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Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II
In ogni modo il conquisto musulmano cagionò profondo rivolgimento nella costituzione e distribuzione della proprietà territoriale in Sicilia. I poderi dei Musulmani, originati da dissodamento o partaggio, doveano esser molti e non vasti; e a suddividerli conducea la legge delle successioni, la quale permette i legati infino a un terzo dell'asse ereditario, accorda parti uguali ai figli e metà di parti alle figliuole, e chiama all'eredità gli ascendenti, anche sendovi discendenti, e in mancanza degli uni e degli altri ammette i collaterali.67 Spicciolavansi altresì le terre del demanio, affittate o censite per compartimenti.68 Conferman la suddivisione della proprietà i moltissimi nomi arabici che rimaneano ai poderi nel duodecimo secolo, soprattutto in Val di Mazara, e ve ne rimangono tuttavia, i quali nacquero al certo dal detto rimescolamento; poichè le denominazioni topografiche son tenacissime, le antiche si smetton di rado per mutazione del possessore, le nuove nascon quasi sempre da suddivisione o aggregamento dei poderi. Così il conquisto musulmano guarì la piaga dei latifondi, la quale avea consumato la Sicilia fino al secol nono, e riapparve con la dominazione cristiana nel duodecimo.
Più vasto frutto della vittoria, più divisibile, e più congeniale alla maggior parte dei primi coloni di Sicilia, era lo stipendio militare. Godealo, in tutti gli Stati musulmani, il giund, ordine militare propriamente detto; del quale farem parola, lasciando indietro le altre maniere di combattenti; cioè gli schiavi e liberti che alcuna volta si adoperavano come stanziali, e le plebi, le quali traeano volontariamente alla guerra sacra, partecipavano al bottino, e, finita la impresa, se ne tornavano a vivere di limosine o dure fatiche. Nel giund si scrissero un tempo tutti i Musulmani; poi, a misura che l'impero si allargò, i ruoli si ristrinsero, com'abbiamo accennato nel primo Libro. Quivi anco abbiam divisato le norme dei divani di Omar; le quali durarono e si modificarono al par di tante altre primitive istituzioni dell'islamismo. Nel nono secolo, gli Arabi prendean luogo tuttavia nei ruoli sopra le schiatte straniere; e queste tra loro secondo l'anteriorità della conversione: suddivisi gli Arabi, al par che gli stranieri, per tribù e parentele; le quali prendean grado secondo la consanguineità col principe; gli individui secondo la età. Ma ormai non entrava nel giund chiunque il chiedesse, solo i figliuoli di militari, quando fossero adulti, validi, buoni alle armi e senz'altro mestiere; di che giudicava il principe, e potea alsì ammettere uomini nuovi. Variava il soldo a giudizio anco del principe o dell'emiro, secondo i bisogni, che è a dire in ragion del numero dei figliuoli e degli schiavi, la quantità dei cavalli mantenuti e i prezzi delle vittuaglie in ciascun paese; ma in ambo i casi detti era limitato l'arbitrio dalla consuetudine universale e dalla potenza delle famiglie componenti il grosso delle milizie. Discendean esse in parte dall'antica nobiltà arabica; orgogliose di lor tradizioni, clientele, pratica e prontezza al combattere.69 Indi si vede che il giund era tuttavia, come dissi nel primo Libro, nobiltà armata, ordine aristocratico, temperato alquanto dalla monarchia.
Agli stipendii suoi era specialmente destinato il fei; cioè prestazioni permanenti degli Infedeli, fossero tributi collettivi delle popolazioni assicurate, o tributi individuali delle popolazioni soggette, chiamati gezîa, kharâg o decima delle merci, comprendendosi sotto la denominazione di kharâg il ritratto dei beni demaniali.70 Nel primo secolo dell'egira, epoca di conquisti e franchige, gli Arabi avean fatto sì rigorosamente osservare lo investimento del fei, che il califo non ne metteva ad entrata altro che i sopravanzi; nè era lecito agli oficiali del tesoro d'incassare materialmente la moneta, se i notabili militari e civili che la recavano dalle province, non giurassero essere stati pria soddisfatti coloro che avean ragione su quelle entrate, specialmente le milizie.71 Cresciute poscia nel principato le forze e le brame, e abbassate le milizie per la istituzione degli stanziali, tanto pure avanzò delle costumanze antiche che il fondo degli stipendii non si menomò.72 Si pagavano oramai in molte province, se non in tutte, per delegazione sul kharâg di un dato podere o territorio, secondo la somma registrata nel catasto, che s'agguagliasse a quella dello stipendio registrato nel ruolo militare. La delegazione, oltre il kharâg, si facea sopra altre entrate di fei. Chiamavasi iktâ'; taglio, come suona in lingua nostra.73 Portava al governo risparmio delle spese e fatiche della riscossione; ma aggravava i contribuenti; corrompea le stesse milizie, mutate in torme di gabellieri e concussionarii privilegiati; e tornava alla fin fine a rovina dello Stato, per le infiacchite forze nazionali, le entrate distratte, i popoli spolpati, e gli sciolti legami tra le milizie e la pubblica autorità. Tanto più che alle milizie l'iktâ' soleasi concedere a vita, e talvolta con sostituzione dei figliuoli; quantunque i giuristi dichiarassero nullo tal modo.74 Sospetto che le concessioni per ordinario fossero state collettive in favore di un giund: naturalissimo e pessimo espediente. Che che ne sia, i beneficii militari, nati nella precoce decadenza della società arabica, aiutarono, con gli altri vizii, alla rovina di sua dominazione. La istituzione degli emiri di provincia primeggiò, come dicemmo, tra le cause che smembravano l'impero in reami: gli iktâ' cooperarono a rinnalzare l'abbassata aristocrazia e spingerla all'anarchia feudale; poichè le milizie divennero come forza privata dei capi loro; onde avvenne che alcuno occupasse il principato, o, peggio, che molti sel contendessero. Così fu in Spagna; così in Sicilia nello undecimo secolo.
Ordinato per tal modo che la entrata principale si applicasse al principale bisogno dello Stato, poco rimanea per le altre spese, che pur cresceano con lo incivilimento e con gli sforzi dei principi tendenti al potere assoluto. Più che in niun'altra parte di governo, apparisce nell'azienda il radical difetto della teocrazia musulmana. Il Corano avea provveduto appena al bilancio, com'oggi si dice, d'un misero governo di tribù. Per soddisfare alle spese d'uno impero, convenne dunque cercare entrate fuor dalla legge; come fu appunto il kharâg statuito da Omar; e, quando nè anco bastò, forza fu di trapassare e legge e consuetudine. I giuristi allora, che si arrogavano il potere legislativo mediante le interpretazioni, si messero a tirar coi denti qualche capitolo del Corano e della Sunna per adattarlo ai bisogni attuali, o sostennero che non v'era modo. I principi posero balzelli a dispetto della legge e degli interpreti; e rasparon danaro qua e là, su la quinta del bottino, su la zekât, sul fei: su le quali entrate eran certi i dritti dello Stato, milizie, parenti del Profeta e indigenti, ma incerte le quote. Tolsero dal kharâg gli stipendii degli oficiali civili, oltre quei delle milizie; serbaronsi quel che lor piacea dei beni demaniali o ne concedettero a favoriti; talvolta consumarono il pan dei poveri, cioè la zekât e la quinta, in opere di utilità pubblica e di vanità pubblica e di vanità monarchica. Da ciò nacquero frequenti contrasti tra i principi e i giureconsulti; contrasti senza uscita legale, e però nocevolissimi: nè mai la finanza musulmana fu regolata da unico e vasto pensiero, nè adattata ai tempi, nè rassodata dal dritto.75 In Sicilia i balzelli arbitrarii par che cominciassero nel decimo secolo, forse un poco avanti, sotto il regno di Ibrahim-ibn-Ahmed. Fin allora la quinta, e il fei, abbondanti per cagion della guerra, e la decima, bastavano ai bisogni della colonia militare, non obbligata a mandar danaro in Affrica.76
Dopo gli ordinamenti è da ricercare quali generazioni d'uomini fossero venute a stanziare in Sicilia, sotto il nome di Musulmani. Scarseggiando così fatte notizie appo i cronisti, sarà uopo aiutarci coi nomi topografici relativi a schiatte o analoghi a quei d'altri paesi musulmani. Cotesta via d'induzione non ripugna alla sana critica; poichè i popoli musulmani, come tutti altri, usarono ripetere nelle colonie i nomi della madre patria; e fu tanto, che appo loro si compilò un dizionario apposta di omonimie geografiche.77 Nondimeno la medesimità del nome può nascere talvolta da analogia di condizioni locali, verbigrazia Casr-el-Hamma, il “Castel dei Bagni,” che se ne trovava in Sicilia, in Affrica e altrove; o può venire da epoche più remote, da somiglianza casuale dei vocaboli, da altra origine ignota a noi: per esempio, in Sicilia stessa Segesta e Mazara, i quali nomi rispondono al Segestân, provincia della Persia, e a Mazar, villaggio del Loristân anco in Persia.78 Sendo notissime nell'antichità quelle due città siciliane, la identità dei nomi porterebbe per avventura a confermare la origine orientale dei Sicani, e non sarebbe cagion di errore quanto ai tempi musulmani. Ma l'esempio ci ammonisce vieppiù a stare guardinghi, e ricusare gli indizii di questa fatta che non trovino riscontro nelle vicende istoriche.
La diversità di schiatte della colonia siciliana è attestata da Teodosio monaco con parole enfatiche e pur veraci, là dov'ei sclama adunarsi in Palermo la genía saracenica dei quattro punti cardinali del mondo:79 chè dovea trasecolare il prigion di Siracusa, passando dalla monotonia d'un capoluogo di provincia bizantina, al tumulto della crescente capitale: coloni e mercatanti viaggiatori; e, misti ai Siciliani, ai Greci, ai Longobardi, a' Giudei, Arabi, Berberi, Persiani, Tartari, Negri; chi avvolto in lunghe vesti e turbanti, chi in pellicce e chi mezzo ignudo; facce ovali, squadrate, tonde, d'ogni carnagione e profilo; barba e capelli varii di colore e di giacitura; ragunati insieme i sembianti, le fogge, le lingue, i portamenti, i costumi di tanti popoli abitatori dell'impero musulmano. I nomi di tribù ricordati nel Libro precedente, mostrano tra i coloni ambo le schiatte di Kahtân e Adnân e sopratutto la seconda.80 Scendendo alle divisioni nate dopo l'islamismo, si ritrae che, oltre gli Arabi d'Affrica, ve n'ebbe di Spagna;81 fors'anco di Siria, Egitto e Mesopotamia.82 V'ebbe al certo la progenie dei Khorassaniti e altri Persiani passati in Affrica nello ottavo secolo; e non fu di poco momento, vedendosi primeggiare tra i Musulmani di Palermo, nelle guerre d'independenza del decimo secolo, un Rakamuwêih, nome persiano, e la potentissima famiglia dei Beni-Taberi, oriunda del Taberistân; oltrechè nel territorio di Palermo trovansi i nomi topografici di Ain-Scindi,83 Balharâ,84 e Ságana;85 e, un po' più discosto, quei di Menzîl-Sindi e Gebel-Sindi,86 i quali tutti van riferiti alle schiatte dello estremo oriente. I nomi dei luoghi, al par che gli avvenimenti storici, mostrano che gli Arabi, e altri popoli di Levante, tenessero le parti settentrionali del Val di Mazara, nel quale, come il dicemmo, erano ristrette le colonie musulmane nel nono secolo. Palermo, fatta capitale dell'isola, era lor sede principale; e par che lungo la costiera quelle popolazioni si estendessero, verso ponente, infino a Trapani.
La schiatta berbera, com'è noto, accompagnò gli Arabi nel conquisto di Sicilia; sendone venute alcune tribù nell'esercito di Ased-ibn-Forât, altre col berbero spagnuolo Asbagh-ibn-Wekil, altre senza dubbio nelle varie espedizioni che successero, ed alla spicciolata. Fu parte non piccola della colonia; poichè potè sostenere lunga guerra civile contro gli Arabi. Occupò le regioni meridionali del Val di Mazara. E veramente tra una dozzina di nomi berberi, su la origine dei quali non cade alcun dubbio, la più parte si trova in quella regione, nel tratto che corre da Mazara a Licata.87 Girgenti, guerreggiante spesso contro Palermo e sempre rivale, era senza dubbio la città più importante, e come la capitale dei Berberi.
La moltiplicità delle schiatte invelenì al certo molte querele private; si mescolò forse alle altre cagioni d'ira negli scambii degli emiri; ma non potea produrre tante fazioni, quante nazioni. Inoltre la progenie di Kahtân sembra pochissima in Sicilia innanzi i Kelbiti, che vennero nel decimo secolo. I Persiani par che dimenticassero la rivalità loro contro gli Arabi, già mitigata dal tempo in Affrica. Lo stesso avvenne agli altri sminuzzoli di schiatte orientali, troppo deboli per far parte dassè, interessati tutti a stringersi intorno gli Arabi di Adnân per soverchiare i Berberi.
Arabi e Berberi dunque: ecco la profonda, insanabile divisione della colonia siciliana. Tra gli uni e gli altri non era divario di condizione legale. Mentre in Affrica molte tribù berbere pagavano tuttavia il kharâg e rimanean prive degli stipendii militari, per essere state sottomesse con la forza, in Sicilia le due genti, venute insieme a combatter la guerra sacra, vantavano uguale dritto ai premii della vittoria. Se non che, in fatto, gli emiri dell'esercito siciliano nascean di sangue arabico, al par che i principi aghlabiti; di sangue arabico o persiano i dottori, gli ottimati, la più parte dei cavalieri del giund; nè poteano smettere in Sicilia l'orgoglio e cupidigia da nobili; nè dimenticare la maggioranza della schiatta loro in Affrica. I Berberi poi non si tenean da meno di loro: conscii del proprio numero, valore, dritti d'islamismo e dritti di natura. Un moderno e sagace osservatore, il generale Daumas, notando il divario ch'è tra le istituzioni sociali degli Arabi e dei Berberi, e trattando particolarmente dei Berberi della Kabilia Grande, come chiaman la regione tra Dellys, Aumale, Setif e Bugia, ben ha dipinto quella nazione col motto di “Svizzera salvatica.” Cantoni e villaggi, al dir suo, fanno unità politiche; rannodansi tra loro per leghe più o meno durevoli: repubblichette democratiche, ove ognuno ha voce in consiglio; i magistrati elettivi, di breve durata e poca autorità; case nobili preposte sovente alle leghe, per ambito o riputazione, non per dritto; e, più che ai magistrati o ai nobili, si obbedisce ai marabuti, frateria che molto somiglia al monachismo del medio evo: la gemâ' rende ragione in materia criminale, non secondo il Corano ma con le antiche consuetudini del paese: l'omicida dichiarato fuor della legge; per gli altri delitti, pene pecuniarie, e non mai staffilate come appo gli Arabi. Pensa il lodato autore ch'abbian ordini analoghi le altre popolazioni berbere dell'Algeria;88 ed io aggiugnerei che, si eccettuino le tribù nomadi e alcuni periodi in cui tribù agricole, o leghe, si son governate a monarchia, e del resto si tengano le consuetudini di civile uguaglianza come osservate in tutta la schiatta berbera fin da tempi remotissimi.89 Dopo il conquisto musulmano ne danno indizio quella generale inclinazione dei Berberi alle sètte kharegite; e lo spirito d'independenza della tribù di Kotâma a fronte dei califi fatemiti;90 e i magistrati della medesima tribù e di Zenâta nell'undecimo secolo, analoghi a quelli di cui parla il generale Daumas ai dì nostri:91 che se talvolta sursero in quel popolo principi o dittatori, si ricordi tali usurpazioni avvenir più agevolmente negli Stati democratici che sotto l'aristocrazia. Da ciò si può conchiudere che le popolazioni berbere passate in Sicilia, e non soggette a principi loro, poichè ubbidivano agli aghlabiti, fossero informate dal genio d'uguaglianza che le dovea vieppiù alienare dagli Arabi, e rendere intolleranti dei signorili soprusi di quelli. Le inclinazioni economiche divideano alsì l'una dall'altra gente: gli Arabi oziosi, i Berberi industri; gli uni pastori di vassalli, poichè lor n'eran caduti in mano in vece di cameli e pecore; gli altri sempre agricoltori. Doveano dunque i primi bramar che si lasciassero le terre ai vinti siciliani; i secondi che le si dividessero. E bastava sol questa, se fosse mancata ogni altra cagione, a suscitar la guerra civile!
Dal detto fin qui si comprende la origine dei due movimenti diversi, che cominciarono ad agitare la colonia di Sicilia, entro mezzo secolo dalla fondazione sua. L'uno era sforzo della colonia a governarsi dassè; e risolveasi in contrasti tra la nobiltà palermitana e i principi aghlabiti, per la elezione dell'emiro. Appartenendo all'emiro quella piena autorità che abbiam detto, e non potendo cadere in mente del principe, nè dei coloni, nè dì niun Musulmano, di riformare la legge; ciascuna delle due parti cercava a por mano alla esecuzione: fare esercitare l'oficio di emiro da uom suo, e a comodo suo. Racchiudeasi in cotesta contesa quella di finanza: se la colonia dovesse pagar tributo o no; poichè il principe non avea ragione, che nei sopravanzi, e all'emiro stava di trovarne o non trovarne. Indi il principe eleggea lo emiro, e i coloni lo scacciavano; o costoro coglieano un pretesto di nominarlo, e il principe lo rimovea; nè potea durar la quiete.
L'altro movimento era la lotta tra gli Arabi e i Berberi. Oltre il partaggio delle terre al quale accennammo, oltre le vendette private che degeneravano in vendette di tribù, nacque verso la fine del nono secolo una causa perenne di lite. A misura che compieasi il conquisto dell'isola, mancava il bottino e cresceva il fei, o vogliam dire rendita militare. Per caso intervenne al medesimo tempo che le armi della dinastia macedone sforzassero a uscir di Calabria i Musulmani, Berberi in gran parte, come cel mostrano i nomi dei capi. I Berberi dunque delle tribù più turbolente, quei che non amavano a vivere di agricoltura, doveano procacciar lo stipendio sul fei. Ma questo non si scompartiva, come il bottino, con legge immutabile e precisa, tra tutti i combattenti; anzi stava ad arbitrio tra dell'emiro e del principe; e gli Arabi potean pretendere che ne fossero esclusi gli stranieri, toccando a loro il primo luogo nei ruoli. Niun cronista fa motto di tal contesa; ma la non potea non accadere; e ce ne conferma il fatto che la Sicilia fu insanguinata per la prima volta in guerra civile pochi mesi dopo il ritorno delle masnade che Niceforo Foca scacciò dalle Calabrie.92
Quei due movimenti si frastagliavan sovente, e il secondo cadde in acconcio al principe aghlabita che volle davvero soggiogare la colonia. Ricapitolando i fatti che narrammo nel Libro secondo, si scorge la lotta d'independenza principiata proprio alla fondazione della colonia palermitana; sopita da savii emiri di sangue aghlabita; ridesta verso l'ottocento sessantuno, come n'è indizio il frequente scambio degli emiri. Quel valoroso e nobilissimo Khafâgia, ucciso a tradimento da un Berbero, sembra cadesse vittima dell'altra discordia; se pur Arabi e Berberi non s'erano uniti per brev'ora contro le usurpazioni del poter centrale. Così fatta resistenza durava nei principii del regno d'Ibrahim-ibn-Ahmed, come il provano gli scambii degli emiri verso l'ottocento settantuno. Poi entrambe le divisioni divampano al medesimo tempo. Tra l'autunno dell'ottocento ottantasei e la primavera dell'ottantasette, gli Arabi del giund e i Berberi vengono al sangue: la nimistà loro, se non la aperta guerra civile, arde tuttavia per dieci anni, sì che viene a dettare lo scandaloso patto di torsi a vicenda dall'una e dall'altra gente gli statichi da consegnarsi ai Cristiani (894-895). Nello stesso decennio la tenzone della colonia col principe arriva agli estremi: ribellione armata da una parte; dall'altra, repressione con le armi e fors'anco violazione della legge fondamentale che affidava all'emiro il governo della colonia. Perocchè il popolo di Palermo, mentre guerreggia la prima fiata contro i Berberi (886-887), mette ai ferri e caccia in Affrica lo emir Sewâda e gli dà lo scambio; tre anni appresso (890) combatton Siciliani contro Affricani, che è a dire contro le forze mandate dal principe; a capo di due anni un emiro rientra per forza in Palermo; e corsi pochi mesi, nel dugento ottanta dell'egira (893-894), l'emirato di Sicilia è conferito al gran ciambellano che stava accanto a Ibrahim, cioè la colonia è oppressa e spogliata di sue franchige, ovvero ha scosso il giogo; e di certo par che l'abbia scosso tra il novantacinque e il novantasei quando è fermata pace coi Cristiani.93 Si scorge in cotesti travagli il doppio effetto della condizione politica dei popoli e delle passioni d'un uomo. La condizione dei Berberi rispetto agli Arabi, e della colonia rispetto alla madre patria, avea dato principio alle due tenzoni. Ibrahim-ibn-Ahmed le spinse al segno a che arrivarono negli ultimi anni del nono secolo. Per domar meglio la colonia di Palermo, aizzò i Berberi di Girgenti. Volle domar la colonia, perchè a questo il portava sua natura esorbitante e feroce; e per trarne danaro e adoperarlo all'altro disegno, d'abbattere e calpestare l'aristocrazia arabica in Affrica; il che ei fece sì bene, che distrusse la base della dinastia aghlabita, onde questa entro pochi anni crollò.
CAPITOLO II
Ibrahim-ibn-Ahmed non solamente avviluppò in questa guisa la condizione politica della colonia, e poi sciolse il nodo con orribile catastrofe, ma, non sazio di quel sangue musulmano, venne ei medesimo in Sicilia a sterminare gli ultimi avanzi de' Cristiani; prosegui la vittoria in Calabria; e minacciava tutta la terraferma d'Italia, quand'ei morì com'Alarico sotto le mura di Cosenza. Pertanto debbo dir di costui più particolarmente che non abbia fatto degli altri principi affricani. Il voglio anche perchè l'indole d'Ibrahim, sembra fenomeno unico nella storia morale dell'uomo, nè si può definir con parole, nè delinear con qualche tratto. Unico fenomeno parve a quei che il videro da presso; i quali, facendosi a spiegarlo e non trovandovi modo con la psicologia del Corano, ebbero ricorso alle teorie dei materialisti che già penetravano appo gli Arabi, miste alla filosofia greca; supposer quest'uomo invasato di non so che bile negra: malinconia, come la chiama tecnicamente Ibn-Rakîk.94
“Niun dee misfare fuorchè il principe. La ragione di questo è che, ove gli ottimati e i ricchi si sentan possenti nei beni della fortuna, uom non vivrà sicuro dalla loro insolenza e malvagità. Se il re cessi di calcarli, ecco che si fidano; gli resistono; gli traman contro! In vero il succo vitale del principato è la plebe.95 Il signor che lasciassela opprimere, perderebbe l'utile ch'ei ne ricava; ed altri sel godrebbe, rimanendo a lui il sol danno.”96 Così parlava Ibrahim-ibn-Ahmed, vantandosi di abbattere la nobiltà arabica dell'Affrica: teorie e gergo molto ovvii, che rivelan sempre il tiranno di buona scuola. Sagacissimo fu veramente Ibrahim nelle cose di stato; uom di mente vasta e savia, quando non l'offuscava la sete del sangue. Ebbe genio alieno dalle scienze, dalle lettere e dalla poesia, ch'erano state in onore appo i suoi maggiori: e qualche versaccio ch'ei fece, come nato e cresciuto in una corte arabica, somiglia forte a quelli di Carlo d'Angiò, per la insipidezza e l'arroganza.97 In fatto di religione si mostrò osservatore del culto, più che delle pratiche di devozione; si ridea della morale quando non gli andava a' versi; ma era sopratutto intollerantissimo verso gli altri. Visse senz'amore, nè amicizia. Seguì voluttadi nella prima gioventù, e presto gli vennero a tedio; e allora incrudelì nelle donne più rabidamente che negli uomini; e le abborrì di strano e sospetto abborrimento. Violava in tutti i modi le leggi della natura.
A venticinque anni salì al trono per uno spergiuro. Mohammed, suo fratello, venendo a morte, lasciava il regno al proprio figliuolo bambino; commettea la tutela a Ibrahim; faceagli far sacramento di non attentar mai ai dritti del nipote, nè metter piè nel Castel Vecchio, ove quegli dovea soggiornare con la corte. E Ibrahim, nella moschea cattedrale del Kairewân, dinanzi gli adunati capi di famiglie di sangue aghlabita e i magistrati e notabili della capitale, giurollo solennemente; ripetè cinquanta fiate il tenor del giuramento, com'era usanza nelle cause criminali. Sepolto il fratello (febbraio 875), cominciò a regger lo Stato, ben diverso da lui, con somma forza e giustizia. Indi i cittadini del Kairewân a pregarlo di prendere a dirittura il regno: il che ricusò, pretestando suoi cinquanta giuramenti; e di lì a poco, noi sappiam come si fa, i buoni borghesi tornarono a supplicare più fervorosi, e Ibrahim non seppe dir no. Uscito di Kairewân alla testa del popolo in arme, occupava il Castel Vecchio; si facea gridar principe; e prestare omaggio di fedeltà dai notabili d'Affrica e da non pochi di casa d'Aghlab. Con tutta la bruttura dello spergiuro e della commedia che servì a ricoprirlo, Ibrahim non va chiamato usurpatore. Il dritto di primogenitura non era allignato mai appo gli Arabi; la designazione del principe antecessore, era abuso; la investitura del califo, ormai vana cerimonia; e il popolo, che potea deporre ed eleggere, partecipò alla tumultuaria esaltazione non sforzato, forse mezzo raggirato e mezzo no. Gli umori delle città contro l'aristocrazia militare, ci persuadono che la cittadinanza abbia francamente parteggiato per Ibrahim.