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Dal Vangelo Secondo Giuda
Dal Vangelo Secondo Giuda

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Dal Vangelo Secondo Giuda

Язык: Итальянский
Год издания: 2019
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Giuda scorse ancora una volta i fogli che aveva tra le mani, poi li buttò sulla scrivania con uno scatto stizzito.

«Se il dubbio non fosse nato con l’Uomo, se questo avesse continuato ad accontentarsi delle sue piccole certezze, vivremmo ancora oggi nelle caverne!» considerò.

«Su questo ha perfettamente ragione. Ma il Mondo adesso ha raggiunto l’equilibrio, è arrivato a un punto in cui va perfettamente bene così com’è» tagliò corto l’Anziano usando un tono che non concedeva diritto di replica, poi lo scrutò serio in attesa delle sue scuse.

«Aldilà di tutto, sono davvero spiacente. Non pensavo che il mio articolo avrebbe generato così tanti problemi» ammise allora Giuda mostrandosi pentito, dopo una breve riflessione aveva concluso che l’unico modo per liberarsi di quell’uomo era dargli ragione.

«Sappiamo che lei ha agito in buona fede, per questo il Consiglio ha deciso di concederle un’altra opportunità. Ma veda di non sprecarla, altrimenti saremo costretti a farle lasciare questo lavoro, che ama in modo particolare, per un altro che le risulterebbe sicuramente meno gradevole» lo avvisò l’Anziano. Senza attendere la sua risposta uscì sul terrazzo, saltò in sella al suo monojet e sfrecciò via veloce, fino a scomparire tra le nubi basse.

Il tempo passava veloce e la situazione non migliorava affatto, anche Jodie, malgrado gli sforzi dei suoi genitori, era costretta a subire ogni giorno di più la pesantezza del clima domestico. Inoltre aveva cominciato a fare domande alle quali loro non sapevano cosa rispondere, era entrata nel momento della sua vita in cui non sei più un bambino ma neanche un adulto, di conseguenza loro non sapevano più come trattarla e come comportarsi con lei. Per interrompere quell’assurda routine, fatta di paure e angoscia, Giuda e Nicole decisero di trascorrere un fine settimana in montagna.

Quella sera, le ombre create dalle fiamme giocavano coi loro volti immobili, la brace scoppiettava diffondendo l’aroma dolciastro della resina a creare un’atmosfera quasi natalizia. Nicole si era seduta in poltrona e non riusciva a smettere di fissare il caminetto, quasi ipnotizzata dal fuoco. Sentiva di avere le guance e il collo caldi e coloriti, grazie anche agli effetti del distillato di linfa di abete che stavano sorseggiando. Giuda era seduto accanto a lei e continuava ad ammirare la perfezione dei suoi lineamenti, stupendosi una volta di più di come, in ogni momento e in ogni situazione, riuscisse suo malgrado ad apparire meravigliosamente bella. I capelli avevano preso i riflessi del mogano e incorniciavano l’ovale bronzeo, sul quale risaltava la bocca dalle labbra piene. Sul suo volto spiccavano gli occhi scuri tagliati in modo vagamente orientale, che gli ispiravano la voglia di perdersi per sempre in quelle profondità fino a dimenticarsi di esistere. Un canarino festoso uscì dall’orologio a cucù, li informò che era la giunta mezzanotte.

«Che cosa accadrà...» mormorò Nicole, quasi lo stesse domandando al fuoco più che a se stessa o a lui. Aldilà del vetro appannato, giù per il costone della montagna, stavano scendendo le torce di una fiaccolata di paese.

«Non lo so, so soltanto che non voglio perdervi... e invece, nonostante tutti gli sforzi che stiamo facendo per evitare di affrontare la situazione e di cercare una via d’uscita, è proprio quello che sto rischiando. A volte mi sembra di impazzire, ed è tutta colpa mia...» rispose Giuda. Nicole deglutì più volte per ricacciare indietro il groppo che sentiva in gola, poi andò ad accoccolarsi sulle sue ginocchia e si strinse tra le sue braccia.

«Possiamo soltanto aspettare e vedere cosa accadrà, non abbiamo altra scelta. Io sono fiduciosa, in fondo siamo sempre riusciti ad uscire dalle situazioni difficili, anche se allora era diverso perché dipendeva solo da noi.»

«Che cosa vuoi dire?» le chiese perplesso lui. «Da chi altri dipende la soluzione dei nostri problemi?» insisté, le prese il viso tra le mani e lo girò delicatamente verso di sé per guardarla negli occhi. Lei cambiò espressione e lo guardò come le fosse appena sfuggito qualcosa che non voleva o non poteva dire, ma subito dopo tornò a fissare le fiamme del camino. «Possiamo soltanto aspettare» ripeté rassegnata, senza spiegarsi. «Sono sicura che tutto si risolverà per il meglio, ma anche se qualcosa andasse storto e dovessi davvero perdere la vita per far nascere il nostro bambino, gli anni che ho trascorso con te e Jodie mi avranno ripagata di tutto questo tormento» aggiunse poi sottovoce, come per cominciare ad abituarsi all’idea. Era la prima volta che affrontavano questo discorso, l’eventualità di trascorrere il resto dei suoi giorni senza di lei passò fugace nella testa di Giuda, che si sentì sprofondare in una voragine senza fine.

«Una soluzione ci sarebbe» sussurrò evitando di incontrare i suoi occhi, lei lo guardò turbata perché aveva paura di quello che lui le avrebbe detto.

Gli occhi di Ann erano di uno splendido colore verde mare ma tagliati in un’espressione lievemente arcigna, i corti capelli neri mettevano in evidenza i suoi lineamenti fini e regolari. Pur non essendo canonicamente bella aveva un certo magnetismo nello sguardo, quando sorrideva mostrando i denti candidi non era facile staccare gli occhi dal suo volto vagamente mascolino. Continuava a guardarsi le mani, che si muovevano nervose tamburellando sulla scrivania mentre cercava le parole più adatte. Non temeva in alcun modo l’uomo che aveva davanti, ma era molto orgogliosa e dover ammettere quella piccola macchia professionale la seccava.

«Qualcuno si è introdotto nell’Archivio Storico» annunciò infine semplicemente, quasi con rassegnazione.

«Ma com’è possibile? Il sistema informatico è protetto da un labirinto di miliardi di combinazioni, analizzarle tutte per arrivare alla password definitiva è praticamente impossibile» replicò l’Anziano, incredulo.

«Hanno installato un programma che si auto evolve. In base alle varianti degli errori commessi nei diversi tentativi di trovare la soluzione, arriva gradualmente a pensare come la persona che ha installato la password. Gli è bastato girare indisturbato all’interno del sistema per pochi giorni, attraverso un terminale satellite collegato alla rete.»

«Come lo avete scoperto?»

«Una volta passato lo sbarramento, il Server Centrale rivela automaticamente la violazione e cambia immediatamente la password. Ma stavolta non è stato abbastanza veloce, perché il programma intruso ragionava molto più rapidamente.»

«Siete almeno riusciti a individuare il terminale spia?»

«Per ora sappiamo solo che è situato nel Nono Quadrante, ma ci stiamo lavorando sopra e spero che potremo essere più precisi in capo a qualche giorno. Dobbiamo ancora analizzare i tempi impiegati per la trasmissione dei dati e le distanze percorse dai files, si lavora su miliardesimi di secondo perché esistono terminali vicinissimi tra loro.»

Sir Jonathan provò un fastidioso senso di oppressione al petto. Ancora una volta, e soprattutto in un momento delicato come quello, qualcuno stava cercando ostacolarlo. Sperò che l’autore dell’intrusione non avesse trovato le informazioni sul “Giorno della Rivelazione”, o che al limite non fosse stato abbastanza intelligente da decifrarle. Si lasciò andare a un moro di stizza e sbatté con forza un piede a terra, aveva appena avuto la conferma che il suo cammino verso la Gloria era ancora lungo e impervio, a dispetto dei risultati grandiosi che aveva ottenuto fino a quel momento.

Di questo era consapevole da sempre, ma era convinto che pur di arrivare alla mèta valeva la pena di rischiare tutto ciò che aveva. Per la prima volta in vita sua, però, si trovò a domandarsi se avrebbe avuto la forza e la determinazione necessarie per portare a compimento quella sfida. Nell’Archivio Storico erano celati segreti troppo importanti, per potersi permettere che divenissero di dominio pubblico. Eppure, nonostante tutte le precauzioni prese e tutte le barriere costruite, qualcuno era riuscito a penetrarvi.

«Lei è la migliore del Reparto Antisommosse, Ann, non è un caso che ne sia il comandante assoluto. Si dia da fare, faccia quello che meglio crede e usi i mezzi che ritiene più opportuni, ma trovi l’intruso. E lo trovi alla svelta! Se anche una soltanto, tra tutte quelle informazioni riservate, cadessero in mano a qualche cittadino, sarebbe un vero disastro. Un evento del genere produrrebbe un danno irreparabile ai nostri equilibri sociali» disse, poi se ne andò senza neanche attendere la risposta della donna.

«Sempre Sia Lodato!» gli gridò polemicamente lei alle spalle per rinfacciargli la sua maleducazione, poi si rimise al lavoro sul terminale.

«Hai spiato all’interno dell’Archivio Storico?» chiese Nicole quasi gridando, era sconcertata. «Devi essere impazzito! Se ti avessero scoperto, a quest’ora saresti rinchiuso in prigione. Ti avrebbero accusato di appartenere alla Setta e ti avrebbero somministrato ogni tipo di trattamento psicologico, pur di estorcerti informazioni.»

«Ma quale Setta, sai bene che la Setta non esiste! E comunque non l’ho fatto di proposito, stavo navigando in rete quando ho notato che qualcosa non andava per il verso giusto. Mi sono ritrovato là dentro d’improvviso, probabilmente ho sfruttato involontariamente il varco creato da qualcun altro... una volta che ho capito dove mi trovavo, ho pensato che forse là avrei potuto trovare una soluzione ai nostri problemi» le spiegò Giuda allargando le braccia, ma lei continuò a scrutarlo seria, incapace di decidere se credergli o meno.

«Io non ce la faccio più a vivere in questo modo, non ce la faccio più a vedere che ti allontani da me ogni giorno di più senza che io possa fare niente... non posso limitarmi ad aspettare che si compia la tragedia» cercò di giustificarsi lui dopo un attimo di silenzio lungo come un’eternità.

Nicole lo guardò preoccupata, sapeva che non si sarebbe arreso tanto facilmente. Scese dalle sue ginocchia e tornò a sedere sulla poltrona di fronte, poi sospirò amareggiata e lo fissò dritto negli occhi, preparandosi ad ascoltare quello che era certa che non avrebbe mai voluto sentirsi dire. Lui le spiegò in poche parole che cos’era l’aborto terapeutico, praticato decenni rima, lei scattò in piedi.

«Ma ti rendi conto di cosa sei arrivato a pensare?» gli chiese sgomenta, era incredula e profondamente adirata.

«Lo so che è contro natura, che è una cosa orribile... ma io non so più dove sbattere la testa, non so più cosa fare! Quando sono da solo e mi lascio andare, penso a come potrebbe andare a finire e mi sento annientato. Mi prende un’agitazione che non riesco a contenere, il livello dell’adrenalina cresce in me con la disperazione, con la voglia di gridare e distruggere tutto ciò che ho intorno, con la voglia di fuggire in un posto che non c’è. E così mi ritrovo disteso a terra, paralizzato dal chip come quella maledetta notte, in preda a dolori tremendi e prigioniero di me stesso. Non te l’ho mai detto prima perché non volevo che ti preoccupassi per me, ma mi è già accaduto molte volte.»

Nicole mise a fuoco la sua immagine come uscendo da uno stato di torpore, gli dedicò un lungo sguardo confuso, quasi quell’uomo fosse uno sconosciuto che vedeva per la prima volta in vita sua.

«Hai pensato di uccidere nostro figlio, il frutto del nostro amore. Hai pensato di uccidere colui per il quale abbiamo già scelto un nome, per il quale abbiamo già pensato un futuro... siamo soltanto poveri esseri umani, non abbiamo il potere di decidere la vita e la morte dei nostri simili. Come sei arrivato a pensare di poter fare una cosa del genere?» Si voltò verso il fuoco come per scaldarsi, cingendosi le spalle con le sue stesse mani, lui riempì per l’ennesima volta il bicchiere. Quando se lo portò alla bocca vide nel vetro il riflesso deformato del proprio volto, allora lo posò e andò ad abbracciarla.

«Non volevo farti soffrire. Non vorrei mai farvi del male, né a te, né a lui» sussurrò carezzandole delicatamente la pancia.

«Ma la vostra vita è in grave pericolo e io vorrei poter fare qualcosa di più, che starmene qui a piangere e rimuginare. E invece tutto ciò che riesco a fare è continuare a sognare quel pazzo, che mi guarda col coltello in mano e ride. “Capirai, presto capirai” mi bisbiglia all’orecchio con la sua voce stridula, digrignando i denti gialli, e quello scricchiolio mi fa rabbrividire. Vorrei gridare e fuggire, oppure ucciderlo premendo quel dannato pulsante di sparo, ma non riesco a fare niente di tutto questo. La mia mano trema e non riesco a fare fuoco, ogni volta che lo perdo di vista mi ricompare alle spalle e ricomincia da capo, e io posso soltanto piangere, paralizzato a terra, mentre lui infierisce su di te. E allora mi sveglio di soprassalto pensando che sono un miserabile, che se mi fossi comportato da uomo tutto questo non sarebbe successo.»

Mentre ascoltava le sue parole, Nicole si era come trasformata, aveva giunto le mani sulle ginocchia e le sue spalle si erano curvate in avanti come quelle di una vecchia. Pian piano aveva assunto l’espressione sconfitta di chi viene bruscamente svegliato da un sogno bellissimo, che pur desiderandolo con tutto sé stesso non riesce a riaddormentarsi per riprenderlo da dove l’aveva lasciato.

«Io penso che se restiamo uniti ce la possiamo ancora fare» mormorò con un filo di voce, ma a Giuda sembrò che le sue parole avessero tutta l’aria di una preghiera, più che di un’affermazione.

«Smettila di illuderti, smettila dannazione!» urlò, esasperato dai suoi modi rassegnati, si alzò di scatto e ribaltò il tavolino con un calcio. Lei sussultò per lo spavento e si rannicchiò in sé stessa, intimorita dalla sua reazione, lui l’afferrò per le spalle.

«Devi guardare in faccia la realtà!» continuò a gridarle, scuotendola. «Probabilmente il bambino verrà alla luce già morto, e tu stessa rischi di morire! Di morire, capisci cosa voglio dire? Di abbandonare me e Jodie, di lasciarci soli per sempre!»

«Lasciami, mi stai facendo male!» strillò a sua volta Nicole spingendolo via, sconvolta. Lui aveva preso a camminare avanti e indietro per la stanza, imprecando e dando pugni alle pareti come un matto.

«E se il bambino non morirà» continuò, «nascerà con dei problemi gravissimi, e sarà l’unico o quasi, in un mondo popolato da esseri perfetti. Un mondo popolato da persone che non prendono mai un raffreddore, che vivono felici. Conoscerà l’emarginazione e i soprusi perché sarà debole, e l’ipocrisia, perché chi ha una bella vita non vuole vedere il dolore altrui neanche da lontano, non vuole nemmeno sfiorarlo. Che razza di vita sarà la sua? Avanti, rispondi! Che vita sarà?» le gridò in faccia con tutto il fiato che aveva.

«Ora basta» mormorò lei. «Non puoi pensare davvero queste cose, non puoi essere così egoista. Non sei più l’uomo che ho sposato. La Legge parla chiaro, Dio dà la vita e Dio la toglie. Nessuno, se non lui, può decidere dei nostri destini. Nessuno, se non lui, può sapere cosa è giusto per noi e cosa no!»

«Ma se Dio ci ama così tanto, perché allora ci sottopone a queste prove? Perché la vita di mia moglie e di mio figlio sono appese all’esile filo di una preghiera?» replicò lui a denti stretti. Appena finì la frase, la mano di Nicole partì veloce e lo colpì con tanta violenza da fargli girare la faccia dall’altra parte.

«Stai bestemmiando! Come pretendi di poter giudicare Dio se non puoi neanche lontanamente arrivare a immaginarlo? Come puoi pretendere di spezzare questa vita dentro me che cresce attimo dopo attimo? Se qualcuno ti sentisse anche soltanto parlare così finiresti nella Prigione Psicologica, ti ci lascerebbero marcire fino alla fine dei tuoi giorni» gridò, poi ricominciò a piangere e salì le scale di corsa, per andare a chiudersi in camera.

Quella discussione rappresentò il colpo di grazia per il rapporto tra Giuda e Nicole, che da quella sera si trovarono completamente distaccati. L’ultima decisione che presero di comune accordo fu quella di mandare lontano Jodie per qualche tempo, prendendo a pretesto una vacanza studio. Nicole si chiuse definitivamente in sé stessa mentre lui, incapace di dedicarsi a qualsiasi cosa, cominciò ad assentarsi sempre più spesso dal lavoro. Andava a trascorrere il tempo sulla cima di un piccolo promontorio che scendeva a picco sul mare, si sedeva su di un masso e fissava per ore la linea curva dell’orizzonte. Guardava in lontananza i delfini che saltavano e si rituffavano nell’acqua, felici e giocosi, vedeva scintillare al sole le loro pinne argentee e quasi li invidiava.

Shasa si aggirava eccitata nei locali semibui dai soffitti bassi, silenziosa come un fantasma. Rovistava freneticamente in ogni angolo e in ogni cassetto, in ogni mobile. Quel rituale la emozionava così tanto che o ogni volta era come se fosse la prima volta. Aveva l’abitudine di arrivare lì un poco prima degli altri per potersi permettere quel lusso, era rischioso e lei lo sapeva, ma quello era il suo piccolo grande segreto e non vi avrebbe rinunciato per niente al mondo. Sebbene conoscesse ormai alla perfezione quel luogo e tutto ciò che vi si trovava dentro, ogni volta era più forte di lei: ricominciava daccapo alla ricerca di un particolare che poteva esserle sfuggito, nella speranza che, come per magia, prima o poi avrebbe trovato qualcosa di nuovo e interessante. Fece un piccolo balzo per buttare uno sguardo sul davanzale polveroso della finestrella posta in alto, nel farlo urtò la lampadina sospesa a mezz’aria che prese ad oscillare in modo irregolare. Un riflesso a terra attirò la sua attenzione, era lo scintillio di una chiave. Si chiese come potesse non averla mai notata prima. Eppure era lì ben visibile, e continuava a rimandarle ritmicamente il bagliore riflesso della luce artificiale come se la stesse chiamando. Non osava sperare che fosse proprio quella che apriva la pesante porta dell’armadio in ferro, l’unico luogo del covo che non era mai riuscita ad esplorare. Il cuore prese a batterle impazzito, lei raccolse la chiave con mani tremanti e raschiò via alla meglio un po’ di ruggine, poi ci sputò sopra per lubrificarla. Soffiò più volte nella toppa per eliminare la polvere e infilò la chiave, quando finalmente riuscì ad aprire la porta rimase allibita: l’armadio era quasi completamente pieno di sigarette. Non circolavano più da oltre quarant’anni, da quando nel 2137 erano state definitivamente proibite, e lei non ne aveva mai vista una dal vivo. Spinta dalla curiosità aprì convulsamente un pacchetto, ne prese una e la mise tra le labbra, impreziosite da un piccolo neo posto appena sopra quello superiore. Dopo essersi atteggiata per un po’ a donna fatta, ammirando il proprio riflesso sulla lastra di vetro che ricopriva il piano di un tavolo, decise di provare ad accenderla. Appoggiò la sigaretta sulla superficie incandescente della lampadina e cominciò ad aspirare forte.

«Shasa!» tuonò d’improvviso una voce autoritaria. «Accidenti, ti ho detto almeno mille volte che non devi venire qua da sola. Sei troppo testarda, se continui a trasgredire le regole prima o poi dovrò cacciarti dal gruppo! Non possiamo rischiare di farci scoprire soltanto perché tu devi assecondare la tua assurda mania, possibile che tu non arrivi a capirlo?»

Il fumo le era andato di traverso e le usciva dal naso mentre tossiva, i grandi occhi color nocciola si erano fatti scintillanti a causa delle lacrime represse.

«Ma come fai a saperlo? Per caso mi hai spiata?» replicò lei sorpresa.

«Che cos’hai hai tra le dita?» le chiese Freddy senza rispondere alla sua domanda.

«Lascia perdere,» rispose lei con la voce strozzata, «dove sono gli altri piuttosto? Ogni volta arrivano sempre più tardi, forse non hanno compreso appieno l’importanza del nostro compito.»

«Sono solo» rispose l’imponente figura dai capelli mossi continuando a scrutarla severamente da dietro il massiccio tavolo di legno, sul quale erano poggiati un computer e vari dispositivi ad alta tecnologia. «E poi, dove diavolo sei stata in tutti questi giorni? Ti ho cercata in tutti i posti convenzionali per avvisarti di non venire qua, sai bene che dobbiamo fare in modo di essere sempre reperibili.»

«Ma perché, che è successo?» domandò lei abbandonando per un attimo abbandonò i suoi modi spavaldi. Quando assumeva quell’espressione, se non fosse stato per le striature rossastre sui capelli lisci e scuri, e per una lieve asimmetria di un dente incisivo che le donava un aspetto dolce, avrebbe dimostrato ben più dei suoi ventidue anni.

«Dobbiamo andarcene subito da qui, presto verrà Andy a portare via tutto il materiale.»

«Va bene, ma vuoi deciderti a dirmi che cosa è accaduto?» chiese di nuovo Shasa.

«Ero finalmente riuscito a penetrare nell’Archivio Storico usando un Cavallo di Troia, ma mentre stavo leggendo alcune informazioni riservate sul “Giorno della Rivelazione” e sulle Antenne, qualcun altro si è connesso a sua volta facendo scoprire la violazione. La protezione è stata immediatamente restaurata, se prima lo sospettavano soltanto adesso sanno con certezza che esistiamo. Ci faranno una caccia spietata per tutta la città, per un po’ dovremo stare molto attenti e non potremo vederci né sentirci. Dovremo portare avanti ognuno i propri compiti senza avere alcun contatto con gli altri, sarebbe troppo pericoloso. E adesso dobbiamo filarcela alla svelta, questo sarà sicuramente uno dei primi posti che verranno a controllare.»

«Accidenti,» fece lei storcendo la bocca delusa, «proprio adesso che avevo trovato qualcosa di interessante.»

Fred la rimproverò con lo sguardo, lei si strinse nelle spalle.

«Sappi bene che questo è un ordine, e stavolta cerca di non fare di testa tua o trascinerai tutti quanti nei guai. Pensa a cosa stiamo rischiando, se scoprissero l’identità anche di uno solo di noi avremmo buttato via anni di lavoro... la Setta verrebbe spazzata via come un misero castello di carte.»

«E il Piano?» chiese Shasa guardandolo perplessa.

«Il Piano lo attueremo, ma non adesso. Ci serve ancora un po’ di tempo, ma non appena saremo pronti troveremo il modo di far saltare le Antenne. Quella è la cosa più importante, poi, se avremo lavorato bene, il resto verrà da sé.»

«Come faremo per incontrarci?»

«Quando verrà il momento, Tony attiverà la solita catena. Per ora non possiamo fare diversamente, dobbiamo aspettare.»

«Ma se non possiamo venire più qui, allora il nostro centro operativo cambierà?»

«Lo scopriremo soltanto più avanti, quando sarà il momento di rivederci.»

Shasa si guardò intorno dispiaciuta, dover abbandonare quella vecchia fabbrica in disuso la rattristò.

«Avanti, ora dobbiamo proprio andarcene. Stare qui diventa più pericoloso ad ogni minuto che passa» la esortò Fred cingendole un braccio intorno alle spalle, per spingerla verso la porta.

«Vedi di portare a termine i tuoi esperimenti sugli esplosivi» aggiunse, «ma fai in modo che mai, per nessuna ragione, qualcuno possa sospettare qualcosa.»

«Aspetta un attimo!» esclamò la ragazza puntando i piedi. Corse all’armadio, prese alcuni pacchetti di sigarette e se li infilò nella maglietta, poi chiuse la porta e si mise la chiave in tasca. Dette un’ultima malinconica occhiata in giro, dopodiché spense la luce e si avviò all’uscita.

Nicole non riusciva a stare ferma, il pancione le impediva di trovare una posizione comoda. Era seduta per metà sulla poltrona regolabile della sala d’aspetto vuota, con le gambe distese in avanti, per tentare di distrarsi continuava a sfogliare nervosamente una rivista senza leggerla. Avrebbe voluto potersi finalmente sfogare, mettere da parte paranoie e sentimenti per lasciarsi andare a un lungo pianto liberatorio, senza più pensare a niente. Ma sapeva che da un momento all’altro sarebbero arrivati loro, e lei non intendeva farsi sorprendere con le guance rigate dalle lacrime. Non voleva conceder loro questa ulteriore soddisfazione, voleva scacciare rimorsi e paure per poter guardare dritto in faccia quegli uomini malvagi, per mostrar loro tutto il suo disprezzo. Aveva dovuto accettare di prestarsi al loro folle progetto per proteggere le persone che amava, ma non era sicura che ciò che stava facendo fosse la cosa giusta. I suoi cari non avrebbero neanche saputo che si era sacrificata per loro, gli avrebbe lasciato in eredità soltanto delle vuote menzogne. Aveva dovuto continuare ad alimentare in loro la speranza che tutto sarebbe andato bene, che sarebbero tornati e essere la famiglia felice e perfetta di sempre, quando in realtà sapeva benissimo che non era vero. E ciò che più di tutto le faceva male era non aver potuto salutarli come avrebbe voluto, sebbene fosse consapevole che non li avrebbe mai più rivisti.

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