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Le Regole Del Paradiso
Le Regole Del Paradiso

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Le Regole Del Paradiso

Язык: Итальянский
Год издания: 2019
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Scese in cucina e si accorse di un bigliettino sul tavolo della cucina.

Ti lascio un foglietto, devo scappare:

il turno di oggi l’ho fatto stamattina

perché devo sbrigare faccende urgenti.

Grazie infinite tu sai per cosa.

Ti auguro una buona giornata.

Jolie.

La sensazione di essere sola in casa, per tutto il pomeriggio, le provocò addosso una strana sensazione. Poteva fare quello che voleva senza essere vista.

Si preparò al volo un’insalata di pollo, mais, olive e carote, poi si lavò i denti. Si guardò allo specchio e si accorse di avere le palpebre più allargate del solito: si rese conto d’essere tesa, il suo corpo era irrigidito e la mente non faceva altro che pensare al problema da risolvere. Stavolta c’era davvero il rischio di passare guai seri con Ashley; sarebbe stata disposta a tutto pur di non essere una sua vittima. Girando a vuoto per il salone, ad un certo punto, fissò il mobile di ciliegio che prendeva una parete intera e più precisamente guardò l’ultimo sportello in basso a destra.

Aveva appena capito come procurarsi, senza problemi, i soldi che le servivano.

* * *

L'idea che le era venuta in mente non era delle migliori, ma l'urgenza della situazione la rendeva assolutamente necessaria.

Arrivata davanti alla credenza fece un grande respiro, chiuse un attimo gli occhi e si pentì da subito per quello che stava facendo. Stava sacrificando la sua filosofia, il suo modo di pensare e di essere, ma non poteva andare diversamente. Un gran peso sullo stomaco le rendeva difficilissimi i passi che la separavano dallo sportello marroncino della credenza. Guardò la piccola chiave che avrebbe dovuto girare, l'afferrò con due dita e non appena iniziò la rotazione verso destra, lo scatto della piccola serratura sembrò amplificarsi di un milione di volte. Il mondo intero, sentendo quello scatto così forte, si girò verso di lei con occhi feroci incolpandola da subito: Jane Madison aveva perso ogni grammo di dignità, solo girando quella chiave.

In casa regnava un sinistro silenzio che metteva paura. Tutto immobile, gli oggetti la guardavano e lei, a denti stretti, iniziò l'operazione: aprì lo sportello dell’armadio e infilò la mano cercando di schivare le due ventiquattrore del padre, alcuni raccoglitori di plastica nei quali teneva le bollette, un vaso, alcuni cd sparsi. Quando le sue dita toccarono la fredda superficie del salvadanaio di Gary cercò in tutti i modi di stringerlo e tirarlo a sé, ma era come intrappolato tra tutti gli altri oggetti che gli facevano da scudo. Forzò ancora di più, ma niente, sembrava cementificato. Si aiutò con l'altra mano e, serrando ancor di più la stretta, iniziò a fare forza fino a che riuscì finalmente a strappare via il salvadanaio del padre. Per la troppa foga, però, dal mobile scaraventò via anche tutti i documenti di Gary che si sparpagliarono disordinatamente a terra, il vaso si frantumò con un rumore sordo e anche il salvadanaio di coccio andò in mille pezzi liberando così centinaia di monete e decine di banconote.

Jane cadde all'indietro e vide il disastro. Fortunatamente, pensò, a casa non c'era nessuno e avrebbe potuto riordinare tutto con calma; più che per la rapina al padre, il vero danno era aver distrutto il prezioso vaso a cui la bestia era particolarmente legata. Vedendo i suoi residui a terra si ricordò di un giorno, anni prima, in cui Gary l’aveva sgridata pesantemente per aver urtato senza volere il tavolo e aver fatto vacillare il suo oggetto preferito.

“Prima che tu faccia altri danni, questo lo metto al sicuro” aveva detto lui nascondendo il vaso all'interno del mobile accanto al salvadanaio dove teneva i suoi risparmi. Non sapeva cosa inventarsi nel momento in cui Gary l'avrebbe scoperta.

Solo al pensiero le vennero i brividi.

Si sbrigò ad andare a prendere una busta dell’immondizia, ma passando davanti alla porta d’ingresso sentì girare una chiave dall'esterno e la porta, di scatto, si aprì.

Diversamente da ogni sabato, il padre rientrò a casa.

Con un incredibile anticipo.

* * *

“Papà!” esclamò sorpresa.

“Mi serve un numero!” sbraitò lui. Sembrava davvero indaffarato e frettoloso. Andò accanto al mobile su cui c’era il telefono di casa e, da un cassetto, tirò fuori un'agenda nera; la aprì e iniziò a cercare qualcosa di corsa, poi prese il cellulare e compose il numero che gli serviva.

“Cazzo, è inesistente! La stronza mi ha mentito!” gridò lui. Sbatté un pugno sul telefono e la cornetta cadde a terra per poi ciondolare a destra e a sinistra come un pendolo dai poteri ipnotici. Jane era immobile e pregava con tutta se stessa che andasse via in quel preciso istante. Mentre lui fissava la cornetta penzolante in cerca di una soluzione al suo urgente problema, Jane notò con terrore che un pezzo di vaso era a pochi centimetri dai suoi piedi. Staccò subito lo sguardo da lì e cercò d'intrattenere la bestia calpestando il piccolo frammento.

“Cos'è successo?” domandò con voce tremante cercando di distrarlo.

“Ti prego stai zitta! Ti prego, Jane non intrometterti, ci manchi solo tu!” disse lui alzando entrambe le mani in aria. Iniziò a gironzolare nell'atrio, si avvicinò alla porta d'ingresso e per un attimo Jane credette che se ne stesse andando, invece tornò indietro, fino alla sua agenda. Controllò altri numeri e ne chiamò un altro.

“Manca la cubista! Manca la cubista! Sto cercando il bigliettino con l'altro numero, ma non lo trovo” sbraitò a un suo collega.

“Non doveva solo ballare! Lo sai che avrebbe dovuto intrattenere Rütger Hoffmann!”

Gary cercava di stare calmo, ma proprio non ce la faceva. La cravatta sembrava strangolarlo tanto era rosso in faccia.

Quando Ginger si attaccò al clacson chiamandolo, Jane la ringraziò con tutto il cuore. Mai prima di allora le aveva voluto così bene.

“Dai, sbrigati! Siamo in ritardo!” gridò lei con voce stridula.

“Arrivo, non suonare quel maledetto coso!” Gary prese l'agenda e la tirò a terra bestemmiando: dalle pagine ingiallite uscirono tre bigliettini bianchi. Gary guardandoli si accigliò e ne raccolse due. Li lesse e cercò di fare mente locale. No. Non erano quelli che cercava.

Jane sapeva che la sua fine stava per arrivare.

Il terzo bigliettino era finito accanto a un altro pezzetto di vaso che era sfuggito all’attenzione della ragazza.

Gary si accucciò afferrando il biglietto e il residuo di coccio.

“Questo è il numero che cercavo”.

Jane chiuse gli occhi.

“Ma questo cos'è?” tuonò la bestia mostrando a Jane il quadratino di ceramica.

Gli occhi della bestia fulminarono quelli della ragazza ormai presa dal panico. In nessun angolo della sua anima era rimasto un solo briciolo di coraggio.

Gary abbassò ancor di più la voce e disse: “Spero per te che tu non abbia rotto il…”

Dall'espressione terrorizzata della figlia, la bestia capì. Con uno scatto si girò e con lunghe falcate raggiunse il salone; il pavimento ricoperto di cocci di ceramica e di soldi fu per lui una coltellata conficcata in petto. Con dolore e rabbia poté constatare che non solo era andato in frantumi il suo adorato vaso, ma anche il salvadanaio in cui metteva i suoi risparmi.

Rimase ancora qualche manciata di secondi in quello stato di shock, fissava il pavimento e non disse nulla nemmeno quando Ginger riprese a suonare insistentemente il clacson, tortura sonora a cui era intollerante.

Strappò il bigliettino che finalmente aveva trovato e si rivolse alla figlia con un misterioso sorriso mentre lasciava cadere i piccoli pezzetti di carta che, con giravolte disordinate, precipitavano a terra.

“Avevo un problema al pub” disse lui calmo, “ma tu puoi essere la soluzione”.

Jane non riusciva davvero a capire cosa intendesse.

“Papà posso spiegarti, non è come pensi…” cercò di essere convincente, ma la voce debole la tradì.

“Non devi giustificarti piccola mia, possono succedere queste cose, no?” Gary era troppo calmo, pensò Jane: cosa stava tramando?

“Facciamo così” concluse lui, “se stasera vieni al pub e mi aiuti a sbrigare delle semplici faccende, giuro che non ti strangolerò con la cinta dei pantaloni. Va bene, piccola bambina di papà?”

Quel sorriso stampato in faccia e quell'aria tremendamente misteriosa terrorizzarono la ragazza.

“Se potessi aiutarti, lo farei volentieri” disse lei.

“Perfetto, allora adesso vai a cambiarti così da raggiungerci in macchina” disse Gary congedandosi. Poi, voltandosi, la fulminò di nuovo.

“Mamma Ginger ci aspetta”.

* * *

Il sole stava calando e il cielo si era imbrunito.

Jane vedeva sfrecciare il paesaggio dal suo finestrino. Rifletteva guardando la gente, le case, le macchine parcheggiate.

Dopo una silenziosissima ora di viaggio finalmente si trovarono davanti al pub di cui aveva sentito tanto parlare senza essere mai stata invitata a visitarlo.

Jane fissò l’insegna rosa del locale ancora spenta: Gary’s Night Club. La scritta non faceva altro che confermare quello che sospettava da tempo: non era un semplice ‘pub’, come lo chiamava lui, ma si trattava di un vero night club situato in periferia, lontano da casa, dal centro e da occhi indiscreti.

Appena entrati si notavano subito i grandi cubi dove avrebbero dovuto ballare le tre ipotetiche ballerine con tanto di pali d’acciaio per la pole dance, tavolini che sarebbero serviti per champagne, aperitivi e stuzzichini da sgranocchiare mentre ci si godeva lo spettacolo erotico. Il resto del locale era occupato da sedie in pelle scura e divanetti riservati probabilmente ai clienti abituali che pagavano il privé.

Il locale, inoltre, era tappezzato di fotografie porno in alta definizione: donne nude su motociclette, abbracciate a uomini senza né indumenti né volti espressivi, teneri o rassicuranti. Altre rappresentazioni accattivanti e volgari erano situate su tutte le pareti.

Jane rimase colpita dall’eleganza e dal lusso sfrenato con il quale era stato arredato il night. Suo padre era un uomo rozzo e ignorante, scontroso e sempre di malumore e si domandò come avesse fatto a rendere quel locale così chic.

Si avvicinò a una delle tante fotografie appese alle pareti e notò che persino le cornici erano decorate alla massima potenza: addirittura, sulla testa di ogni chiodo utilizzato per reggere i quadri, era inciso un volto in miniatura di una donna con gli occhi chiusi che teneva in testa una corona di fiori.

Le sedie, così come i divanetti, sembravano comodissime, soprattutto quelle in prima fila, che somigliavano a vere e proprie poltrone. Posti riservati a pochi eletti.

Jane avrebbe voluto sapere molto di più su quel night, ma il padre le aveva detto che lo avrebbe dovuto aiutare solo in alcune semplici faccende e poi l’avrebbe riportata a casa, quindi non avrebbe potuto assistere al grande spettacolo che si teneva ogni sabato sera.

O almeno così credeva.

* * *

Tre ragazzi e due ragazze entrano nel night.

“Ecco i miei figliuoli!” esclamò Gary alzando al cielo la bottiglia che aveva appena stappato. Le ragazze si scambiarono un’occhiata e abbassarono entrambe il capo. I maschi strinsero i denti e lo guardarono con occhi gelidi. I loro visi erano immobili, come paralizzati sotto lo sguardo del grande capo. Dopo averlo salutato ed essersi cambiati in quello che sembrava uno spogliatoio comune, le ragazze, armate di scopa, si accinsero a togliere tutta la sporcizia che c’era sui pavimenti mentre gli altri, muniti di stracci e disinfettanti, cominciarono a pulire i tavolini.

“Bravi i miei ragazzi, questo locale andrebbe a puttane senza di voi!” Scoppiò a ridere per la sua formidabile battuta. Non poteva sceglierne una migliore. Jane se ne stava in piedi vicino al bancone del bar a osservare silenziosamente quei ragazzi che lavoravano. Gary passava tra di loro, li controllava, li incitava ad andare più veloci dato che l’ora di cena si avvicinava e la clientela sarebbe arrivata poco dopo mentre lui si limitava a bere e a gironzolare come un nullafacente. Prima scambiò qualche occhiata con la figlia, poi le impose di andarsene nel suo “studio”.

Si ritrovò in una stanzetta con un letto sfatto posizionato davanti a un megatelevisore al plasma e un comodino accanto al letto. Per il resto era vuota, non c’era nient’altro. Di fianco al televisore c’era uno specchio di quelli in cui ci si può guardare attraverso e vedere cosa succede dietro. Aprì il suo zaino e ripassò gli ultimi capitoli di filosofia.

Erano arrivate molte persone nel locale e la musica era ormai a tutto volume. Jane era chiusa nello studio di suo padre da almeno tre ore e, nonostante il caos, riusciva perfettamente a rimanere concentrata, imprimendo nella mente i concetti chiave di ogni singolo capitolo che ripassava. Erano ormai le due passate e decise di addormentarsi, dato che ancora le semplici faccende di cui parlava Gary non le aveva svolte. Non appena si alzò per spegnere la luce e cercare di riposare, suo padre irruppe nella stanza facendola sobbalzare.

“Papà!”

In viso il signor Gary era teso, respirava affannosamente e deglutiva in continuazione. Gli occhi sembravano impazziti e si muovevano a destra e a sinistra come se cercassero urgentemente qualcosa.

“Sta’ zitta e vieni con me!”

La prese per un braccio e la portò in una specie di magazzino. Dentro c’era un ragazzo di colore che sistemava bibite su alcuni scaffali d’acciaio. Il signor Gary la strattonò con forza per farla entrare dentro la stanza e si precipitò a prendere una borsa nell’armadio che era in fondo a quella topaia mal illuminata e puzzolente.

“Indossa immediatamente questo e fai in fretta perché è arrivato in anticipo!” Le tirò addosso un vestitino preso da quella borsa. Più che un vestitino era una minigonna di soli dieci centimetri e un top minuscolo. Jane davvero non capiva cosa stesse succedendo.

“Papà, ma questo…”

“Indossalo e basta! Non avevi detto che mi avresti aiutato con semplici faccende? Questa è la prima!” gridò Gary tirandole uno schiaffo in piena faccia. Il ragazzo di colore non ci fece caso. Sembrava fosse abituato a certe cose.

“Torno tra un minuto, se non ti sei cambiata giuro su tua madre morta che ti ammazzo!” e uscì come una furia scatenata. Come un animale. Come una bestia.

A Jane, guardando quei vestiti, scesero un paio di lacrime, ma non poteva e non doveva perdere tempo. Se lo avesse fatto, suo padre l’avrebbe ammazzata sul serio. Doveva cambiarsi per forza con quel ragazzo nella stanza? Non aveva scelta. Si tolse prima la felpa, poi con molta incertezza la maglietta. Il ragazzo era ancora intento a sistemare alcune bibite e le dava le spalle. Jane aveva le mani che tremavano e sperava con tutta se stessa che non si sarebbe girato. Con un rapido gesto si tolse anche la magliettina bianca. Il top era troppo piccolo, via anche il reggiseno. Si infilò subito il minuscolo indumento e il ragazzo si girò, proprio nel momento in cui Jane coprì il seno. Il volto le andò in fiamme. Doveva togliersi anche i pantaloni.

“Puoi girarti per favore?” Jane glielo chiese con il cuore in mano, si capì dal tono. Il ragazzo si girò senza dire una parola. Sfilati i pantaloni, indossò la minigonna, la prima della sua vita. Adesso, nonostante la delicatezza e la sua bellezza naturale, sembrava un’attrice di film hard, accattivante, eccitante e tremendamente sexy. Anche se le parti intime erano state coperte, chiunque poteva guardare ogni sua curva. Qualsiasi uomo avrebbe voluto passare una mano sul sedere tondo e sodo, toccare le gambe, o il seno, quel seno prorompente al punto giusto: le altre parti del corpo erano nude. Jane pregò di svegliarsi da quell’incubo. Il ragazzo aveva poggiato a terra la bottiglia che teneva in mano e guardandola si avvicinò slacciandosi improvvisamente i pantaloni.

Non fece in tempo a chiedergli pietà che scattò verso di lei.

“No, ti prego, non farlo. Mio Dio, ti prego, no!” le urla della ragazza furono messe a tacere. Con la mano destra il ragazzo le tappò la bocca e con l’altro braccio la bloccò con violenza. Jane cercava in tutti i modi di divincolarsi, di scalciare o di gridare, ma quel ragazzo era veramente fuori di sé; si muoveva con foga, aveva le palpebre allargate e i denti stretti.

“Bocconcino, voglio scoparti!” furono le sue uniche agghiaccianti parole. Con uno scatto il ragazzo la scaraventò ferocemente contro l’armadietto di ferro e la bloccò di nuovo; con un’abile mossa si tirò del tutto giù i pantaloni e le mutande. Qualcosa di duro e lungo stava toccando le gambe di Jane. La musica del locale era alta e nessuno avrebbe potuto sentire le sue grida, Gary non c’era, quel maledetto sgabuzzino sarebbe diventato la sua trappola, quel ragazzo era il suo peggior incubo. Aveva capito che era arrivata la fine.

Non sapeva affatto però che quello era solo l’inizio.

* * *

Con un movimento fulmineo, mentre la teneva ferma, il ragazzo le abbassò il top scoprendole il seno.

Successe tutto così rapidamente. Come un maniaco sessuale perverso e ormai fuori di senno affondò la testa nel seno candido di Jane quando la porta si spalancò.

“Ma che cazzo stai facendo?”

Il signor Gary però, invece di darne di santa ragione al ragazzo senza pantaloni, lo spostò come se fosse un fastidioso insetto e tirò su il top di Jane sistemandoglielo per bene, dimenticando all’istante quel che aveva appena visto.

“Il momento è arrivato” il suo tono ora sembrava calmo, ma si vedeva che cercava di non perdere il controllo. Era come se fosse euforico al massimo. Era teso perché sperava di uscire da quella situazione, di riuscire a portare a termine il programma stilato per quella serata. Tutto era stato premeditato accuratamente: sua figlia sarebbe stata in grado di non fargli saltare i piani?

“Dai che ti sta bene questa divisa, su, sei bella”. La prese per mano e lei, scalza, lo seguì come se fosse un robot, un pupazzo, un oggetto, una prostituta.

Ecco finalmente la vista del locale in piena attività. Decine e decine di persone eleganti parlavano tra di loro, bevevano, qualcuno era esageratamente ubriaco, ma quello che saltò subito agli occhi di Jane furono due ragazze che ballavano la pole dance sui cubi avvinghiate ai pali d’acciaio.

Gary si rivolse a sua figlia.

“Vedi quelle persone che sono sedute sotto ai cubi?” Jane buttò l’occhio sui divanetti disposti proprio sotto le ragazze che ballavano, occupati da certi signori in giacca e cravatta.

La prima fila.

“Sono persone di massima fiducia, tu devi stare al gioco. Ricordati una cosa: devi fargli fare quello che vogliono, non ribellarti, non rispondere in maniera offensiva e non prendere nessuna cazzo di iniziativa” spiegò la bestia con gli occhi iniettati di sangue.

Lei annuì, ancora traumatizzata dal ragazzo di colore. Gary, stringendole il braccio, portò Jane sotto uno dei cubi vuoti.

“Devi ballare su questo coso; è la prima faccenda che avevi promesso di fare” sorridendo e senza lasciarle il tempo di rispondere, la prese in braccio e la scaraventò sul cubo.

Adesso si era trasformato: sorrideva a tutti e salutava ogni persona che gli rivolgeva la parola o un semplice cenno, si muoveva con disinvoltura e dava l’impressione di essere un uomo gentile e di gran classe.

“Adesso balla e dai spettacolo” gridò Gary indicando, senza farsi notare, le persone a cui alludeva un attimo prima.

Al centro della prima fila spiccava un personaggio molto sospetto. Avrà avuto poco meno di settant’anni, portava spessi occhiali da vista e una giacca pesante. Pantaloni grigi e scarpe nere. Era calvo, circondato da altri scagnozzi e lui, quello strano signore, doveva essere senz’altro Rütger Hoffmann. Di che affari parlava suo padre?

Non le sembrava vero. Era su un cubo, vicino a un palo per la pole dance, davanti a un oceano di gente che le puntava gli occhi addosso. Da brava studentessa era diventata, contro la sua volontà, la nuova protagonista di un night club in cui tutti aspettavano di vederla nuda. Jane sentì girare forte la testa, ma riuscì a vedere nitidamente che la ragazza che ballava sull’altro cubo si stava scatenando e stava dando grande spettacolo. Un inquietante spettacolo: quella sarà stata una ragazzina di diciassette anni al massimo che indossava tacchi a spillo, calze nere a rete, minigonna e top. Rideva e sembrava contenta quando sentiva i fischi provenienti dal pubblico eccitato. Jane guardava quelle persone e lo schifo prevalse ferocemente su qualsiasi altro tipo di emozione; c’erano uomini vecchi che si toccavano per aumentare la loro eccitazione, ridevano mostrando denti marci, si lanciavano occhiate complici per poi tornare a guardare con lussuria le ballerine. Molti di loro erano sposati, ma c’erano uomini giovani, altri ancora giovanissimi, altri erano tristi scapoli in cerca di un po’ di movimento, di culi, di tette, di sesso; lo avrebbero trovato con le ragazze? Sì, Gary avrebbe fatto pagare una bella cifra e avrebbe spillato tanta grana a quei maiali riservando loro il suo studio. Se qualcuno avesse voluto divertirsi con Frenny, la “collega” di Jane, avrebbe accettato sicuramente e avrebbe organizzato in pochi minuti il focoso appuntamento. Tutti quei soldi facevano gola al padrone del locale; sapeva benissimo che ogni sera, tecnicamente, rischiava la galera, ma proprio chi lo poteva mettere dentro godeva più di qualsiasi altro. Gary aveva allargato incredibilmente il giro coinvolgendo persone da ogni parte degli Stati Uniti. Il suo segreto era presentare le donne più sexy alle persone che lui considerava più pericolose. Li chiamava i bastardi. Il sistema funzionava alla perfezione: fornire donne e droga a chi poteva essere tanto fastidioso da trasformarsi in un potenziale nemico.

“Cazzo, muovi quel culo!” Gary riprese sua figlia in visibile difficoltà. Non stava ballando; si limitava a rimanersene in piedi sul cubo, più ferma del palo d’acciaio sul quale si sarebbe dovuta avvinghiare. Gary aveva questo scenario in mente e se sua figlia non lo avesse messo in atto l’avrebbe fatta pentire d’essere nata. Doveva ballare, altrimenti i bastardi si sarebbero incazzati e solo il diavolo poteva sapere cosa avrebbero fatto.

“Papà!” gridò Jane in preda al panico, “papà aiutami!”

Un uomo di mezz’età si era alzato e si era avvicinato a lei, aveva allungato una mano e le aveva toccato la coscia. L’interno, per la precisione.

I signori che avevano assistito alla scena ridevano di gran gusto.

L’altra ragazza, Frenny, era scesa dal cubo e aveva cambiato il tipo di ballo: lap dance. Era alle prese con un gruppo di uomini che allungavano le mani sulle natiche, sul seno, sulle braccia. Lei sorrideva maliziosa, faceva occhiolini, tirava fuori la punta della lingua e se la passava sulle labbra, faceva smorfie erotiche con il volto fingendo continui orgasmi. Poi, finito lo spettacolo hard, saltò con gioia sul cubo e continuò a lavorare con il palo d’acciaio.

Jane sapeva che, se non avesse fatto lo stesso, si sarebbe messa nei guai.

* * *

La morsa allo stomaco era fortissima.

Mai, mai e poi mai si era sentita così sporca, così fuori luogo. Le luci tagliavano il locale in mille parti colorate e tutti si divertivano. Era salita solo da qualche minuto e gli uomini si avvicinarono improvvisamente ai cubi. La musica cambiò, segnale che annunciava l’ennesimo ballo: lo spogliarello. Jane cercò di muoversi, ma quello che uscì fu un ballo ridicolo. Sembrava che avesse le gambe legate. Suo padre ogni tanto le passava vicino e le lanciava sguardi minacciosi. Era chiaro il suo messaggio. Non doveva fargli fare brutta figura, ma il corpo non rispondeva più ai segnali inviati dal cervello. Il terrore ormai si era impadronito di lei.

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