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Il Dono Del Reietto
Il Dono Del Reietto

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Il Dono Del Reietto

Язык: Итальянский
Год издания: 2019
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La nostra natura era limpida e inalterabile, nessuna malattia poteva deturparci, nulla poteva scalfire la nostra purezza, neanche il tempo poteva influire sulla nostra eterna giovinezza. Eravamo una stirpe forte e dotata di profonde conoscenze scientifiche e alchemiche grazie alle quali iniziammo un'opera di purificazione: le paludi divennero splendidi laghi; le foreste oscure, allegri boschetti; i corvi, meravigliosi uccelli; rendemmo innocui gran parte dei serpenti velenosi. Eravamo una società potente e destinata a espandersi lentamente, ma inesorabilmente. Corrupto pose il suo occhio malevolo su di noi e, purtroppo, egli conosceva il nostro punto debole: eravamo puri in tutto, anche nel nostro pensare e agire. Non eravamo avvezzi ai sotterfugi e proprio l'assenza di malizia fu la nostra condanna.

Non sappiamo come avvenne, ma in qualche modo Corrupto o un suo servo in grado di farlo, riuscì a entrare nei sogni della Grande Sacerdotessa Violette, una dei Sette figli diretti del Grande Cigno. Spacciandosi per la Dea le dettò la formula che avrebbe permesso alla nostra specie di sopperire alla scarsa prolificità dovuta al fatto che eravamo semi-alieni in questo mondo. Io ero una sua giovane assistente. Con grandi aspettative preparammo l'intruglio e, come era nostra prassi, lo provammo prima su noi stesse e sui nostri compagni: funzionava! Ci sentivamo più energici e sentimmo avvampare il desiderio di accoppiarci. Dalle analisi, le nostre uova risultarono subito fecondate. Tutti i componenti dello stormo ne bevvero e tutte le femmine deposero uova fertili. Festeggiammo per giorni sognando una grande progenie in grado di purificare in breve tempo tutta Xantis... La progenie effettivamente fu numerosa, tuttavia le cose non andarono esattamente come avevamo immaginato.» Aliah proferì quest'ultima frase con una malcelata vena di sarcastica amarezza. Si alzò, guardò il suo corpo deturpato e, ridendo istericamente, si strappò alcune piume nere da una spalla e le lanciò via con ribrezzo. Dopo qualche istante, riprese: «La Gran Sacerdotessa e noi apprendiste fummo le prime a utilizzare la pozione, l'Inganno di Corrupto, e le nostre uova furono le prime a schiudersi. Ricordo ancora perfettamente la gioia che provai quando vidi le fratture increspare la superficie delle mie tre: per me, sarebbe stata la prima nidiata e rimembro altrettanto bene l'orrore che provai quando vidi gli abomini che ne vennero fuori. I miei figli, i miei unici figli erano neri e deformi con becchi adunchi, artigli d'aquila e voci di corvo. Corsi dalla Sacerdotessa per chiedere aiuto, o forse solo conforto. La trovai immobile con lo sguardo perso nel vuoto: sotto di lei, sette esserini informi, simili ai miei. Nel giro di poche ore, anche le altre consorelle accorsero e tutte si straziavano per lo stesso motivo. Piangemmo, ci disperammo e, insolitamente per la nostra razza, avemmo spunti di aggressione reciproca, ma alla fine, trovammo la forza di reagire. La Sacerdotessa ordinò ad alcune consorelle di volare tra i nidi della nostra comunità e avvertire tutti dell'accaduto, mentre io rimasi con lei per assisterla nella ricerca per la produzione di un antidoto. Passammo diverse notti insonni per trovare una soluzione alchemica, ma come mai era sino ad allora avvenuto, persino l'infallibile Violette faticava a trovarne una veramente efficace. La somministrazione non aveva alcun effetto evidente sui piccoli abomini, tuttavia su di noi, effettivamente, sembrava lenire quello strano senso di inquietudine violenta che si era manifestata. Fu proprio la somministrazione su noi stesse che ci fece compiere un altro errore di valutazione: non ci fece capire quello che stava avvenendo fuori. Erano passati dieci giorni quando, da una finestra, piombò nel laboratorio un mostruoso essere con piume quasi tutte nere. Alzò lo sguardo e, a stento, riconoscemmo in lei Laviah, una consorella. Questa, con un immane sforzo di autocontrollo, ci raccontò che tutti avevano cominciato a trasformarsi nel corpo e nello spirito e che ora regnavano solo morte e caos. Ci disse di fuggire e poi, si tolse la vita recidendosi la gola: lo fece per non uccidere noi. La Sacerdotessa raccolse in una sacca gli ingredienti più importanti, un paio di libri e gli appunti di quanto fino ad allora scoperto. Insieme, spiccammo il volo per fuggire. Mi voltai e vidi per l'ultima volta la Torre di Cristallo, alta fin sopra le nuvole, maestosa e splendente con le sue grandi guglie e i fieri archi che rifrangevano la luce nei colori dell'arcobaleno. Dopo poco tempo, fummo intercettate da uno stormo di centinaia creature simili a Laviah: non più cignani, ma arpie. Violette capì che non era più possibile fuggire e l'unico modo per dare una speranza alla nostra specie era quello di affidarmi i suoi appunti e coprire la mia fuga. Certo, sarebbe stato meglio il contrario, visto che io non ero ancora una vera alchimista; d'altra parte, però, solo lei era in grado di fronteggiare tanti avversari. La Sacerdotessa si fermò in volo per affrontarli e, nell'allontanarmi, udii il suo canto come un lamento rivolto alla Dea. Poco dopo piovve, piovve l'acqua purificatrice di Limpa e quando, ormai lontana, mi voltai, vidi un'enorme spirale nera fatta di arpie convergere verso un unico punto luminoso nel cielo e tante creature abominevoli precipitare intorno ad esso in preda agli spasmi provocati da quella pioggia che per loro era letale. Ero ormai lontana diverse miglia, quando il punto bianco smise di brillare nel cielo.

Da allora, mi prodigo in una vita da esule e sempre da allora, conduco incessantemente le mie ricerche per ottenere un antidoto efficace. Forse Violette avrebbe trovato una soluzione nel giro di alcune settimane, mentre io, in millenni, sono solo riuscita solo a rallentare la trasformazione, ma come puoi vedere dal mio aspetto, non ad arrestarla né, tanto meno, a farla regredire. Eppure, la mia pozione è molto potente, visto che è risultata efficace sulla tua maledizione. Temo che, finché non avrò superato la maestria con la quale Violette ha miscelato l'Inganno di Corrupto, il mio antidoto non sarà abbastanza efficace. Ma come potrò io superare una dei sette diretti figli del Cigno di Cristallo? E poi, se mai dovessi riuscire nella mia impresa, come farò a somministrarlo alle arpie?» Su quegli interrogativi, quasi dimenticando ciò di cui stava parlando, cominciò a camminare avanti e indietro nella capanna mormorando frasi incomprensibili che esprimevano frammenti di ragionamenti complessi. «Ehm... se il sangue di un puro miscelato con estratto di loto quando la Luna di Cristallo è in congiuntura con la Nebulosa Marcia venisse fatto bollire usando come catalizzatore una piuma di cignano... no, non può funzionare perché l'ossigeno reagirebbe con i residui ferrosi… altrimenti facendo vaporizzare sangue di goblin corrotto e ripristinato....no, no, no!»

Continuò così per alcuni minuti, finché Djeek non decise di intervenire per darle un po' di conforto. «Ehm... Signora. Non prendertela. Mi hai detto che prima assomigliavate a cigni e ora a corvi. Una volta, ho visto un cigno e, se può confortarti, non mi è sembrato un granché, anzi direi proprio che sono meglio i corvi. Secondo me il Grande Corrupto vi ha fatto un favore: ora siete più prolifici e da quel che so, le arpie sono un po' dappertutto e, inoltre, siete diventati anche meno ingenui.» Convinto di averla risollevata, concluse con candida soddisfazione: «Non devi prendertela per qualche piuma nera, in realtà esse ti donano.»

Aliah arrestò immediatamente i suoi ragionamenti e rimase immobile per qualche istante: stentava a credere a quello che aveva appena udito. Poi, scattò di colpo prendendo il goblin per il collo e, facendogli entrare le dita artigliate nella carne, gli urlò in faccia: «Stupida e miserrima creatura di Corrupto! Come puoi prenderti gioco così della madre delle disgrazie, della caduta di un'intera grandiosa stirpe? E io, come potuto confidarmi con un simile abominio?»

Stava quasi per strangolarlo quando, in un lampo di lucidità, si interruppe perché si accorse di qualcosa di anomalo. Lo lasciò e cominciò a riflettere ad alta voce. «I suoi occhi sembravano sinceri quando ha parlato: possibile che non volesse intenzionalmente offendermi? Strano... Vediamo: se io fossi un goblin alla mercé di qualcuno, sicuramente farei di tutto per non provocarlo, striscerei come un verme attendendo con astio il momento giusto per fuggire o vendicarmi. Che razza di goblin sei?»

Djeek fece per risponderle, ma fu subito interrotto: «Taci! Chi ti ha detto che puoi parlare! ...uno scherzo della natura, un goblin ingenuo quanto un cignano, un goblin... puro.» Prese a ridere istericamente. «Sei un vero insulto per Corrupto stesso: un figlio reietto. Penso proprio di lasciarti in vita: sono convinta che la tua esistenza leda l'orgoglio del tuo Dio, almeno quanto la mia misera condizione addolori il cuore di Limpa» concluse.

Per quanto sollevato dalla decisione presa dalla strega, Djeek rimase affranto a causa delle parole da lei pronunciate. Esse, evidentemente, avevano colto nel segno descrivendolo con cruda sintesi proprio per quello che, interiormente, era convinto di essere: una creatura malriuscita di Corrupto e come tale, sentiva di aver meritato tutti i maltrattamenti e gli scherni a cui i suoi simili lo avevano sottoposto. Eppure, il Dono lo aveva comunque aiutato a lenire il dolore della sua piaga: quindi, il suo Dio non lo aveva rinnegato del tutto. Fu in quel momento che si rese conto che anche la ferita al polpaccio era perfettamente guarita e con sorpresa esclamò: «La mia gamba! È come nuova!»

«Ah, sì! Per me è stato facile curarla» continuò la fattucchiera. «Strana ferita quella: in alcuni punti sembrava indurita come dall'incantesimo di pelle di pietra e, nonostante fosse lercia di fango, era incredibilmente quasi priva di infezioni. Se non fosse che tu sei solo un giovane goblin, avrei quasi pensato che fosse stata trattata con il Veleno di Corrupto. So bene, però, che il suo utilizzo è consentito solo alla classe dominante del branco e, quindi, ho subito scartato quest'ipotesi assur...» Si interruppe perché scorse nello sguardo di Djeek che l'ipotesi, così assurda, non era.

«Ho rubato il Dono dal Santuario per salvarmi la vita» confessò il goblin ritenendo che una tale colpa fosse universale e imperdonabile in ogni angolo di Xantis. Poi, nel tentativo di pulirsi la coscienza, continuò: «L'ho danneggiato... Ho danneggiato il Monumento per coprirmi la fuga. Merito di essere punito.»

L'altra sbottò a ridere e, con voce di cornacchia, constatò intenerita: «A quanto pare, non sei solo un reietto del tuo Dio, tuo malgrado sei anche un suo flagello, stolto imbranato! Ad ogni modo, ora torna tutto: ecco perché uno sciamano ha invocato una maledizione così potente contro un insignificante cucciolo. Ecco perché eri inseguito con tanto fervore...» Poi, con un lampo di dolore, aggiunse lentamente: «Ecco perché il mio esperimento non ha funzionato: ero sicura che miscelando il sangue di una creatura innocente come il neonato, con il sangue di una creatura guarita da una maledizione di Corrupto, avrei ottenuto una formula infallibile, ma il tuo sangue era stato contaminato dal siero del Grande Verme e quest'ultimo ha avuto il sopravvento. Che tu sia dannato! Quando ti ho trovato, ho ringraziato Limpa: finalmente avevo l'ingrediente mancante, ma quella stupida ferita e ciò che hai usato per curarla hanno rovinato tutto! Dove lo trovo più, un goblin affetto da una maledizione di senilità?»

Djeek se ne sentì quasi in colpa ed espresse le sue scuse più sincere, scuse che suscitarono l'ilarità della strega. Ridendo di gusto osservò: «Se esiste un goblin che si scusa perché l'essersi salvato la vita abbia inficiato l'esperimento di una persona che appena conosce, vuol dire che nella vita ci si può imbattere nelle cose più bizzarre e, forse, in futuro anche nella soluzione al mio millenario problema. Comunque, almeno ho capito perché non ha funzionato.» Smise di ridere e con una nuova luce nello sguardo, bisbigliò: «Esistono ancora delle speranze.»

rg.191.FFF.F1E.8:8-9/06/11522 (Dharta Misathon)

Forte di Legno.

Djeek si svegliò infastidito dalle prime luci dell'alba che filtravano attraverso le fessure della baracca: i raggi del sole, quella mattina, erano eccezionalmente intensi a testimonianza di una giornata che, purtroppo, si preannunciava inusualmente tersa e priva di nebbia. Aveva dormito pochissimo, un po' perché impegnato a mettere ordine tra tutte le cose che gli erano accadute, un po' perché la strega Aliah aveva preparato intrugli per tutta la notte borbottando frasi disgiunte e incomprensibili nel loro insieme.

Si voltò verso il tavolo su cui era stato deposto il piccolo groppalupo e tirò un sospiro di sollievo nel vederlo respirare flebilmente.

«Non preoccuparti per la bestiola: vivrà. A proposito come si chiama?»

La domanda lo colse di sorpresa: non sapeva che si potessero dare dei nomi anche agli animali. Poi, pensò alla natura fisica particolarmente fragile rispetto ai suoi simili e contemporaneamente ricordò il coraggio con cui si ribellava alle torture infertegli dai goblin e all'audacia con cui si era scagliato contro quegli umani fanatici per difenderlo... «Zadza. Zadza è il suo nome» stabilì.

«La mia domanda era una provocazione: so bene che i goblin non danno nomi agli animali. Eppure, tu hai rotto i rigidi schemi che ti hanno inculcato e in pochi attimi, hai trovato un nome per il tuo cucciolo» rispose l'altra interdetta.

«L'ho chiamato Zadza che significa ape nel mio dialetto, perché è piccoletto, tuttavia pieno di coraggio. L'ape, infatti, quando punge per difendere l'alveare, lo fa pur sapendo che ciò la porterà alla morte certa» spiegò Djeek pensoso.

«So che l'ape è un simbolo sacro per voi goblin: essa ricorda che se Corrupto elargisce un dono, vuole sempre qualcosa in cambio» aggiunse Aliah.

«... E Corrupto donò all'ape una goccia del suo sangue, ma perché ne usufruisse pretese in cambio la vita» citò Djeek attingendo alla memoria tra i canti sacri che segretamente udiva provenire dai rituali che si svolgevano nel Santuario.

La strega interruppe bruscamente la conversazione e avvicinandogli la faccia gli disse con tono fermo e minaccioso: «Bene, ora ti libero e, siccome ho salvato la vita sia a te che alla tua bestiola, voglio anch'io qualcosa in cambio: dovrai svolgere un piccolo servizio per me. Però, non mi fido ancora di te, quindi, terrò con me Zadza e il tuo scadente bastone catalizzatore. Sappi che saranno entrambi spezzati in due se le cose non andranno come ti chiederò!»

Djeek, visibilmente intimorito, non poté fare altro che annuire in obbediente silenzio.

«Allora! Muoviti!» ordinò la strega. «Comincia a trasportare questi barili sul carretto qui fuori e bada che non cadano, nel frattempo ti darò le istruzioni che dovrai eseguire con diligenza.»

Djeek, mestamente, prese a trasportare i barilotti facendoli rotolare fino a una piccola portantina a due ruote e, con un notevole sforzo, li issava sul piano di appoggio.

Nel contempo, Aliah, nell'osservarlo lavorare, cominciò a spiegare: «Per poter condurre i miei esperimenti, ma anche per rallentare l'avanzare della mia mutazione, ho bisogno di un ingrediente fondamentale: il sangue di un innocente attinto da un neonato che, grazie all'alchimia, riesco a tenere in vita anche per diversi mesi prima di sostituirlo. Come hai potuto constatare di persona, quegli stupidi fanatici mi hanno ucciso il poppante e ora ho bisogno di uno nuovo. Ciò che stai caricando è il prezzo che pago per avere in cambio un altro lattante ed è maggiore di quello che elargisco di solito: sia perché la richiesta è improvvisa e urgente, sia perché non posso usufruire dello sconto che ho, quando sono fortunata e riesco a dare indietro quello vecchio ancora vivo.»

Djeek si fermò per riflettere e fece per dire la sua, ma fu subito spronato a riprendere il lavoro. La strega continuò: «Quello che stai caricando è un concentrato di una mia ricetta alchemica segreta, l'Essenza di Roccia. Essa, mischiata in piccole dosi alla mistura che gli umani usano per impermeabilizzare il legno, fa in modo che questo fossilizzi in superficie e diventi più robusto e soprattutto, inattaccabile dalle fiamme. Ora, visto che qui, nel Regno di Faunna, c'è la più estesa e rigogliosa foresta dell'Impero, il legno abbonda e da sempre viene utilizzato per costruire le città ed erigere le mura.»

«Ecco perché la freccia incendiaria che ha colpito la capanna non ha funzionato!» la interruppe Djeek che ansimava, poiché provato sia dalla convalescenza sia dall'eccessiva intensità della luce e del calore di quella brutta giornata di sole.

«Taci e continua a lavorare!» ribatté con rabbia Aliah irritata dall'essere stata interrotta. «Dovrai recarti a Est, nella vicina città di Forte di Legno il cui reggente è il Marchese Melton V Hemminger. Dirai che ti manda la Signora della Palude e dovrai chiedere del Maestro Aaron Mansil, l'alchimista, si fa per dire, di corte. In cambio, sai cosa voglio. Sicuramente, come al solito, non faranno storie per procurarmi un trovatello o un figlio indesiderato per i miei scopi: in fondo se il Marchese ora è più ricco del Re stesso, lo deve proprio alla resina miracolosa che fa produrre nei suoi grandi laboratori utilizzando come ingrediente segreto la mia pozione trasmutante. Tu dovrai riportarmi il pargolo vivo e non farti prendere dalla tentazione di divorarlo, ché da voi goblin ci si può aspettare di tutto.»

«Se mi ammazzano e prendono comunque le merci?» chiese Djeek, niente affatto desideroso di recarsi in una città di umani, se non per compiere una razzia come nei suoi sogni epici di giovane goblin.

«Non ti preoccupare per questo, non lo faranno, ciò che porti, opportunamente diluito, sarà sufficiente per preparare circa diecimila barili di resina che soddisferanno i bisogni costruttivi del Regno al massimo per un semestre. Poi, avranno ancora bisogno di me e, come spesso avviene, saranno loro a venire con un carro per prelevare la merce. A ogni modo, non interrompermi più e continua ad ascoltare! Dovrai seguire una strada del bosco che ho contrassegnato con delle incisioni a forma di teschio sugli alberi. Nei decenni che ho trascorso qui, ho fatto accadere terribili incidenti di origine inspiegabile lungo quel sentiero. Così, ora, tutti nel Marchesato lo considerano maledetto e vi si tengono alla larga: lì, non rischierai di essere aggredito e derubato dai briganti. Ricordati che ogni qualvolta troverai il segnale, dovrai percorrere trenta passi costeggiando il sentiero a sinistra, poi trenta costeggiandolo a destra e poi dovrai tornare nel sentiero fino al segnale successivo. Attieniti scrupolosamente alle mie indicazioni, se non vuoi che capitino anche a te i suddetti incidenti: quindi, occhio ai segnali!»

Djeek finì di caricare il carretto e, sollevandolo per le due lunghe aste apposite, prese a trasportarlo verso Est inoltrandosi nella foresta lungo il sentiero indicatogli. Andava in missione, ma non ricevette alcun saluto se non la minaccia: «Ricordati del tuo bastone e della tua bestiola!»

Effettivamente, Aliah aveva individuato bene le leve giuste per costringerlo a fare ciò che voleva: entrambi erano entrati a far parte della sua vita da poco, ma era come se fossero stati generati con lui. Li sentiva parte di sé, una larga fetta della propria persona. Senza di essi, tornava a essere Djeek, l'insignificante verme. Il bastone gli aveva donato poteri eccezionali che lo rendevano in qualche modo speciale fornendogli una formidabile cura alla sua carenza cronica di autostima. Zadza... Zadza gli era affine nel destino, ma era molto più impavido e, inoltre, aveva dimostrato di essere pronto a dare la vita per lui, quando, fino a quel momento, l'unica cosa che gli altri erano disposti a elargirgli erano solo insulti, umiliazioni e percosse.

«Il Bastone è la mia forza e Zadza il mio coraggio» pensò Djeek ad alta voce. «Sono doti che non ho in me, ma noi tre, insieme, siamo un grande goblin.» Nel calarsi in quei pensieri, aveva completamente dimenticato di concentrarsi sui segnali e quindi, passatone uno senza seguire le indicazioni della Strega, fu bruscamente riportato alla realtà da un'esplosione di fiamme verdi che carbonizzarono all'istante un malcapitato scoiattolo, pochi passi davanti a lui. La lezione gli servì e, per il resto del tragitto, si concentrò sui segni a forma di teschio e fu molto meticoloso nel contare i passi. Il percorso era scosceso, ma le grandi ruote del carretto rivestite di un materiale mai visto, morbido e di colore nero, rendevano agevole il suo trasporto. Così, giunse nei pressi della meta prima del tramonto: era stanco, ma non stremato, anche perché lungo il percorso, aveva razziato diversi nidi di uccelli mangiando uova o piccoli pennuti non ancora pronti per il volo.

Quando fu in vista della città, scorgendone le alte mura di legno, ne rimase impressionato e in un qualche senso intimorito. In quel momento, comprese appieno perché i razziatori si limitassero a saccheggiare solo i piccoli e poveri villaggi, evitando le più ricche e prospere città. Assediare e conquistare una città fortificata non era impresa da poco e, sapendo che le sue mura erano di legno trasmutato e ignifugo, l'impresa appariva pressoché impossibile.

Eppure, c'erano stati tempi in cui le orde dei goblin erano in grado di conquistare e radere al suolo fortezze ben più maestose di quella che gli si prospettava davanti:

«Nessuna fortezza resisteva alle schiere di Corrupto a milioni giungevano e come uno sciame di termiti scalavano mura, attraversavano fossati e aprivano brecce. Cadde Roccathon con le mura alte cinquanta passi; cadde Velatia circondata dalle acque mortali; cadde Aquiladria arroccata sulle alte vette; cadde Artanthia dalle dieci cinte...» recitava Djeek mentre, uscito dal folto della vegetazione, si avvicinava a Forte di Legno.

Quando si approssimò ulteriormente, vide che la grande porta occidentale era aperta: evidentemente, la situazione era abbastanza tranquilla e le scorribande dei pochi goblin rimasti a Grande Palude, da tempo, non interessavano più le città. Sulle mura, garrivano tre grandi bandiere: una con il simbolo di un umano nudo a gambe e braccia spalancate su sfondo bianco, l'altra con un arco e freccia su sfondo verde e quella centrale con un'ampolla sempre su sfondo verde. L'ampolla doveva essere il vessillo del Marchese, visto che, come aveva appreso da Aliah, fondava la sua fortuna sulla produzione della resina per il legno; l'arco e la freccia erano il simbolo del Regno di Faunna, dato che le foreste erano il territorio di caccia prediletto da tutti i nobili del continente, mentre per esclusione, l'umano nudo rappresentava l'Impero, anche se non ne comprendeva bene il significato. A guardia della porta, erano appostate due sentinelle, mentre altre due erano posizionate sulle torrette poste ai due lati dell'accesso. Fu proprio una di queste che scoccò una freccia: essa si andò a conficcare sul legno del carretto in segno di monito.

«Altolà, goblin! Come osi avvicinarti così spavaldamente alla nostra città?»

Djeek, era terrorizzato, gli umani che era uso vedere erano quelli schiavizzati che i razziatori riportavano nudi, incatenati e disarmati. Questi, invece, indossavano una cotta di maglia che copriva anche la testa e su di essa era posta una corazza verde di cuoio indurito recante il simbolo dell'ampolla. Oltre che dell'arco, disponevano di una spada mantenuta tramite un fodero alla cintura e di un coltello da caccia inserito in un'apposita fibbia sul corsetto.

Il goblin, disorientato e un po' inibito, esitò troppo nel dare una risposta e ciò gli costò che un'altra freccia gli passasse sibilando accanto all'orecchio.

«S-so... sono stato inviato dalla Signora della Palude, devo vedere il Maestro Aaron Mansil. Non tirate vi prego!»

«Ah! Quella vecchia strega mostruosa. Sei in anticipo» osservò quello che doveva essere il capitano. «Arnold, va a controllare la merce!» ordinò poi.

«Signor sì. Capitano Marbel!» Una delle guardie al cancello, un tipo magro dall'aspetto astuto, si avvicinò a Djeek con passo al tempo stesso rapido e circospetto. Puntandogli coltello da caccia, gli ordinò: «Apri quel barile in basso a destra!» e, fatti un paio di passi indietro, rimase a guardare arrotolandosi tra le dita uno dei suoi sottili baffetti all'insù.

Djeek, non disponendo di alcun attrezzo per aprire il barile, provo in tutti i modi; tuttavia il coperchio non voleva saperne di venire fuori dall'incastro. Stava per desistere, ma quando vide un'altra freccia conficcarsi nel terreno nei pressi di un suo piede ce la mise tutta: strinse il barile tra le gambe, infilò le dita tra le fessure e tirò con tutta la forza di cui disponeva, sentì anche un unghia spezzarsi, ma continuò. Il coperchio saltò fuori di colpo facendolo ruzzolare a terra e parte del contenuto polveroso gli si versò addosso pietrificando all'istante gran parte della sua veste e anche alcune zone della sua pelle. Provò a rialzarsi, ma il vestito, ormai rigido, gli impediva ogni movimento. Si ritrovò a dimenarsi inerme con la schiena a terra come una tartaruga rovesciata sul dorso.

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