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Non resta che uccidere
Non resta che uccidere

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Non resta che uccidere

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“Questa ha cinque mesi?” chiese Adele.

“Cinque mesi senza cure od ospedale. Cinque mesi se qualcuno continua a stuzzicarla. Sì. Può vedere come si è allargata la cicatrice e come la ferita non si sia mai del tutto rimarginata.”

Adele si voltò lentamente verso John e l’agente Marshall, inarcando le sopracciglia. “Cinque mesi fa. Pensate che sia stato in questo modo che l’aggressore l’ha sottomessa?”

Il dottor Samuel si schiarì la gola. “È stato un colpo alla nuca. Potrebbe benissimo averle fatto perdere conoscenza, se è questo che vi state chiedendo.”

Adele premette le labbra tra loro, pensando. Guardò il contegno preoccupato del medico, il suo volto segnato dalle rughe. “Nient’altro?”

“Ho trovato qualche altra ferita. Segni di abusi. Un braccio rotto e risistemato in malo modo. Segni che potrebbero corrispondere a lividi causati da pugni. Ho anche visto dei graffi sulla schiena della ragazza che potrebbero derivare da un animale o da unghie lunghe.”

“Magari uno degli altri rapiti dallo psicopatico?” commentò John sottovoce. “Ha detto che ce n’erano degli altri.”

Adele esitò, considerando tutti quei dati preoccupanti, poi si rivolse nuovamente al dottore. “Quante possibilità ci sono che sia in grado di parlare con noi?”

Il medico stava ancora con un piede sulla soglia e uno fuori. Scosse la testa. “Non molte. Le possibilità di un recupero totale sono scarse. Come ho detto, è rimasta in quella foresta per ore, a correre tra gli alberi. I tagli non sono l’unica cosa di cui dobbiamo preoccuparci. Il freddo ha avuto il suo effetto sui suoi polmoni. Era in ipotermia quando è arrivata qui.”

“È sedata?”

“Per il dolore. Ma non molto. È in coma. Attaccata al respiratore.”

Adele guardò ancora nella stanza e le ci volle un momento, ma poi scorse il macchinario di compressione dell’aria: una cosa in plastica bianca e beige con un sacco di pulsanti.

“La ragazza è rimasta sui suoi piedi così a lungo solo perché è di tempra tosta,” disse il medico. “Molte persone potrebbero non avercela fatta per così tanto tempo in mezzo alla foresta. Soprattutto non avrebbero percorso tanta strada. L’adrenalina l’ha spinta avanti. È stata fortunata a trovare la statale in quel momento. Altrimenti sarebbe morta in qualche buca in mezzo al bosco.”

Adele si accigliò. “È un pensiero macabro.”

“Eppure vero. Senta, ho altri pazienti. Se non c’è altro,” disse il dottor Samuel interrompendosi.

Adele guardò i suoi colleghi, ma loro rimasero in silenzio. Gli investigatori salutarono il medico e lo guardarono allontanarsi, percorrendo il corridoio con passi lunghi che stridevano con il suo aspetto anziano.

Adele si girò verso la Marshall. “Hai il numero di telefono dei genitori della ragazza?”

La Marshall non perse un secondo. “Negli Stati Uniti? Con il fuso orario, è giorno inoltrato e dovresti riuscire a trovarli al telefono.”

Adele annuì riconoscente e aspettò che la Marshall sfogliasse il suo bloc notes alla ricerca dei giusti dettagli.

La porta vicino alla quale il dottore si era trovato fino a poco fa si stava ancora chiudendo, rallentata da un meccanismo a molla sopra alla cornice. Quando si fu chiusa, li escluse dalla vista della stanza, con il respiratore e Amanda Johnson.

“Troviamo una sala del personale, così posso fare questa chiamata,” disse Adele, la bocca nuovamente tesa in una linea severa.

***

Adele ascoltava il sommesso trillo del telefono. Aveva su di lei un effetto stranamente calmante: il metallo fresco premuto contro la guancia, il tut tut che assomigliava al cinguettio di una ninna-nanna. Era seduta con un ginocchio premuto contro la lunga gamba di John. Lui era accasciato sulla sua sedia, le braccia incrociate e gli occhi fissi su di lei.

L’agente Marshall ancora una volta stava in piedi. Adele si chiedeva se la giovane agente fosse mai stanca. La Marshall aveva chiuso la porta della sala del personale alle loro spalle e aveva anche tirato le tende per ottenere maggiore privacy.

Adele ascoltava il trillo.

Abbassò lo sguardo sul numero sotto al suo braccio piegato, scritto a mano su un pezzo di carta che la Marshall le aveva dato. Il numero era giusto. Forse aveva sbagliato con il fuso orario.

Un altro trillo. Adele stava per mettere giù il telefono, quando si sentì un’interruzione, un fruscio e poi una voce dall’altro capo della linea parlò. “Pronto? Chi è?”

La voce era allerta, ansiosa.

“Salve, sono l’agente Sharp. Sono dell’Interpol. Parlo con il signor Johnson?”

La voce le arrivò ora più lontana, come se il telefono fosse stato abbassato un momento. “Tesoro, è l’Interpol. Sono in linea. Sì, adesso, sbrigati.”

Poi la voce divenne di nuovo forte e chiara. “Scusi il ritardo. Eravamo fuori con il cane. Qualche aggiornamento? Ecco…” Una pausa e l’uomo si schiarì la gola. “Immagino stia chiamando per nostra figlia.”

Adele si trattenne prima di annuire e disse con tono risoluto: “Sì. Mi scuso se ci sono stati dei ritardi da parte nostra. Sua figlia è viva. Detto questo, volevo…”

Prima che potesse continuare, udì un lieve sussulto dall’altra parte. La seconda voce, più lontana e quasi impossibile da distinguere disse: “Grazie, oddio. Grazie, Signore santo.”

La prima voce, quella del signor Johnson, proseguì: “Sono belle notizie da sentire. L’ultima volta che ci hanno contattati non erano sicuri che ce l’avrebbe fatta.”

Adele arricciò il naso. Non si era resa conto di essere stata designata a unica comunicatrice di notizie alla famiglia Johnson. Immaginò che, essendo americana, aveva senso che i tedeschi le lasciassero quel compito. Cambiò rapidamente tattica, cercando di gestire al meglio quel suo nuovo incarico. “È ancora presto,” si affrettò a dire. “Non è in buone condizioni. Non ho intenzione di mentirvi. Non sono ancora certi se si potrà riprendere del tutto.”

Mentre parlava, sentì che la sua voce vacillava. Una leggera frammentazione del suono, ma che bastò a prenderla alla sprovvista. Continuando a tenere il telefono sollevato, la sua fronte si aggrottò. Uno strano miscuglio di emozioni gli stava crescendo nel petto. Chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi, ma sebbene il signor Johnson le stesse rispondendo dall’altro capo della linea, lei aveva difficoltà a seguire le sue parole.

Sanguinante… Sanguinante… Sempre sanguinante…

Il lampo di un’immagine – un sogno, il fotogramma di una vecchia foto – Adele lo ricordava a malapena. Le si presentava di notte, di solito. Sua madre, mutilata, distesa in un giardino francese. Morta. Ricordava di essere volata in Germania subito dopo per stare con suo padre. Ricordava le telefonate… molto simili a questa. Telefonate da lontano. Telefonate che criticavano l’esperienza più straziante delle loro vite, facendo domande, chiedendo risposte. E alla fine di tutto?

Niente. Sua madre sempre morta. L’assassino sparito.

Questa volta, la storia non poteva finire con un niente. Questa volta le telefonate da nazioni lontane non potevano essere semplicemente delle interferenze, un rumore bianco stagliato sullo sfondo della calamità. Questa volta doveva essere diverso.

Adele ricacciò giù la bile che le saliva alla gola. Chiuse gli occhi davanti alle improvvise immagini che riempivano la sua vista sotto alle palpebre chiuse. E poi, espirando, fece del proprio meglio per ascoltare.

Il signor Johnson stava ancora parlando: “… proprio niente? Non c’è nulla che possiamo fare per aiutare?”

Adele deglutì ancora. La sua voce le suonava roca nelle orecchie e per un momento si sentì gli occhi della Marshall addosso. Alla fine parlò: “Abbiamo qui alcuni dei migliori dottori del mondo. Stanno facendo il possibile. E… e anche io…” Si interruppe sull’ultima frase. L’urgenza, il bisogno di promettere. Di tenere a bada le paure, il terrore che serpeggiava nella famiglia di Amanda. Adele conosceva quella paura, ma per lei era stata carica di dolore. Per ora ai Johnson era stato risparmiato quel risvolto particolarmente amaro. Ma alla fine, se i medici non avessero trovato una soluzione… l’avrebbero vissuto anche loro.

“Tesoro,” disse la seconda voce, più delicata, più liscia. “Tesoro, andrà tutto bene. Abbi fede. Andrà tutto bene.”

Adele udì una pausa, poi un’altra conversazione sussurrata tra le due voci. Gentile, non contenziosa. Provò un leggero sollievo. Nella sua esperienza c’erano due tipi di reazioni a notizie del genere. Potevano servire a tenere la famiglia ancora più unita, o strapparla del tutto, lasciandone solo dei brandelli. Almeno per ora, i Johnson sembravano seguire la prima strada. Avrebbero avuto bisogno l’uno dell’altra nei giorni a venire.

Adele riprese la parola. “Sono sicura che riusciremo ad aggiornarvi non appena avremo qualcosa di nuovo. In un senso o nell’altro.”

Il signor Johnson rispose. “La nostra Amanda è una ragazza forte. Si riprenderà. Ne sono sicuro. Si fidi di me.”

Adele fece un piccolo e triste sorriso. Ma svanì subito, mentre le stesse emozioni di prima si contendevano la sua attenzione. Sanguinante… Sempre sanguinante… “Lo spero proprio. È forte. Avete detto bene.” Adele pensò ai commenti del medico. Aveva corso per ore nella foresta, al freddo, i piedi sanguinanti, feriti. Un gomito slogato e rimesso a posto. Lividi in tutto il corpo. La ragazza aveva sofferto qualcosa di orribile. Nello stesso modo in cui anche Elise aveva sofferto. Almeno Amanda ne era venuta fuori viva.

“Se c’è qualcuno su cui scommetterei, è proprio lei. Ma mi ascolti un attimo.” Adele di nuovo mantenne un tono professionale nonostante l’improvvisa imboscata da parte dei suoi pensieri. Un’abilità più volte esercitata, ma non facile da mettere in atto. “Ho bisogno di sapere se era normale per sua figlia viaggiare con amici.”

Questa volta fu la voce femminile a rispondere al telefono. “Ispettore, signore,” disse la voce, suggerendole che Adele non era stata messa in vivavoce.

“Sì, signora Johnson?” le rispose.

“Oh, sì, scusi, signorina.”

Adele mantenne un tono gentile, completamente privo di ripicca. “Sono l’agente Sharp.”

“Agente Sharp. Nostra figlia faceva sempre di questi viaggi con i suoi amici. A volte si dividevano e proseguivano le loro esplorazioni per un po’ da soli, per poi ritrovarsi.”

“Ed è stato a questo punto che è scomparsa? Quando si sono divisi?”

“Sì,” disse la voce della donna, incrinandosi un secondo, per poi presentarsi più squillante e continuare. “Per quello che possiamo immaginare.”

“C’è stato niente di strano al tempo? Nessuna telefonata? Nessuno che le desse fastidio? Magari anche uno dei suoi amici?”

“Niente. Niente del genere. Amanda era felicissima per quel viaggio. Tutte le sue chiamate erano piene di risate e gioia quando ci raccontava le cose che aveva visto. Amava viaggiare. Niente fuori dall’ordinario.”

“Signor Johnson?” chiese Adele.

“Non ho detto niente,” disse la voce della signora Johnson.

Si sentì qualche fruscio e la voce del signor Johnson tornò in linea. “Sono sicuro che non intendesse niente di offensivo, cara. Vuole solo sapere tutti i fatti.” Poi con tono più forte aggiunse: “Niente. Proprio come dice mia moglie. Amanda era felice. Entusiasta. Chi le avrebbe mai fatto una cosa del genere. È… è stata lei da sola? Quando ci hanno contattato la prima volta, la polizia tedesca ha detto che l’avevano trovata.  Qualcuno le ha parlato? Avete dei sospetti?”

Adele odiava quella parte. Il necessario ma doloroso velo tra i cari e l’indagine. Fece del proprio meglio per gestirlo dicendo: “Alla fine speriamo di capire tutto. Perché questo accada, avrò però bisogno di un po’ di tempo. Spero che me lo concederete. Da quello che ho visto e sentito, vostra figlia è una ragazza molto forte. Concentrerei i miei pensieri su questo. Il resto lasciatelo a me, ok?”

Qualche respiro pesante, ma poi: “Va bene. Grazie, agente Sharp.”

“Un’altra cosa,” disse Adele. “Se potete farmi un piacere, e so che è una grossa richiesta, ma sarebbe di aiuto: potreste scrivere, per quello che ne sapete, l’itinerario di vostra figlia? Da quando ha lasciato gli Stati Uniti a quando è sparita. Qualsiasi cosa vi venga in mente. Dove possa essere andata con i suoi amici, qualsiasi email possa avervi mandato dai diversi posti che ha visitato. Alberghi, motel, B&B. Come ho detto, so che è tanta roba, ma sarebbe di aiuto. Vi farò dare la mia email dall’agente che vi ha contattati prima di me. Potete inviare il tutto direttamente lì.”

“Sicuramente,” disse il signor Johnson con la voce leggermente affaticata.

Per un momento regnò il silenzio. Poi Adele si morse il labbro e prima di potersi trattenere, uno sfogo di ciò che stava provando dentro di sé si palesò esternamente. “Scoprirò chi è il colpevole. Ve lo prometto,” disse, la voce tutt’a un tratto tirata. “Troverò il colpevole. Vostra figlia se lo merita… Alla fine, lo scoprirò. Va bene? So che fa paura, essere lontani. Avere la sensazione di non poter aiutare. Ma giusto perché lo sappiate… ci sono passata. E troverò il colpevole. Ve lo prometto.”

L’improvvisa fuga di emozioni parve scatenare una reazione simile dall’altra parte della linea. Adele sentì qualcuno che piangeva sommessamente di sottofondo, poi il signor Johnson parlò con voce brusca. “Una promessa coraggiosa, agente Sharp. Credo che lei stia parlando sinceramente.”

“È così.”

“Buona sera, agente. Buona fortuna.”

Si salutarono e Adele abbassò il telefono, permettendo alla coppia di mettere giù per primi e interrompere la chiamata.

“Niente?” chiese John. Aveva preso un sacchetto di patatine dal distributore automatico, ma grazie al cielo aveva aspettato ad aprirlo durante la chiamata. Ora però, prima che Adele potesse rispondergli, lo aprì.

“Niente,” gli disse lei mentre lui masticava rumorosamente. Respirò dal naso, calmandosi più che poteva. Poi si concentrò. Prima di tutto veniva il caso. Le promesse non significavano niente senza i fatti. “Niente di nuovo, almeno. Per loro era normale dividersi. Non lo so. Forse dovremmo parlare con alcuni dei suoi amici. Vedremo.”

“Era normale per lei anche sparire per cinque mesi?” chiese John. “È successo qualcosa, qualcosa di fuori dall’ordinario. Ma cosa?”

Adele annuì. “È qui che entriamo in ballo noi.”

Si mise in tasca il telefono, si sistemò le maniche e poi andò verso la porta.

CAPITOLO SETTE

Adele sedeva al piccolo tavolino nella sua stanza del motel. John era di fronte a lei, gli occhi fissi sullo schermo del portatile, intento a sfogliare i file aperti sul suo computer. Si era levato il maglione e indossava solo una stretta maglietta nera che metteva bene in risalto la sua forma muscolosa. Adele avrebbe preferito di gran lunga guardare lui che il contenuto dello schermo.

“Niente?” gli chiese, sempre guardandolo. John sollevò la testa e lei distolse rapidamente lo sguardo, deglutendo e facendo finta di essere concentrata sul cucinino.

Riportò poi l’attenzione sul proprio schermo e i suoi occhi luccicarono mentre scorreva i vari file a cui l’agente Marshall aveva dato loro accesso. Per ora la giovane agente stava dando una mano a organizzare una caccia all’uomo nella Foresta Nera. Ma prima Adele aveva voluto dare un’occhiata alle persone scomparse.

“Sono davvero tante,” disse John. “Qui c’è un tizio che si chiama Henry Walker. È sparito due anni fa. Un’altra, Cynthia Davis, che manca dall’anno scorso. Entrambi americani.” Inarcò le sopracciglia. Poi continuò: “Un altro ancora, di nome Pierre Costa. Questo è francese. È sparito tre anni fa. E poi due ragazze, scomparse insieme. Entrambe l’anno scorso.”

“Quanti di loro sono stati ritrovati?” chiese Adele, guardandolo oltre il bordo del portatile. Questa volta non si fissò sulla maglietta stretta o sulla sua figura lunga e proporzionata. Lo sguardo di John incrociò il suo e lo sostenne. Le parole che seguirono fecero sparire ogni altro pensiero dalla mente di Adele. “Tre sono stati trovati. Due con dei proiettili nella nuca. Uno in fondo a un crepaccio: a quanto pare un incidente durante un’escursione.”

Adele si morsicò l’angolo del labbro. “Non stiamo cercando nessuno che sia già stato trovato. Concentrati solo su quelli che sono tuttora scomparsi. Dimmi quanti ne vedi.”

John tirò su con il naso e iniziò a digitare e cliccare rapidamente sulla tastiera. Continuò a scorrere i vari documenti. Da parte sua, Adele prestò maggiore attenzione ai dettagli dei pochi nomi che aveva già trovato nel database. Tutti scomparsi nella Foresta Nera. Sei in totale, fino ad ora. Tutti sulla ventina. Tutti apparentemente stranieri.

Tamburellò con le dita sulla base del computer, godendosi la sensazione del ritmo. Si appoggiò allo schienale, sentendo che il duro metallo non cedeva neanche di un millimetro sotto al suo peso. Parte di lei avrebbe voluto andare a fare la sua solita corsa. Erano passati un po’ di giorni da quando era riuscita ad allenarsi l’ultima volta. Si stava stancando di starsene seduta tutto il tempo. Se non altro per cambiare la postura, si alzò in piedi e iniziò a camminare attorno al tavolo. In parte, mentre tamburellava con le dita contro la gamba, sapeva di essere nervosa dopo la loro visita all’ospedale. Odiava gli ospedali. Ma in parte poteva sentire anche il senso di cattivo presagio che le aleggiava attorno. I presentimenti del direttore Foucault la angustiavano. Per quale motivo in particolare Foucault pensava che questo caso fosse nefasto?

Sembrava calcolato, pensò Adele tra sé e sé. C’era in esso qualcosa di astuto e preciso. Qualcosa che suggeriva che chiunque ci fosse dietro alla scomparsa della signorina Johnson, e alle successive violenze, l’avesse fatto ben conoscendo il bersaglio scelto. Una straniera. Ventenne. Indifesa, senza nessun legame nella zona, il che significava nessuno che sentisse la sua mancanza. I suoi genitori erano dall’altra parte dell’oceano. L’assassino aveva scelto bene la sua vittima. Non era stato un atto casuale.

“Niente?” chiese.

John sollevò lo sguardo su di lei accigliandosi leggermente. “Sedici nomi, solo negli ultimi tre anni. Tutti ancora mancanti. Tutti, eccetto uno, sono sui vent’anni.”

“Età da università,” disse Adele. Poi chiese: “E quanti di loro sono stranieri?”

John scrutò la lista e poi risollevò lo sguardo. “Più della metà,” disse.

Ruotò il suo computer per mostrare ad Adele i file che aveva selezionato e separato. Adele lesse i nomi, soffermandosi su ciascuno di loro. Come John aveva detto, le scomparse risalivano fino a tre anni prima.

“Hai guardato anche più indietro?” gli chiese.

John scosse la testa. “I registri sono stati spostati più di cinque anni fa. Posso trovarne qualcuno, ma i dettagli non sono così concisi. Ci vorrà di più.”

Adele sospirò. “Beh, è un inizio. Potenzialmente sedici vittime…” Sussultò. “Cosa pensi che faccia con loro?” I suoi occhi si piantarono sul lato della testa di John.

Lui scrollò le spalle. “Mi piacerebbe saperlo.” Fece una pausa e arricciò il naso. “A dire il vero, non penso di volerlo sapere.”

“Pensi che rapisca sia ragazzi che ragazze?” chiese Adele. “La metà dei nomi sulla mia lista sono maschi. Ma anche in età da college. E stranieri.”

“La Foresta Nera è una destinazione turistica popolare, soprattutto per chi ama le escursioni,” disse John. “Ne parlavo con l’agente Marshall.”

“Penso che sia il modus operandi del nostro assassino,” disse Adele. “Prende di mira i giovani che non sono della zona. Sa che mancano di riferimenti. Sa che sono bersagli facili.”

John si irrigidì. “Quindi in qualche modo deve avere accesso a queste informazioni.”

“Non è così facile procurarsele. La loro età è ovvia, e nel momento in cui ci parli insieme, o anche solo che li guardi, capisci che vengono da un altro Paese.”

John chiuse lentamente il portatile e poi incrociò le braccia. “Quindi cosa ci dice questo?”

“Ci dice,” rispose Adele con tranquillità, “che questo tizio è intelligente. Pianifica tutto. Sa quello che fa. Ha tenuto in prigionia Amanda per cinque mesi dopo averla rapita. Alcuni di questi nomi risalgono a tre anni fa. Sono secoli che la gente scompare nella Foresta Nera. E se per tutto questo tempo lui fosse sempre stato all’opera?”

Uno strano silenzio calò sulla cucina. I due agenti si guardarono, e Adele rabbrividì. L’espressione preoccupata di John parve farsi ancora più scura. Fu lui a cambiare per primo argomento. Con un leggero scatto, scosse la testa e disse: “Le autorità tedesche stanno organizzando una caccia all’uomo per perlustrare la foresta. Ci prendiamo parte anche noi?”

“Abbiamo bisogno di esaminare la scena,” disse Adele.

John si grattò il lato del mento. “Adele, questa cosa non mi piace.”

“Neanche a me,” gli disse lei. “Ma se intendiamo trovare qualcosa, la caccia all’uomo ci può aiutare. Da quello che diceva la Marshall, stanno mettendo insieme più di cento persone.”

John borbottò. “Cento persone stupide che calpestano la scena del crimine e rovinano le prove. Cose come questa più che altro attireranno l’assassino stesso.”

“Non l’assassino.”

John inarcò un sopracciglio.

“L’aggressore di Amanda, il rapitore. Non ha ancora ucciso nessuno. Non che noi sappiamo. C’è qualcos’altro in ballo qui.” Adele fece una pausa, considerando i propri spiacevoli pensieri. Percepì vagamente un brivido freddo lungo le braccia. Un rapitore, con vittime che potenzialmente andavano indietro di anni. Pensò ad Amanda, a quello che la povera ragazza aveva sofferto. Cosa stavano subendo gli altri in quello stesso momento? Passò un secondo. Poi un altro. Ogni istante era un promemoria della pena sofferta dalle vittime del rapitore. Sempre che fossero ancora vive… Ogni istante era un promemoria del tempo sprecato che come un bisturi incideva un minuto dopo l’altro.

“Va bene. Se non è un assassino, significa che abbiamo una possibilità di recuperare vive queste persone di cui Amanda ha parlato.”

Adele stava ancora camminando avanti e indietro nella piccola cucina. Sentì il rombo di un aereo sopra alle loro teste, per la terza volta nell’ultima mezz’ora.

Incrociò le braccia e fissò John, adottando una postura simile alla sua. “Pensi che ci possiamo fidare della parola di Amanda? La detective alla centrale sembrava pensare che stesse vaneggiando.”

John si grattò un orecchio e premette una mano sul portatile chiuso. Sembrava contento di aver distolto l’attenzione dai file. “Non ne sono sicuro,” disse. “Capisco dove la detective voglia andare a parare. La ragazza non è esattamente una testimone affidabile. Magari era davvero allucinata.”

“E pensi che abbia avuto le allucinazioni per cinque mesi?”

John scosse la testa. Respirò piano, le narici che si dilatavano per la pressione dell’aria. “Ovviamente no. Era scomparsa. Ma per quanto riguarda gli altri, non sappiamo se un assassino li tenga prigionieri. In genere, quando veniamo chiamati per un caso come questo, tendono ad esserci cadaveri e più vittime. Al momento ci stiamo affidando alla testimonianza di una testimone inaffidabile, che è ancora viva.”

“Viva a malapena.”

John scosse la testa. “Lo stesso. È un caso strano. Ma come hai detto tu, penso che dovremmo dare un’occhiata alla scena dove è stata trovata.”

Adele era contenta di poter uscire da quella piccola e soffocante stanza del motel. Ed era anche contenta di potersi rimettere in movimento, di non dover stare più seduta. Basta ospedali, basta claustrofobiche stanze di motel. Era strano sentirsi grati che la scena di un crimine si trovasse in una foresta, ma era così che lei si sentiva.

“Lasciami prendere la giacca. Torno subito,” disse, mentre John si alzava dal tavolo e andava verso la porta.

CAPITOLO OTTO

Lo sconosciuto teneva stretto il volante del suo furgone, muovendosi ad andatura tranquilla lungo la statale fuori dalla Foresta Nera. Aveva un sorriso piacevole stampato in viso e stava canticchiando sommessamente a tempo con la gradevole melodia classica che usciva dalle casse del suo furgoncino.

Ma dentro di sé, la mente dello sconosciuto era in completa rivolta. A guardarlo, sarebbe stato quasi impossibile riconoscere l’emozione. Eppure, di tanto in tanti la sua mano destra afferrava il volante e ruotava. Quella sinistra stava salda e ferma. Ferma, immobile, vuota.

“Hai voluto scappare, eh,” mormorò sommessamente. Parlava tra sé e sé, le labbra sempre piegate in un sorriso. L’uomo era un vero camaleonte. Sapeva come recitare la sua parte, forse meglio di chiunque altro.

Un paio di autisti gli passarono accanto. Quelle strade erano generalmente vuote così a notte fonda, dato che la gente preferiva evitare i tratti di statale che erano rimasti privi di illuminazione a causa della tempesta di neve di due settimane prima. Ma durante il giorno il traffico era piuttosto sostenuto in mezzo alla foresta.

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