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Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 2
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Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 2

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Speditosi il congresso dalla bisogna degl'Indiani, la quale lo aveva grandemente tenuto sospeso, si rivolse, fatto più ardito dalle giornate di Lexington e di Breed's-hill, ad onestar la causa sua, e la presa dell'armi nel cospetto di tutte le nazioni del mondo; e ciò facendo usò lo stile delle nazioni independenti. Mandarono un bando, o sia dichiarazione, nella quale con molto gravi parole ricordarono le fatiche, i disagi ed i pericoli dagli antenati loro sopportati nell'andar a piantare le colonie in quelle strane e rimote regioni; le cure loro nel farle crescere e prosperare; i patti fermati colla Corona, e l'utilità e le ricchezze che ne erano all'Inghilterra derivate. Rammentarono la lunga fedeltà e la lodata prontezza a venir in soccorso della comune madre. Quindi trapassarono a parlare dei nuovi consiglj presi dai ministri sul finire dell'ultima guerra, e fecero una diligente enumerazione delle lamentate leggi. Narrarono acconciamente le lunghe e vane querele, le decennali ed inutili supplicazioni. Accennarono le inique condizioni per la pace proposte nel Parlamento (intendo di parlare della proposta d'accordo del lord North), escogitate a bella posta per dividergli, per metter le tasse all'incanto, al quale una colonia concorrerebbe contro l'altra, non sapendo ambedue qual prezzo sia a redimer le vite loro bastevole. Descrissero la possessione nimichevolmente presa della città di Boston dalla soldatesca armata sotto i comandamenti del generale Gage; le ostilità di Lexington incominciate dai soldati reali, e le crudeltà commesse in quel fatto; la rotta fede di quel generale pel rifiuto delle permissioni di uscita, e le più peggiori permissioni concesse, per avere con barbara inumanità separato i mariti dalle mogli, i figliuoli dai genitori, gli amici dagli amici, i vecchi e gl'infermi dai pietosi, dai forti e dai sani, i padroni dalle robe e masserizie loro. Rammentarono la beccheria di Breed's-hill, l'incendio di Charlestown, l'arsione delle navi, il guasto delle vettovaglie, la minacciata rovina e distruzione di tutte le cose. Favellarono delle tente fatte dal governatore del Canadà per ispingere a' danni loro gl'Indiani, gente fera e bestiale, ed i disegni ministeriali notarono di voler accumulare sulle infelici ed innocenti colonie tutti i flagelli del fuoco, del ferro e della fame.

«Siamo, esclamarono essi, al bivio ridotti, o di sottometterci intieramente alla tirannide d'irritati ministri, o di resistere colla forza. Abbiam ragguagliati i danni da una parte e dall'altra, e trovato abbiamo, che nulla è più da temersi, che la volontaria schiavitù. L'onore, la giustizia, l'umanità ci vietano di abbandonar vilmente quella libertà, che abbiamo dai nostri valorosi antenati ricevuta; e che la nostra innocente posterità ha diritto di ricevere da noi. Non possiam portar l'infamia di dar in preda le future generazioni a quella miserabilità, che sovrasta loro inevitabilmente, se noi con inudita viltà lasciam loro per eredità la servitù. La nostra causa è giusta, l'unione perfetta, le facoltà grandi; e non mancheranno all'uopo i soccorsi esterni. Noi ringraziamo grande e gratamente la divina Provvidenza, che a questo terribil cimento non ci abbia tratti, se non quando erano già le nostre forze al presente grado cresciute, ed avevamo nelle precedenti guerre imparato l'uso dell'armi, ed acquistato i mezzi di difesa. Con i cuori confortati da questi pensieri noi solennemente, avanti Dio ed avanti gli uomini, dichiariamo, che noi giusta nostra estrema possa quelle armi, che il benefico Creatore ha nelle nostre mani poste, ed alle quali i nostri nemici ci hanno sforzati di ricorrere, ad onta di ogni pericolo, con animi invitti ed insuperabil costanza adopreremo in difesa delle nostre libertà, essendo tutti, ed al tutto risoluti a morir liberi, piuttosto che a vivere schiavi. Che le menti dei nostri amici e concittadini non si sollevino a queste nostre determinazioni. Noi non intendiamo a niun modo quell'unione disciogliere, la quale da sì lungo tempo dura fra di noi, e che con ogni sincerità desideriamo di veder ristorata. La necessità non ci ha peranco spinti a questo disperato consiglio, nè alcun'altra nazione abbiam contro di essi alla guerra provocata. Noi non leviamo gli eserciti coll'ambizioso disegno di separarci dalla Gran-Brettagna, e diventar Stati independenti. Noi non combattiamo nè per la gloria, nè per le conquiste. Noi offeriamo al mondo lo spettacolo di un popolo assaltato da un nemico non provocato, senza niuna imputazione, o sospetto di offesa. Vantan essi i privilegj e la civiltà loro. Eppure altre condizioni non offrono, che la servitù, o la morte.

«Nella nostra propria contrada, in difesa di quella libertà che abbiamo, nascendo, eredata, che abbiam goduta dai tempi della rivoluzione in poi, per la protezione delle nostre proprietà solo acquistate per la onesta industria de' nostri antenati, e nostra, e contro la violenza testè usata, noi abbiamo le armi pigliate. Queste porremo noi giù, ma non prima, allor quando gli assalitori avran cessato le ostilità, ed ogni pericolo che ricominciar possano, sarà allontanato. Posta umilmente ogni nostra confidenza e speranza nella mercè del supremo, ed indifferente Giudice e Governatore di tutte le cose, noi divotamente supplichiamo la sua divina bontà di proteggerci in questo gran conflitto, ed a felice fine condurci, di piegare il cuore de' nostri avversarj alla concordia, di fargli a ragionevoli termini consentire, ed in tal guisa l'impero preservare dalle calamità della cittadina guerra».

Questo manifesto, il quale fu molto lodato a quei tempi, fu sottoscritto da Giovanni Hancock, il quale era in iscambio del Rutledge stato eletto presidente del congresso, e dal segretario Carlo Thompson.

Il congresso non tralasciò anche in questa circostanza di usare il mezzo della religione. Il manifesto fu mandato in ogni parte del continente, e letto su pei pulpiti dai ministri colle opportune esortazioni. Nel campo bostoniano fu letto con preparata solennità. Il maggior generale Putnam assembrò quella parte dell'esercito, che obbediva a' suoi comandamenti in sul Prospect-hill, e quivi con insolita pompa fu letto ai soldati. Terminata la lettura si fe' un'accomodata preghiera. Dato il segno dal generale, tutto l'esercito gridò tre volte amen, ed in quel mentre si sentì lo scoppio dell'artiglieria, che tirò dal Forte. Drappellavano nell'istesso tempo colla insegna mandata recentemente al Putnam col solito motto di Appello al Cielo, e con quell'altro; Qui transtulit sustinet. Le istesse solennità osservate furono tra le altre schiere. Tutti erano contenti e concitati. A Cambridge poi, essendovi concorsi i principali uomini della provincia di Massacciusset, la lettura fu fatta in presenza loro e di molto popolo con grande apparato. Il che contribuì non poco ad indur negli animi, con una ardenza e zelo religiosi, una grandissima ostinazione. Queste cose si facevano ad imitazione di quelle, che stat'erano praticate dai libertini ai tempi di Carlo I, sicchè pareva, fosse quell'istessa guerra rinnovata, nella quale la religione protestante serviva di motivo o di pretesto agli autori della libertà, od ai fautori dell'anarchia; e la religione cattolica serviva di titolo o di coperta ai difenditori della temperata Realtà, od agli stabilitori del dispotismo. Tanta è la forza della religione nei cuori umani! E tanta è sempre stata la propensione dei reggitori delle nazioni a profittarne! Dal che la religione stessa ricevè gran danno; ed è nata in gran parte quella freddezza, che in proposito di lei fu osservata in certi tempi, e che fu sì meritevolmente lamentata dagli uomini prudenti. Imperciocchè l'universale dei popoli si accorse, che gli uomini astuti della religione si servivano, come di un istromento per arrivare ai fini mondani loro. E siccome l'uomo è pur troppo sfrenato, e ne' desiderj suoi molto intemperante, sicchè non contento di rimanersi ai limiti del bene non precipiti spesso nel suo contrario, così la religione, che dovrebb'essere sempre santa ed intemerata, diè talvolta favore a biasimevoli imprese con grave scandalo dei popoli, e con molta diminuzione della propria autorità, che riuscì assai dannosa alla rettitudine ed al buon costume. Comunque ciò sia, ella è cosa certa, che questa sembianza religiosa, colla quale vollero gli Americani colorire l'impresa loro, se produsse fra di essi maggior consenso ed ostinazione, fu causa eziandio della pertinacia del governo inglese, del rigore e della severità, coi quali esercitò egli la presente guerra. Oltre la ragion di Stato si tramescolava nella mente sua la ricordanza dei passati casi dei britannici Re; il che doveva con un certo spavento indurre anche più rabbia e maggior livore.

Avendo in tal modo il congresso cercato di giustificar l'opera sua presso le nazioni del mondo, voltò il pensiero a protestare al popolo inglese, che l'intendimento degli Americani era quello di voler l'antica congiunzione con essi mantenere, la quale, affermavano, era stata, e tuttavia era la gloria, la felicità ed il primo dei desiderj loro. Gli ammonivano in istile grave e molto patetico, si ricordassero dell'antica amicizia, delle gloriose e comuni imprese degli antenati, e dell'affezione verso gli eredi delle virtù loro, le quali la vicendevole congiunzione fin'allora conservata avevano. Ma quando, soggiungevano, l'amicizia era violata colle più atroci ingiurie; quando ciò, ch'era l'onore e l'ornamento degli antenati riputato, diventava una cagione di biasimo, e quando niun'altri rispetti rimanevano fuori di quelli, che fra tiranni e gli schiavi esistono; quando finalmente ridotti erano all'alternativa di rinunziar al favor loro, od alla libertà, non dover poter essere dubbia la elezione. E dopo di aver toccato i meriti loro e le dannose leggi, concludevano con dire, che la vittoria sarebbe del pari pregiudiziale all'Inghilterra, che all'America; che quei soldati, i quali avrebbero cacciato le spade dentro le viscere degli Americani, le avrebbero anche senza esitazione alcuna rivolte contro i Brettoni; che pregavano bene il cielo, volesse dagli amici loro, fratelli e concittadini, imperciocchè con tali nomi volevano ancora appellargli, primachè la memoria dell'antica affezione cancellata non fosse, quell'eccidio e quella rovina frastornare, che loro soprastavano.

Composero anche una dicerìa indiritta al Re, colla quale narrati prima i meriti loro, la fede verso la Corona, le disgrazie e calamità presenti, pregarono e scongiurarono, che il reale animo di Sua Maestà si piegasse a voler interporre l'autorità sua per sottrargli dalla presente condizione, ed a trovar qualche buon mezzo, onde, le unite supplicazioni delle colonie udite, possano alla riconciliazione condursi. Imploravano eziandio, cessassero intanto le armi, e quelle leggi si rivocassero, dalle quali maggiore e più prossimo danno provavano. Che ciò fatto, avrebbe il Re tali prove del buon animo delle colonie avute, che le avrebbe tosto alla sua reale grazia ritornate, ed esse nulla lasciato per testimoniare la divozione loro verso il sovrano, e l'affezion verso la comune patria.

Desiderava il congresso di rendersi benevola la nazione irlandese, essendochè molti utili cittadini ne venivano ogni anno dall'Irlanda ad abitar l'America, e tra i soldati, anzi tra i generali americani si trovavano alcuni Irlandesi. Temeva eziandio, che gli uomini di quella nazione avessero mal animo contro i coloni per causa delle leghe contro il commercio, dalle quali avevano ricevuto molto danno. Nè non sapeva, che anche gl'Irlandesi erano per molte ragioni scontenti del governo inglese; e quantunque si fossero ultimamente fatte loro concessioni, tuttavia rimaneva ancora molto disgusto negli animi loro. Questa mala contentezza intendeva di usare il congresso, e d'invelenir quelle piaghe, che già andavano serpendo nei cuori irlandesi. La qual cosa come potesse consistere colla fedeltà, nissuno non potrà non giudicare. Ma la guerra era rotta, e già molto avanti trascorsa, e gli Americani volevano con tutti i mezzi esercitarla; tra i quali secondo il solito, quello si è di aver la sembianza di desiderar la pace, e quell'altro ancora di sollevare ed inasprire gli animi dei sudditi del nemico contro l'autorità dello Stato. A questo fine il congresso scrisse una molto accomodata lettera, la quale inviò al popolo irlandese. Affermarono che siccome ingiuriati ed innocenti, così desideravano di goder il favore dei virtuosi ed umani uomini; che comunque incredibile dovesse parere, che in quel secolo, tanto chiaro per la civiltà e per le dottrine, i reggitori di una nazione, la quale in ogni tempo aveva per la libertà combattuto, e la memoria degli amici di quella con perpetua onoranza proseguiti, tentassero di stabilire un'arbitraria potestà sulle vite, le libertà e le proprietà dei concittadini loro dell'America, ciò era non di meno una altrettanto deplorabile, che incontrastabile verità. Parlavano ancora delle battaglie di Lexington e di Breed's-hill, dell'incendio di Charlestown, e delle prigioni di Boston. Continuarono dicendo, che nissuno gli poteva biasimare di aver voluto colla forza arrestar il corso di tanta desolazione; di ributtare gli assalti delle feroci schiere; che speravano bene coll'ajuto di Dio di poter resistere alle usurpazioni ministeriali, e che già anticipavano nella mente loro quell'età d'oro, in cui la libertà, con tutte le gentili arti della pace e dell'umanità, avrebbe il suo dolce dominio in quel mondo occidentale stabilito, e rizzati monumenti eternali a quei virtuosi amici e martiri della libertà, i quali avevano combattuto per la causa sua, e riportatone ferite, patimenti o morte; che ringraziavano grandissimamente gl'Irlandesi del buon animo loro verso l'America; che sapevano, che non istavan essi nemmeno senz'aggravj; che molto si condolevano alle strettezze loro; e che si rallegravano, che il disegno dei ministri di voler soggiogar le colonie gli avesse indotti a graziar l'Irlanda di alcuni benefizj; che per fino la mercè del governo era stata crudele verso gl'Irlandesi, e che nei grassi pascoli dell'Irlanda molti affamati parricidi avevano trovato e cibo, e forze per macchinare la distruzion sua; che speravano, che la pazienza dei modesti uomini non sarebbe sempre lasciata in dimenticanza, e che Iddio permetterebbe, che fosser guasti e rotti i disegni di coloro, i quali volevano spegnere la libertà nel britannico impero; che avevan essi pigliate le armi per difenderla, e con essa la vita, la roba, l'onore e tutto quello, che l'uomo ha più caro quaggiù; che per ottenere un prospero fine all'impresa loro molto confidavano nei buoni uffizj dei compagni loro al di là dell'Atlantico, giacchè questi altro destino sperar non potevano dal comune nemico, se non quello di esser gli ultimi artigliati.

Insistendo nel medesimo pensiero scrisse il congresso una lettera alla città di Londra per ringraziarla della parte, che aveva presa in favor dell'America; il quale procedere, dicevano, molto bene si conveniva alla prima città del mondo, a quella che in ogni tempo era stata la difenditrice della libertà e di un giusto governo contro la tirannide.

Ma il congresso stimava importare assai al buon fine del suo negozio tenersi gli animi dei Canadesi benevoli, sicchè od agli Americani si accostassero, od almeno tenessero la via di mezzo. Sapevano, che la prima lettera non era riuscita senza effetto, e questo intendevano di confermare con una nuova. Del che avevano grandissima speranza; conciossiachè l'atto di Quebec avesse in quella provincia effetti partoriti del tutto contrarj a quelli, che gli autori suoi si erano proposti. La maggior parte degli abitatori del Canadà l'avevano ricevuto, eccettuati i nobili, con evidenti segni di disgusto, e generalmente lo riputavano tirannico e tendente all'oppressione. E quantunque non si potesse aspettare che i Canadesi, siccome quelli che per lungo tempo sotto il governo francese erano stati avvezzi ad un più duro freno, fossero altrettanto inclinati alla resistenza, che i coloni inglesi usi a vivere sotto le leggi di un governo più largo, tuttavia non si stava senza speranza, che, pel tedio della signoria degl'Inglesi, entrassero anch'essi a parte della querela, e con quelle dei vicini le armi loro congiungessero. Non ignoravano eziandio, che alcuni fra i Canadesi, e massimamente quelli di Monreale e di altri luoghi più vicini alle colonie, si erano gravemente risentiti all'occupazione fatta dai coloni delle Fortezze di Ticonderoga, e di Crown-point, ed alla signoria da essi presa dei laghi, pei quali si ha la via dalle colonie al Canadà. Questi sospetti e queste gelosie volevano gli Americani purgare. Ma quello ch'era più degno di considerazione, si era, che si avevano certe notizie de' sforzi, che non cessava il governo inglese di fare per indurre i Canadesi a pigliar le armi, e coi soldati britannici accozzarsi. Gli agenti del Re nè ad oro risparmiavano, nè a lusinghe, nè a promesse per ottener il fine loro. Il generale Carleton, che ne era governatore, sebbene molto di propria natura severo, faceva in questo però molto frutto coll'autorità, che aveva grandissima presso quei popoli, e coll'opinione in cui era, e molto meritamente tenuto, di buon guerriero, di uomo umano, e d'integerrimo cittadino. Era noto, ch'egli era arrivato nella provincia con un mandato amplissimo. Poteva giusta suo piacere eleggere tutti i membri del Consiglio, o congedargli; obbligare quanti volesse dei sudditi del Canadà contro qualsivoglia nemico ch'ei credesse di dover combattere; piantar Fortezze, o disfarle, e tutte quelle provvisioni fare, che alla sicurezza della provincia riputasse necessarie. Egli poi non era uomo da non saper usar bene l'autorità che gli era stata conferita. Aveva già posto mano all'opera avendo pubblicato, che si sarebbero volentieri ricevuti i Canadesi agli stipendj del Re, ed ordinati in un reggimento. Avevano inoltre gli Americani avuto lingua, che il governo aveva deliberato di spedire alla volta del Canadà quindicimila archibusi per mettergli in mano ai cattolici romani di questa provincia. Tutto annunziava, che si volesse fare una testa grossa per assalir alle spalle le colonie, e cooperar di là coll'esercito del generale Gage. L'istesso lord North, favellando in Parlamento, si era lasciato intendere, che quest'era il disegno del governo. Le cose erano molto strette, e se non si poneva un pronto rimedio, gli animi dei Canadesi si sarebbero di breve rivolti a cose nuove contro la sicurezza delle colonie. Per la qual cosa si risolvette il congresso di scrivere una lettera a quei popoli, intitolandola: Agli oppressi abitatori del Canadà, la quale riempirono di pensieri opportuni, coloriti con istile elegante e molto concitato. Recavan essi in mente dei Canadesi, che già avvisati gli avevano dei perniziosi disegni, che si covavano contro gli uni e gli altri; che ora avevan bene di che condolersi, che questi disegni si volessero mandare ad effetto; che anzi i medesimi per la nuova forma di governo data alla provincia del Canadà si erano già introdotti; che per questa gli abitatori suoi, le donne, i figliuoli erano fatti schiavi; che più non avevan cosa, che loro propria potessero estimare; che tutti i frutti delle fatiche e della industria loro potevano essere involati, quandunque un avaro governo, un rapace consiglio il volessero; che potevano in lontane contrade trasportati essere, per combattervi le battaglie, nelle quali non avrebbero niun interesse; che il godersi la religione loro stessa dipendeva da una potestà legislativa, della quale non eran partecipi; che i sacerdoti loro sarebber cacciati, banditi, spogliati, quantunque volte le ricchezze loro e possessioni avessero sufficienti cagioni di tentazione offerite; che non potevan esser sicuri, che un buon Re sempre occupasse il trono, e se un cattivo, o non curante principe concorresse con malvagi ministri nel cavar denaro per impoverire ed infievolire la provincia, non si poteva prevedere, a quali estremità sotto le presenti leggi avessero i Canadesi ad esser ridotti; che sapevano molto bene gli Americani, che si faceva ogni sforzo, che si usava ogni ingegno per far correre i fratelli del Canadà ai danni loro; ma che s'eglino consentissero a ciò fare, si ricordassero, che, nascendo la guerra colla Francia, sarebbero i tesori loro spesi, i figliuoli mandati nelle spedizioni contro le isole francesi dell'Indie occidentali; che in quanto ai coloni si erano essi determinati a viver liberi, od a morire; che erano amici, e non nemici ai Canadesi; che la occupazione delle Fortezze e delle navi sui laghi era stato l'effetto della necessità; ma che stessero pur sicuri, che altri modi non avrebbero tenuti fuori di quelli, che l'amicizia e l'interesse comune dei due popoli avrebbero consentito; che speravano finalmente, si sarebbero i Canadesi ai coloni congiunti per difendere la comune libertà.

Fatta la lettera la mandarono alla volta del Canadà. La cosa ebbe l'effetto che desideravano, per quanto si voleva, che i Canadesi tenessero la via neutrale. Risposero questi alle instanze del governatore, che stavano sotto il governo inglese molto volentieri, e sempre si sarebbero pacificamente e lealmente comportati. Ma ch'erano affatto stranieri, e non potevano e non dovevano esser giudici delle controversie nate tra il governo e le sue colonie; che in nissun modo conveniva loro, che diventassero parte in questa contesa; che se il governatore volesse levar le milizie della provincia per difenderla nel caso in cui venisse assaltata, ciò farebbono di buonissima voglia; ma al marciare oltre i confini, ed assaltare i popoli vicini non potevan acconsentire. Da questo buon animo dei Canadesi ne ricevettero le cose del congresso verso tramontana maggior sicurtà.

Trovata Carleton nei Canadesi tanta durezza si rivolse all'autorità della religione, e pregò il signor Brand, vescovo di Quebec, acciò volesse pubblicare un mandamento, il quale dovesse esser letto dai parrochi in sui pulpiti nelle chiese a tempo dei divini uffizj. Intendeva, che il vescovo esortasse quei popoli a pigliar le armi, ed a secondare i soldati del Re nell'impresa loro contro i coloni. Il vescovo, con memorabile esempio di pietà e temperanza religiosa, ricusò di metter mano in quest'opera, dicendo, ch'ella era troppo indegna della persona del pastore, e troppo contraria ai canoni della chiesa romana. Tuttavia alcuni ecclesiastici, siccome in tutti gli ordini si trovan di quelli, che antepongono l'interesse al dovere, e l'utile all'onesto, si adoperavano caldamente in questa bisogna. Ma ciò fu tutto invano. I Canadesi persistettero nella determinazione loro a volersene stare di mezzo. La nobiltà, siccome quella che aveva tanto favore ricevuto dall'atto di Quebec, credette, fosse della gratitudine sua di secondare in questo le intenzioni del governatore, e vi si adoperò con molto fervore. Ma i suoi sforzi a far correr la gente pacifica alle risse ed al sangue riuscirono, come quei del governatore, del tutto vani. Forsechè nel confermar gli animi degli abitanti di questa provincia a non uscire della neutralità, oltre le esortazioni del congresso, contribuì non poco la speranza, che il pacifico proceder loro in una occorrenza piena di tanto pericolo, e nella quale la congiunzione loro coi coloni sarebbe stata di tanto danno cagione agl'interessi britannici, avrebbe piegato il governo ad usar con essi più mansuetudine, ed a conceder loro favori, che senza di ciò non avrebbono potuto conseguire.

Accorgendosi Carleton, che non poteva sperare di poter formar reggimenti canadesi, e conoscendo che ciò non ostante esistevano nella provincia alcuni leali, i quali non sarebbero stati lontani dal pigliar le armi, ed altri ancora che per amor del guadagno sarebbero venuti volentieri al soldo, si voltò ad un'altra via, e fe' dar ne' tamburi in Quebec per eccitar la gente ad arrolarsi sotto le insegne d'un reggimento che chiamò dei Reali montanari fuorusciti. Propose favorevolissime condizioni; dovessero condursi solamente duranti le turbolenze; ciascun soldato ottenesse dugento acri di terra in quella provincia dell'America settentrionale, che più gli venisse a grado; il Re pagherebbe esso tutte le gabelle solite a pagarsi nell'acquisto delle terre; per venti anni avvenire non avessero a pagar censi alla Corona; ciascun soldato ammogliato ottenesse cinquanta acri per conto della moglie, e cinquant'altre per conto di ciascun figliuolo, le une e le altre colle medesime esenzioni e privilegj, e di più una guinea di caposoldo nel pigliar la condotta. In questo modo riuscì Carleton a raggranellare alcuni pochi soldati; ma questa fu cosa di poco momento. Ben più importante si fu quella delle mosse degl'Indiani. Il governatore e gli agenti del Re presso di queste selvagge nazioni avevano tanto detto e tanto fatto, che finalmente riuscirono in una parte dello intento loro, avendo persuaso ad alcune di pigliar le armi in favor della parte inglese, non ostante che avessero con tanti giuramenti asseverato di volersene star dall'un de' fati senza impacciarsi più in questa parte, che in quella. Ma non sono già le nazioni barbare meglio mantenitrici della fede, che le civili; e grand'incentivo è l'oro, l'amor della preda, e la sete del sangue. Adunque in sul finir di luglio arrivò in Monreale il colonnello Guido Johnson, soprantendente generale del Re sugli affari indiani, accompagnato da un gran numero di Capi, e di guerrieri delle sei tribù. Vi si fece una solenne adunata, alla quale essi intervennero, siccome pure i Capi ed i guerrieri degli Indiani confederati. Erano una grossa banda. Giurarono, seguendo il costume loro, ed in cospetto del generale Carleton di sopportar la causa del Re. Questo fu il primo principio della guerra indiana. Questi furono quei barbari, che, accozzatisi colle genti del generale Burgoyne, fecero, due anni dopo, tanti guasti, ed usarono tante crudeltà, come apertamente potrà vedere colui, che sarà vago di leggere il progresso di queste storie.

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