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Dal Vangelo Secondo Giuda
Dal Vangelo Secondo Giuda

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Dal Vangelo Secondo Giuda

Язык: Итальянский
Год издания: 2019
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INDICE DEI CAPITOLI

PARTE I

L’AGGRESSIONE

PARTE II

LA MORTE DI NICOLE

PARTE III

L’ALIENO

PARTE IV

CACCIA ALL’UOMO

PARTE V

IL BATTESIMO DI GESU’

PARTE VI

L’ATTACCO DELLA SETTA

PARTE VII

GIUDA E GESU’

PARTE VIII

ANNO XXXIII D.C.

PARTE IX

LA PASQUA DI RESURREZIONE

PARTE X

LA LIBERAZIONE

PARTE XI

DAL VANGELO SECONDO GIUDA

PARTE XII

EPILOGO

PARTE I

L’AGGRESSIONE

Quella mattina c’era un bel Sole, Nicole aveva apparecchiato in giardino. Posò il vassoio della colazione sul tavolo e sedette di fronte a Giuda, senza smettere di fissarlo con un sorrisetto enigmatico stampato in viso. Lui aveva notato che negli ultimi giorni sua moglie aveva qualcosa di diverso nello sguardo, come una luce particolare che brillava sul fondo dei suoi grandi occhi scuri, ma non era riuscito a spiegarsene il motivo.

«Che fai, non mangi?» lo stuzzicò lei divertita, vedendolo perplesso, lui si scosse. «Ho deciso che finché non mi dici che cos’hai, non mi muoverò da qui. Quindi stamani arriverò tardi al lavoro e mi prenderò un bel rimprovero... e sappi che sarà soltanto colpa tua!» replicò puntandole contro un dito, ma non riuscì a sembrare serio quanto avrebbe voluto. Lei continuò a sorridere divertita senza rispondere, mentre un vento leggero le scompigliava i lunghi capelli lisci dal colore dell’ebano. Jodie li raggiunse correndo e saltò in braccio a sua madre.

«Allora, glielo diciamo?» le chiese.

«Ma si, dai» rispose Nicole lanciandole un’occhiata complice «è ora che lo sappia anche lui!»

«Che cosa dovete dirmi?» fece allora lui dimenandosi sulla sedia, sempre più impaziente.

La bambina si staccò da sua madre e gli si avvicinò lentamente, per tenerlo ancora un po’ sulla corda.

«Avrò un fratellino» gli sussurrò all’orecchio. Per un attimo lui ebbe la sensazione che il tempo si fosse fermato, cercò conferma nello sguardo di Nicole perché non era sicuro di aver capito bene. Lei annuì convinta e lui si fece improvvisamente assorto, abbassò la testa e cominciò a mangiare, senza scomporsi. Al termine della colazione, Jodie e Nicole sparecchiarono e rientrarono in casa, Giuda oscurò tutte le finestre e le raggiunse in salotto. Soltanto allora poterono finalmente lasciarsi andare alla loro esplosione di gioia, al riparo da sguardi indiscreti e stando attenti a non fare troppo baccano. Infatti, nell’anno 2178, chi manifestava troppo apertamente le proprie emozioni non era visto di buon occhio.

Giuda era impiegato come cronista presso il piccolo Quotidiano locale, era uno di quei giornalisti che vanno in giro negli orari e nei posti più strani in cerca di notizie sensazionali. Sapeva bene che la sua attività non era emozionante come quella dei suoi antichi colleghi, ma quel lavoro gli piaceva molto. Le lunghe veglie notturne e gli appostamenti non esistevano più perché ogni evento era vissuto in tempo reale, ma lui era convinto che, impegnandosi a fondo, sarebbe sempre riuscito a trovare il modo di scrivere un buon articolo. Lungo il tragitto si fermò a comprare un paio di bottiglie “di quello buono”, per condividere con i colleghi quella fantastica novità, ma anche là i festeggiamenti si limitarono a un brindisi quieto e a qualche fredda stretta di mano.

La sera stessa, per festeggiare l’evento, Giuda prenotò un tavolo in un ristorante di alto livello. Nicole si mostrò entusiasta di quelle pietanze a base di pesce, in particolare le piacquero molto le primizie servite per contorno, coltivate sul fondo del Mar Mediterraneo. Ebbri per l’euforia esaltata dal vino azzurrognolo, frizzante e leggermente salato, si lasciarono andare a tutta una serie di progetti sul bambino. Si dissero che sarebbe stato bello, forte, intelligente. Forse un artista, o addirittura uno scienziato. Per chiudere la serata in bellezza si recarono al Cinema Totale, dove vissero da protagonisti una Storia Interattiva. Tornati a casa trascorsero il resto della notte facendo l’amore, ubriachi di felicità, finché si addormentarono stretti stretti.

Poco dopo la quotidianità riprese il sopravvento, le settimane successive trascorsero serenamente tra le gite in barca e lo sport, il lavoro di Giuda e le mostre di Pittura Dinamica di Nicole, che in quel genere di rappresentazioni artistiche era la migliore. La sua pancia continuava a crescere e lui trascorreva ore a guardarla e carezzarla, a parlarle, oppure semplicemente ad ascoltarla come se ogni volta fosse la prima. Talvolta, durante la preparazione della camera del bambino, si incantavano a fissarsi negli occhi perdendosi l’uno nell’altra, fino a sentirsi una cosa sola.

Il foglio uscì dalla stampante accompagnato da un breve ronzio, dopo un salto di pochi centimetri andò a depositarsi dolcemente nel raccoglitore. Il dottor Lorentz spense le apparecchiature e lo raccolse, quindi esaminò i dati con estrema attenzione.

«Non ha niente da temere signora, tutto sta procedendo per il meglio. I parametri sono tutti nella norma, ma non solo: dall’analisi del Patrimonio Genetico si intuisce che suo figlio, oltre a essere praticamente perfetto dal punto di vista biologico, sarà dotato di eccellenti qualità intellettive e morali.»

Il dottore era piuttosto basso e corpulento, aveva il viso butterato e le labbra carnose come quelle di una donna. I suoi occhi piccoli e vicini, sfuggenti come se guardasse sempre altrove, ricordarono a Nicole quelli di un topo. Lei vinse una specie di ripugnanza e lo ricompensò con un sorriso stupendo, stringendogli la mano, poi lasciò l’ambulatorio. Il dottore si assicurò che la sala d’attesa fosse deserta, poi rientrò in studio e digitò la combinazione sul pannello posto a fianco al battente. La porta si chiuse e andò in blocco, lui raggiunse la scrivania e premette un pulsante nascosto sotto un fermacarte di marmo. Uno specchio alto due metri scorse lateralmente lungo una guida nel pavimento, aprendo la vista ad una piccola stanza nascosta. All’interno c’era un uomo affacciato alla finestra, aveva le mani giunte dietro la schiena e stava osservando Nicole che si allontanava per strada. Passo dopo passo lei divenne una macchia di colore sempre più piccola, fino a confondersi nel sonnacchioso traffico cittadino. L’uomo si voltò lentamente a scrutare il dottore, esprimendo coi suoi occhi dal colore del ghiaccio una richiesta muta ma ben precisa.

«Avete potuto vedere voi stesso Eccellenza!» rispose soddisfatto. «Fisicamente incarna la perfezione, inoltre conoscete i suoi dati biomorali meglio di me. E’ senza ombra di dubbio uno dei migliori esemplari, se non il migliore in assoluto, tra tutti quelli che abbiamo esaminato. Le sue qualità sono meravigliosamente elevate sia sotto il punto di vista intellettivo che sotto quelli morale, caratteriali ed estetico» precisò.

Sir Jonathan annuì gravemente e si sistemò nervosamente la zazzera di capelli bianchi, candidi e luminosi come neve, facendosi pensoso. Aveva studiato personalmente i rapporti su tutti gli esemplari studiati e le sue conclusioni collimavano perfettamente con quelle del Dottor Lorentz, ma lui voleva un’ulteriore quanto inutile conferma.

«E’ proprio sicuro che quella donna sia adatta allo scopo? Preferirei non illudermi vanamente, piuttosto che ritrovarmi in mano un pugno di mosche quando saremo giunti ad una fase troppo avanzata del Progetto. A quel punto non sarebbe più possibile cambiare obiettivo» gli spiegò ancora una volta. Per tutta risposta, l’altro si limitò a sorridere compiaciuto. L’Anziano ricongiunse le mani dietro la schiena, poi calò il mento sul petto e restò assorto per qualche istante in meditazione. Poteva finalmente raccogliere i primi frutti dei lunghi anni del suo lavoro, anni trascorsi a preparare quell’impresa che rappresentava l’unico scopo di tutta la sua vita. Aveva immaginato migliaia di volte di vivere quel momento, aveva sempre pensato che quella stupenda notizia sarebbe scesa nel profondo del suo animo fino a toccare le sue corde più nascoste, emozionandolo.

«Bene! E’ il tassello che ci mancava» commentò invece semplicemente, meravigliando persino sé stesso della propria freddezza. Era come se quella piccola grande vittoria fosse stata la cosa più naturale del mondo, come se avesse saputo da sempre che prima o poi quel momento sarebbe arrivato, ma la consapevolezza che gli ostacoli da superare erano ancora molti gli impedì di goderselo come avrebbe voluto. Sapeva che per molto tempo ancora avrebbe dovuto spendere tutte le proprie energie nel conseguimento del suo obiettivo, senza mai distrarsi né abbassare la guardia.

«A breve comincerà finalmente la fase conclusiva del Progetto Cielo» informò il dottore.

«Penso che convincere la donna non sarà facile» azzardò questi, timidamente. Sapeva bene quanto l’Anziano fosse potente e suscettibile, aveva scelto le parole con cura perché non intendeva assolutamente contrariarlo.

«Sarà molto più semplice di quanto pensa. In fondo, le offriremo qualcosa di grandioso in cambio di un piccolissimo sacrificio.»

Il dottore rimarcò i suoi dubbi con uno sguardo perplesso, allora un lampo di determinazione balenò negli occhi di Sir Jonathan, rendendoli se possibile ancora più vivaci.

«Accetterà, in un modo o in un altro!» tagliò corto.

I tre Signori dell’Ordine, fasciati nelle loro uniformi aderenti, erano sfrecciati fuori dal parcheggio ridendo e scherzando come se stessero andando a una festa. I fari dell’auto si riflettevano sull’asfalto lucido, reso scivoloso dalla pioggerellina uggiosa.

«Un’altra giornata di caccia, eh?» fece l’autista.

«Già» rispose distrattamente il Capopattuglia seduto al suo fianco, continuando a lucidare il distintivo. «E vorrei che stavolta fosse davvero l’ultima!» aggiunse dopo averlo controllato in controluce, per assicurarsi che non vi fossero aloni.

«Quand’è che la smetterai di torturare quella povera patacca?» lo canzonò Nick sporgendosi verso di lui dal sedile posteriore.

«Quando anche la tua patacca sarà d’oro come questa,» replicò Joe piazzandogli il distintivo sotto il naso, affinché lo potesse ammirare, «e ti mancheranno sei giorni alla pensione come a me, vedrai che la torturerai pure tu. Annusala, senti come profuma di libertà!»

Fabien, il ragazzo alla guida, aveva il corpo esile e nervoso. Le spalle strette sorreggevano la testa perfettamente rotonda, sulla quale spuntava in modo abbastanza evidente il naso a patata. Le sue lunghe braccia tenevano saldamente il volante, gli occhi verdi leggermente sporgenti scrutavano attentamente ogni centimetro di strada.

«Peccato che anche stavolta si risolverà tutto con un nulla di fatto. Sarei proprio curioso di vedere dal vivo gli effetti devastanti di questo aggeggio, anziché nelle stupide simulazioni del corso» disse portandosi una mano all’arma che teneva agganciata alla cintura. «Ma purtroppo, o forse per fortuna, non ne avremo mai l’occasione» concluse, mimando con il pollice e l’indice della mano destra il gesto di far fuoco contro un bersaglio immaginario.

«E’ proprio così» convenne Joe con l’aria di chi la sa lunga, «anche questa volta il cattivo di turno, dopo averci insultati e tenuti sulla corda per un paio d’ore, uscirà frignando e strisciando. Nessuno si farà un graffio e la gente applaudirà soddisfatta, perché anche stavolta il Bene avrò trionfato. Torneranno tutti quanti a casa felici e contenti tranne noi, che continueremo a imprecare perché ci saremo persi la finale dei Bulls. E come se tutto questo non bastasse, stasera avrei dovuto festeggiare il sessantesimo anniversario di matrimonio e tanto per cambiare arriverò in ritardo. Anche quest’anno mia moglie mi griderà in faccia che amo il mio lavoro più di quanto non ami lei, e come al solito lo farà minacciandomi con il suo mattarello.»

«Ehy tu, rallenta o ci beccheremo una bella multa per eccesso di velocità» ordinò Nick a Fabien scherzando, nell’intento di sdrammatizzare. Malgrado tutte le loro sicurezze, avvicinandosi al luogo dell’intervento stavano cominciando a percepire una certa tensione. I tre risero di gusto mettendoci la giusta quantità di nervi, poi il ragazzo prese il microfono della radio e se lo portò alla bocca con gesti misurati, esibendosi nella parodia del personaggio di un film vecchio di quasi duecento anni. Nick e Joe risero di nuovo.

«Qui pattuglia numero Sette. Siamo quasi sul posto, ci sono novità?»

«Qui base operativa. Nessuna novità, il tipo se ne sta comodamente barricato nell’appartamento. Non sembra pericoloso, ma le Guardie Semplici non sono riuscite a convincerlo a uscire.»

«Bene, gli faremo cambiare idea noi!» disse Fabien accendendo i lampeggianti e le sirene, poi schiacciò l’acceleratore con decisione.

«Chissà perché tutti quelli che rifiutano di sottoporsi al Trattamento sono residenti nel Quarto Quadrante» si chiese Nick a voce alta tenendosi saldamente alla maniglia.

«Una volta, là c’era una centrale nucleare. Sarà colpa dell’aria o delle radiazioni, o di qualcosa del genere» ipotizzò il Capopattuglia mentre passava di nuovo il fazzoletto sul piccolo disco d’oro, che continuava ad appannarsi a causa dell’umidità. Una piccola folla osservò ammirata l’arrivo dell’auto e il plateale testacoda col quale il ragazzo parcheggiò sul prato davanti alla casa, alzando un’onda di fango. Occhi avidi fissavano quasi ipnotizzati la luce che piroettava su sé stessa, lanciando lampi azzurri e rossi a squarciare il velo nebuloso della sera. Gli spettatori, consapevoli che la fortuna di assistere a uno spettacolo simile poteva capitare una sola volta nella vita, erano ben decisi a gustarselo fino in fondo.

«Bene, tocca a noi» annunciò in tono grave Joe, dopo essersi lisciato i baffoni banchi da tricheco. «Posate le armi nel bagagliaio» aggiunse apprestandosi a uscire dall’auto.

«Vuoi andare disarmato? Potrebbe essere pericoloso...» protestò Nick, sorpreso dalla sua decisione.

«Ma quale pericoloso! Quel povero diavolo è atterrito, non l’hai visto come ci guardava dalla finestra?»

«E’ proprio per questo, che potrebbe commettere qualche sciocchezza» obiettò Fabien.

«La vista delle armi è sempre stata un ottimo deterrente» provò ad insistere Nick.

«Adesso basta, vi ho detto di posare le armi!» ordinò loro Joe guardandoli storto, odiava essere contraddetto.

Chiuse il bagagliaio e si avviò con passo risoluto verso la casa, Fabien ammirò il suo saper smettere di essere uomo per trasformarsi in poliziotto nel volgere di un solo attimo. Le Guardie Semplici che stavano sorvegliando la villetta rivolsero loro il saluto formale, dopodiché passarono le consegne e andarono a rafforzare il cordone destinato a tenere a distanza di sicurezza la folla. Joe fece cenno a Fabien di fermarsi lì, a metà strada, poi diresse verso l’ingresso, seguito da Nick.

«C’è qualcuno?» esordì bussando alla porta mentre gli altri due sorridevano nuovamente.

La porta ruotò di un poco sui cardini e uno spiraglio di luce si insinuò nell’oscurità, accompagnato da un cigolio. L’uomo oltre la porta scrutò Joe senza battere ciglio, aveva la fronte imperlata di sudore e le vene del collo gonfie, a causa della tensione.

«Voglio parlare con un giornalista» annunciò con voce stridula.

«Avanti amico,» tagliò corto Joe, «falla finita! Abbiamo tutti quanti i nostri problemi, ma questo non ci dà il diritto di creare il panico tra i cittadini. Stasera si gioca la partita dell’anno e noi non vogliamo perdercela. E poi, arrenderti ora o fra tre ore che differenza ti fa? Tanto lo sai che cederai comunque.»

«Ho detto che voglio parlare con un giornalista!» si ostinò l’altro.

Joe stava già cominciando a perdere la pazienza, ma l’idea di usare la forza contro quell’uomo gli dispiaceva. Si disse che probabilmente si trattava soltanto di un povero diavolo, che si stava comportando in quel modo perché aveva perduto tutto ciò che aveva. Fece per replicare in tono più

deciso, ma quando i loro sguardi si incontrarono nuovamente trasalì. Negli occhi piccoli e sfuggenti dell’altro non aveva letto paura o disperazione, soltanto una lucida e fredda determinazione. Subito dopo, il secco scatto metallico di una sicura lo informò che quell’uomo gli stava puntando contro un’arma da dietro la porta. Joe sentì il sangue gelarsi nelle vene, si chiese come poteva essersela procurato, dal momento che i cittadini non avevano accesso agli strumenti tecnologici di offesa.

«Non fare sciocchezze, come vedi io e il mio collega siamo venuti disarmati. Possiamo parlarne, se vuoi» si affrettò a dire in tono benevolo per guadagnare tempo e razionalizzare la nuova situazione, intanto, con un cenno della mano, aveva ordinato a Fabien di andare a recuperare la dotazione da combattimento. Dopo aver udito lo scatto della sicura, l’orecchio esperto di Joe aveva riconosciuto il tipico ronzio d’innesco della microturbina. Aveva capito che a tenerlo sotto tiro era una pistola laser tra le più potenti, capace di trapassare ogni tipo di materiale senza alcuno sforzo né pericolose rifrazioni. Si domandò di nuovo come quell’uomo potesse essersela procurata, colto da un’intuizione abbassò gli occhi e vide la macchia di sangue, che si stava rapidamente allargando sulla soglia in marmo.

«Si è tolto il chip!» esclamò tra sé realizzando che oltre la porta c’era un uomo pronto a tutto. Con un balzo felino, incredibilmente agile per una persona della sua età e della sua mole, Joe si buttò addosso a Nick. Il corrimano che accompagnava il pergolato si spezzò e loro caddero giù da una specie di balconcino. Durante la caduta, Joe aveva già stabilito quale sarebbe stata la mossa successiva. La porta si era richiusa, lui era sicuro che l’uomo asserragliato in casa stava cercando di inventarsi una strategia. Non avendo dimestichezza con situazioni simili avrebbe però impiegato qualche secondo di troppo per prendere una qualsiasi decisione, quei pochi attimi divennero improvvisamente i più preziosi di tutta l’esistenza di Joe. Li avrebbe sfruttati per risalire velocemente i tre scalini e abbattere la porta con una possente spallata, l’altro sarebbe caduto all’indietro perdendo l’arma e loro ne avrebbero approfittato per arrestarlo. Sarebbe davvero una gran bella mossa, l’ultima eroica impresa prima di andare in pensione con tutti gli onori. Forse mi daranno addirittura una medaglia d’oro, per aver evitato una strage, si disse. Aveva già vissuto la scena decine di volte con la mente, ma quando capì che le sue gambe rifiutavano di obbedirgli si rese conto di trovarsi ancora disteso al suolo. No, non ancora. Di nuovo! E stavolta aveva gli occhi sbarrati in un’espressione ebete. I baffi sporchi di sangue incorniciavano la bocca spalancata, ormai incapace di sfogare il grido che gli rimbalzava da una parte all’altra del cervello cercando invano una via d’uscita. Era sorpreso di come non provasse dolore, soltanto una sensazione di disagio a causa della tuta umida che sentiva appiccicata addosso a causa dei suoi stessi umori. E un senso di fastidio nel capire che stava morendo, nell’unico modo in cui aveva sempre pensato che non gli sarebbe mai accaduto. Morire così miseramente, a sei giorni dalla pensione dopo una vita tutto sommato tranquilla. Per di più proprio nel giorno dell’anniversario di matrimonio... che idiota!

Avrebbe voluto resistere, lottare con tutte le sue forze per non soccombere, ma sapeva che sarebbe stato inutile e patetico. Improvvisamente gli tornò a mente il distintivo, guardò verso il proprio petto ma si accorse che i suoi occhi non vedevano più. Allora corse a cercare il dischetto d’oro con la mano, ma questa cadde dentro una voragine che gli parve immensa, gli sembrò che affondasse nei propri stessi polmoni avidi d’aria, a togliergli il respiro già troppo faticoso. “Il mio distintivo” pensò un’ultima volta. Dopo qualche istante, gli spettatori più temerari cominciarono a rialzarsi da terra, con gli occhi sbarrati per la paura e il viso sporco di fango.

In redazione era un giovedì come tanti altri, i giornalisti erano intenti a dare gli ultimi ritocchi alle loro bozze. La serata stava trascorrendo tranquilla come sempre, tra il rumore di fondo delle stampanti e le risa provocate da qualche scherzo o dalla lettura di qualche notizia particolarmente strana.

«Datevi una mossa, entro mezz’ora tutto il materiale deve passare in rotativa!» annunciò il caporedattore.

«Ehy, ma in che anno vivi? Lo sai da quanti decenni non esistono più, le rotative?» lo schernì Daniel, il free lance che si occupava di Sport.

«Che ci posso fare se sono un nostalgico? A me il gergo giornalistico è sempre piaciuto! Anche se viviamo immersi nella tecnologia, quello non ce lo potrà mai togliere nessuno» replicò il caporedattore stringendosi nelle spalle.

« Io non ci scommetterei più di tanto, visti i tempi che corrono... » commentò Daniel.

In quel momento, l’atmosfera all’interno dello stanzone cominciò a farsi caotica. I telefoni presero a squillare ininterrottamente, i fax collegati alle agenzie d’informazione sputavano fuori fogli su fogli, per aggiornarli su un quanto grave fatto di cronaca che si stava svolgendo proprio in quei minuti. Dopo aver scorso velocemente il contenuto del primo foglio, Roxanne gridò con tutta la voce che aveva per riportare il silenzio nella sala.

«Un cittadino del Quarto Quadrante ha rifiutato di sottoporsi all’Ibernazione Transitoria e si è barricato in casa!» annunciò trafelata.

Nello stanzone si levò un vocio leggero dovuto all’intreccio di commenti indifferenti e superficiali.

«Non vedo il motivo di tanta agitazione, non è mica la prima vota che succede! Nessuno accetterebbe di buon grado di starsene rinchiuso in un cilindro di vetro per qualche decennio, ad aspettare un evento che renda possibile il suo reintegro nella comunità. In ogni caso, ogni volta finisce sempre allo stesso modo... alla fine il disubbidiente si arrende sempre» considerò l’esperto di questioni economiche.

«Fate silenzio! Qui c’è scritto che quell’uomo è riuscito a estrarsi il chip e lo ha usato per aprire la cassetta della Dotazione Personale!»

«...vuoi dire che...» fece per chiedere qualcuno, incredulo, ma lei non gliene lasciò il tempo.

«Ha aperto la propria cassetta e ha preso le armi che servirebbero per la difesa dall’eventuale attacco extraterrestre... le ha usate contro i Signori dell’Ordine.»

«Mio Dio!» esclamò il caporedattore.

«Ha ucciso il capopattuglia della Squadra Sette... ha ammazzato come un cane il vecchio Joe...» concluse Roxanne con voce tremante.

Il brusìo cessò di colpo e una sensazione di gelo riempì la redazione, il vecchio Joe era conosciuto da tutti. Adesso i giornalisti fissavano preoccupati la ragazza, in città non si era verificato un caso di omicidio da oltre mezzo secolo e tutti avevano ormai capito che la notizia non era finita lì.

«Vuole essere intervistato da uno di noi» proseguì infatti lei dopo una pausa interminabile. Frederick ebbe un sussulto, la sua espressione si fece cupa e pensierosa al tempo stesso, quasi come se quella notizia lo avesse turbato più del dovuto.

«Vado io» disse scattando in piedi, era un impulsivo e aveva deciso in un lampo. Giuda lo guardò quasi deluso perché il suo amico Fred lo aveva anticipato, le occasioni per scrivere un articolo vero non erano molte e un pensierino ce l’aveva fatto. Be’, sarò più veloce la prossima volta, se mai ce ne sarà una, considerò rassegnato tra sé.

«Mi spiace, ma questo non è possibile» replicò Roxanne guardando Freddy negli occhi, lui la incenerì con lo sguardo. Essere comandato a fare o non fare qualcosa lo mandava letteralmente in bestia, quello era soltanto uno degli aspetti del suo carattere che rendeva difficile stargli vicino. In attimo si era fatto paonazzo per la rabbia, la ragazza se ne accorse e arretrò istintivamente di qualche passo.

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