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Non resta che uccidere
Non resta che uccidere

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Non resta che uccidere

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“Lei non usa il computer per i suoi registri, vero?” chiese Adele.

La donna si accigliò. Si sistemò gli occhiali e scosse la testa coronata da capelli d’argento. “E anche se non lo facessi?”

Adele deglutì. “Ed è proprietaria di questo edificio da quanto? Dieci anni?”

“Faccio parte della famiglia da cinquanta. Sì, ne sono la proprietaria. Il mio ultimo marito dava una mano, ma faccio io la maggior parte del lavoro. E quindi?”

“Mi chiedevo se ci fossero delle dispute. Pacchi spariti, reclami. Oggetti fragili che sono andati rotti. In un edificio così grande, dev’esserci ogni tanto qualcuno con un problema.” Adele deglutì ancora. “Nello specifico, qualsiasi cosa sia successa una decina di anni fa o prima.”

La donna sbatté le palpebre dietro alle lenti dei suoi occhiali. “Ho una cartella per i reclami. Non so a quando risalgano. Ma quindi? Senza un mandato, non posso certo mostrarteli.”

Adele annuì, sentendo un brivido lungo la schiena. “Perché non vuole tradire i suoi affittuari, capisco. Ma cosa mi dice di affittuari che non abitano più qui? Gente che se n’è andata? Di sicuro non sarebbe un’invasione della privacy. Nello specifico… che mi dice di mia madre?” Ora toccò ad Adele scrutare la padrona di casa, aspettando con pazienza.

La donna arricciò il naso. “Non vuoi proprio mollare l’osso, eh?” La sua voce era roca per l’età, ma nei suoi occhi c’era un luccichio che spinse Adele a dire: “Se potessi, lo farei. Per favore, non mi interessano i locatari. Solo il postino. Che comunque sarebbe un’informazione pubblica, no?”

La donna si schiarì la gola. “Hai provato a chiamare la società?”

Adele sussultò. “Sì.”

“E?”

“Mi hanno detto che sono informazioni confidenziali,” aggiunse rapidamente. “Ma questo e dalla loro parte. Devono salvaguardare i registri dei dipendenti. Ma una disputa pubblica, un pacco andato perso… oppure,” si leccò le labbra, “posta manomessa… sarebbe scritto nel registro, no? Per favore, non glielo chiederei se non fosse importante. Elise Romei. Se la ricorda? Mia madre. Abitavamo qui una quindicina d’anni fa.”

Con sorpresa di Adele, la donna parve reagire al nome. Sgranò gli occhi e sbatté le palpebre dietro ai suoi occhiali. “Elisa Romei?” disse. “Certo che me la ricordo. Ricordo ancora la polizia, quando sono venuti a fare domande. Che tragedia. Hai detto che è tua madre?”

Adele annuì. “Non so se si ricorda. Ma in effetti vivevo qui anche io. Con mia madre. Avrei dovuto dirglielo quando ho firmato il contratto d’affitto, ma ho pensato che non fosse importante.”

“Sì? Però adesso lo è?”

Adele annuì, in silenzio, paziente. Guardò l’anziana donna. In qualche modo poteva notare qualcosa di familiare in quegli occhi intelligenti che la scrutavano da un volto raggrinzito. La donna guardava Adele a sua volta, studiandola, valutandola. Poi disse: “Non posso farti promesse. Ma darò un’occhiata. Lasciami qualche ora. Se trovo dei nomi su un modulo di reclamo per un postino, dove ci sia coinvolta tua madre, te lo faccio sapere. Ma di altri tenutari non posso. Ti va bene?”

Adele sorrise, pervasa da un’ondata di sollievo. “Sarebbe meraviglioso, grazie.”

La donna sorrise, le rughe attorno agli occhi che si facevano più evidenti, e annuì. Poi, lentamente, fece per chiudere la porta.

Adele fece un altro sospiro di sollievo e fissò la porta chiusa e dipinta da poco. Ora avrebbe solo dovuto aspettare. La locatrice aveva il suo numero.

Sperava solo che quella pista portasse i suoi frutti. Qualcuno scambiava biglietti. Scritti a mano. Buffo? Quell’ultima parte ancora non aveva senso, ma Adele sperava di poter capire tutto parlando con il postino. E se l’assassino era lui? Una persona che anni fa consegnava pacchi e posta avrebbe avuto l’alibi perfetto per intrufolarsi negli edifici e spiare le sue ignare vittime. Adele non ne era certa, ma si sentiva più vicina di prima alla soluzione.

Trattenne comunque l’emozione, non volendo sperare troppo, ed uscì dalla porta sul davanti, passando in strada. Si fermò un momento, rivolta verso la fermata dell’autobus di fronte a un bar. Sopra notò un cartello del limite di velocità. Chilometri, non miglia. Piccole differenze, ma piccole differenze importanti.

Adele sospirò. Doveva solo aspettare la risposta della padrona di casa.

CAPITOLO TRE

Entrare nel quartier generale del DGSI le parve diverso questa volta. Non più in qualità di corrispondente per l’Interpol, ma di nuovo come dipendente. Non una vera agente, ma comunque una risorsa. Investigatrice freelance. Almeno così l’aveva inquadrata il direttore Foucault.

Ma quando entrò dalle porte laterali, passando oltre la sicurezza, non si diresse verso l’ufficio del direttore. Andò invece dritta verso le scale e poi le scese. Era passata solo mezz’ora da quando aveva parlato con la padrona di casa. Aveva controllato il telefono mentre guidava l’auto fornitale dall’agenzia. Ma dopo essere quasi passata con il rosso, suscitando un coro di claxon infervorati tra le strade di Parigi, Adele aveva deciso che forse era meglio parcheggiare da qualche parte.

Imboccò le scale, godendosi la sensazione di movimento fisico. Uno dei motivi per cui Adele amava correre era che adorava il movimento in sé. Il modo in cui braccia e gambe si allungavano come pistoni. Le scale le donavano la stessa piacevole sensazione di vitalità, di controllo. In fondo, un lungo corridoio conduceva a vecchie stanze vuote e aperte. Lo scantinato del DGSI era stato abbandonato anni prima. Eppure lei sapeva che una persona ne faceva uso.

Per un momento le parve di sentire nell’aria il soffuso odore della fermentazione.

Bussò con le nocche alla seconda porta a sinistra, poi si guardò il polso. Erano quasi le nove di sera. Il che significava che la maggior parte dei dipendenti dell’agenzia se n’erano tornati a casa. E che lui sicuramente era ancora qui.

“Che c’è?” chiese una voce scontrosa dall’interno.

“John, sono io,” rispose Adele.

“Io chi,” chiese la voce con tono un po’ meno burbero.

Adele ruotò gli occhi e senza aspettare girò la maniglia e aprì la porta.

John era seduto sul suo divano, senza la maglietta, la testa appoggiata indietro e un bicchiere con ghiaccio e un liquido chiaro nella mano sinistra.

Aveva un occhio chiuso, come se l’avesse beccato nel mezzo di un pisolino, ma l’altro era aperto e la fissava. Aveva l’aspetto pigro e sornione di un gatto. La maglietta era appallottolata dietro alla testa. Adele sentì l’angolo della bocca curvarsi in un sorrisino mentre lo guardava.

Erano andati a nuotare insieme una volta, alla villa di Robert. Ma era buio allora. Adesso, nel caldo della stanza dello scantinato, il petto di John era scoperto e in bella vista. Aveva sempre saputo che c’erano dei segni di bruciatura sotto al collo, ma non aveva intuito fino dove scendessero.

L’intero lato sinistro del suo torso era decorato da un intricato groviglio di cicatrici, che passavano sotto al braccio e scendevano fino alla vita. Il segno della scottatura sembrava muoversi a ritmo con il respiro di John, ruotando come la pelle squamosa di un serpente. Sotto alla bruciatura e attorno ad essa, appariva evidente che John aveva fatto esercizio: i muscoli erano lucidi di sudore alla luce della lampadina che penzolava dal soffitto.

“Ti piace quello che vedi?” le disse con tono suadente.

Adele si schiarì la gola e sbatté le palpebre. Distolse lo sguardo dalle ferite e lo guardò in volto. Gli occhi del bell’agente erano socchiusi adesso e i suoi capelli scuri erano pettinati indietro, lasciandogli il viso scoperto. Era l’immagine della comodità, nonostante i segni delle scottature. La guardò anche lui.

“Fa… fa male?” gli chiese con tono gentile, sempre guardandolo negli occhi.

“Ogni singolo giorno,” disse lui scrollando le spalle. “Sei qui per ammirare la veduta o per un assaggio della cucina locale?” Fece oscillare il bicchiere verso di lei e accennò con il capo al distillatore casalingo appoggiato al muro, dall’altra parte del divano. Adele era già stata qui, e notò che John aveva recentemente allargato la sua collezione di bicchieri, bottigliette e caraffe. Non sapeva molto di liquori prodotti in casa, ma da quello che aveva assaggiato, certamente approvava.

Lo sguardo di Adele andò verso il bordo del divano e i suoi occhi si posarono su una piccola cornice di vetro. Invece di un disegno o di una foto, però, il quadretto mostrava un emblema di metallo attaccato a un nastro.

Adele sbatté le palpebre.

“È un Légion d’Honneur?” chiese direttamente.

John notò la sua attenzione e subito allungò un braccio e spinse la cornice, facendola cadere indietro e mandandola a infilarsi tra il divano e il muro.

Stupita per il modo in cui trattava la più elevata medaglia d’onore dell’ordine militare francese, Adele incuriosita chiese: “È tua?”

John sbuffò, gli occhi ancora socchiusi. “Non è mia,” disse. “Me l’hanno data, ma non è mia.”

Gli unici altri ornamenti che John teneva nella stanza erano le due foto di un gruppo di uomini. Tutti con addosso la stanchezza data dal deserto, tutti membri del Commandos Marine, i Navy Seal francesi. Le foto erano consumate e sbiadite dal sole, eppure messe in posizione d’onore sopra al divano, dove John poteva vederle quando ci si sdraiava.

“Come ti sei procurato quella ferita?” gli chiese Adele sottovoce.

John ruotò le spalle e prese un lungo sorso dal suo bicchiere. “Di che ferita stai parlando?”

Adele rispose mormorando: “Non serve che me lo dici, se non vuoi.”

John rise e scosse la testa. “Non sono imbarazzato, principessa americana. Vieni, non è una bella storia. Hai bisogno di bere qualcosa.”

Si alzò in piedi e si avvicinò al distillatore, premette un rubinetto e versò il liquido chiaro in una tazza rossa che era capovolta sul ripiano di legno. Tornò poi da Adele e gliela porse. Quando le fu vicino, Adele ricordò quanto fosse alto. Si trovò a guardarlo dal basso all’alto, seguendo con gli occhi il contorno del suo mento, lungo la cicatrice, per poi risalire ai suoi occhi meditabondi.

“Uno schianto con l’elicottero,” disse lui con semplicità. “Il mio stupido cervello non riusciva a disegnare una linea dritta a pagarla oro. Sono stato colpito da ingiunzione nemica.” Scrollò le spalle. “Un sacco di ottimi soldati sono morti sotto i miei occhi.”

“Generalmente non tendono a consegnare una Légion d’Honneur a chi si dimostra un pessimo pilota,” disse Adele.

John rimase in silenzio e si irrigidì. Prese un altro lungo sorso dal suo bicchiere e disse: “Non posso fare finta di sapere perché facciano quello che fanno. Ma quella Légion d’Honneur se l’è guadagnata qualcun altro. Io gliela sto solo conservando.”

Adele avrebbe voluto insistere di più, per curiosità, ma pensò che sarebbe stata un’insolita crudeltà, quindi cambiò tattica.

Prese un sorso dal bicchiere e sussultò. “Più forte dell’altro.” L’alcool le bruciava sulle labbra, ma la sensazione si trasformò presto in qualcosa di dolce e succoso mentre le scendeva in gola.

“Ingredienti segreti,” disse John, ammiccando con le sopracciglia.

Adele inclinò la sua tazza rossa, guardando il liquido che ondeggiava avanti e indietro tra i bordi del contenitore. “Inviti spesso le ragazze nel tuo regno da scapolo mentre te ne stai mezzo nudo a bere alcool?”

Velocissimo, John ribatté: “Non ti ho invitata. Sei tu che sei entrata, e senza il mio permesso.”

“Eppure sei ancora mezzo svestito. Non è molto professionale nel quartier generale del DGSI.”

“Oppure,” disse John, gli occhi di nuovo socchiusi e un sorriso malizioso sulle labbra, “dovresti essere tu a imitarmi. Ho sempre trovato che il liquore è più buono se non si è vestiti del tutto. Dovresti provare.”

Gli sorrise. “Ti piacerebbe, eh?”

John mandò giù il resto del suo bicchiere, si alzò dal divano, le passò nuovamente accanto e se ne versò un altro. Aveva un leggero odore di sudore e colonia. Si spostava con movenze sicure e aveva un passo da spaccone, anche nello spazio circoscritto della stanza.

John era un tipo strano. In egual misura irritante e affidabile. Sicuro e schivo. Era il miglior tiratore che mai avesse visto con la pistola, e uno dei pochi agenti – sia all’FBI, al DGSI o al BKA – di cui si fidasse del tutto.

Eppure era pieno di spine, come un cactus. Ogni tentativo di avvicinarsi a qualcuno come John finiva con il farti male. A volte sembrava fare apposta a mostrarsi odioso, anche solo per levarsi la gente di torno. A volte diceva cose crudeli soltanto per suscitare una reazione.

Ora però, mentre la guardava attraverso i suoi occhi socchiusi, le sue labbra si piegarono in un sorriso. Di nuovo Adele ebbe l’idea di un gatto di strada. Una creatura cresciuta per essere libera, il re del suo vicolo, ma non oltre.

“È davvero saporito,” disse, prendendo un altro lungo sorso. John le rispose con un semplice mormorio.

Per un momento Adele permise ai propri occhi di guardare il resto del suo corpo, oltre le cicatrici e i segni di scottatura. Osservò la muscolatura della sua figura, la costituzione agile e le spalle ampie. I suoi occhi si soffermarono sul suo corpo, e se lui lo notò, non fece commenti.

In quella, il telefono di Adele iniziò a vibrare. Come ridestata dalle sue fantasticherie, fece uno scatto e prese il telefono dalla tasca. Fece un cenno di scusa in direzione di John e gli voltò le spalle, portandosi il telefono all’orecchio.

“Signora Glaude,” disse. Era la padrona di casa.

“Sì, parlo con Adele Sharp dell’appartamento 3C?”

“Sì, signora, ha avuto modo di controllare quello che le ho chiesto?”

“Sì, cara. Temo di avere brutte notizie.”

Adele si sentì attorcigliare lo stomaco. La donna si schiarì la gola e proseguì: “Tua madre non ha sporto alcun genere di reclamo qui.”

Adele sbatté le palpebre. Come poteva essere? Se qualcuno stava manomettendo la sua posta, di sicuro sua madre l’avrebbe reso noto all’amministrazione condominiale. “Intende dire che i suoi registri non arrivano tanto indietro?”

“No,” disse la voce all’altro capo del telefono. “I miei registri vanno indietro fino a quarant’anni fa. Ma tua madre non ha mai sporto alcun reclamo.”

Adele si accigliò, scuotendo la testa. “Non ha senso.”

“Un’altra cosa, cara. Senti, ricordo la situazione di tua madre. Ricordo le cose terribili che sono successe. Mi spiace davvero tanto, sul serio. Non sapevo come fosse…”

Adele aspettò, chiedendosi dove intendesse andare a parare.

“Potrei finire nei guai per questo, ma suppongo di non lavorare per l’ufficio postale. E non sto neanche compromettendo nessuno dei miei affittuari. E date le circostanze, ecco… Il postino che lavorava all’edificio quando vivevi qui con tua madre,” disse la donna con una leggera sfumatura nella voce.

Adele si irrigidì, aspettando, gli occhi sgranati. “Sì?” disse velocemente. “Chi?”

“Si chiamava Antoni Bordeaux.”

“Antoni Bordeaux?” chiese Adele. Iniziò a rovistare nelle tasche, cercando di tirare fuori il taccuino di suo padre per appuntarsi il nome.

“Purtroppo, cara, temo ci siano altre brutte notizie,” disse la donna.

Le dita di Adele rimasero immobili, premute contro la gamba. “Oh?” disse. “Cioè?”

“Antoni Bordeaux è morto cinque anni fa. Mi spiace. Ma è il meglio che posso fare… Pronto? Mademoiselle? Sei ancora lì?”

Adele si schiarì la gola. “Sì, signora Glaude. Sono ancora qui. Scusi. No, grazie. Ha fatto più di quanto avrei potuto chiedere. Grazie.”

Adele salutò, chiuse il telefono e se lo infilò nuovamente in tasca.

“È morto qualcuno?” chiese John con indifferenza.

Adele non si rese conto di quanto la sua fronte fosse corrucciata, fino a che non si voltò a guardare il collega. Sbatté le palpebre, cercando di rilassare il volto. “Sì, in realtà.”

John si irrigidì. “Oh, mi spiace.”

“Non è uno che conoscevo.” Frustrazione e delusione le annodavano lo stomaco. “È morto cinque anni fa. Un sospettato, a dire il vero.”

John inarcò un sopracciglio. “Stai lavorando a un caso?”

“Forse. Se vuoi essere criptico sul tuo passato, allora permettimi almeno di fare lo stesso riguardo al mio.”

John alzò la mano libera in segno di umoristica resa, poi mandò giù il resto del suo bicchiere.

Da parte sua, Adele rimase ferma a pensare. Una strada senza uscita. Il postino era morto cinque anni fa. Eppure l’assassino di sua madre era ancora vivo, secondo quello che le aveva detto il primo killer che aveva catturato in Francia.

Scosse la testa furiosamente. Allora cosa diamine significava quel dannato messaggio da parte di sua madre? Scambiando biglietti. Buffo? Non aveva senso.

Si infilò le mani in tasca, posandole sul telefono da una parte e sul taccuino di suo padre dall’altra. Si avvicinò al divano di John e si sedette sul bordo, alzando i piedi verso di lui e incuneandosi nell’angolo, con le braccia incrociate.

“Brutta giornata in ufficio?” le chiese.

“La peggiore,” gli rispose.

“Mi viene in mente una cosa che potrebbe distrarti e non fartici pensare,” le disse, con il suo solito sorrisino malizioso.

Adele esitò, improvvisamente consapevole di quanto vicini fossero seduti. “John, non sono sicura che…”

Lui inarcò le sopracciglia di scatto. “No, no. Intendevo un altro bicchiere. Non farti ingannare dal mio bellissimo aspetto e dal mio fascino, principessa americana. Non sono un totale deficiente.”

“Solo un parziale deficiente, quindi?”

John picchiettò un dito sul proprio naso e poi la indicò. Infine si alzò in piedi, le prese la tazza dalle mani e la riempì di nuovo dal distillatore. Adele lo osservò, godendosi la scena.

Prima che potesse crogiolarsi troppo nella visione, il suo telefono iniziò a vibrare di nuovo.

Ancora la padrona di casa?

Prima che quel pensiero prendesse del tutto forma, un altro telefono iniziò a suonare. John si accigliò, prendendo il suo cellulare da dove l’aveva appoggiato, accanto al distillatore.

All’unisono, i due portarono i rispettivi telefoni all’orecchio e in tandem risposero. “Sì?”

La stanza rimase silenziosa per un secondo, mentre loro ascoltavano.

Dalla sua parte, Adele sentì: “Agente Sharp, deve fare rapporto nell’ufficio del direttore Foucault.”

“Adesso?”

“Sappiamo che è tardi,” disse la voce. “Ma è urgente. Il direttore sta arrivando. La aggiornerà lui sui dettagli.”

Adele riagganciò, e pochi secondi dopo anche John fece lo stesso.

“Sono stata convocata,” disse. “Tu?”

“L’assistente di Foucault,” le rispose.

Adele si accigliò. Devi andare di sopra da lui anche tu?”

John sospirò, andò a prendere la maglietta e se la infilò, quasi con aria riluttante. Poi, senza aggiungere una parola di più, passò accanto ad Adele e sottovoce mormorò: “La prossima volta tocca a te fornire il panorama.”

Uscì dalla porta del suo appartamentino e imboccò il corridoio.

Confusa per più di un motivo, Adele lo seguì rapidamente.

CAPITOLO QUATTRO

Il direttore Foucault stava accanto alla finestra del suo ufficio all’ultimo piano quando John e Adele entrarono. La porta di vetro opaco si richiuse alle loro spalle, frusciando sulla moquette, e Adele si schiarì la gola, guardando il direttore del DGSI.

Foucault si voltò. Aveva un volto da falco con folte sopracciglia scure e zigomi solidi. Normalmente teneva i capelli leccati indietro con l’olio, ma ora erano spettinati, con dei ricci che gli scendevano sulla fronte e quasi arrivavano a toccargli le sopracciglia. Si passò una mano tra i capelli, domando i ciuffi ribelli, la sua figura contornata dalla luce della luna che filtrava attraverso il vetro.

Indossava un paio di scarpe da ginnastica e una maglietta con pantaloncini da corsa. Adele non aveva mai visto il direttore senza un completo di giacca e pantaloni, e in qualche modo ora le sembrava un papà che aspettava di andare a prendere i figli all’allenamento di calcio.

“Signore,” disse Adele. “Voleva vederci?”

Foucault aveva una foto in mano e la stava osservando, le rughe sulla sua fronte profonde come solchi sulla creta. Agitò la foto in direzione di Adele, usandola quasi come a volersi fare aria.

John si mosse per primo avvicinandosi a lunghi passi alla scrivania. “È morta?” chiese, prendendo l’immagine.

Il direttore scosse la testa. “No,” rispose. Aveva una voce profonda e roca, segnata dall’effetto di qualche sigaretta di troppo. L’ufficio stesso sapeva di nicotina e fumo. Per fortuna una delle finestre nell’angolo era sempre aperta. Forse un’infrazione al protocollo di sicurezza, ma Adele stessa avrebbe corso il rischio, pur di preservare i propri polmoni.

Foucault agitò un dito in direzione della foto. “Americana,” disse. “Trovata ieri notte. Da un camionista.”

Adele si avvicinò a John, sentendosi in qualche modo più strana del solito a stargli così vicina. Non era realmente disagio, ma più che altro le dava un effetto di distrazione. Tossì leggermente e riportò l’attenzione sulla foto.

L’immagine lucida mostrava un volto sorridente, guance con le fossette e vibranti occhi azzurri. La donna nella foto non poteva avere più di vent’anni.

“Viva ha detto?” chiese John.

In risposta, Foucault porse loro una seconda foto.

La stessa donna, anche se Adele ci mise un po’ a capirlo. Era a malapena riconoscibile. La seconda immagine mostrava una ragazza dal volto pallido e scavato. Le guance erano scarne, malnutrite; i capelli sporchi e unti. Teneva gli occhi chiusi, e se Foucault non avesse appena affermato il contrario, Adele avrebbe dato per scontato che fosse morta.

La giovane vittima aveva lividi sulle guance e piccoli tagli visibili sulle braccia, proprio alla base dell’inquadratura.

“Cos’è successo?” chiese Adele.

“È quello che hanno bisogno di scoprire.”

“Lei non sa cosa sia successo?” gli domandò.

Il direttore Foucault sospirò. “Tutto quello che so, è ciò che è stata in grado di raccontare ai tedeschi. Le guardie forestali della Foresta Nera l’hanno portata dentro solo poche ore fa.”

“I tedeschi?” chiese John, ora accigliato.

Foucault serrò le labbra. “Sono qui per assicurarmi che non venga creato ulteriore danno.” Annuì guardando John. “Tu andrai con lei. Ma dopo gli intrallazzi che hai organizzato la volta scorsa in Germania, ti metto in guardia: un piede fuori posto, solo uno,” lo ammonì alzando un dito e agitandolo sotto al naso di John, “e metto fine alla tua carriera più veloce di quanto sei capace di fare centro in un bersaglio.”

John spostò il peso da un piede all’altro. Adele intanto pregava che il collega non dicesse niente di aggressivo. Se non altro per evitarlo, prese lei rapidamente la parola. “Aspetti. Germania? Non è stata trovata qui?”

Foucault scosse la testa. “No. Se ne sta occupando l’Interpol, ma vogliono te sul caso. Non li posso biasimare: sei l’unica agente che ho con tre cittadinanze. Dato che ora tecnicamente sei una mia dipendente, ho avuto l’ultima voce in capitolo. John verrà con te come rinforzo. Per quello che mi riguarda, siamo a posto così.” Gli occhi scuri del direttore si abbassarono. “Meno lo tengo sotto al mio tetto, e meno guai combina in Francia.”

John sorrise come se avesse ricevuto un complimento.

“E la signora Jayne?” insistette Adele. “È al corrente di questa storia?”

Foucault abbassò la testa. “È stata lei a suggerirlo. È impegnata con altro e ha voluto che fossi io a comunicarti i dettagli. Ad ogni modo, non ne ho molti. Dettagli, intendo. I fondi sono già stati versati per il viaggio. Abbiamo già organizzato un appuntamento. Volate stanotte.”

“E la ragazza,” disse Adele. “Ha detto che è viva.”

Parte della frustrazione e dell’arroganza scomparvero dall’espressione di Foucault, sostituite da autentica e tacita tristezza. Adele non era abituata a questo lato del direttore, ma restò in attesa, guardandolo.

“La povera malcapitata è stata trovata in mezzo alla statale, mezza nuda, i piedi sanguinanti. Era ricoperta di graffi e tagli, che i dottori hanno immaginato si sia procurata correndo in quello stato in mezzo alla foresta ghiacciata. Le temperature erano davvero basse e i suoi polmoni ne hanno pagato le conseguenze.”

“È priva di conoscenza?” chiese John. “Ipotermia?”

Adele si voltò a guardare il suo collega, stupita. Ma la sorpresa fu ancora maggiore quando il direttore Foucault rispose. “Sì. L’autista cha l’ha trovata pensava di fare del bene, ma il suo camion era troppo caldo per lei. Il freddo, combinato con il rapido riscaldamento, ha creato i suoi danni. Ora si trova in ospedale, priva di conoscenza, attaccata all’ossigeno. Sperano di recuperarla, ma la situazione non è delle migliori.”

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