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Le Regole Del Paradiso
Infilò la mano nella tasca del suo vecchio giacchetto e tirò fuori il taglierino che il padre non aveva mai utilizzato.
Quante volte si era addormentata piangendo, infelice della propria vita, desiderosa di una svolta che sembrava non arrivare mai; era pesante quellâattesa, più illusoria che pretenziosa, più stancante che speranzosa.
Gary e i suoi modi animaleschi, per non parlare degli ultimi tempi in cui il suo cervello, la sua umanità e la sua logica sembravano essere spariti nel nulla lasciando il posto a una persona senza scrupoli.
Con il pollice destro spinse in avanti il piccolo fermo per sbloccare lâarnese. Spinse ancora di più quel piccolo pezzettino di plastica nero che si trovava al centro del taglierino e fece uscire circa sette centimetri di lama. La mano prese a tremare più velocemente. Cercò di non farci caso: tenendo saldamente lâarnese, tolse la parte iniziale del guanto che copriva il polso sinistro. Ora quel delicato tratto di carne bianca era ben visibile. Avvicinando la lama alle vene poteva immaginarsi la scena, ma mai il dolore che avrebbe provato, la reazione del padre quando gli sarebbe giunta la notizia e in quanto tempo, dopo il fatale taglio, sarebbe morta.
Era questione di attimi. Di secondi. Bastava che il cervello inviasse il comando alla mano di fare pressione sul polso per poi strattonare allâindietro quel maledetto taglierino e tutto sarebbe finito. Lo strinse talmente forte da sentire dolore alle dita. Cominciò a sudare e nella mano avvertiva come un blocco che le impediva di eseguire il gesto. Forse non lo voleva davvero, forse era tutta una messa in scena e non avrebbe mai avuto il coraggio di farlo. Forse avrebbe lasciato che il taglierino le cadesse dalla mano e sarebbe corsa a casa continuando a vivere la sua vita disastrata e magari aspettare passivamente un motivo per cui vivere.
Sarebbe bastato un attimo di più e forse avrebbe potuto ancora cambiare il destino, ma il peso di quegli anni era talmente insopportabile da farle crollare ogni speranza di sorreggere lâidea più straordinaria che le poteva giungere alla mente in quel momento: aspettare un domani migliore.
A denti stretti pronunciò le ultime parole.
âMamma, arrivoâ.
Con uno scatto, la lama fece attrito sulle sue vene a una velocità incredibile.
Dal polso iniziò a zampillare sangue.
* * *
Luce.
Fu questa la prima cosa che Jane, aprendo gli occhi, vide. Era la luce del paradiso, ormai era morta e finalmente il viaggio si era concluso. Adesso doveva farsi forza per alzarsi dalla superficie morbida sulla quale si trovava e andare a cercare sua madre. Avrebbe incontrato anche Dio? Stava forse scoprendo il grande segreto che nessun essere umano era mai stato in grado di svelare con certezza?
Dâimprovviso un insieme di voci si sovrapposero lâuna con lâaltra e Jane aprì definitivamente gli occhi avvertendo un forte dolore alla testa.
Guardò avanti a sé e si accorse di alcune persone che camminavano.
Non era il paradiso, ma un ospedale.
Inizialmente non capì perché fosse finita lì ma poi, vedendosi la fascia intorno al polso, i ricordi si fecero man mano più nitidi. Nonostante ciò, sia fisicamente che psicologicamente si sentiva abbastanza bene. Era solo un poâ stordita. In quellâistante entrò una dottoressa.
âMi scusiâ esordì debolmente Jane.
âTi serve qualcosa?â domandò lei premurosa. Era una donna sulla cinquantina, con i capelli grigio chiaro.
âMi chiamo Jane Madison e⦠volevo sapereâ¦â
âHai subito un grave taglio al polso mia cara, ti abbiamo trovata sul retro dellâospedale, seduta sui gradini. Ricordi come ti sei fatta male?â
Jane fece mente locale ma, oltre quello che era successo al parco, non ricordò minimamente di essersi seduta sui gradini dellâospedale che portavano allâentrata secondaria.
âNo, mi dispiaceâ.
La dottoressa controllò la flebo.
âQuando potrò uscire? Dovrò rimanere tutta la notte?â
âNon avendo nessun documento non sapevamo se fossi maggiorenne o meno, ma un infermiere ti ha riconosciuta e ha chiamato tuo padre. Sai, sono amici di vecchia dataâ spiegò la dottoressa.
La ragazza chiuse istintivamente gli occhi e si maledisse.
âDottoressa, il fatto è che mio padre nonâ¦â
âEra di rientro dalle feste natalizie. Sta arrivandoâ concluse. La donna sorrise e uscì dalla stanza dopo che unâinfermiera la chiamò.
Nel giro di qualche minuto Gary arrivò.
Jane si alzò dal suo letto grazie anche allâaiuto della dottoressa che, mentre le porgeva il braccio come sostegno, si accertava continuamente del suo stato di salute. Facendo un passo per volta, Jane sentiva che il mal di testa era diminuito parecchio rispetto al suo risveglio.
La dottoressa prese in mano il giacchetto di Jane sporco di sangue.
âMi dispiace che tu debba rimetterti questoâ disse porgendoglielo delicatamente. La ragazza quando vide le chiazze rosse inorridì. Ancora doveva realizzare di essere viva.
âSua figlia è stata veramente fortunata. Se non fosse venuta allâospedale in tempo, non voglio neanche immaginare cosa le sarebbe potuto accadereâ spiegò alla bestia che non la finiva di guardare male la figlia. Ancora una volta si era messa nei guai e lui era costretto a vestire i panni del bravo genitore.
âPurtroppo queste brutte cose succedono. Lâimportante ora è che sia tutto a postoâ.
Con la mano lurida di falso affetto le scompigliò i capelli.
âOvviamente. Lâunica cosa che non riesco ancora a capire è come abbia fatto a raggiungere lâospedale senza che nessuno lâaiutasseâ.
Entrambi si girarono verso Jane per ricevere risposta.
âMi sono fatta male qui vicino, ecco perché ce lâho fatta. Solo allâultimo, come ha detto lei dottoressa, mi sono seduta sui gradini dellâospedale. Non è stato nientâaltro che un forte giramento di testaâ disse lei sorridendo.
Gary sorrise debolmente, ma era chiaro che si trovava spaesato e non sapeva come reagire.
âAspetta un momento, adesso che ci penso tu avevi una specie di bandana stretta al polsoâ disse la dottoressa socchiudendo gli occhi per ricordare meglio.
âCome hai fatto ad applicarla così bene sulla ferita? Era stretta al punto giusto e ha bloccato lâemorragia: se non lo avessi fatto subito dopo lâincidente avresti perso troppo sangue e saresti svenuta perdendo i sensi. Câera il rischio che tuâ¦â
âà stato il nostro Signoreâ disse Jane per tagliare corto.
Gary, dopo quellâaffermazione, prese la figlia per un braccio e se ne andò senza neanche salutare la dottoressa che, perplessa, rimase al centro della sala dâaspetto a fissare i due che si allontanavano.
* * *
âNon saprei dirti se avessi potuto farti più stupida di così. Mi spieghi come cazzo hai fatto a finire in quellâospedale di merda?â
Jane guardava fuori dal finestrino e sentiva pulsare leggermente il polso ferito.
âMi sono fatta maleâ.
Gary la guardò per un attimo.
âMi prendi per il culo? Si era capito che non ci fossi andata per farti una messa in piega, Jane!â
âEro uscita a farmi una passeggiata, ho sbattuto il polso e mi sono fatta maleâ.
âBella spiegazione, complimentiâ.
Forse quella fu la conversazione più normale avuta con il padre in tutta la sua vita. Nonostante avesse torto le piaceva conversare con lui senza essere attaccata con parolacce e insulti tanto da farla piangere.
âTu, comunque sia, per una settimana, te ne stai a casa così non combini altri guaiâ.
La settimana di detenzione casalinga passò molto lentamente, tanto da costringere Jane a ripassare tutti gli argomenti che le erano piaciuti di più, anche se era stanca di domandarsi come fosse stato possibile quel finale del tutto inatteso al suo piano.
* * *
Si stava facendo notte.
Presa da un senso di noia e considerato il fastidioso silenzio in cui era sommersa la casa, Jane approfittò della fine della punizione imposta dal padre per scendere e farsi una passeggiata. Decise di entrare nel parco e dirigersi verso il posto in cui aveva tentato di togliersi la vita. Quando giunse nello stesso fazzoletto di terra in cui aveva raccolto il coraggio necessario per far saettare la lama dâacciaio contro il suo polso, realizzò di sentirsi come un fantasma che visita luoghi a lui appartenuti, quandâera ancora in vita, quando ancora tutto era possibile. Chiuse un momento gli occhi come per richiamare alla mente, in ordine cronologico, tutte le immagini e le azioni eseguite quel giorno, un poâ come se avesse voluto analizzarne i punti salienti, i punti critici, i punti in cui qualcosa poteva andare diversamente e visse quella sensazione che, mentre teneva in mano lâarnese di suo padre, non lâaveva abbandonata un solo istante: la consapevolezza di poter incontrare, una volta suicidatasi, sua madre. Se quel piano avesse funzionato, non avrebbe avuto mai più lâopportunità di crescere, diventare una donna, abbracciare i suoi giorni migliori e quelli più difficili, avrebbe perso qualsiasi battaglia che la vita le avrebbe srotolato davanti, avrebbe rinunciato volontariamente a tutti i soli che sarebbero sorti per regalarle giornate felici; non avrebbe vissuto il tanto sognato e sperato amore che, come unâentità sfuggevole e timida, si nascondeva ai suoi occhi.
Esiste una giustificazione al suicidio? Anche non trovando una risposta adeguata, né tanto meno oggettivamente accettabile a quel dubbio, cercò di valutare la motivazione che lâaveva spinta a tagliarsi le vene.
Scosse la testa non riuscendo a cancellare domande e visioni: il sangue che zampillava fuori dal polso, la testa che cominciava a girare e⦠e poi? Sembrava che il resto fosse stato cancellato segretamente da qualcuno. Cosâera successo durante quel lasso di tempo? La dottoressa aveva detto che lâavevano trovata seduta sui gradini dellâospedale.
âCosa ci fai qui a questâora?â Jane si voltò allâimprovviso spaventata.
âNon dovresti girare da sola di notte. Potrebbe essere pericolosoâ.
Il cuore le cominciò a battere forte; si rese conto che per fuggire doveva passargli per forza davanti. Quello che fece però fu rimanere perfettamente muta e immobile davanti a lui.
Il misterioso ragazzo la guardò. Aveva gli occhi di un marrone scuro quasi da sembrare neri. Gelarono completamente i suoi.
Notando una strana espressione sul volto del giovane sconosciuto, la ragazza cercò di organizzare un piano di fuga valido ed efficiente, ma non câerano molte possibilità di attuarlo. La sua paura più grande era di essere placcata non appena gli fosse sfrecciata accanto per andarsene.
Guardando a terra, cercò comunque di camminare verso lâuscita a passo lento, come se non esistesse.
âTe ne vai? Non voglio mica mangiartiâ.
Il suo era un tono sicuro. Era ancora contro quellâalbero. Con le mani in tasca.
Jane affrettò il passo e con la paura addosso riuscì a passare davanti al ragazzo senza essere placcata, né ostacolata in alcun modo. Con la coda dellâocchio vide però uno strano movimento di lui, come se con la schiena si fosse dato una spinta contro il tronco dellâalbero per riacquistare la posizione naturale e camminare verso di lei.
Questo bastò per far correre Jane allâimpazzata verso lâuscita. Metteva un piede davanti allâaltro a una velocità che non avrebbe mai scommesso di avere; stava gridando aiuto, ma il parco era praticamente deserto.
Sentì alcuni rumori dietro di sé e cercò in ogni modo di accelerare ancora di più; una volta fuori virò a sinistra, attraversò la strada e sfrecciò verso casa a perdifiato.
Nel giro di pochissimi minuti si ritrovò segregata in cameretta, con il fiato corto e la schiena sudata. Si tolse il giacchetto, lo lasciò cadere a terra e andò alla finestra.
Sbirciò fuori, nei pressi del parco, ma non vide nessuno.
* * *
La mattina seguente decise di farsi una passeggiata.
Anche se câerano molti ragazzini che correvano allâimpazzata, sarebbe stato ugualmente un momento perfetto per abbandonarsi a qualche passo allâaria aperta, non pensando a niente di particolarmente impegnativo o preoccupante.
Per buona parte del tempo rimase seduta su una panchina al lato del parco e, quando si accorse che si era fatta ormai lâora di pranzo, decise di andarsene, ma un attimo dopo si sentì chiamare.
âEhi!â
Si girò. Era lo stesso ragazzo che il giorno prima cercava la sua attenzione. Gli diede le spalle e camminò a passo svelto.
âMa perché scappi quando mi vedi? Non voglio mica mangiarti!â
Con la testa bassa e gli occhi che sembravano scannerizzare qualsiasi cosa ci fosse a terra, finse di non sentirlo. Si alzò di scatto.
âDevo dirti una cosa. Aspetta!â
Automaticamente, come se quelle parole fossero cariche di una magia a lei estranea, avvertì un misto di curiosità e prudenza a cui sapeva di non voler resistere; fece uno sforzo e irruppe ugualmente in casa. Appena entrata si affrettò ad andare alla finestra per spiarlo come lâultima volta. Non câera più.
Si trattava del solito ragazzo in cerca di divertimento?
Fin dal giorno prima si rimproverava per non riuscire a controllare e gestire alcune parti del suo carattere che, scagliate verso gli altri, soprattutto se sconosciuti, non le procuravano altro che figuracce distorcendo la sua immagine. Ritornando al momento in cui il ragazzo aveva dichiarato di avere qualcosa da dirle, si rese conto che la sua reazione, anche se prudente, aveva finito per essere esageratamente diffidente, sfiorando così quello che odiava: la maleducazione.
Affacciata alla finestra per un altro quarto dâora, lo intravide passeggiare con la testa abbassata, gli occhi spenti, ignorava tutti i bambini che gi sfrecciavano accanto. Senza contare il fatto che ce nâerano alcuni davvero impertinenti. Correvano proprio nella sua direzione e, se non fosse stato per lui che si spostava velocemente ogni volta, lo scontro sarebbe stato inevitabile; non ci fece caso più di tanto perché era presa dalle emozioni che le giravano in corpo. Perché quella strana paura che aveva di lui si era trasformata in curiosità ? Decise di fare, una volta tanto, come le pareva. Senza la maledetta bestia che le ordinava o le vietava qualcosa. Quel ragazzo le aveva messo così tanta curiosità da creare un conflitto tra Jane e la sua timidezza a tal punto da far combattere, per la prima volta in vita sua, la ragazza contro se stessa.
Diede unâultima occhiata alla finestra e lo vide seduto su unâaltalena. Scendendo sentiva di nuovo la paura iniziale. Era la prima volta che stava andando lei da un ragazzo. Non era mai successo ed era convinta che non sarebbe mai capitato. E invece quella volta era diverso. Si era stancata di essere prigioniera di se stessa e della vergogna e per una vita era stata ingiustamente la schiava di suo padre. Adesso basta. Con quella piccola follia, voleva andare contro ogni regola.
Raggiunto il parco cercò di non dar troppa importanza al tremore delle gambe e si cimentò a raggiungerlo. Un poâ sorpresa di vedere sopra le altalene due ragazzini abbastanza in carne che cercavano di dondolare in avanti e indietro aiutandosi con le gambe, si chiese dove si fosse cacciato. Non riusciva a individuarlo. Girò per il parco per più di mezzâora guardando in tutti gli angoli, ma niente. Era sparito. Jane decise di dare unâocchiata anche nel famigerato posto in cui aveva deciso di farla finita, ma lui sembrò essersi volatilizzato e così, inaspettatamente delusa, se ne andò.
* * *
Le aspettative riguardo alla giornata successiva non erano tanto migliori delle solite: Gary e Ginger erano partiti di nuovo chissà per dove e, a casa da sola, si stava annoiando a morte. Aveva già completato e studiato la relazione di chimica, quindi la mattina venne consumata davanti alla televisione. Ogni tanto si andava ad affacciare alla finestra per accertarsi che il ragazzo misterioso non fosse in giro per il parco.
Appena finito di pranzare, Jane non sapeva come avrebbe potuto passare il resto della giornata. La noia era arrivata davvero al limite quindi, alla fine, decise di ripassare quello che aveva studiato.
A un certo punto, passando davanti alla camera della bestia per andare nella sua, Jane notò con grande sorpresa che la porta era semichiusa. Con un poâ dâesitazione decise di entrarci, cosa che le era stata severamente proibita, un poâ come la sala di musica che non poteva essere frequentata dai non addetti. Entrando non poté fare a meno di guardarsi alle spalle. Aveva il terrore di vederlo entrare, anche se sapeva benissimo che era impossibile: in quel momento solo Dio poteva sapere dove fosse.
Lâemozione era simile a quella dei ragazzi che provano a fumare in soffitta cercando e sperando di non essere scoperti dai genitori. Prendono con mano tremante lâaccendino, lo attivano e lo portano, incerti, vicino alla sigaretta. Jane si trovava nella stessa situazione. Credeva che se un poliziotto lâavesse vista lì dentro lâavrebbe arrestata. Suo padre le aveva fatto venire il terrore di quella camera. Cosa poteva esserci di tanto segreto? Non se lo sapeva spiegare, era uno dei tanti misteri di quellâuomo e la noia di quella giornata la spinse a scoprirne qualcuno. Aprì le ante dellâarmadio per sbirciare dentro e si accorse che in basso a sinistra câera una piccola cassettiera che non aveva mai visto. Si mise in ginocchio e aprì delicatamente il primo cassetto, trovando subito qualcosa di interessante. Alla vista di una âRevolver 44 magnumâ si sentì gelare e invadere da un senso di agitazione. Jane chiuse immediatamente il cassetto cercando di far finta di niente e passare a quello centrale. Lo aprì e vide solo un mucchio di lettere. Erano disposte in modo disordinato e ne prese una a caso. La lesse velocemente.
San Francisco 17/02/83
Caro Gary,
il periodo che sto passando con te è a dir poco favoloso. Mi fai dimenticare di tutti i problemi che ho con mio marito. Ho commesso un grave errore a sposarlo! Quando lo chiediamo questo maledetto divorzio? Io non ce la faccio più. Anche tu mi racconti sempre che non sopporti più tua moglie, quindi è destino che dobbiamo scappare via insieme. Non ci posso credere che sei venuto a casa mia il giorno del vostro anniversario. Hai lasciato da sola tua moglie con il piccolo insetto, come la chiami tu. Che ridere! Le sta bene. Se fai così significa che non è una moglie che merita il tuo amore.
Sei da amare follemente.
So che non le dai tutte le attenzioni che dai a me.
à come se avessi due personalità e con me usi solo quella buona. Come dici spesso, tua moglie si merita il peggio di te. Ed è giusto che tu glielo dia. Ora ti saluto. Ci vediamo mercoledì. Ti aspetto. Un bacio.
Con affetto, Katherine.
Gli occhi erano fissi sulla strana grafia della donna.
Lo sguardo di Jane percorreva ogni lineamento e analizzava ogni singola parola. Mentre rileggeva per la quinta volta la lettera le si formarono alcune immagini in testa, sfocate; suo padre che estrae la lettera dalla busta, i suoi avidi occhi divorano ogni pensiero perverso scritto dalla donna, sulla sua bocca nasce un malizioso sorriso; come se fossero quelli di un ventenne i suoi ormoni crescono, si moltiplicano. Nessuno sa che non vede lâora di incontrare Katherine per prenotare di nuovo quella camera dâalbergo, per bere champagne nudi, nella vasca da bagno ricoperta da petali di rosa, petali finti, di plastica. La donna dal seno prorompente che sâimmerge con lui nellâacqua bollente, i seni in faccia, lei che lo lecca dappertutto, lui che tira la testa allâindietro e si lascia andare, la perversione nei primi giochi erotici, le lancette dellâorologio non esistono più, il tempo si è trasformato in unâinutile banalità e ogni cosa è al suo posto, proprio come quella stupida moglie che aspetta a casa e che dovrebbe passare il resto del suo tempo a pulire e stendere panni: per quello serve una moglie.
Il ruolo di bravâuomo, anni prima, gli era riuscito davvero bene; sua moglie, allâepoca, aveva ceduto veramente allâuomo che sembrava essere il suo, quello che si incontra una volta e mai più.
Poi rilesse la città : San Francisco. Gary più di una volta aveva spiegato a Jane, a male parole, che si erano trasferiti a Seattle dopo lâincidente fatale costato la vita alla povera donna di casa. Il dolore, stando alle sue parole, era così acuto che ogni cosa di quella città , ma soprattutto di quella casa, le ricordava lei e andare avanti così era impossibile. Ma se quello che aveva scritto Katherine era vero e cioè che se la spassava con lei, non era vero che la bestia amava sua moglie, anzi, la odiava! Quindi, era impossibile che avesse sofferto così tanto.
Qualcosa non quadrava circa la motivazione del trasferimento.
Qualcosa di molto grande.
* * *
Jane scoprì molto del passato del padre che prima le era totalmente sconosciuto.
Non immaginava neanche che avesse tutte quelle donne pronte a sposarlo, pronte a scappare con lui e a lasciare i propri mariti. Cosa aveva di affascinante suo padre? Non riusciva proprio a capirlo. Perché invece, da quanto capiva dalle lettere, con sua madre era un mostro? Se era vero che una parte buona ce lâaveva, perché non lâaveva usata con lâeffettiva moglie? Questo restò un mistero fino a quando Jane non lesse altre decine e decine di lettere, scoprendo così lati di queste donne che, negli scritti precedenti, non erano emersi. Da quanto si poteva dedurre, erano donne dipendenti da droghe, da uomini, donne sole da anni, vedove o infelici con il proprio marito. Erano queste le caratteristiche principali di chi impazziva per Gary. Si spiegò solo con la lettura incredula di quelle lettere perché lasciasse sempre sole le donne di casa. Le uniche che avrebbe dovuto amare e proteggere. Invece, nei vaghi e pochi ricordi di Jane, erano ancora vive le botte che riservava alla moglie. Sua madre a terra, molto spesso sanguinante e lui che, dopo averla presa a calci come aveva fatto con lei al night, finiva per ubriacarsi in chissà quale bar coi soldi che avrebbe potuto impiegare per comprare un misero giocattolo alla figlia. Lei, per quanto impotente, cercava di aiutare la mamma. Poi il vuoto. Non câera nessuna figura a popolare quel gap che Jane, anche dopo essersi sforzata molto, non riusciva a ricordare. Mancavano dei pezzi, degli anelli fondamentali che agganciassero i ricordi di quei giorni terribili, fino al famoso incidente di cui parlava il padre e che lei non ricordava. Forse il dolore le aveva cancellato quel terribile ricordo. Era questo che Jane, tolte le pochissime foto, conservava della madre. Tutto il resto non lo ricordava.
Jane sciolse i capelli togliendosi lâelastico rosso che li teneva raccolti in una sinuosa coda e si grattò la nuca; la confusione che aveva in testa era indescrivibile; sperava che in quelle lettere ci fosse qualcosa che lâaiutasse a sapere altre cose che suo padre le aveva sempre tenuto nascoste, ma niente. Si lesse decine e decine di lettere di donne ninfomani che scrivevano con un linguaggio volgare e spesso provocatorio, un linguaggio che non lasciava spazio né a un poâ di passione né a un poâ di romanticismo.
Non appena Jane chiuse la porta della camera, sapeva benissimo di non poter rivelare a nessuno le due ore spese a leggere segretamente la posta privata del padre.
Gli interrogativi sullâintera faccenda sembravano moltiplicarsi senza freni; domande apparentemente senza risposte plausibili e fondate iniziarono a farle oscillare la testa. Fino ad allora aveva sempre trovato scuse ai suoi comportamenti: la violenza che usava con lei poteva essere uno sfogo, una grande rabbia che non riusciva a controllare se solo pensava alla moglie e al dolore provato dopo la sua morte. Ma adesso che sapeva qualcosa di più riguardo al suo oscuro passato, dopo lâuragano scatenato dalle lettere le sue ipotesi, già in bilico appena formulate, crollavano definitivamente. Jane aveva addirittura teorizzato che si fosse fidanzato con una tipa ridicola come Ginger perché, avendo avuto solo una donna nella sua vita, dopo tanti anni cercava di scaricare le sue pulsioni dâamore sullâunica donna che gli donava qualche attenzione, ma anche questa conclusione ora era completamente priva di senso.