; onde fe' sentir meno il peso ed ebbe abilità di aggravarlo senza romore.258 S'impossessò non solo dei beni degli Aghlabiti,259 ma sì dei lasciti pii e dei patrimonii pubblici d'alcune città;260 tolse le armi serbate nelle torri della costiera; abbattè i palagi fortificati degli Aghlabiti; cancellò per le castella e moschee i nomi dei principi fondatori, e scolpivvi il suo.261 Oltre le novazioni che accentravano l'autorità, il Mehdi come i predecessori sedette nel Tribunal dei soprusi, e trattò dassè le faccende pubbliche.262
Varie tribù e città berbere levaron la testa; ed ei le domò con milizie di Kotâma capitanate dallo Sciita. Poi risapendo che questi sparlava, che capi kotamii gli davan orecchio, e che si mettea in forse se stesse in sul trono il verace imâm guidato da Dio, un giorno convita Abu-Abd-Allah e il fratello; li fa appostare all'uscita e trucidare; con ippocrita pietà recita egli stesso la preghiera su i cadaveri (febbraio 911); e quetamente li seppellisce nel giardin della reggia. Spense gli altri capi di Kotâma disaffetti. Ad un che gli domandava miracoli in prova di sua divinità, fe' di presente troncar la testa.263 Un altro Kotamio spacciò sentirsi addosso lo spirito divino; nol provò con la vittoria; e fu preso e mandato al supplizio.264
Non cessavano con tutto ciò i tumulti del popolo di Kairewân e d'altre città arabiche, la pertinace nimistà dei giureconsulti e nobili, la petulanza degli sgherri kotamii, le ribellioni d'altre genti berbere; tra le quali quella esaltazione del nome d'Ali provocò novello furore delle sètte kharegite, e ne sorgeva, a capo di parecchi anni, un terribile demagogo del ramo detto de' Nakkariti. Il Mehdi dunque, non potendo fondarsi sopra alcuna schiatta nè vasta opinione, ma sol su quella sua macchina di governo, dovea metterla in salvo da un impeto degli elementi ostili, con maggior cura che non avessero fatto gli Aghlabiti; nè parvegli acconcia Rakkâda, sì vicina a Kairewân; nè altra città di Arabi. Con alto consiglio volle porsi in sul mare, ove l'armata gli servisse a difesa ed a minaccia sopra stranieri e Affricani e Siciliani impazienti del giogo; ed ove il commercio creasse ricchezze e nuova popolazione. Percorsa tutta la costiera a levante di Cartagine, elesse una penisoletta ch'esce tra i golfi di Hammamet e di Kabes, in forma di palma di mano aperta, e l'istmo raffigura il polso. Le diè nome di Mehdîa, ma fu detta anco Affrica, come capitale. Ampliò con maravigliose opere il porto, da renderlo capace, dicon, di settecento galee; costruì arsenale, castelli, torri, porte di ferro massiccio di mole non più vista, fosse di grano, cisterne d'acqua; soprantese in persona ai lavori; sciolse problemi meccanici;265 trovò in sua astrologia il giorno e l'ora di gettar la prima pietra, spuntando in cielo il Lione; profferì facili profezie; usò la scienza e impostura dei suoi veri antenati persiani, che per esser nuova parea tanto più miracolosa in Occidente. Ed a capo di cinque anni (920), quando vide fornita la inespugnabile capitale, sclamò: “Or sì regneranno i Fatemiti.266”
CAPITOLO VII
La colonia siciliana, dissanguata nella guerra civile del novecento, stette cheta o quasi, per nove anni; nel qual tempo la ressero quattro emiri: Ziadet-Allah (902-903); Mohammed-ibn-Siracusi, surrogatogli dal padre (maggio 903);267 e, dopo il parricidio, Ali-ibn-Mohammed-ibn-Abi-Fewâres; e Ahmed-ibn-abi-Hosein-ibn-Ribbâh, di nobil casa modharita, stanziata in Sicilia da una sessantina d'anni, illustre per valorosi capitani e governatori. Ali, al dir d'una cronica, fu deposto da Ziadet-Allah:268 probabil è che lo avesse eletto il popolo di Palermo, quando vide insanguinato il trono dal parricidio, e ne sperò uno scompiglio che gli desse agio a ripigliare suoi dritti.
Non prima si riseppe in Palermo la fuga di Ziadet-Allah, che il popolo, stigato dal medesimo Ali, sollevossi all'entrar d'aprile del novecentonove: irruppe in palagio, saccheggiò la roba, prese Ahmed, ed esaltò in suo luogo Ali.269 Poscia venuti avvisi della occupazione di Rakkâda, i Palermitani mandavano Ahmed prigione in Affrica, e chiedeano allo Sciita la confermazione di Ali. Concedettela; raccomandò con questo di ripigliar la guerra sacra, smessa sotto il regno di Ziadet-Allah;270 nel qual tempo i Cristiani erano tornati ad afforzarsi in loro rôcche del Valdemone, per incuria di chi reggea le cose in Sicilia o forse per trattato con l'impero bizantino.271 Del resto non seguì evento d'importanza fino alla esaltazione del Mehdi. Nè altrimenti si ricorda il nome di Sicilia che nella persecuzione di Abu-l-Kâsim-Tirazi, cadi di Palermo sotto gli Aghlabiti; cacciato probabilmente con Ahmed e vergheggiato in piazza pubblica di Kairewân, insieme col dotto cadi di Tripoli, entrambi rei di costanza nel rito ortodosso.272
Ove si consideri l'esser della Sicilia in questo interregno, si vedrà la rivoluzione del novecento d'un subito tornata a galla, quando mancò con gli Aghlabiti la man che l'avea represso. Oltre le forze proprie ristorate in un decennio, la colonia rinvigorì, com'ei sembra, di nobili arabi che per avventura si fossero rifuggiti d'Affrica nel primo terrore273 o nelle persecuzioni sempre crescenti; la lealtà dei quali a casa d'Aghlab ormai s'accordava con gli umori d'independenza siciliana. Ma avendo al fianco quella piaga dei Berberi di Girgenti, l'aristocrazia palermitana, titubante a ripigliare le armi contro l'Affrica, contentavasi di tener lo stato con l'antico espediente d'un emiro tutto suo. Ali sembra, in fatti, il caporione della nobiltà; sì ch'essa fece come volle nell'interregno. Sperando poi di raggirare il Mehdi ed appagarlo con ubbidienza nominale, Ali chiesegli di andare a Rakkâda per abboccarsi con lui; e il Mehdi tutto lieto assentì. Avutolo in Affrica, lo fa imprigionare; manda a regger l'isola un uom suo, provato in missioni così fatte, Hasan-ibn-Ahmed-ibn-Ali-ibn-Koleïb, soprannominato Ibn-abi-Khinzîr, ch'era stato prefetto di polizia di Kairewân sotto lo Sciita.274
Gli intendimenti del principe e le condizioni della colonia appariscono da' primi atti d'Ibn-abi-Khinzîr. Sbarcato a Mazara il dieci dsu-l-higgia del dugento novantasette (20 agosto 910), deputava un suo fratello per nome Ali275 governatore a Girgenti; del quale oficio non v'ha ricordo sotto gli Aghlabiti, e pare trovato del Mehdi per lusingare i Berberi e attizzare la discordia tra loro e gli Arabi. Al medesimo tempo fece cadi di Sicilia un Ishâk-ibn-Minhâl; il primo, aggiungono gli annali, che vi sedesse a nome del Mehdi:276 e ciò mostra che per più d'un anno s'era amministrata la giustizia secondo il dritto sunnita e da un eletto dell'emiro. Ibn-abi-Khinzîr prepose alla azienda uomini nuovi, i quali furono accusati di aggravii; o forse v'istituì nuovi oficii, secondo i voleri del principe.277 Il “Preposto della Quinta” di cui si fa ricordo poco appresso, sembra nuovo; e di certo fu posto a scemar l'autorità dell'emiro, sia che avesse carico di spartire il bottino e le terre prese ai vinti e serbarne la quinta all'erario, sia che anco amministrasse il ritratto della quinta.278 La primavera o state seguente (911) l'emiro, sostando alquanto da' negozi fiscali, conduceva l'esercito sopra Demona, ove i Cristiani avean levato la testa: ed arse il contado, predò, fece prigioni; ma non osò assalire la rôcca.279 La qual debole fazione scopre i travagli che aveano in casa i Musulmani di Sicilia e l'agitamento generale della schiatta arabica contro i Fatemiti, il quale scoppiava ad ora nelle città d'Affrica.280
Tra così fatte disposizioni d'animi, Ibn-abi-Khinzîr volle dare un banchetto ai primarii nobili nel palagio di Palermo. I convitati sedeano nella sala, quando alcun s'addiè, o il finse,281 d'una sinistra commozione tra gli schiavi dell'emiro; d'un luccicar di spade che si porgessero l'un l'altro; e balzando in piedi sclamò: “Siam traditi;” e tutti corsero alle finestre a gridare: “All'armi; all'armi!” Fresca era la memoria dello Sciita, trucidato insiem col fratello alle soglie del Mehdi;282 Ibn-abi-Khinzîr non pareva uom da scrupoli; l'universale degli Arabi di quel secolo ridea, certo, come di romanzo della ospitalità cavalleresca de' lor padri Beduini: tra tanti vizii, tra tanti odii, credibilissimo il tradimento, e assai volentieri creduto. D'un subito, dunque, trasse il popolo in piazza; s'affollò dinanzi il palagio; trovate chiuse le porte, v'appiccò fuoco; nè si racchetò quando usciron sani e salvi i convitati, i quali al certo non dissero che avean sognato. Ibn-abi-Kinzîr, fattosi ad arringare il popolo, perdeva indarno il fiato; gli troncavan le parole con minacce e villanie; finchè vistili in punto d'irrompere nelle sue stanze, cercò scampo saltando in una casa contigua, ma cadde, si spezzò una gamba, e fu preso e messo in carcere. Per tal modo fallì il tradimento dell'emiro o riuscì la calunnia dei nobili: ch'io nol so. I nobili scriveano il caso al Mehdi; il quale perdonava ai sollevati e deponea d'oficio Ibn-abi-Khinzîr, bastandogli che fosse posato il tumulto in Palermo e preso il governo provvisionalmente da Khalîl, Preposto della Quinta.283 Seguiron cotesti avvenimenti innanzi il ventisette dsu-l-higgia del dugentonovantanove (13 agosto 912), quando giunse in Sicilia, mandato dal Mehdi, un novello emiro per nome Ali-ibn-Omar-Bellewi.284
Vivea di questo tempo in Sicilia un Ahmed-ibn-Ziadet-Allah-ibn-Korhob;285 uom d'alto affare, di molta ricchezza, di nobil casa arabica devota agli Aghlabiti; che dei suoi maggiori, un fu primo ministro d'Ibrahim-ibn-Ahmed; un altro, forse il padre, espugnò Siracusa,286 e un congiunto o fratello avea tenuto poc'anzi il governo dell'isola.287 Par che il principe fatemita, non trovando modo a maneggiar la colonia siciliana, se ne fosse consultato con Ibn-Korhob, avversario sì, ma intero e leale; poichè sappiamo che costui scrisse al Mehdi: “Se vuoi dar sesto al paese, mandavi grosso esercito che lo domi e strappi la potestà di mano ai capi; se no, la colonia rimarrà in perpetuo disubbidiente alle leggi; ad ogni piè sospinto moverà tumulto contro gli emiri e te li rimanderà a casa svaligiati.”288 In suo laconismo, Ibn-Korhob accennava, com'io credo, con una voce sola alle due maniere di capi ch'erano nelle popolazioni musulmane dell'isola, i magistrati cioè dei Berberi e i nobili degli Arabi; capi di consorterie di due nature diverse, ma preposti in entrambe a molti negozii civili e insieme al comando delle milizie. Tale la potestà, capitaneria, dice litteralmente la cronica, che occorreva abolire in Sicilia. Mettendo da parte i Berberi e risguardando agli Arabi, cotesta espressa testimonianza, confermata da tutti i ricordi dei tempi susseguenti, mostra cresciuto ormai e soverchiante nella colonia un terzo male, non men grave dell'antagonismo di schiatta e, direi quasi, del dispotismo affricano. L'insolenza dei nobili non era apparsa per lo addietro, non essendo adulta la cittadinanza che potesse risentirsene, come quella del Kairewân e d'altre città d'Affrica. Però si notava degli ottimati la sola resistenza al principato e confondeasi col sentimento di libertà coloniale; però la plebe di Palermo parteggiava tuttavia per toro e tardò altri trent'anni a tediarsene. Mancando dunque il popolo, altro partito non rimaneva che sceglier tra due mali, dispotismo fatemita o sfrenamento d'oligarchia; e ad Ibn-Korhob parve meno intollerabile il primo. Ciò dia la misura dell'altro. E dimostri anco la virtù di quel gran cittadino, ch'era nobile, ortodosso, affezionato agli Aghlabiti e Siciliano: e diè consiglio contrario a tutti interessi e umori di parte. Non andò guari ch'ei compiva maggior sagrifizio, gettandosi nella voragine della rivoluzione; non per leggerezza, non per vanità, non per ambizione, ma ad occhi aperti, per religion d'animo generoso, quando conobbe che v'era da tentar con un dado contro cento, la liberazione della patria dall'Affrica insieme e dall'anarchia.
Entrando l'anno di Cristo novecento tredici, tutta la Sicilia era levata di nuovo a romore: cacciato di Palermo il Bellewi, debil vecchio e molesto;289 cacciato di Girgenti Ali-ibn-abi-Khinzîr, fratello di Hasan, e saccheggiatagli la casa;290 ucciso a dì venzette gennaio dai Palermitani Amrân, Preposto della Quinta,291 il quale par abbia voluto por mano al reggimento come il predecessore Khalîl. In tal moto generale contro l'autorità fatemita, svolazzò nelle menti il solito proponimento di concordia; tanto che Arabi e Berberi insieme formavano di chiamare di governo dell'isola Ahmed-ibn-Korhob. Ei che conoscea la tempra di cotesti affratellamenti, ricusò; fuggì; corse a nascondersi in una grotta; venuti a trovarlo i notabili di tutta la Sicilia musulmana, stette saldo al niego e a dir che non si fidava di loro. Ma incalzando essi nell'inchiesta, e giurandogli d'ubbidirlo infino alla morte,292 si raccomandò a Dio ed accettò. Il lunedì diciotto di maggio, il popolo siciliano lo investiva solennemente dell'oficio di emiro.293 Esordì compiendo il primo precetto di legge musulmana, con mandare uno stuolo in Calabria, nella state del novecentotredici; il quale, assaliti i Cristiani, ne riportò bottino e prigioni.294
Indi Ibn-Korhob levò l'animo a maggiore impresa. Dopo la guerra d'Ibrahim-ibn-Ahmed, i Cristiani di Valdemone aveano ristorato, con Demona e altre castella, anco Taormina: opera di gran momento, poichè i cronisti musulmani in questo incontro chiamanla Taormina la Nuova. Si accingeva egli dunque ad espugnarla un'altra fiata, con intendimento, come si vociferò, di riporvi sue sostanze, famiglia e schiavi, ed afforzarvisi in caso di guerra civile; ma il disegno sembra piuttosto di compiere ed assicurare il conquisto del Valdemone. Che che ne fosse, mandovvi il proprio figliuolo Ali con un esercito; il quale stette per tre mesi all'assedio, finchè molte schiere, forse dei Berberi, si abbottinaron gridando non voler combattere per mettersi un altro giogo sul collo: ed arsero bagaglie e padiglioni del capitano; e lo cercavano a morte, se non che fu difeso dagli Arabi. Ma la impresa si abbandonò.295
Tentava Ibn-Korhob nel medesimo tempo296 di ordinare la Sicilia in legittimo e stabile reggimento, con tutta quella libertà che mai avessero imaginato i Musulmani ortodossi. Il modo, pianissimo, era di riconoscere il nome del califo abbassida Moktader-billah; il quale da Bagdad, nelle misere condizioni in cui si travagliava il califato, non avrebbe potuto nè levar tributi, nè esercitar comando di sorta, nè scegliere l'emir di Sicilia, nè altro far che investire lo eletto dei Siciliani. Quanto all'emir, la investitura gli veniva a dare un po' di séguito e di riverenza; togliea qualche pretesto ai macchinatori di novità; mettea qualche lieve intoppo allo sdrucciolo di cotesta autorità senza forza pubblica: del rimanente non aumentava i pericoli d'una tirannide, nè i capi riottosi potean temerne troppo rigor di giustizia. Però la nobiltà arabica di Sicilia toccava il bello ideale del governo di genio suo; quel che aveva ambito per lo innanzi, quel che desiderò in appresso e mai nol potè conseguire. I Berberi faceano come chi si gitti in mare dalla nave che arde: vessati dal principato d'Affrica e dagli Arabi lor compagni nell'isola, concordaron questa volta coi più vicini.297 Tutta la Sicilia dunque a una voce assentì ad Ibn-Korhob, quand'ei messe il partito della obbedienza agli Abbassidi. Incontanente, tolto dalla khotba il nome del Mehdi, si pregò nelle solenni adunanze dei Credenti per Moktader. Mandaronsi lettere e messaggi a Bagdad; ove il califo, con sussiego pontificale, approvò, fece compilare un bel diploma d'investitura in persona di Ahmed-ibn-Ziadet-Allah-ibn-Korhob, e gliel'inviò, com'era usanza, per legati apposta, accompagnato col solito dono degli emblemi del comando: bandiere negre, toghe nere, collana d'oro e smaniglie.298 Arrivò in Palermo l'ambasceria di Bagdad poco appresso l'armata siciliana, che tornava in porto con splendida vittoria.299
Disdetto il nome del Mehdi, s'era apprestato Ibn-Korhob a provar sua ragione con la spada; e come prima seppe uscito un navilio affricano ad assaltare la Sicilia, ovvero a guerreggiare contro l'Egitto e le città d'Affrica rivoltate,300 fece salpare, a' nove luglio novecento quattordici, il navilio siciliano, condotto dal proprio figliuolo Mohammed. Ai diciotto luglio, trovò nel porto di Lamta, presso Medhia, l'ammiraglio nemico, Hasan-ibn-abi-Khinzîr, quel campato a mala pena nel tumulto di Palermo; e dato dentro, ruppe gli Affricani, arse tutte lor navi, fe' da secento prigioni e tra gli altri Hasan. Mohammed deturpò la vittoria, scannandolo di propria mano e facendogli mozzar mani e piè, e mandò la testa al padre in Palermo: crudeltà provocata forse da antiche offese in Sicilia, di certo dagli esempii di barbarie che avean dato gli eserciti fatemiti nelle città ribelli d'Affrica e dalla strage indistinta degli Arabi di parte aghlabita. Sopravvennero dopo la sconfitta genti che il Mehdi mandava in fretta da Rakkâda; ma, sbarcati i Siciliani, le combatterono e vinserle con tanta rotta, che preser tutte le bagaglie del campo. Indi l'armata assaltò e distrusse Sfax, che si tenea pei Fatemiti; e, passando oltre, si mostrò a Tripoli. Trovatovi El-Kâim figliuolo del Mehdi con l'esercito che tornava d'Egitto, rivolser le prore verso la Sicilia.301
La riputazione di tal vittoria e della investitura rincorò Ibn-Korhob, sì che diede opera più alacremente alle cose pubbliche, con forza e prudenza, scrive un cronista302 secondo la formola; lasciandoci a tradurre in numeri cotesti segni d'algebra; e di più ad imaginare le difficoltà che si paravano innanzi al novello reggitor della Sicilia: le pretensioni contrarie de' Berberi e della nobiltà arabica, delle antiche famiglie musulmane e dei Siciliani convertiti, degli ottimati militari e dei giuristi; le confuse brame del popol minuto; e quanti soprusi e dilapidazioni eran da riparare, a quante ambizioni dovea resistere Ibn-Korhob, a quante cedere, a quante cupidigie por freno, da quanti invidiosi schermirsi, quanti ladroni gastigare o lusingare, quante pazze ire a comporre, quanti calunniatori ad affrontare, quanti sciocchi a far contenti: nelle dette condizioni della colonia, tra uomini sì mal connessi insieme a ciascun persuaso che la rivoluzione s'era fatta a suo beneficio particolare. Una impresa che tentò Ibn-Korhob in Calabria, quasi dimenticando ch'aveva alle spalle i Fatemiti, mostra ch'ei temesse molto più le divisioni interiori e quel pomo di discordia del fei; onde si studiava ad appagare i più bramosi col bottino della guerra sacra. L'esercito che passò il Faro, saccheggiò, diè il guasto, afflisse gli indifesi Cristiani della punta meridionale di terraferma.303 Ma l'armata fece naufragio, il primo settembre del medesimo anno novecento quattordici o del seguente, a Gagliano presso il capo di Leuca, ovvero Gallico presso Reggio.304 Questo fu principio della rovina d'Ibn-Korhob. Occorso di combatter nuovamente le forze navali dei Fatemiti che ingrossavano su la costiera d'Affrica, l'armata siciliana, scemata da quel disastro dì Calabria, fu vinta e prese tutte le navi. Indi una mala contentezza nei popoli; e ogni provvedimento d'Ibn-Korhob cominciò ad andar di traverso; i turbolenti, che s'erano acquattati per timore, alzaron le creste.305