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Il Dono Del Reietto
Il Dono Del Reietto

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Il Dono Del Reietto

Язык: Итальянский
Год издания: 2019
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Le guardie persero ogni freno inibitorio di serietà impostogli dal ruolo e sbottarono a ridere di gusto; ciò almeno, finché il capitano, ricomponendosi, ordinò: «Jerome porta la biga dall'alchimista e, visto che ti ci trovi, caricaci sopra anche quel goblin testuggine» e trattenendo a stento le risate, aggiunse: «Puoi anche non legarlo, quel cretino l'ha fatto da solo. Arnold va con loro, sarà Sir Mansil a darti nuove istruzioni.»

Jerome, una guardia corpulenta dallo sguardo ottuso, raccolse senza sforzo il barile, lo chiuse e lo issò sul carretto, poi tirò su l'inerme goblin usando la sua cintola come fosse un manico rigido e lo depositò sul carico. Entrarono, quindi, nell’abitato. Arnold, con occhi vigili, si occupava di scortarli impedendo ai curiosi di avvicinarsi troppo.

Djeek osservò con grande curiosità l'interno della città. Vide umani indaffarati per le strade e bambini correre e giocare per le vie: alcuni lo indicavano e lo guardavano con interesse, altri ridevano divertiti, altri ancora correvano allarmati dai genitori, piangendo. Poi, passò in un mercato e, tra tutte le cose che osservò, fu colpito da una grande gabbia di conigli: doveva essere un sogno, tanti roditori inermi pronti a essere presi e divorati con il cuore ancora pulsante. Desiderò di poter entrare in quella gabbia e dare sfogo a tutti i suoi istinti famelici assaggiando un po' qua e un po' là tutto quel tesoro culinario. Vide anche altri animali morti e appesi, ma non avevano la succulenza delle prede vive: che spreco ucciderle prima di assaggiarne il sangue ancora caldo. Ciò che non capiva era, come di fronte a tutto quel ben di Corrupto, gli umani non si azzuffassero per impadronirsi del bottino migliore.

Le abitazioni, seppur di legno, avevano un aspetto solido e rifinito ed erano prive di falle. Le porte e le finestre potevano essere sprangate. La cosa che più lo colpì era che le abitazioni avessero più piani e che stessero comunque in piedi. Per quanto urbanisticamente caotica, per Djeek, quella città aveva un aspetto talmente ordinato e lindo da inquietarlo.

A un certo punto, Jerome portò il carretto ai margini della via, si fermò e, insieme a l'altra guardia, si immobilizzò in una strana posa rigida ed eretta con una mano sulla fronte come per ripararsi dal sole: tutto per permettere il passaggio di una carovana formata da un grosso carro corazzato. Esso era trainato da ben sei palafreni con a seguito una dozzina di cavalieri umani vestiti con armature metalliche sfavillanti e sontuosi mantelli recanti il simbolo dell'Impero.

Quando il convoglio fu passato, Arnold riprese a muoversi dicendo: «Finalmente, questi presuntuosi degli Imperiali lasciano la città.»

«Ben detto! Erano qui da meno di tre giorni e già non ne potevo più della loro supponenza e del loro atteggiarsi: ci trattano come insignificanti guardie provinciali, eppure siamo noi che vigiliamo sui loro confini occidentali e, ogni giorno, teniamo lontane le insidie che vengono dalla Palude.»

«Non ti sarai offeso perché ieri uno di loro ti ha chiamato stupido gorilla?»

«Io offeso! Come ti permetti! E a te, allora, che hanno detto che pesi meno della tua armatura?»

«Su non fare il permaloso! In fondo, se adesso questa città prospera lo dobbiamo soprattutto all'oro che le casse imperiali ci forniscono in cambio della resina miracolosa. E poi, ringrazia che non sia venuto anche l'Imperatore per una battuta di caccia!»

«E già! Mi ricordo tre anni fa! Sono rimasti per ben quattro settimane e le guardie d'elite erano ancora più spocchiose e presuntuose di queste.»

Superato il mercato, Jerome condusse la biga attraverso un'altra porta sorvegliata che, attraversando una cinta muraria, conduceva nella parte più interna della città. Lì le case, seppur lignee, erano molto più grandi e meglio rifinite. Un aspetto in particolare lasciò Djeek interdetto: mentre nelle piccole case della periferia erano ammassate molte persone, i grandi palazzi di quel quartiere erano abitati da pochi umani. Questi ultimi erano vestiti in modo bizzarro con abiti lindi, pieni di fronzoli e ricami la cui utilità gli risultava oscura. Stranezze degli uomini...

La cosa che più lo infastidiva era l'odore nauseabondo, dolciastro e stomachevole dei fiori che infestavano davanzali e balconi con i loro colori vistosi e così diversi dalla bellezza grigiastra dei muschi e delle muffe che crescevano nella sua Grande Palude. Si rese conto di odiare quel quartiere perché era algido e privo di vitalità; non vi era traccia dell'inebriante caos che regnava nella sua terra d'origine... il mercato era senz'altro il posto migliore di Forte di Legno e, all'interno del mercato, il recinto dei conigli.

Arrivarono davanti a un imponente e sontuoso palazzo a ridosso della cinta muraria interna: dal secondo piano dello stesso, partiva un lungo ponte coperto che scavalcava le mura conducendo ad un grosso edificio dai cui comignoli fuoriusciva del vapore. L'odore ricordava quello dei barili di Aliah: doveva essere lo stabilimento per la produzione della vernice ignifuga.

Arnold attraversò il piccolo cortile, salì alcuni gradini e bussò con un bizzarro anello metallico all'enorme porta intarsiata. Poco dopo, venne fuori un umano dentro strani abiti neri e bianchi che lo tenevano imbrigliato in posizione eretta e rigida quasi quanto la sua veste pietrificata facesse con lui. I due si parlarono sottovoce e poi l'uomo dicendo: «Con permesso» rientrò in casa. La guardia attese fuori dalla porta, finché l'altro non uscì di nuovo annunciando: «Signori, il Maestro Aaron Mansil, Alchimista Reale». Venne fuori un uomo magro che portava le braccia dietro la schiena. Egli indossava una ridicola calzamaglia a strisce e un sontuoso corpetto decorato da diversi gioielli. Aveva dei lunghi baffetti le cui punte lambivano guance rossicce e una parrucca bianca con dei grandi boccoli ai lati. «Dov'è?» ringhiò con un ghigno feroce. «Dov'è l'assistente di quella strega millantatrice?»

«Jerome, portagli il goblin» disse Arnold.

La guardia sollevò con un braccio Djeek e lo pose in piedi dinanzi all'alchimista.

«Un goblin?»

«Un goblin.»

«L'altra volta era un ladruncolo cavian, ora ha fatto addirittura di peggio!» Poi, mettendo in mostra il pezzo di trave bruciata che aveva in mano, chiese: «Sai cos'è questo, fetido goblin?»

Djeek, paralizzato dalla paura, fece per balbettare una risposta, ma non aveva ancora aperto bocca quando Mansil gli sferrò una legnata sul naso che mandò in frantumi la piccola spranga. «Non mi interrompere, lurida bestia! È del legno bruciato… sì, bruciato nonostante il preparato della tua padrona! L'altro ieri, abbiamo subito un attacco da parte di un gruppo di briganti provenienti dal Buccaner e, alle prime frecce incendiarie, la sezione Sud-Ovest delle mura ha preso fuoco!» Quindi, tirando con furia assassina l'orecchio appuntito dell'inerme Djeek, urlò: «Hanno preso fuoco! Capisci stupido goblin! Se non trovo una soluzione sono rovinato! Ah, no! Stavolta quella strega non otterrà ciò che vuole... a meno che, non si presenti di persona e risolva la questione. Non si accettano più bizzarri assistenti e, soprattutto, non si accettano piccoli sgorbi puzzolenti!» Rifilò un calcio a Djeek mandandolo a rotolare per le scale come un barile, intrappolato com'era nella sua veste pietrificata. L'ultima cosa che sentì mentre perdeva i sensi fu: «Sbattetelo nelle segrete!»

rg.191.FFF.F1E.8:9-9/06/11522 (Dharta Misathon)

Fiducia.

Procedeva lungo un tunnel profondo. Si inoltrava nelle viscere della terra e l'aria si faceva sempre più rarefatta, tuttavia anziché risentirne sentiva il suo vigore crescere sempre di più. Quando aveva fame, gli bastava staccare del minerale dalle pareti e divorarlo per sentirsi appagato e in forze. Si muoveva e si nutriva in un'estasi di bramoso piacere e, man mano che procedeva, il tunnel sembrava sempre più angusto, o forse era lui che diventava sempre più ingombrante. Ormai, avanzava raschiando contro le pareti di solida roccia che si sbriciolavano al suo passaggio cedendo docilmente all'esuberanza del suo vigore. Benché, ormai, la grotta lo calzasse come un abito e si lasciasse attraversare come burro caldo, decise di crearsi un po' di spazio e roteò su se stesso...

Proprio in quell'istante, Djeek fu svegliato da un rivolo polveroso di minuscoli calcinacci che gli piombarono dal soffitto sul volto. Tossendo, cercò di portare il braccio al volto per pulirsi, ma si accorse che era bloccato a causa della manica pietrificata del suo vestito. Fu allora che riacquistò lucidità e ricordò di essersi rovesciato addosso la polvere alchemica. Con estrema fatica, alzò la testa e vide che, per fortuna, qualcosa aveva seriamente danneggiato la sua veste di pietra che ora risultava incrinata in più punti. Chiamò a raccolta tutte le sue forze e cercò di raggomitolarsi con più strattoni, finché la sua “camicia rigida” cedette crepandosi. Un po' intorpidito, si scrollò di dosso i detriti e si guardò intorno. La stanza era ampia, ma buia: l'unica fonte di luce era fievole e indiretta in quanto proveniente da una minuscola grata. Questa era posta su una porta pesante e putrida che dava su un corridoio nel quale ardeva un piccolo lume. Tuttavia, la vista da goblin gli permetteva di vedere abbastanza distintamente anche in quell'oscurità pressoché totale. L'antro era costruito con grossi blocchi di pietra ricoperti di muschio e il soffitto a cupola era alto almeno quattro volte la sua statura. La stanza aveva una forma circolare e sulle pareti, erano ricavate sei grandi alcove ed egli era in una di esse. Purtroppo, dalla sua posizione poteva constatare solo che l'alcova posta dinanzi a lui fosse vuota, mentre gli era impossibile guardare all'interno delle altre.

Fece per camminare, ma si accorse che aveva una caviglia incatenata al muro. Proprio mentre si toccava la pancia ricordando che era passato molto tempo dall'ultimo pasto, udì vicino a lui un verso di roditore, ma stranamente ritmato. Si guardò intorno e scorse, non lontano da lui, una piccola sagoma simile a quella di un grasso ratto, ma senza coda e dal pelo molto lungo a chiazze bianche e nere. La curiosità per la stranezza della creaturina fu, però, subito annichilita dall'istinto predatorio che lo portò a lanciarsi per afferrarla e ci sarebbe sicuramente riuscito, se la catena non gli avesse ricordato di essere arrivato a fine corsa scaraventandolo a terra. Così, non poté far altro che osservare il piccolo roditore sgattaiolare via, fino a entrare in una delle alcove alla sua sinistra. Djeek si mise a sedere afferrandosi la caviglia dolorante, quando si accorse che, laddove la catena era inchiodata, la parete presentava una grossa crepa: gli bastarono alcuni strattoni per estrarla dal muro.

Finalmente libero, nulla poteva impedirgli di catturare il bizzarro roditore che, nel frattempo, aveva ricominciato beatamente a emettere i suoi strani vocalizzi ritmati. Si acquattò e strisciò accanto alla parete. Arrivato in prossimità dell'alcova, fece un balzo con l'intenzione di chiudergli ogni via di fuga e... emise un urlo di terrore, poi cadde e si ritrasse istintivamente all'indietro strisciando sulle natiche. Si strofinò violentemente gli occhi credendoli impazziti: ciò che aveva davanti a sé erano dei grossi incisivi sporgenti che sbattevano tra loro producendo un ticchettio minaccioso e, dietro a essi, un'enorme testa di roditore facente capo a un corpo peloso, ma… bipede e abbigliato. Che fosse in preda alle allucinazioni? Oppure, il dio dei topi era giunto a divorarlo per vendicarsi di tutte le sue vittime?

«Immonda e alquanto infima creatura delle putride paludi! Ti consiglio con vivo risentimento di lasciar stare la mia piccola Khiki, se non vuoi provare il lancinante e alquanto letale morso dei miei incisivi sulle tue luride carni corrotte!» lo minacciò l'essere con voce acuta, ma dal tono altisonante, quasi teatrale.

«Pa... pa... parla?» balbettò Djeek senza smettere di arretrare.

«Anche tu o quasi, visto che ti odo farfugliar alquanto!»

«No... deve essere qualche intruglio che mi ha somministrato la strega Aliah nel sonno... oppure la botta in testa: devo riposare!»

«Ecco bravo! Tornatene con vile strisciare nel tuo pertugio e cerca di fare in modo che le ombre ottenebrino al mio sguardo il tuo ghigno alquanto sgradevole!» Poi, con affetto si rivolse al piccolo roditore dal pelo lungo a ciuffi. «Vieni Khiki. Se stai con me, non corri alcun pericolo: quel tipo può essere alquanto pericoloso per la tua incolumità.»

Di risposta, l'animaletto emettendo fischi di entusiasmo gli salì sulla mano e, procedendo per braccio, gli si pose sulla spalla. In segno di affetto prese a leccargli delicatamente la nuca.

Il grosso roditore parlante si alzò dimostrandosi di oltre un palmo più alto di lui, all'incirca quanto un goblin adulto. Poi, camminò fino al limite consentitogli dalla catena e si rivolse nuovamente a Djeek, stavolta con voce meno minacciosa. «Sei stato fortunato: la piccola nonché misteriosa scossa sismica di poco fa, a quanto pare, ha crepato la roccia da cui eri coercizzato permettendoti di liberarti con facili manovre anche se goffe alquanto.»

«...» rispose, o meglio non rispose Djeek la cui mente faticava a concepire che potesse instaurare un dialogo con quello che aveva la parvenza e l'odore del suo pasto usuale anche se in formato gigante.

«Dobbiamo essere lesti nel cogliere l'occasione ghiotta ed escogitare un valido piano di fuga che ci permetta di menar le nostre stanche e alquanto provate membra sotto la volta celeste» continuò lo strano essere.

«... ehm... uhm...» cercò di ribattere il goblin ancora in stato di shock confusionale.

«Ti sembro alquanto bizzarro, vero? Non hai mai visto un cavian? A Granpatria, da dove vengo io, mi conoscono come Messer Girolamo Zopito Alexandre der Bartolommei IV, ma qui nell'Impero gli umani solgono chiamarmi, alquanto villanamente, Giro. E questa è Khiki cioè il mio inseparabile famiglio: mi è stato regalato per la maggiore età. La sua specie in Arsantis è classificata volgarmente come porcellino dei cavian, per noi invece è un tesorino di Givedon: il supremo e alquanto prezioso dono che il grande Dio della Generosità ci fece quando la nostra civiltà conosceva i suoi albori. Un regalo per rinfrancare i nostri cuori negli inevitabili e bui momenti tristi che, ahimè, infestano la vita di ogni essere senziente.»

«...Giro... IV… Khiki... famiglio?»

«Non è gentile per non dire alquanto scortese, che tu non abbia ancora adempiuto al tuo dovere di presentarti, non pensi che non sia più rinviabile il momento di farlo?»

«Ehm... Djeek a Grande Palude. Fetido Goblin qui nell'Impero...credo.»

La risposta fece ridere il cavian con un suono molto simile allo squittio del suo roditore. «Il primo nome mi sembra migliore e userò quello, per quanto il secondo mi appaia calzarti alquanto.»

Alla risata di Giro, fece eco quella asmatica di un uomo che finì per tossire nello sforzo. Djeek, che non si era accorto di lui, trasalì, ma poi si rassicurò nel vederlo incatenato. L'umano indossava un lurido abito bianco lacerato e il corpo slanciato era martoriato da numerose tumefazioni. Il volto era ricoperto da una ricrescita lordata da sangue raggrumato; la testa era pelata, mentre il colore appena brizzolato della barba, ne rivelava l'età matura, ma non ancora avanzata. Aveva diverse cicatrici, ma la più vistosa era sul collo.

«Devo dire che hanno messo su un bel teatrino per intrattenere i prigionieri: un cavian che socializza con goblin» disse prima ricominciare a tossire. Poi, riprese con voce afona. «Un ladruncolo e un razziatore di polli. Voglio proprio vedere che piano sarete in grado di concepire voi due!»

Djeek stentò a rispondergli: non riusciva a capire se le parole rivoltegli erano un insulto o una lode. Razziatore, d'altra parte, suonava come complimento. Giro, invece, intese perfettamente e impettito, replicò: «Per tua solerte e alquanto necessaria informazione, Girolamo Zopito Alexandre der Bartolommei IV non è un ladruncolo, ma un mastro scassinatore, infiltratore discretissimo, storico nonché esperto senza eguali di cimeli rari, gran musico di corte e alquanto abile schermidore. Mi preme metterti al corrente dei miei nobili natali e che la mia antica e onorata casata può annoverare nella Confederazione di Granpatria ben tre Granmaestri dei Doni. Inoltre, se riuscirò nella mia missione ardita, anche la mia persona potrà rivestire questa venerabile carica! Bada a come favelli, bandito da strapazzo e ringrazia il tuo dio, se ce l'hai, che non ho con me il mio fioretto che in mano mia è arma alquanto letale.»

«A quanto pare, ho alquanto urtato la tua sensibilità, ladruncolo alquanto permaloso. Meglio essere alquanto miserabile tra gli uomini che un nobile tra i topi di fogn... argh!»

Non fece in tempo a ribattere che Giro, con rapida e furente determinazione, gli lanciò la scodella della razione d'acqua colpendolo sul naso, laddove era presente già una grossa tumefazione. Khiki, nel frattempo, si era lanciata giù dal padrone per andarsi a nascondere in un angolo buio. «Sei un umano alquanto ostile e scostante: sei riuscito a lordare i miei flemmatici modi con i fumi dell'ira che in me hai indotto. Onta su di me! Ti aborro per avermi spinto a un gesto così volgare e alquanto inelegante.»

Qualche istante dopo, appena l'uomo si riebbe, la tenue luce che illuminava il corridoio adiacente alla cella si spense, mentre prese ad ardere la schiena del cavian che con un acuto urlo di strazio si rotolò a terra per spegnere le fiamme.

Djeek si divertì molto ad assistere a quella scena vagamente violenta che lo faceva sentire quasi a casa, anche se, d'altra parte, un po' temeva anche per la sua incolumità.

Poi, pensò: “Come avrà fatto a incendiarlo? Non ho visto partire nessun proietto infuocato. Che sia magia simile a quella del mio bastone? Impossibile, non ha con sé nessun oggetto magico.”

«Essere alquanto malevolo e vigliacco!» urlò furente Giro mentre cercava di raggiungere con le mani la zona della schiena, fortunatamente non più grande di un palmo, dove le fiamme avevano lasciato una lieve ustione e il pelo bruciacchiato e fumante. L'odore stimolò l'appetito di Djeek, perché gli ricordava quello dei grandi banchetti rituali: tra il rullo dei tamburi, venivano arrostite in un enorme falò centinaia di prede senza curarsi di scotennarle; poi, nell'euforia generale, decine di femmine venivano montate e altrettante risse scoppiavano con la conseguenza che nel grande fuoco finivano arrostiti anche diversi goblin suscitando divertite risate di giubilo degli altri.

Superata la fase acuta del dolore, il cavian osservò sottovoce: «Ti sei palesato in maniera alquanto inequivocabile, sei un elementalista del fuoco.»

«Un elementalista del fuoco?» fece eco stupito Djeek ad alta voce.

«Shh! Silenzio idiota! Non voglio che le guardie lo sappiano… il fattore sorpresa può essere fondamentale per la fuga» si allarmò l'uomo.

Quindi, rivolgendosi al cavian, stavolta con tono più complice disse: «Mi dispiace per quello che ti ho detto prima e anche per quello che ti ho fatto, ma tu mi hai colpito e io, Fargon dell'Isola del Fuoco pareggio sempre i conti... sempre!»

«Allora, volendo ragionare a norma delle tue alquanto perentorie regole, siamo pari per quanto riguarda i danni fisici che ci siamo inferti, tuttavia, per quanto riguarda gli insulti che mi hai rivolto, come la mettiamo?»

«Quelli pareggiano il tuo sguardo: ho visto come puntavi i tuoi occhi su di me, mi guardavi come un volgare fuorilegge.»

«Come poteva essere altrimenti? So che facevi parte del manipolo alquanto ardito di predoni che ha cercato di assaltare Forte di Legno e so che cosa avete fatto ai poveri contadini che si sono trovati sul vostro percorso... so cosa avete fatto alle loro mogli e alle loro figlie.»

«Sì, è vero ho preso parte all'assalto! Ma, se puoi credermi, non ho partecipato alle scorribande come dire... accessorie.»

«È, però, alquanto evidente che tu facessi parte di loro comunque!»

«Non con il cuore! Diciamo che quella indegna compagnia di ventura era solo uno strumento per pareggiare un antico conto... un conto che a costo di qualsiasi cosa dovrà essermi saldato.»

«Le tue sono ideologie che ledono alquanto il tuo libero arbitrio e ti rendono schiavo!»

«Tu non sai niente di cosa significhi essere schiavo! Niente!» urlò raucamente. «Nulla potrà distogliermi dal mio proposito di vendetta: l'antico conto sarà saldato, fosse anche l'ultima cosa che farò» aggiunse poi con voce bassa e tremante di rancore.

«Non vorrei che la mia curiosità ti appaia alquanto indiscreta, ma la domanda sorge spontanea: di cosa esattamente ti vuoi vendicare con cotale ardore?»

«Ecco, bravo! La domanda è “alquanto indiscreta”. Nessuno saprà mai di cosa e con chi devo ripianare i conti e vi prego entrambi di non tornare più sull'argomento.»

Detto ciò, l'uomo si sedette a terra e si prese la testa fra le mani incurante del piccolo rivolo di sangue che gli colava giù da una narice a causa dell'attacco del cavian.

Giro, invece, si strappò un lembo di stoffa dal suo abito che un tempo doveva essere stato piuttosto opulento e, rivolgendosi a Djeek con voce gentile, implorò: «Giovane goblin, ti prego di intingere questo panno nella tua scodella d'acqua e di umettarmi l'ustione sulla schiena in quanto non sono in grado di raggiungerla da me medesimo, ché essa mi sta procurando alquanto fastidio. Sappi, sul mio onore di Bartolommei, che se deciderai di aiutarmi con questo piccolo gesto avrai in dono la mia fiducia.»

Djeek non aveva ancora ben assorbito il fatto che un grosso roditore potesse parlare e per giunta in modo così forbito, che si ritrovò nuovamente a confrontarsi con concetti così alieni alla sua percezione delle mondo. “Non capisco. Se io lo aiuto, egli mi farà dono della fiducia che però non è un oggetto e quindi merce tangibile di scambio: che voglia imbrogliarmi? E poi, lo sanno tutti che la fiducia è un qualcosa di negativo: 'mai fidarsi' è il primo insegnamento di cui bisogna far tesoro per sopravvivere. Lui vuole farmi dono della fiducia, ma è un handicap, a cosa serve? O forse, pur di avere sollievo dal dolore, mi vuol far capire che è pronto ad accettare una tale pericolosa situazione su di sé? Deve essere così, accetta su di sé un danno intangibile pur di lenire un dolore tangibile: tuttavia, essere affetti da fiducia penso che sia ben più grave di una piccola ustione. Non mi sembra tanto vantaggioso per lui lo scambio che mi propone: è un tipo fiero, ma non scaltro. Fossi in lui, non proporrei uno scambio del genere... oppure sta cercando di confondermi: mi propone un qualcosa di immateriale che non potrò accertare, almeno non immediatamente. Eppure, la sua proposta mi lusinga, non so perché, mi fa sentire un po' più considerato, è un qualcosa che sento di aver già provato quando il piccolo Zadza ha deciso di seguirmi... di affidarsi a me... di fidarsi di me...”. La concentrazione che gli fu necessaria per rimettere insieme i concetti lo fece apparire imbambolato e assente, finché la voce roca dell'uomo non lo riportò alla realtà.

«Ehi, cavian! Hai usato più di tre parole con quell'acefalo e lo sforzo per capirti gli hai mandato in pappa il cervello. Incredibile! Mai visto un goblin così rimbambito!» la frase gli si strozzò tra le risate.

«Accetto!» sbottò improvvisamente Djeek come se per parlare avesse dovuto sfondare una diga.

«Grazie, gentile Signore. Ero alquanto fiducioso che lo avresti fatto» rispose Giro.

Djeek, raccolse la sua ciotola e cominciò a intingervi il panno per poi, con estremo imbarazzo, poggiarlo sull'ustione. Mentre lo faceva, la piccola Khiki uscì dal suo nascondiglio e gli si avvicinò a portata di mano. “Mi basterebbe lasciar cadere la ciotola per far secco quel bocconcino”: per un attimo quel pensiero balenò nel suo sguardo e ciò non sfuggì al cavian che prontamente sbottò con tono a stento controllato: «Hai ottenuto la mia fiducia! Non vorrai tradirmi per un misero boccone? Ti ripeto che per me Khiki è alquanto cara e sono pronto a uccidere chiunque le faccia del male. Fosse anche l'Imperatore in persona.»

Djeek pensò al legame che in così poco tempo anch'egli aveva stabilito con Zadza. Constatò l'importanza che quel lupacchiotto aveva assunto nel suo cuore e, finalmente, comprese anche cosa significasse avere un famiglio: provò vergogna per ciò che aveva pensato di fare e, contravvenendo a un'altra importante regola del goblin che vuole essere rispettato, disse: «Scusa...»

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