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Conquista Di Mezzanotte
Parlan annuì. “Munro ha chiaramente fatto ben poco per mostrare a Ian come essere uomo. Il tuo soggiorno, il loro soggiorno qui, darà indefinito. Ian e Munro staranno ciascuno in una stanza degli ospiti di sopra e tu avrai di nuovo la tua stanza privata, su questo livello. Ho insistito ulteriormente con Munro e supervisioneremo entrambi il comportamento di Ian nelle prossime, numerose settimane. Munro ha accettato umilmente la mia guida come padre, e quella di Lilias come madre, per mettere Ian sulla retta via. Solo quando vedremo dei miglioramenti, ti permetteremo di osare ritornare a casa loro. Solo quando mi sentirò sicuro che tu sia amata e curata come la donna preziosa che sei, ti consentirò di andare con loro.”
Anche se Davina si sentì sollevata al pensiero che le botte e i rapporti sessuali crudeli sarebbero cessati, si sentì comunque crollare il mondo addosso. “Non conosci il vero Ian, padre. E' capace di indossare una maschera affascinante sopra il mostro che è in realtà. Lui...”
“Davina, non gli permetterò assolutamente di farti del male. Sono d'accordo che lui stia prendendo troppo sul serio la propria responsabilità di esercitare il suo dominio di marito, ma non è un pericolo per la tua vita. Se pensassi che lo fosse, scioglierei all'istante questo matrimonio. Ti proteggeremo.”
Davina odiava sapere che la sua famiglia credeva che lei avesse una propensione per il dramma. Suo padre le baciò la fronte e la attirò in un forte abbraccio. “Non lascerò che ti faccia del male. Devi farlo per la tua famiglia. Un giorno, quando Ian avrà imparato il suo ruolo e i suoi doveri coniugali, forse riuscirai a perdonarlo e ad amarlo. In caso contrario, almeno potrai trarre gioia dai figli che avrai un giorno.”
Davina lasciò scorrere le lacrime, bagnando la tunica del padre e tenendolo stretto per farsi forza e sottomettersi ai suoi desideri. Sarebbe stata l'agnello sacrificale per dare alla sua famiglia un futuro stabile.
* * * * *
Il clangore dell'acciaio contro acciaio risuonava nell'aria, rimbalzando tra le pareti e l'alto soffitto della Sala Grande e mescolandosi ai ringhi, agli ansimi e ai gemiti di Kehr e Ian che stavano duellando. Kehr parava gli affondi di Ian, si girava e colpiva il lato scoperto dell'avversario, strappandogli un grugnito. Con un sorriso sul viso, Ian spingeva Kehr in avanti e quest'ultimo ricambiava il sorriso con un proprio affondo; comunque, Ian lo bloccava efficacemente con lo scudo.
“Bene!” lo incoraggiava Kehr.
“Grazie!” diceva Ian con un altro colpo di spada, che Kehr schivava.
Davina sorrise a suo fratello, confortata dalla sua presenza. Finalmente era tornato a casa dopo una lunga permanenza a Edimburgo, in visita a Corte. Era arrivato solo il giorno prima in tarda serata e, anche se lei aveva atteso con ansia il suo arrivo e l'opportunità di passare del tempo con lui, la notizia dell'apparizione che aveva fatto visita al re aveva fatto sprofondare il suo spirito.
Tutta la Scozia era in fermento per quello che era successo al re e Kehr aveva riportato la storia con grande enfasi, nel salotto. Con il fuoco che bruciava nel camino e gettava ombre nella stanza, la famiglia si era seduta in cerchio, con gli occhi fissi sulla drammatica messinscena di Kehr.
“Inginocchiatevi di fronte al re di Scozia!” aveva gridato il consigliere del re mentre inseguiva l'uomo che aveva fatto irruzione nella cappella privata del sovrano. Kehr imitò l'ufficiale John Inglis che correva dietro all'intruso. “Ma il re ha sollevato la mano ed ha bloccato i consiglieri, perché l'uomo si è fermato prima di raggiungere Sua Maestà.”
Scoppi di risate circolarono nella stanza e Davina si mise la mano sulla bocca, per reprimere i propri risolini. “E dite che io ho la tendenza al dramma!” scherzò.
Kehr rise per la sua interruzione, ma andò avanti. “ 'Basta',” disse il re. 'Lasciatelo parlare.' I consiglieri si sono osservati a vicenda per un lungo istante di silenzio, poi l'uomo ha allungato il braccio,” Kehr mimò le azioni dell'intruso, che si chinava in avanti con il pugno di fronte a sé, “ed ha afferrato la tunica del re, dicendo 'Sua Maestà, mia madre mi ha mandato da voi per chiedervi di non recarvi dove avete intenzione di andare.'” Kehr aggrottò la fronte, rivelando il grave messaggio che l'uomo aveva consegnato al re. “' Se lo farete, non starete bene durante il viaggio, e neppure tutti quelli che verranno con voi.'” Kehr camminò altezzoso davanti alle persone sedute in cerchio nella stanza, guardando ciascuno di loro negli occhi. Davina scosse la testa per quella pausa che lui usava con efficacia. Kehr si fermò al centro del pubblico. “E semplicemente così...” schioccò le dita, “l'uomo sparì come un battito di ciglia al sole!” La famiglia sobbalzò e si scambiò mormorii. Kehr si strinse nelle spalle. “E così il re ha deciso di non dichiarare guerra all'Inghilterra.”
Davina si calmò quando il fiato le uscì di colpo dal petto... mentre tutti gli altri scoppiavano in applausi, gioivano e festeggiavano quella grande occasione. Kehr afferrò l'idromele, fece un cenno a Davina e sollevò la tazza. Lei ricambiò il cenno con un sorriso forzato. Suo fratello si sedette tra gli applausi, mentre la famiglia si congratulava con lui per quella scena e per le meravigliose notizie.
Davina aveva fatto ogni sforzo possibile per apparire felice, proprio come in quel momento, sforzandosi di mantenere la maschera di un sorriso e aggrappandosi alla consapevolezza che Kehr e suo padre non sarebbero andati in guerra, dopotutto. Per fortuna, i discorsi sulla guerra la tenevano sempre lontana dalla Corte, dove odiava passare il tempo. Inoltre, voleva Ian sul campo di battaglia... non suo fratello o suo padre.
“Resisti, Ian”, lo ammonì Kehr e riversò su di lui un assalto di fendenti, colpi e affondi che fecero arretrare Ian per tutta la lunghezza della stanza. Poiché non faceva attenzione ai propri passi, inciampò e cadde all'indietro, ma si rimise rapidamente in piedi e si voltò, per evitare l'assalto di Kehr.
“Ti stai facendo prendere dall'eccitazione, nipote?” Tammus, il fratello di sua madre, si fermò accanto a Davina.
Davina si accorse di essersi aggrappata allo schienale della sedia, mentre guardava il fratello e il marito impegnati in quella finta battaglia, come parte dell'addestramento di Ian. Allontanò le mani dal legno duro e solo allora si accorse del dolore alle dita. Rivolse lo sguardo allo zio, il viso del quale era illuminato da una tinta arancione calda, a causa della luce delle torce disposte nella stanza. “Sì, Zio, mi preoccupo per entrambi,” mentì.
Tammus le mise un braccio intorno alle spalle con affetto e la strinse a sé. “Oh, non preoccuparti, ragazza. Di sicuro una finta battaglia è diversa da quella vera che, per fortuna, non dovremo combattere affatto.”
“Sì, Zio.” Davina sorrise e rivolse di nuovo l'attenzione ai duellanti.
Quando Kehr le fece l'occhiolino, con la schiena rivolta a Ian, quest'ultimo lo colpì al sedere con la parte piatta della spada, strappando un grido al fratello di Davina. Ian inarcò le sopracciglia con finta sorpresa e Kehr partì al suo inseguimento, ma Ian scappò gridando come una ragazza e facendo il giro dell'ampia superficie della stanza. Tutti scoppiarono a ridere per quella scena comica, eccetto Davina, perché quella scena di Ian la fece stare male. Nelle ultime sei settimane, da quando il marito era stato punito con una stretta ai lacci del borsellino, Ian aveva organizzato un'incredibile messinscena per conquistare la famiglia di Davina ad ogni occasione. Anche se loro due non venivano mai lasciati soli, con suo grande sollievo, nei rari momenti nei quali lui riusciva a gettare un'occhiata nella sua direzione o la metteva con le spalle al muro nel castello, le faceva capire in privato che tutto ciò sarebbe tornato a perseguitarla, quando lui avesse ottenuto lo scopo di avere di nuovo il controllo e il denaro.
“E' un gioco delizioso tra il gatto e il topo, vero?” le aveva chiesto una volta in cui l'aveva bloccata in un angolo.
“Non riuscirai ad ingannare la mia famiglia,” gli aveva detto Davina con sicurezza.
Lui l'aveva bloccata, facendola arretrare nel vano delle scale ed appoggiando le braccia alla parete. “Pensano di potermi controllare,” sibilò, “di controllare i fili di questa marionetta, facendomi misere concessioni del loro denaro? Vedremo se a loro piace essere controllati. Sono dei tipi fiduciosi, proprio come te.” La maledisse con un sorriso malvagio e si allontanò impettito. Davina aveva iniziato a tenere un pugnale nello stivale, dopo quell'incontro. Adesso, mentre osservava la sua famiglia diventare un giocattolo nelle mani di Ian, quell'affermazione del marito le sembrò piuttosto vera. A Ian piaceva quella messinscena, gli piaceva manipolare la gente, fargli credere e fare quello che voleva lui, un gioco nel quale riusciva alla perfezione. Fino a che punto si sarebbe spinto?
Kehr riuscì a fare inciampare Ian, che finì lungo disteso sul pavimento di pietra. Tutti accorsero in suo aiuto, Kehr primo tra tutti, scusandosi. Ian rimase per un attimo stordito e Davina si concesse un sorriso segreto. Dopo essersi ripreso, Ian si pulì il sangue sul labbro inferiore e la guardò. Sollevò un sopracciglio e sorrise brevemente- solo abbastanza perché lei lo notasse- prima che il suo viso diventasse di nuovo serio, poi abbassò lo sguardo, come se soffrisse. Rivolgendo un'occhiata a Davina, si alzò da terra e si spolverò i calzoni. Il suo lieve gesto fece voltare verso Davina suo fratello e suo padre. Prima che lei capisse il piano di Ian, era stata sorpresa a gongolare per l'incidente del marito, proprio come voleva lui.
Il calore le risalì fino alle guance. Parlan la fulminò con lo sguardo, spingendo il resto del gruppo a voltarsi verso di lei. Davina si scusò per dover lasciare la scena, uscì dalla Sala Grande, attraversò il corridoio oltre il salotto, la cucina e il cortile verso le scuderie, cercando di soffocare i singhiozzi. Il crepuscolo avvolgeva il castello, gettando su tutte le cose delle sfumature grigie. Degli aloni di luce ambrata circondavano le torce disposte nei terreni intorno, per illuminare almeno un po' il percorso. Davina entrò nelle scuderie e colpì con il piede un secchio vuoto sul pavimento. Il rumore svegliò i gattini, che si stiracchiarono.
“Come possono credere alla sua messinscena?” sibilò incrociando le braccia sotto il petto, stringendo i pugni e camminando avanti e indietro. Dopo il primo incidente, Davina era andata da suo padre per svelargli il piano di Ian e lui le aveva creduto. Tuttavia, quando Ian era stato portato davanti a Munro, Parlan e Davina per spiegarsi, aveva affermato che Davina lo aveva capito male e si era scusato per essere un inetto con le parole, incapace di dire le cose nel modo giusto. All'inizio, persino Davina aveva creduto di aver sentito male, fino a quando Ian non l'aveva messa un'altra volta con le spalle al muro. Era impossibile sbagliarsi. Dopo un po', il padre aveva iniziato a credere che Davina stesse cercando di screditare Ian, mentre lui si stava sforzando di cambiare. Comunque, quei fallimenti non l'avevano scoraggiata e aveva continuato a tentare.
Due gattini sbucarono da sotto una cesta sul retro della zona di lavoro di Fife. Davina si fermò e li fissò, aspettando. Dov'erano gli altri gattini? Si chinò sui talloni, sbirciando nell'oscurità. Un altro gattino strisciò fuori, miagolando. Erano cresciuti così tanto nelle ultime sei settimane... ma solo di taglia. Il ridursi del loro numero era quello che preoccupava Davina. Quando aveva visto i gattini per la prima volta, ne aveva contati otto. Una settimana dopo- quella successiva all'inizio della punizione e della supervisione di Ian- ce n'erano sette. Aveva rimosso quella differenza nel numero, pensando di aver contato male. Quando la settimana successiva era scomparso un altro micetto, aveva pensato che quel poveretto fosse stato catturato da un gufo o da qualche altro predatore. Giusto, un altro predatore. Fife le aveva detto del terzo gattino che era scomparso due settimane dopo e aveva affermato che Ian glielo aveva portato con il cuore quasi spezzato. La testa era stata schiacciata... da un cavallo, aveva immaginato Fife. Davina aveva cercato di parlargli dei suoi sospetti, ma lui le aveva detto in un tono paterno che era troppo dura con il padrone Ian, che doveva imparare a perdonarlo per le sue passate trasgressioni e come Ian si fidasse di lui riguardo al modo di provare ad essere un marito migliore.
Erano scomparsi troppi gattini perché lei non avesse sospetti, nonostante quello che diceva Fife. Si accucciò, aspettando che il quinto micetto uscisse dalla cesta. Niente. Prese una lanterna dalla parete e diresse la luce verso l'oscurità crescente della notte che stava scendendo, nella zona di lavoro di Fife. La cesta era vuota. Quattro gattini girovagavano intorno a lei: quattro su otto. Dov'era il quinto?
Mise a posto la lanterna e fece due giri intorno all'area davanti ai box, prima di entrare in quello della sua giumenta, Heather. Afferrò la sella e la sollevò sul dorso di Heather.
“Andate da qualche parte?” La voce di Ian la fece sobbalzare e sentì dei brividi freddi danzarle lungo la schiena.
Strinse le labbra e si concentrò nello stringere i lacci di cuoio, sforzandosi di sentire quello che faceva Ian al di sopra del tambureggiare incessante del proprio cuore. Spostandosi sull'altro lato del cavallo, pestò con il piede qualcosa di morbido e balzò indietro con un grido, pensando di aver calpestato un topo. Non si mosse niente. Con la punta dello stivale, toccò la paglia che aveva calpestato. Non ci fu nessun movimento, quindi si mise in ginocchio, allungò la mano tremante e spostò la paglia. Il quinto gattino.
“Oh, mio Dio!” disse Ian in un tono triste, ma quando Davina lo vide sbirciare nel box, aveva un sorriso sulle labbra. “Non un altro?” Nonostante il terrore, lei si meravigliò di come Ian riuscisse a dare un tono affettuoso o preoccupato alla sua voce, pur mostrando un ghigno così minaccioso sul volto. Le si rizzarono i peli sulla nuca.
“Perché?” piagnucolò. “Perché lo fai?”
Lui si diede un'occhiata oltre la spalla e sorrise. “Credulona fino alla fine,” sussurrò facendole l'occhiolino.
Davina afferrò uno straccio appeso a un chiodo in fondo al box e raccolse il corpicino freddo. Singhiozzava, quando mostrò a Ian il gattino. “Hai così tanta rabbia dentro di te, che devi sfogarla sugli animali innocenti, visto che non puoi sfogarla su di me?”
“Cosa stai dicendo, Davina?” Ian fece un passo indietro, verso l'uscita delle scuderie. “Stai dicendo che io...?” Scosse la testa, fermandosi appena fuori dell'ingresso; i suoi occhi colmi di tristezza riflettevano la luce tremolante della torcia, aumentando la sua aura demonica. “So di averti fatto torto, ma non ho fatto tutto quello che potevo, per dimostrarti che sono cambiato? Cosa ancora...?”
“Eccomi qui, padron Ian,” disse Fife entrando nelle scuderie. “Cosa vi ha sconvolto così, ragazzo?”
“E' questo che pensi di me, Davina?” disse Ian vinto dal dolore.
“Guarda, Fife! Un altro gattino!” Davina singhiozzava senza riuscire a controllarsi, temendo come sarebbe andata a finire. “E' come ho detto io! Mi ha vista quando ho trovato il gattino e non ha provato rimorso!”
Fife la fissò a bocca aperta, poi guardò Ian dispiaciuto. Davina li superò di corsa, tornò nel retro delle scuderie e posò il gattino su un piccolo mucchio di paglia. Si lavò via il sangue dalle mani, piangendo, e si spruzzò l'acqua piovana del barile sul viso, per cercare di schiarirsi le idee. Appoggiando le mani sul bordo del barile, ansimò, cercando di pensare a come affrontare tutto ciò. Non può essere vero! Perché sta accadendo?
Un segno marrone incrostato sul bordo del barile dell'acqua sembrava l'impronta parziale di una mano. Un'impronta insanguinata.
Ian la afferrò per le spalle e la fece voltare così rapidamente che le girò la testa. Bloccandola contro il muro posteriore della scuderia, le parlò abbastanza ad alta voce perché Fife potesse sentire, in un tono così colmo di affetto e sincero, che lei quasi credette alle sue parole... se non fosse stato per la maschera minacciosa sul volto. “Tu sei delicata come quei gattini. Odierei se ti accadesse qualcosa del genere. Mi schiaccerebbe.” Le strinse più forte le spalle, per sottolineare la parola “schiacciare.”
Il rumore di passi che si allontanavano svanì attraverso le imposte alla sinistra di Davina, sopra il barile dell'acqua, e Ian aspettò che Fife fosse fuori della portata d'orecchio.
“Credulona fino alla fine, Davina,” la schernì. “Mi farò accettare da tutti nella vostra famiglia e tu sarai quella costretta alle restrizioni. Forse ti crederanno persino pazza, quando avrò finito il mio lavoro.”
Sentendo il mondo chiudersi intorno a sé, Davina spinse via Ian e si avviò sconvolta verso il castello. Varcò la porta della cucina con irruenza, sfrecciò lungo il corridoio che portava al salotto e si fermò di colpo sulla soglia. La sua famiglia era seduta nella stanza, con gli occhi spalancati e uno sguardo interrogativo. Fife era in piedi alla sua sinistra, accanto a suo padre: stava schiacciando il cappello tra le mani nervose ed aveva un'espressione colpevole dipinta in viso.
“Cosa hai raccontato, Fife?” Davina si appoggiò i polpastrelli freddi sulle guance bagnate e arrossate.
Suo padre incrociò le braccia. “Cos'è questa storia di Ian che uccide i gattini?”
Davina corse ad afferrare l'avambraccio del padre. “Padre, sta sfogando la rabbia su quei poveri animali indifesi, invece che su di me.” Non riusciva a controllare i singhiozzi, mentre supplicava.
“Su, padrona Davina,” la rimproverò gentilmente Fife. “Padron Ian ha detto che non potrebbe fare del male a quei gattini, più di quanto potrebbe farne a voi. Avete semplicemente male interpretato quello che ha detto.”
“Grazie per avermi difeso, Fife, ma penso che sia inutile tentare ancora.” Ian era in piedi sulla soglia e il dispiacere gli piegava gli angoli della bocca verso il basso. “Credo che Davina abbia ragione, Parlan. Dovremmo sciogliere questa unione. Non mi perdonerà mai, per quanto io possa cercare di cambiare.”
“Perché stai facendo tutto questo!” gli gridò in faccia Davina.
“Ora mi vuoi? A che gioco stai giocando, Davina?” Ian sollevò le braccia frustrato e si spostò al centro della stanza per perorare la propria causa, lasciando Davina indietro, sulla soglia.
“No, non è quello che intendo dire e lo sai! Perché stai cercando di farmi considerare pazza dalla mia famiglia?”
Ian abbassò la mascella, come se fosse stato schiaffeggiato. Annuì, chiudendo la bocca e poi gli occhi. “Ho provato, Parlan.” Guardò dispiaciuto il padre di Davina, mentre la madre singhiozzava. “Amo vostra figlia ed ho sperato di riuscire a far funzionare il matrimonio, ma è evidente che lei non mi perdonerà.” Poi disse, rivolgendosi a suo padre Munro: “Andrò in camera a preparare il baule. Sarà meglio partire domani.” Quindi si voltò verso Davina, le si avvicinò volgendo la schiena alla stanza e le rivolse quel sorriso privato e malvagio che la voce non tradiva mai. “Addio, Davina,” sussurrò e se ne andò. Munro lo seguì, guardandola con cipiglio mentre usciva.
Davina era scioccata per gli sguardi accusatori della sua famiglia. Parlan sospirò e si avvicinò al camino, rivolgendole la schiena. Lilias singhiozzava nel fazzoletto che aveva tirato fuori dalla manica. Kehr si fece avanti, con le sopracciglia piegate verso il basso. “Davina, è tempo di lasciar perdere l'amante zingaro dei tuoi sogni. Nessun uomo, né tanto meno Ian, sarà mai capace di eguagliare questa fantasia. E' giunto il momento di crescere.”
Parlan si voltò con delle espressioni mutevoli che alternavano la confusione e la rabbia. Davina quasi soffocò, per il groppo che le si era formato in gola. Persino il suo amato Kehr la tradiva, la considerava pazza! Scappò dalla stanza e ritornò nelle scuderie. Tirò fuori Heather dal box, montò il cavallo e sfrecciò attraverso i terreni e fuori dal cancello anteriore, lontano da quella follia. Le sue guance, bagnate dalle lacrime, divennero fredde quando il vento la colpì, arruffandole i capelli. Quando raggiunse una radura dove di solito trovava la solitudine, tirò le redini di Heather e saltò giù dal cavallo, lasciandosi cadere sul terreno ricoperto dalle foglie dell'autunno precedente e bagnato dalla rugiada della sera.
Dopo essersi messa in ginocchio nel mezzo della foresta illuminata dalla luna, Davina singhiozzò tra le foglie. L'amante zingaro dei suo sogni aveva avuto proprio ragione! Era trincerata nel destino che Broderick aveva previsto per la sua vita da ragazza. Ma perché stava accadendo tutto ciò? Lei desiderava solo continuare la vita felice che aveva prima di incontrare Ian. Perché Dio l'aveva sposata a quel pazzo appassionato di manipolazione e controllo? Davina avrebbe voluto solo una famiglia e qualcuno da amare.
Si raddrizzò e si posò le mani tremanti sul ventre. Aver perso il primo figlio l'addolorava profondamente, ma alla fine si era chiesta se non fosse stato meglio non avere il bambino. Davina non avrebbe sopportato di vedere il sangue del suo sangue costretto a sottomettersi al suo stesso destino, alla pazzia che lei doveva sopportare. Piegando le ginocchia sul petto, attirò le gambe a sé e abbracciò il bimbo che adesso era accoccolato dentro di lei. Aveva saltato due cicli- uno prima della punizione di Ian e l'altro nell'ultimo mese- quindi era rimasta incinta prima che lei e Ian dormissero in stanze separate. Ma cosa sarebbe accaduto al suo bambino, se tutti la consideravano pazza? Dondolando avanti e indietro con la fronte appoggiata alle ginocchia, lasciò sgorgare le lacrime.
Toccò il pugnale nello stivale con l'incavo del braccio. Trattenne il fiato, paralizzata da un'idea che le era venuta in mente. Seguendo l'orlo dell'abito, tirò fuori l'arma dallo stivale e si accucciò sui talloni. Il suo cuore era combattuto riguardo a quella decisione. Sono pazza. Ma quale altra scelta ho? Strinse le mani intorno all'elsa del pugnale e si posò la punta della lama contro il cuore. Aveva le mani doloranti, con le nocche bianche e tremanti. Non sapeva bene se aveva afferrato il coltello per paura o per farsi forza. Una lieve brezza accarezzò le sue guance sporche di lacrime, rinfrescando la pelle nell'aria della sera. Non voleva farlo- prendere la propria vita e quella del figlio non ancora nato- ma come avrebbe fatto ad affrontare la pazzia che li attendeva entrambi? Come poteva affrontare il tradimento della sua famiglia? Oppure quella era solo una scusa da codarda?
Si lasciò sfuggire un grido di frustrazione e infilò la lama nel terreno soffice e bagnato, crollando a terra. Il suo corpo era scosso dai singhiozzi e l'odore della sporcizia si mescolava a quello stantio delle foglie in decomposizione, come in una tomba. “Sono stata così vicina,” piagnucolò, “così vicina a diventare vedova. Così vicina alla libertà.” Per colpa di una decisione presa dal re, tutte le sue speranze si erano infrante come ghiaccioli contro la pietra. Persino quel membro della sua famiglia- il suo cugino reale- l'aveva tradita; l'apparizione di re Giacomo sembrava essere stata mandata apposta per lei, solo per tormentare la sua esistenza. Davina singhiozzò ancora più forte, avvinta dalla disperazione.
Heather batté gli zoccoli a terra e scosse la testa. Davina voltò lo sguardo verso la foresta buia, alla ricerca della fonte dell'agitazione dell'animale. Le si strinse lo stomaco dalla paura.
Oh, mio Dio! Sono venuti a cercarmi? Impallidì. Forse Ian era venuto a cercarla... da solo.
Solo un freddo silenzio le rispose, a parte il leggero frusciare degli alberi nel vento. Perlustrò il terreno, ma non vide niente. Dopo un altro momento di silenzio, cercò di trarre un sospiro e il sollievo la sommerse. Nessuno era venuto a cavallo per prenderla e riportarla indietro. Davina si alzò in piedi, si asciugò il naso e si avvicinò alla cavalla, continuando a lasciare occhiate intorno. “Su, su,” cercò di calmarla, allungando le mani in avanti.
Prima che potesse posare un dito sul fianco di Heather, una forza invisibile le fece uscire il fiato dai polmoni e Davina sbatté la testa sul terreno. Il suo viso fu spinto tra le foglie, mentre la testa le pulsava e qualcuno le schiacciava il corpo. Incapace di respirare o di pensare, lottò per costringere l'aria a tornare nei polmoni, facendosi prendere dal panico.