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La guerra del Vespro Siciliano vol. 2
La guerra del Vespro Siciliano vol. 2

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La guerra del Vespro Siciliano vol. 2

Язык: Итальянский
Год издания: 2017
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Federigo al contrario, sommo magistrato d’un popolo ritempratosi nella rivoluzione, convocando il parlamento a Messina, cospicuo nelle regie vestimenta, dal soglio esordiva con la parola del profeta, «Morire in guerra, pria che mirare i mali del popol tuo.» Vivamente ei dipinse l’ingratitudine di Giacomo, or vegnente con fresche masnade e con due principi del sangue d’Angiò, contro il fratello, contro quest’isola che il crebbe alla gloria, ed egli s’apprestava per gratitudine a guastare e depredare i campi, a rovinar le città, a versare per vil prezzo il sicilian sangue. «Or noi, dicea Federigo, salviam le ricchezze del nostro suolo, antivenendo l’assalto, mentre son intere le forze del reame; combattiamo in mare questi vecchi nemici, le cui cento bandiere veggonsi appese ne’ vostri tempi, questi nuovi avversari, assai più ingiustamente armati contro noi, onde già li sgarammo nella prima prova, e peggio or li confonderà Iddio. Per noi la ragion delle genti; noi per la patria e per le case nostre combatteremo!» Troncò questo parlare la siciliana impazienza, tuonando al solito a gran voce «Guerra»: e per tutta la nazione si fe’ un gran dire contro il protervo Giacomo, un chieder arme, uno stigarsi l’un l’altro alle battaglie ed al sangue. Indi appellati i feudatari e i borghesi, di gran volontà, frettolosi accorreano a Messina. S’apprestò la flotta, di quaranta galee: e saputo già in mare il nimico, poichè tutte le genti fur montate in nave, re Federigo ascese la capitana, riccamente ornata e dorata, e si spiegaron le vele. Il popol di Messina, affollato intorno al porto, le accompagnò con evviva, lagrime, voti253.

Navigava que’ mari nel medesimo giorno la flotta catalana, rifornita al ritorno di Giacomo, rinforzata di poche galee del reame di Napoli; che salpò il ventiquattro giugno254, e portava il re d’Aragona, con Roberto duca di Calabria, Filippo principe di Taranto e Ruggier Loria: acceso costui a vendicare il supplizio di Giovanni; i Catalani a lavar l’onta di quella sconfitta; Giacomo a finir presto le brighe di questa guerra. Erano alle isole Eolie, drizzandosi alla più vicina costiera di Sicilia, quando un legno siciliano sottile, uscito a riconoscere, tornò a vele e a remi a darne avviso alla nostra flotta, che, superato lo stretto, prendea già Milazzo. Indi i nostri a dare forzosamente ne’ remi, anelando prevenir lo sbarco; ma il tardo avviso, o i venti, o maggior arte dell’ammiraglio nemico, fecero che già guadagnati i lidi di San Marco, alla foce della fiumara Zappulla, gittate avea le ancore, rivolte le prue al di fuori, in ordine di combattere, quando la siciliana flotta, al girare il capo d’Orlando, l’avvistò. Scoppiava dalle nostre ciurme un impeto d’allegrezza all’aspetto del nemico; fean suonare infino a’ cieli il nautico grido di guerra aur, aur, tolto un tempo da que’ Catalani medesimi; e a testa alta, infelloniti e bramosi, senz’ordine arrancavan sovr’essi. Potè Federigo a stento por freno a questa temerità, tanto più cieca, quanto in brev’ora si aspettavan dai mari di Cefalù otto galee di val di Mazzara con Matteo di Termini; e ’l giorno se n’andava; le navi nimiche si vedean legate sì salde alla spiaggia e tra loro, che non la flotta veneziana e la genovese congiunte alla nostra, diceano i pratichi, l’avrebbero sforzato giammai. A’ risoluti comandi del re, le ciurme ubbidirono, non s’acquetarono; e proverbiavanlo: «Che fa? che dorme? scordò chi siam noi? Invilì Federigo; o riguarda il fratello, e vuoi torcerlo di mano!» Così gonfi da tanti anni di fortuna in guerra, dandola alle lor braccia sole, non curanti s’avessero ammiraglio, o il sol nome, nè dove fosse il gran Loria, tardava loro mortalmente quella notte di state. Placidissima sorrise nel firmamento, mentre negli animi dei mortali bollivan tante ire, tanti pazzi immaginari di combattimenti, glorie, acquisti, vendette, paure. Il cauto Giacomo fe’ sbarcar cavalli e bagaglie e quanti pareano men validi al combattere; chiamò i presidi delle castella; e la mattina a dì, sulla spiaggia, parlando d’alto tra’ suoi baroni, esortava le genti. Dicea dell’ubbidienza alla santa sede; de’ lor maggiori combattenti sempre per la fede; s’ei balenò alquanto, s’era poi ravveduto; ammonito non potersi salvar l’anima del genitore, che sarebbe cruciata da atroci flagelli, finchè non si rendesse la Sicilia: onde tra la pietà del padre e del fratello, la prima avea vinto. «Voltici al buon sentiero, aggiugnea, quante offese non patimmo da questa indomabil genìa di Sicilia, che da noi apprese a combattere! Or eccola; minor di numero, minor di legni, e pur invasa di cotanta baldanza contro gli uomini e Dio! Gastigatela, Catalani!»

Indi con tutta l’oste montò sulle cinquantasei galee ordinate in una linea di battaglia, con le ali distese, da soverchiare la minor linea nostra; e nel mezzo stette la capitana, col re e i figli dell’Angioino. A dirimpetto le s’era locato Federigo, standogli a dritta diciannove, a manca venti galee; e comandava alla poppa della sua nave un Bernardo Ramondo, conte di Garsiliato; alla prora Ugone degli Empuri, fatto conte di Squillaci; nel mezzo guardava lo stendardo reale Garzia di Sancio, con un gruppo di guerrieri fortissimi. Erano d’ambo le parti, noti, amici, congiunti; capitani due fratelli; come in guerra civile. Perciò più rabbiosamente, di qua di là mossero all’affronto, il sabato quattro luglio milledugentonovantanove, poco appresso il sorger del sole. Alle spalle de’ nemici la riva di San Marco, a dritta il capo d’Orlando; venian di fuori i nostri. S’udì squillo di trombe, fracasso di grida, tonfo di remi, e in un attimo sparve il mare di mezzo.

Con le armi da gitto trassero gran pezza, e non a voto. Ma Gombaldo degl’Intensi, giovin feroce, vago di gloria, e fors’anco di vendicare il suo nome, deturpato dal fratello traditor della Sicilia, sdegnando quel combattere da lungi, tagliata la gomona che il legava alle altre galee, la nimica fila investe. Due navi gli furo addosso dalle bande, una da prua; dan di cozzo, vengono all’abbordo: e Gombaldo, con bell’ammenda della temerità, contro tal pressa difendeasi, ancorchè ferito, e fieramente ributtava i nemici. Strettasi pertanto la mischia per tutta la fronte, incominciò più micidial furia di sassi e dardi vibrati da presso: le navi ad urtarsi di prua, di costa, a dar co’ remi su i remi dei nemici; ostinatamente infino alla sesta ora del dì, con molto sangue, senza avvantaggio d’alcuno, si combattè. Federigo cercava Giacomo; estremo orror si vedea in questa battaglia, se non si trovavan di mezzo le altre navi, ingaggiate e accanite tra loro, che tolsero di riscontrarsi a’ fratelli. Sotto la sferza del sole, nel caldo del luglio, cocente quel giorno oltre l’usato, s’accese ne’ combattenti da fatica, da paura, da rabbia, dal perduto sangue una rabida sete. Nè vino, scrive Speciale, nè acqua la spegnea. Gomabaldo, trafelante, bruciato, date tutte le forze vitali in tante ore di bollente battaglia, cercò un attimo di riposo, s’adagiò sullo scudo, e spirò. L’ardire di costui preparava, la sua morte cominciava la rotta. Guadagnano i nemici alla fine la nave di Gombaldo: avviluppate tra loro con le gomone, co’ remi, mal s’aiutavano le altre nostre galee; quando si sentiron alle spalle ferir da sei navi ordinate a ciò da Ruggiero. Allora, perduta la speranza del vincere, allenarono nella difesa; soprastettero un istante; sei galee diersi alla fuga.

Federigo, dicon le istorie, come vide piegare i suoi, risoluto a morire, chiedea di Blasco, che fianco a fianco spargessero il lor ultimo sangue; alla ciurma gridava: «Non restargli altro che la vita a dare per lo popol suo;» e per vero gittavasi disperatamente tra le navi nemiche, se non che d’un subito, vinto anch’egli da passione, caldo, fatica, stramazzò tramortito sulla tolda. Estrema ansietà allor nacque ne’ suoi più fedeli: che farebbesi della persona del re, mentre in ogni attimo era vita o morte? Il conte di Garsiliato pensava di rendere a’ nemici la spada di Federigo; Ugon degli Empuri gli die’ sulla voce; comandò di vogare a Messina; e per disperata forza di remi, la capitana involossi ai nemici, e con essa dodici altre galee. Blasco, che combattea non lasciando mai degli occhi il diletto suo principe, come vide fuggir la nave, posposto a lui ogni cosa, comanda a’ remiganti che il seguano, al suo alfiere che ravvolga lo stendardo; e l’alfiere, rispondendogli che non vedrebbe mai Blasco Alagona lasciar la battaglia, die’ del capo rabbiosamente sull’albero della galea, e cadde semivivo; la dimane spirò. Ferrando Perez il suo nome. Seguirono altri strani casi nella sconfitta. Vinciguerra Palizzi, testè creato gran cancelliere del regno, in cambio di Corrado Lancia che fu sì avventuroso da morire innanzi questo misero giorno255, Vinciguerra, per antico rancore cercato a morte dall’ammiraglio, sopraffatto da quattro galee, dopo bella difesa, saltò sopra una barchetta vicina a caso, e rifuggissi ad altra nave. Così ancora Alafranco di San Basilio e altri nobili, gittatisi a nuoto. I più, soverchiati dal numero, pugnarono con cieco furore, finchè saliti sulle navi i nemici, incominciò un macello. Perchè l’ammiraglio con sinistra voce urlava: «Vendicate Gian Loria!» e nobili e plebei immolati cadeano, con mazze, coltelli, mannaie, o scagliati in mare: tanto che sostarono i soldati per pietà; e l’ammiraglio pure a comandar sangue, a percorrere le prese navi, più atroce contro i Messinesi, dei quali fu grandissimo lo scempio. Federigo e Perrone Rosso, Ansalone e Ramondo Ansalone, Jacopo Scordia, Jacopo Capece e altri nobili di Messina perironvi; poi per istanchezza si cominciò a far prigioni, a dar di mano al bottino. Pier Salvacossa, fuggitosi non a Messina col re, ma ad Ischia, vilmente cercò la grazia de’ vincitori con render l’isola, ch’avea tre anni prima difeso con singolare virtù256

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1

Bart. de Neocastro dice Protontino, ch’era grado nell’armata, seguente all’ammiraglio, come il mostrano tre diplomi del 16 agosto 1299, per Pietro Salvacossa. Nel r. archivio di Napoli, reg. 1299, A, fog. 170, a t. e 171.

2

Bart. de Neocastro, cap. 101.

Nic. Speciale, lib. 2, cap. 8.

Il Montaner, che nella sua memoria confuse orribilmente la cronologia di questo periodo del regno di Giacomo in Sicilia, porta la tempesta sofferta dall’armata siciliana nel 1288 o 1289, con manifesto anacronismo.

3

Neocastro e Speciale, loc. cit.

Anon. chron. sic., cap. 47.

4

Bart. de Neocastro, cap. 102, nel quale si legge che Giacomo toglier volle, se alcuna ve n’era, le oppressioni del popolo.

Nic. Speciale, lib. 2, cap. 9.

Montaner, cap. 148.

Geste de’ conti di Barcellona, cap. 28, loc. cit.

Anon. chron. sic., cap. 47.

La data delle costituzioni è scritta ne’ nostri capitoli del regno, 5 febbraio decimaquarta Ind. 1285, contandosi gli anni dal 25 marzo, onde quel giorno risponde al 5 febbraio 1286 del calendario comune.

5

Capitoli del regno di Sicilia. – Jacobus, cap. 1 a 7, 9, 44.

6

Ibid., cap. 15, 16, 17, 18, 27, 45. Le cause col fisco si doveano spedire anche in due mesi. Pel cap. 42 fu rimessa ai possessori la terza parte dei furti, che si appropriava il fisco. Pel 43 permessi con qualche eccezione gli accordi tra accusatori e accusati. Pel cap. 23 fu proibito al fisco di sperimentare i suoi dritti su i feudi con azione possessoria, ma si stabilì che il facesse in via di petitorio, che non eccedesse i patti nell’agire contro i mallevadori, non eccedesse le leggi contro gli scopritori di qualche tesoro.

7

Ibid., cap. 8, 10, 11, 12, 13, 22, 24, 25, 26, 28, 30. Pel 29 fu abrogato l’obbligo di pascere i porci nelle foreste del re.

8

Ibid., cap. 14, 19, 20, 21.

9

Ibid., cap. 31, 33, 39. Pel cap. 32 si stabilì che i balì de’ feudatari d’età minore fossero scelti tra i congiunti, e rendesser conto al pupillo. Pel 34 che i suffeudatari non servissero alla curia. Pel 35 che i suffeudi vacanti si riconcedessero dal barone. Pel 36 che i vassalli de’ baroni non fossero costretti dalla curia ad esercitare ufici. Pel 37 che non si mandassero maestri giurati della curia nelle terre feudali o ecclesiastiche.

10

Ibid., cap. 38.

11

Ibid., cap. 46 e 47.

12

Ibid., cap. 40 vietati i servigi che esigeano i castellani; cap. 41, altri provvedimenti da reprimere l’insolenza de’ soldati delle castella.

13

Ibid., al cap. 48, si stabiliron le pene contro i ministri e gli oficiali trasgressori delle costituzioni. Il cap. 49 risguarda la malleveria o l’imprigionamento degli accusati. I cap. 50, 51, 55 pel trattamento de’ prigioni; 52 per gli accordi tra accusatori ed accusati; 53 e 54 su l’asportazione delle armi; 56 tolta l’istanza pubblica pei delitti minori; 57 pei dritti sul ricevuto delle tasse; 58, 59, 60, 61, 63, altri provvedimenti per la riscossione delle tasse; 62 pei terragi da pagarsi al fisco o ai baroni; 64 per le foreste e bandite.

14

Surita, Ann. d’Aragona, lib. 4, cap. 75.

15

Diploma dato di Palermo a 12 febbraio decimaquarta Ind. 1285 (1286), ne’ Mss. della Bibl. com. di Palermo, Q. q. G. 1, fog. 147, pubblicato dal Buscemi, Vita di Giovanni di Procida, docum. 6.

16

Mss. citati, fog. 149, diploma del 18 febbraio 1285 (1286).

17

Mss. citati, fog. 150, diploma del 22 febbraio.

18

Mss. citati G. 12, diploma del 22 marzo 1258.

19

Ibid. G. 1, fog. 156, diploma del 17 luglio 1288. Questi tre diplomi di Giacomo son trascritti in uno di Federigo II, pubblicato dal Testa nella Vita di lui, docum. 8.

20

Bart. de Neocastro, cap. 105, 106.

21

Raynald, Ann. ecc., 1286, §. 6 a 9.

22

Bart. de Neocastro, cap. 101. Montaner, cap. 116, con l’errore che Giacomo fosse ito a questa impresa.

23

Diploma del 22 agosto 1286, nell’Elenco dello pergamene del r. archivio di Napoli, tom. II, pag. 16.

24

Montaner attesta, a cap. 149, che Sarriano fosse cavaliere di Sicilia.

Niccolò Speciale, lib. 2, cap. 15, porta questa spedizione del Sarriano con anacronismo, rimandandola appresso la tregua di Gaeta.

25

Bart. de Neocastro, cap. 102, 103, 104.

Diploma del 27 giugno 1286, per la catena del porto di Napoli, nel citato Elenco, tom. II, pag. 15.

Montaner, cap. 109, 113, 116, 148, 149, 152, il quale confondendo i tempi, pur narra questi fatti con tali minuzie che si riconoscono di leggieri, e sen trae maggior fede al racconto del Neocastro.

26

Bart. de Neocastro, cap. 107, 108, 109.

Che Giovanni di Mazarino fosse chiarito reo di maestà, confermasi ancora da un diploma di re Giacomo, dato di Messina a 5 agosto 1288, nella Bibl. com. di Palermo, Mss. Q. q. G. 3, fog. 6, col quale son conceduti al nobile Bernardo Milo una torre e un podere presso Trapani, confiscati a questo Giovanni. Per un altro diploma del 30 luglio dello stesso anno fu conceduto ad un Villanuova il casale di Mazarino, Mss. citati, Q. q. G. 1, fog. 158.

27

Diplomi del 17 dicembre 1285 e 25 maggio 1286, nell’Elenco delle pergamene del r. archivio di Napoli, tom. II, pag. 12 e 13.

28

Bart. de Neocastro, cap. 110.

I Guelfi trovavan sì tiepido papa Onorio in tale impresa, che Giovanni Villani, scrittor di quella fazione, nel biasima apertamente, lib. 7, cap. 113. E pur noi lo veggiamo sì duro contro casa d’Aragona ne’ trattati della liberazione di Carlo lo Zoppo.

29

Bart. de Neocastro, cap. 110.

Diplomi del 27 dicembre 1286, 15 aprile, 20 aprile, e 15 maggio 1287, nel citato Elenco, tom. II, pag. 18 e 19.

30

Questo sbarco a Malta si legge nell’or citato diploma del 15 maggio 1287, con l’altra circostanza che la terra d’Eraclea e altre mandarono a offrirsi a’ Francesi; che par bugia del diploma.

31

Bart. de Neocastro, cap. 110.

Nic. Speciale, lib. 2, cap. 10.

Gio. Villani, lib. 7, cap. 117, il quale dice 50 i legni di Rinaldo d’Avella.

Montaner, cap. 106, con molti errori nel tempo e nei nomi.

32

Bart. de Neocastro, cap. 110.

Atanasio d’Aci, in di Gregorio, Bibl. arag., tom. I, pag. 279 e seg.

Nic. Speciale, lib. 2, cap. 10.

Nessuno di questi scrittori porta l’appunto delle forze di Giacomo, se non che delle navali. Ma il Neocastro gli dà 1,000 cavalli al primo dì che venne in Catania, e dice poi ingrossata molto l’oste di cavalli e più di fanti.

Il Montaner, cap, 107, porta a 700 i cavalli e a 3,000 i fanti.

33

Bart. de Neocastro, cap. 110.

Nic. Speciale, lib. 2, cap. 10.

Nel Neocastro si legge che Arrigo de’ Mari fosse cittadino di Marsala. Giovanni Villani in altro luogo parla di Arrigo de’ Mari, ammiraglio e genovese, e così leggiamo negli Ann. del Caffari. Se dunque furon due Arrighi de’ Mari, o un solo, nato in una di quelle città e fatto cittadino dell’altra, è oscuro, nè importa molto il chiarirlo.

34

Diploma dell’imperador Federigo, dato di Cremona a 20 febbraio 1248. Indi si scorge che Oddone di Camerana con molti altri Lombardi, lasciata la patria per cagion dell’imperatore, venuti in Sicilia, ebber dapprima Scopello, poi, non bastando, la terra di Corlone che fu data in feudo ad Oddone. Ma essendo quella assai ricca, popolosa, e forte, l’imperadore ripigliandola in demanio, la permutò con Militello in val di Noto, che a lui ricadea per essersi estinta la linea della famiglia dei Lentini (collaterale forse ad Alaimo) che la possedea. Mss. della Bibl. com. di Palermo, Q. q. G. 12.

35

Bart. de Neocastro, cap. 110.

Anon. chron. sic., cap. 48.

36

Bart. de Neocastro, cap. 110; e con minori particolarità Niccolò Speciale, lib. 2, cap. 10 e 12, Giovanni Villani, lib. 7, cap. 117, l’Anonymi Chron, sic., cap. 48, e, non senza circostanze poco credibili, Montaner, cap. 107. Costui con manifesto anacronismo, porta questa fazione prima della battaglia del golfo di Napoli nel 1284, in cui fu preso Carlo lo Zoppo.

37

Bart. de Neocastro, cap. 110, 111.

Nic. Speciale, lib. 2, cap. 11.

Montaner, cap. 105, con errore di tempo e di qualche circostanza, dicendo che i Francesi tenessero ancora il castello di Cefalù; nel quale sappiamo che era stato già prigione Carlo lo Zoppo.

Gio. Villani, lib. 7, cap. 117.

Anon. chron. sic., cap. 48.

Cronaca di Parma, in Muratori, R. I. S., tom. IX, pag. 812.

Tolomeo da Lucca, Hist. ecc., lib. 24, cap. 22, in Muratori, R. I. S., tom XI.

Cronaca di Rouen, presso Labbe, Bibl. manuscripta, tom. I, pag. 381.

Un diploma del 1 giugno duodecima Ind. (1299) attesta che Guglielmo Sallistio fu preso nella battaglia de’ conti, ov’era nella famiglia del conte di Monforte, e fu accecato. Nel r. archivio di Napoli, reg. seg. 1299, A, fog. 88.

Un altro del 30 settembre terza Ind. (1289), dato di Napoli, accorda una sovvenzione a un Provenzale accecato dopo che fu preso nella battaglia navale, e perciò deve intendersi della più recente, cioè questa del 23 giugno 1287. Nel r. archivio di Napoli, reg. seg. 1291, A, fog. 16.

Ibid. a fog. 16 a t. e 17, son due altri diplomi dati il 3 ottobre e uno il 4, per Ruffino di Pavia similmente accecato, due uomini d’Ischia ai quali era stato cavato un sol occhio, ec.

Finchè non avremo per tempi anteriori altri di questi documenti, spiacevoli e non però men fedelmente da me riportati, potremo credere col Montaner (cap. 118) che Ruggier Loria si sia dato a tali crudeltà per rappresaglia, e molto tempo dopo che vide da’ nemici cavati gli occhi e mozzate le mani ai nostri presi combattendo: il che non toglie il biasimo, ma l’attenua. Montaner aggiugne che a queste rappresaglie i nemici cessarono dall’empio lor costume.

38

Nic. Speciale, lib. 2, cap. 12.

Bart. de Neocastro, cap. 111.

La restaurazione d’Agosta è riferita dal Montaner, cap. 108. Il quale a cap. 118, sebbene con anacronismo, dice de’ tributi che i nostri riscuoteano da Ischia sulle merci uscite dal golfo.

Un diploma del r. archivio di Napoli, reg. seg. 1289–1290, A, fog. 54, citato da D. Ferrante della Marra (Discorsi, Napoli 1641), attesta che Ramondo de Baux, fatto prigione nella battaglia dei conti, fu ricattato dal padre; il quale impegnò la contea d’Avellino per avere il denaro.

39

Raynald, Ann. ecc., 1288, §§. 10 e 11.

40

V. il cap. 12.

41

Rymer, Atti pubblici d’Inghilterra, tom. II, diplomi del 5 febbraio, 2 e 13 maggio, e 29 giugno 1286, pag. 315, 317, 318, 319.

42

Rymer, loc. cit., pag. 326, 328, 329, 330, 331, 332, 333, due diplomi del 15 luglio 1286, e altri del 22, 24, 25, dello stesso mese.

Altro del 15 luglio, in Martene e Durand, Thes. Nov. Anecd. tom. I, pag. 1217.

43

I particolari di questi maneggi furono i seguenti:

Onorio incominciò a sollecitar Filippo il Bello, affinchè ripigliasse l’impresa del padre; e a questo effetto diede autorità al legato pontificio in Francia di sospendere e scomunicare tutti gli ecclesiastici che favorissero Alfonso in Aragona. (Archiv. del reame di Francia, J. 714. 9.)

Eduardo I appena fermata la tregua di luglio 1286, caldamente sollecitò la corte di Roma a ratificarla (Rymer, Atti pubblici d’Inghilterra, tom. II, parecchi diplomi del 27 luglio 1286, pag. 334, 335); ed essa mandò gli arcivescovi di Ravenna e di Morreale per trattar della pace, senza fermarla però da lor soli, soggiugnea Onorio, in sì dilicato e importante negozio (Ibid., pag. 340 e 341, 7 novembre e 1 marzo 1287; Raynald, Ann. ecc., 1286, §§. 13 e 14; Cronaca di Parma, in Muratori, R. I. S. tom. IX. pag. 810).

Ma insistendo Alfonso su i preliminari di Cefalù, il papa sdegnato ruppe gli accordi (Raynald, Ann. ecc., 1287. §. 6, breve dato di Roma a 4 marzo, di cui si fa menzione in due altri di papa Niccolò IV, del 15 marzo e 26 maggio 1288, in Rymer, l. c. pag. 358); sovvenne Filippo il Bello e Valois, che nuovamente minacciassero la guerra (Raynald, Ann. ecc., 1286, §. 28); i quali tentarono con lieve dimostrazione il Rossiglione (Montaner, cap. 158 e 160).

Intanto le cortes d’Aragona e Catalogna, infin dai primordi del regno d’Alfonso, avean preso ad esercitare tutti i poteri sovrani (Surita, Ann. d’Aragona, lib. 4, cap. 77 e 78); la nazione disapprovava sempre apertamente la impresa di Sicilia, e se sosteneva Alfonso era per timore della dominazione francese (rimostranza del 1286, citata nel cap. VIII, in nota.) Perciò Alfonso fu tratto a stipulare ad Oleron in Bearn, il dì quindici luglio milledugentottantasette, presenti i due legati pontifici, la liberazion di re Carlo. Si pattuì riscatto di cinquantamila marchi d’argento: che promulgata la tregua tra Francia e Aragona e inclusavi la Sicilia, Carlo si adoprasse a portarla infino a tre anni, e farvi accostar la Chiesa e il Valois: che procacciasse in questo tempo una pace soddisfacente a’ re d’Aragona e di Sicilia, e ratificata sì dalla Chiesa. Dovea Carlo dare statichi tre figliuoli suoi, sessanta nobili e borghesi provenzali, e giuramento de’ castellani delle fortezze di Provenza, che rassegnerebbersi ad Aragona, s’egli ne’ tre anni non ottenesse la pace, o non si tornasse in prigione (Dipl. del 25 luglio 1287, in Rymer, loc. cit., pag. 346, e in Lünig, Cod. Ital. dipl., tom. II, pag. 1035–1040. Dipl. del 28, 31 luglio e 4 agosto 1287, in Rymer, loc. cit., pag. 350, 351, 352). Raffermaronsi oltre a questo le nozze tra la figliuola d’Eduardo e re Alfonso, per tanti anni attraversate da Roma (Rymer, loc. cit., pag. 320 e 349, 27 maggio 1286, e 28 luglio 1287).

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