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Dal Vangelo Secondo Giuda
«Non è colpa mia» balbettò poi con un filo di voce mettendo bene in vista il foglio, «qui c’è scritto che vuole Giuda!»
Fred la guardò disorientato, poi squadrò il suo amico da capo a piedi e infine tornò a scrutare torvo la ragazza, come se fosse stata la responsabile della situazione. Emise un profondo grugnito d’insoddisfazione e sospirò, poi cominciò a scagliare a terra con forza ogni oggetto che aveva a portata di mano, imprecando tra sé con convinzione. Il led rosso, quella delle chiamate importanti, si accese sul suo telefono appena un attimo prima che questo si sbriciolasse contro il pavimento. Fred si fece passare la chiamata su un altro apparecchio.
«Hey, tu! Non è ancora detta l’ultima parola!» avvisò Giuda puntandogli un dito contro, mentre questi si apprestava a uscire di soppiatto. Incuriosito, Giuda si fermò sulla soglia con l’impermeabile in mano. Come se avesse avuto davanti il proprio interlocutore, Fred si ricompose e raddrizzò le spalle, poi si riavviò i capelli mossi che sembrava volessero scappargli dalla testa in ogni direzione.
«Sono io Eccellenza, ... non è possibile mandare lui, questo servizio è classificabile come “ad alta percentuale di rischio” e Giuda non ha l’esperienza necessaria... e poi le responsabilità... lo so che ha chiesto espressamente di lui, ma posso andare io fingendomi lui... come può riconoscermi, quell’uomo avrà letto il suo nome in fondo a qualche articolo... se la mettete in questo modo non posso fare altro che obbedire...» disse abbassando il capo in segno di sconfitta. «No Eccellenza, vi prometto che non farò di testa mia... certo, le farò avere quei rapporti... Sempre Sia Lodato... Carogna!» aggiunse poi a denti stretti dopo aver riattaccato.
«Non finisce qui» ringhiò infine stizzito verso il suo amico, lanciandogli un’occhiataccia. Lui abbozzò un sorriso di circostanza e si avviò lungo il corridoio, dove alcuni colleghi si mostrarono prodighi di parole d’incoraggiamento e pacche sulle spalle.
Guidando verso il Quarto Quadrante, Giuda si scoprì eccitato e preoccupato al tempo stesso. Si chiese perché quel tale avesse chiesto proprio di lui e se si sentisse pronto ad affrontare la situazione, in fondo quel pazzo aveva appena ucciso a sangue freddo un uomo. Era vero che quell’intervista rappresentava in assoluto la più grossa soddisfazione professionale che avrebbe mai potuto ottenere in tutta la sua vita, ma lui non era affatto sicuro che valesse la pena rischiare così tanto. Il telefono sul cruscotto trillò d’improvviso, strappandolo bruscamente ai propri pensieri.
«Ciao tesoro, non immaginerai mai quello che sta accadendo» disse a sua moglie con un entusiasmo non del tutto sincero.
«Non andarci, ti prego!» gridò lei in un tono che gli mandò il sangue in acqua.
«Questa è l’occasione della mia vita e non dovrei andarci? ... e poi come fai a sapere già tutto? ... già, la televisione... ma che cos’hai?» le chiese mentre cercava di scacciare l’angoscia che di colpo lo aveva attanagliato, la voce dolce e musicale di sua moglie gli pareva roca, come se prima di chiamarlo avesse pianto per ore.
«E comunque non sono io a decidere, devo andarci perché mi è stato ordinato» le spiegò dopo aver indugiato un attimo, per poter ritrovare un tono di voce normale.
«Che ci vadano loro, se ci tengono tanto a quel maledetto articolo! Non puoi rischiare la vita per una stupida pagina di giornale!» replicò rabbiosamente Nicole accendendogli un nuovo brivido lungo la schiena.
«Che ti prende Nicole, non ti ho mai sentita così... ti ho detto che devo andarci... ma come è proprio per questo, cosa vuoi dire? Spiegati, per favore, mi stai spaventando! ...solo un brutto presentimento? Ma dai, cosa vuoi che possa mai accadere? Ti dico che andrà tutto bene, cerca di stare tranquilla. Tra un paio d’ore sarò a casa sventolando il mio bell’articolo» tentò di rassicurarla lui mentre già cominciava a crederci di meno, «anch’io ti amo.»
Fabien stava correndo più veloce che poteva verso l’auto, eccitazione e paura si confondevano in lunghe ondate che dal petto gli salivano fino alle tempie, stordendolo. Era operativo soltanto da poche settimane, la percezione improvvisa del pericolo gli insinuò un dubbio: si chiese se il battesimo del fuoco fosse così tormentato per tutti o se lui fosse soltanto un vigliacco, perché aveva già capito che trovarsi lì in quel momento era l’ultima cosa che avrebbe voluto. Intanto continuava a correre mentre la sua mente saltava da un pensiero all’altro, cercando di ricordare le cose che gli avevano insegnato alla Scuola di Polizia. Realizzò con un certo disappunto che il corso di addestramento gli aveva fruttato ben poco, le nozioni che avevano cercato di inculcargli in testa, fino quasi a farle diventare riflessi condizionati, gli erano scivolate via di dosso come acqua su di un impermeabile. Sapeva di essere privo dell’istinto e della determinazione che ogni buon poliziotto deve avere per natura, ogni traccia di spavalderia era ormai scomparsa dal suo volto contratto e lui sì maledì per aver desiderato, anche solo per scherzo, di poter usare gli strumenti di morte che lo attendevano nel bagagliaio. Devo fare presto, continuava a ripetersi, ma le sue gambe non gli rispondevano come avrebbe voluto. Si sentiva come se stesse correndo lungo una spiaggia e queste, immerse nell’acqua fino alle ginocchia, procedessero a rilento rispetto alle braccia che mulinavano come impazzite nell’aria.
“A terra!” sentì gridare d’un tratto, si tuffò e scivolò sul fango finché andò a sbattere contro il paraurti dell’auto. La clavicola della sua spalla destra si spezzò strappandogli un grido di dolore, subito dopo si voltò verso la casa e gli sembrò di assistere a una scena alla moviola.
«Resta giù!» aveva ordinato Joe a Nick nel momento in cui avevano toccato terra, un istante dopo era di nuovo in corsa con la spalla protesa in avanti. Un attimo durò un’eternità, Joe aveva gli occhi socchiusi per lo sforzo e l’angoscia, non appena impattò contro la porta fu come se questa, offesa, avesse immediatamente reagito. Un lampo di colore verde fluorescente attraversò l’anziano Capopattuglia, come se si fosse trattato di un ologramma anziché di una persona in carne e ossa, poi proseguì la sua corsa fino a far esplodere un’auto parcheggiata a trenta metri di distanza. Una mano invisibile sollevò l’uomo e lo scaraventò violentemente all’indietro, il suo distintivo rotolò nell’aria scintillando come un piccolo disco di luce.
Adesso Joe era di nuovo steso al suolo, immobile a pancia in su, con la testa lievemente reclinata di lato. Le gambe poggiate in modo scomposto sui gradini in legno si muovevano a scatti, con un ultimo impercettibile movimento si portò un braccio verso il petto. Fabien era scosso da violenti conati di vomito, causati dal dolore alla spalla e da ciò che aveva appena visto, gridava forte il nome del suo compagno e vedeva tutto abbagliato perché stava piangendo. Appena un attimo dopo, però, sentì cambiare qualcosa dentro di sé. Sapeva che non sarebbe mai stato coraggioso come Joe, ma si disse che ci avrebbe almeno provato perché glielo doveva. Smise di piangere e si pulì il viso con l’avambraccio, i suoi occhi erano divenuti due fessure strette e le sue labbra erano increspate dalla rabbia.
«Maledetto,» biascicò alzandosi, «la pagherai cara.»
Prese le armi dal bagagliaio dell’auto, poi richiuse violentemente il portello e si avviò verso la casa con passo fiero, impugnando le pistole laser. Ne lanciò una a Nick indicandogli la porta sul retro, raccolse il distintivo di Joe e lo strinse fino a farsi sanguinare il palmo della mano, come se questo semplice gesto avesse potuto infondergli tutta la forza e l’esperienza del compagno. Dopo aver ripulito con cura il dischetto d’oro lo appuntò al petto del suo amico, poi gli abbassò le palpebre mentre si stupiva per non aver nuovamente vomitato di fronte a quel macabro spettacolo.
«Esci fuori con le mani in alto!» gridò risoluto verso la casa.
«Non è colpa mia,» piagnucolò l’altro da dietro la porta, «il colpo è partito quando mi ha urtato... è stato un incidente, non volevo fare del male a nessuno... vi prego, non cercate di entrare o si farà male qualcun altro, io voglio soltanto rivedere mio figlio... e voglio parlare con un giornalista!»
Le serrature si squagliarono sotto il calore del laser e Nick prese ad avanzare lentamente nel buio, col cuore in gola. Aveva appena visto morire il suo compagno ed era terrorizzato, se per caso non avesse obbedito al suo ordine di restare a terra avrebbe fatto la stesa fine. Camminava cercando di trattenere il respiro per non fare rumore, ma gli sembrava che il rimbombo dei battiti del proprio stesso cuore in petto risuonasse per tutta la casa. Fino ad allora Nick era stato da sempre destinato a semplici incarichi di sorveglianza, ora che per un’assurda serie di coincidenze si trovava a due passi dalla morte gli sembrava di percepirne persino l’odore. Intanto i suoi occhi si erano abituati un poco alle tenebre e lui continuava ad avanzare senza neanche un briciolo di convinzione, si sentiva soffocare ed era certo che da qualche parte, prima o poi, sarebbe sbucato il suo carnefice sorprendendolo. Il sudore freddo gli colava negli occhi ad annebbiargli la vista, aveva appena messo il piede in una camera quando qualcosa di gelido gli toccò il collo scoperto. Si irrigidì di colpo e temette di non riuscire nemmeno a implorare pietà, aveva la gola era serrata dallo spavento.
«Non farmi del male, ti prego» supplicò con voce flebile lasciando cadere l’arma, poi riprese a camminare, spinto alle spalle da qualcosa di terrificante.
Non devo avere paura, Joe l’ha sconfitta e si è sacrificato per difenderci. Lo devo vendicare, devo riuscire a fermare quel bastardo si diceva Fabien, ma il sangue continuava a martellargli le tempie mentre gran parte dell’impeto iniziale era già svanito. Era consapevole che se voleva sperare di sopravvivere doveva uccidere quell’uomo, si domandò se ne sarebbe stato capace. Se lo avesse avuto davanti appena tre minuti prima non avrebbe esitato a far fuoco, ma adesso non era più neanche sicuro della propria mira perché doveva usare la mano sinistra e temeva di sbagliare. Inoltre il dolore alla spalla era tornato a farsi sentire con cattiveria, pugnalandolo con delle fitte tanto lancinanti da farlo barcollare. E quando si voltava, la vista dell’osso che sporgeva dalla sua tuta macchiata di sangue sembrava togliergli le poche forze emotive che gli erano rimaste. Un’ombra gli si avventò improvvisamente contro, sbucando come un fantasma dal sottoscala, senza pensarci due volte Fabien alzò il braccio e sparò. Subito dopo la luce si accese e lui vide che il cadavere disteso sul pavimento era quello di Nick, fece per balbettare delle parole di scusa ma qualcosa lo colpì violentemente alla nuca.
Appena smise di piovere, Giuda abbandonò la prudenza e schiacciò con foga il pedale dell’acceleratore. Malgrado l’angoscia che lo attanagliava, era ansioso di affrontare ciò che lo attendeva per tornare a casa da Jodie e Nicole. Quando arrivò sul luogo del crimine, trovò che tutto quanto era immerso in un silenzio irreale e artificioso. Un’auto si stava rapidamente trasformando in un ammasso di rottami puzzolenti d’olio, con un susseguirsi di piccole esplosioni, il fumo denso e nero saliva dritto contro il cielo ormai sgombro. Ovunque c’erano appostati Signori dell’Ordine, Guardie Semplici e Tiratori Scelti. Una piccola folla era radunata a debita distanza e la gente si contendeva a spintoni il posto in ultima fila, da dove si poteva vedere comunque bene rischiando meno. Giuda scese dall’auto trattenendo il respiro e s’incamminò guardingo attraverso il prato, illuminato soltanto dal chiaro di Luna, tenendo gli occhi fissi alla porta. Quando arrivò alle scalette dell’ingresso per poco non inciampò in qualcosa, abbassò lo sguardo e un prepotente senso di nausea gli salì in gola. Lembi di carne carbonizzata tenevano insieme le metà inferiore e superiore di un uomo, strisce di tessuto sanguinolento si protendevano dal perimetro verso l’interno di un foro grande quanto un grosso pugno chiuso. Un braccio vi era poggiato sopra, la mano era adagiata sul selciato nel punto in cui avrebbe dovuto esserci la schiena del povero Joe. Il ribrezzo e l’orrore fecero scaturire in lui la voglia di scappare il più lontano possibile, ma sapeva che ormai era là e doveva fare la sua parte fino in fondo. Durante il tragitto era stato informato che l’uomo teneva in ostaggio altri due poliziotti, aveva urlato ai Signori dell’Ordine che se non avessero soddisfatto le sue richieste avrebbe ucciso anche loro. Quindi non aveva scelta, se non voleva rischiare di doversi portare dentro un tale rimorso per tutta la vita. Tirò un profondo respiro rassegnato, come un paracadutista in procinto di lanciarsi dall’aereo, poi lanciò un’ultima occhiata perplessa al cordone di guardie schierate e varcò la soglia. Aveva le immagini di Nicole e Jodie ben fisse davanti agli occhi, sapeva che per domandarsi che ne sarebbe stato di loro se gli fosse capitato qualcosa di brutto era ormai troppo tardi.
All’interno della casa regnava un ordine assoluto, come se fosse stata disabitata da tempo, la quiete era turbata soltanto dal robot domestico, danneggiato, che continuava a girare su sé stesso. “Qualcosa da bere... qualcosa da bere...” ripeteva ossessivamente con la sua fredda e snervante voce metallica. Lo spense e si inoltrò all’interno, vicino alla scala che portava alle camere trovò un altro Signore dell’Ordine. Giaceva sul pavimento con la visiera del casco schizzata di sangue, Giuda lo oltrepassò sforzandosi di non guardarlo e si affacciò cautamente in soggiorno. Scorse l’uomo in un angolo, affacciato alla finestra, si faceva scudo col corpo di un ragazzo in uniforme e aveva una macchia scura di sangue rappreso sulla camicia, in corrispondenza del fianco sinistro. L’ostaggio poteva avere al massimo venticinque anni, aveva i capelli corti e scuri, il viso sporco di fango e gli occhi gonfi di pianto. Si teneva il braccio destro e continuava a fissare sgomento la sporgenza dell’osso sulla sua spalla. L’uomo accolse il nuovo arrivato con un sorriso indecifrabile, accompagnato da un’occhiata furiosa e spaurita al tempo stesso, Giuda si chiese cos’altro sarebbe stato ancora capace di fare.
Devo sostenere il suo sguardo, - pensò comunque per darsi coraggio, - devo fargli credere che non lo temo.
«Lascia andare il ragazzo, stava soltanto facendo il suo dovere. Sai bene che non è lui, la causa dei tuoi problemi» gli propose cercando di mantenere un tono neutro.
«Io non ho fatto niente di male, io voglio soltanto vivere la mia vita... ma voi volete impedirmelo!» replicò l’assassino.
«Per quanto mi riguarda non voglio impedirti niente, ma a quanto pare questo per te non conta. Volevi me e sono qui, adesso lascia andare il ragazzo» insisté Giuda.
«Non se ne parla! Il ragazzo resta qui con noi, e se solo tenti di fregarmi...»
«Anche se lo volessi come potrei? Sono soltanto un giornalista e sono disarmato.»
«Avvicinati!» gli ordinò l’assassino mostrandogli la pistola, lui obbedì e l’altro lo perquisì minuziosamente. Poi controllò velocemente il suo tesserino di giornalista, quando si sentì soddisfatto spinse via l’ostaggio. «Vattene, prima che ci ripensi!» gli disse accompagnando le parole con uno spintone. Il ragazzo guardò il nuovo arrivato come a chiedergli il permesso di andare, lui annuì e allora si incamminò a testa bassa verso l’uscita, strascicando i piedi.
«Lui è uno di quelli che dovrebbe garantire la sicurezza di noi cittadini,» commentò l’assassino in tono sprezzante, «e non è stato capace di badare neanche a sé stesso.»
«Perché mi hai voluto qui?» tagliò corto il reporter senza replicare, non intendeva lasciarsi trascinare in discussioni fini a sé stesse.
«Non voglio essere ibernato, non voglio perdere mio figlio» piagnucolò l’assassino, Giuda pensò al pancione di Nicole e sentì una morsa gelida torcergli lo stomaco.
«Sai bene che questo non è possibile» rispose dopo un attimo, cercando di rimettere insieme le poche informazioni che gli avevano fornito durante il tragitto. «Alla morte di tua moglie, tuo figlio è stato affidato ad una famiglia regolare. Là potrà crescere con tutti i punti di riferimento di cui ha bisogno... lo so che questo ti fa male, farebbe male a chiunque, ma sai anche che è soltanto per il suo bene.»
«Questo non è giusto, e tu lo sai! Voglio che tu scriva sul tuo maledetto giornale che sto subendo un’ ingiustizia assurda!»
Giuda immaginò che fingere di assecondarlo sarebbe stata la soluzione cosa migliore, ma temeva che se gli avesse mentito l’altro se ne sarebbe accorto e si sarebbe infuriato, generando conseguenze imprevedibili.
«Non posso scrivere una cosa del genere. Così facendo esprimerei un giudizio e sai che non mi è permesso, un articolo del genere non lo farebbero neanche uscire. Tutto quello che posso fare è raccontare i fatti per come si sono svolti... inoltre, se vuoi, posso mettere per iscritto le tue proteste e cercare di farle arrivare a chi sta più in alto di noi» gli propose allora, per cercare un compromesso. «Non posso mettermi a discutere La Legge, nessuno di noi può farlo. Tutto ciò che ci è concesso è rispettarla... come tutte le leggi non sarà perfetta, ma almeno garantisce l’Ordine. Se non fosse così, se ognuno di noi cercasse di aggiustarsela come meglio crede, le cose tornerebbero in poco tempo come due secoli fa. Sarebbe di nuovo il caos» disse. L’assassino lo guardò scettico, poi gli fece cenno di continuare.
«Credo di capire come ti senti. Ho una bambina, quando mi sfiora il pensiero che un giorno potrei perderla mi sento morire. Posso dirti che mi dispiace molto, mi spiace davvero, ma per te non posso fare niente di più né di diverso da ciò che ti ho detto. In ogni caso, tuo figlio non lo perderai per sempre. Sai che il ciclo iniziale di Ibernazione Transitoria dura soltanto sette anni, se tutto andrà bene, al termine di quel periodo lui potrà tornare a vivere con te.»
Per tutto il tempo l’assassino lo aveva ascoltato continuando a scrutarlo con quei suoi occhi spiritati e la pistola stretta in pugno.
«No, non è vero che capisci la mia situazione... parli così soltanto perché ti conviene, perché hai paura... ma ti garantisco che non puoi comprendere... guarda qui!» rispose alzando improvvisamente la voce, tirò fuori una fotografia da una tasca e gliela piazzò bruscamente davanti. «Questo è mio figlio! Non vedrò spuntare il suo primo dente, non lo vedrò muovere il primo passo. Il giorno in cui dirà per la prima volta “papà”, davanti a lui ci saranno soltanto degli estranei. E invece voglio esserci io... devo esserci io, capisci? Perché quando crescerà comincerà a domandare dove sono i suoi genitori e gli verranno date risposte vaghe, allora si chiederà perché l’ho abbandonato e mi odierà. E tra sette anni non vorrà neanche più sapere il mio nome. Tu non stai rischiando tutto questo, quindi non è vero che puoi capirmi! Io non voglio essere ibernato, di cosa potrebbe accadere o non accadere dopo non me ne frega niente» concluse, poi cominciò a singhiozzare nervosamente e malgrado tutto Giuda provò quasi pena per lui.
«E poi,» riprese, e adesso sembrava davvero spaventato, «le strane storie che si raccontano sugli ibernati le conosci anche tu! Si dice che non verranno più svegliati perché vengono usati per gli esperimenti, che i loro organi vengono asportati per sostituirli a quelli malandati degli Anziani del Consiglio.»
«Ma che cosa dici, queste sono soltanto voci. Lo sai che le persone sole vengono ibernate esclusivamente per non alterare gli equilibri sociali. E poi, costituiscono una “riserva di esseri umani” per il caso in cui un evento inatteso dovesse abbassare drasticamente i livelli demografici» obiettò il giornalista.
«Ah si? Allora dimmi quanto ex ibernati conosci! E visto che ci sei, spiegami anche perché i soggetti che vengono scelti sono tutti quanti sani, giovani e forti» obiettò l’assassino.
«Perché un giorno potrebbero divenire soldati, per difenderci in caso di un attacco alieno» replicò l’altro come ripetendo una lezione imparata a memoria.
«E tu lo credi davvero?» ribatté l’altro col tono di chi parla a un bambino, quella semplice domanda fu sufficiente a far vacillare in un attimo tutte le sue certezze.
Giuda sentì il bisogno improvviso di buttare lo sguardo fuori dalla finestra, in cerca di qualcosa di rassicurante. I Tiratori Scelti erano appostati sui tetti delle palazzine vicine, i lampeggianti delle auto continuavano a giocare col nero della notte. I molti curiosi erano ancora assiepati col fiato sospeso dietro il cordone di Guardie Semplici, intenzionati ad assaporare fino all’ultima emozione quell’assurda tragedia. L’improvvisa percezione della realtà reale sconvolse Giuda, si rese conto di essersi infilato in un vicolo cieco e di averlo fatto con le sue stesse gambe. Pensò che le storie simili che aveva vissuto al Cinema Totale, impersonando qualche eroe, non rendevano minimamente giustizia al turbine di sensazioni che gli stavano martoriando la mente e il cuore. Si trovava rinchiuso in una stanza, in compagnia di un uomo sconvolto che gli agitava una pistola laser davanti al viso, un pazzo furioso che non aveva più niente da perdere perché aveva appena ucciso due poliziotti. Si chiese se sarebbe riuscito a uscirne incolume e cominciò a sentirsi male, gli tornarono a mente i suoi familiari e capì che doveva trovare il modo di scuoterlo, di fargli capire che non aveva una sola possibilità di ottenere ciò che pretendeva.
«Hai ammazzato due uomini e forse farai lo stesso con me, ma questo non cambierà le cose» gli disse convinto. «Non potrai fuggire da nessuna parte e perderai per sempre la possibilità di rivedere tuo figlio. La Legge non verrà mai cambiata e il Mondo continuerà a girare sempre nello stesso verso, fregandosene di me e di te. E tu finirai comunque ibernato, o peggio ancora, verrai ucciso dai Tiratori Scelti» concluse tendendo un braccio verso la finestra. «Sono tutti là fuori per te, aspettano soltanto che tu commetta un errore.»
Fece una pausa per lasciargli il tempo di ragionarci sopra, sperando che finalmente avrebbe compreso di non avere scampo, poi riprese.
«Se ti arrendi adesso, forse te la potrai ancora cavare. Magari riuscirai a dimostrare che la morte dei due Signori dell’Ordine è davvero stata soltanto un incidente, una cosa non voluta.»
«Chiudi quella bocca!» gli ordinò l’altro sbattendo con rabbia un piede a terra, furioso, era appena stato messo con le spalle al muro. Si avvicinò a un palmo dalla faccia di Giuda, lui sentì le folate calde del suo alito affannato e puzzolente invadergli le narici. «Stai zitto, stai dicendo soltanto stronzate!» disse, fece un passo indietro tendendo il braccio e cominciò a carezzare il pulsante di sparo, con una lentezza sadica.
E’ finita, pensò rassegnato Giuda, ma l’assassino non gli sparò. Tolse il dito da sopra il pulsante di sparo e si girò verso la finestra, si fissò a guardare ciò che stava accadendo in una zona appartata del giardino. Sotto la luce nebulosa di un lampione, un uomo dai capelli bianchi come neve stava rimproverando aspramente Nicole. Lei teneva la testa bassa e fissava le proprie braccia conserte al petto, scuoteva ritmicamente le spalle come se stesse piangendo. Giuda accennò istintivamente un passo verso la finestra ma l’altro irrigidì il braccio armato, impedendogli di fare un altro passo. Subito dopo, comparve sulla scena anche Freddy, spostò da parte Nicole con modi gentili e prese il suo posto nella discussione con l’uomo dai capelli bianchi.
«Chi è quella donna? La conosci?» chiese l’assassino.
«E’ mia moglie» confessò subito Giuda, un attimo dopo maledì la propria incapacità a mentire.
«Mi arrendo» annunciò allora l’assassino abbassando il braccio, Giuda lo guardò sconcertato e lui lasciò cadere l’arma sul pavimento. Si chinò sulle ginocchia tenendosi il fianco, aveva l’aria distrutta.
«Sei felice?» gli domandò guardandolo di sotto in su.
«Si, penso di esserlo» ammise lui vergognandosene un po’.
«Vorrei conoscere tua moglie» chiese l’assassino quasi garbatamente, spiazzandolo del tutto. Lui non intendeva esporre Nicole a un simile rischio, ma temeva che in caso di un suo rifiuto l’altro avrebbe nuovamente perso la testa.