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Già, lui sarebbe stato un ottimo candidato.

‹‹Gabriel!›› Mi sorpresi a dire tra me e me.

‹‹Gabriel? Pensi che lui possa esserti contro? Perché?››. Ares si portò una mano pensosa sul mento.

‹‹No, veramente… era solo un mio pensiero››.

Cercai di giustificarmi muovendo le mani come per voler cancellare ciò che avevo detto.

Sara, con la sua aria da bambina innocente, si girò verso di me. ‹‹Gabriel non farebbe mai del male a nessuna di noi, non è cattivo, ti stai sbagliando››.

‹‹È l’angelo della morte, non sta né da una parte né dall’altra. Sta dove gli conviene stare››. Un lampo di odio passò negli occhi di Ares.

Quel guizzo rosso contrastava con la sua figura da serafino che mi ero fatta pochi minuti prima.

Un brivido mi fece accapponare la pelle e all’improvviso una serie di immagini affiorò nella mia mente.

Piangevo, ero sola in un bosco.

Avevo paura.

Era un ricordo sfocato. Non avrei saputo dire se fosse successo realmente o fosse stato solo un vivido sogno che mi era rimasto impresso nella memoria.

Chiusi gli occhi per potermi concentrare meglio e una voce risuonò nelle mie orecchie, forte e chiara.

“Retan ni stequo pocor”.

Poi qualcosa nel ricordo attirò la mia attenzione.

Una sagoma che avanzava verso di me. Due occhi che splendevano giallastri nella notte, come quelli di un gatto.

E le immagini si bloccarono lì.

Aprii gli occhi. Nessuno sembrò fare caso a quello che mi era appena successo.

Ares stava cercando qualcosa nei cassetti della scrivania. Tirò fuori un piccolo sacchettino in cotone di un rosso talmente intenso da sembrare nero alla luce soffusa delle candele.

Lo aprì e ne tirò fuori una collana.

Era stupenda.

La alzò in modo da farla vedere a tutte e tre.

La debole luce delle candele si rifletteva nel cuore di cristallo rosso intenso emanando bagliori scarlatti per tutto lo stanzino. Ai due lati del cuore c’erano due dragoni, uno bianco e uno nero, con le ali spiegate e le code intrecciate nella parte inferiore.

‹‹Indossala sempre, Sofia, il Cuore del Dragone ti proteggerà e ti aiuterà a domare i tuoi poteri››. Ares si alzò in piedi e avanzò verso di me.

Raccolsi i capelli e li spostai da un lato per permettere ad Ares di agganciarmi la collana.

La sentivo fredda al contatto con la pelle e potevo percepire il potere che portava in sé quel piccolo cuore rosso.

‹‹Credo che sia ora di accompagnarvi alle vostre stanze››, disse Ares, accarezzandomi i capelli. ‹‹Sarete stanche››.

Non mi ero resa conto che fosse tardi. Il sole era leggermente meno forte, ma pur sempre acceso in quel cielo azzurro. Sperai che nelle stanze ci fossero dei tendoni abbastanza pesanti da impedire al sole di disturbarmi mentre dormivo.

Da sempre ero abituata a dormire nell’oscurità totale.

Non volevo nessuna luce che mi disturbasse e sapere che il sole non lasciava mai il posto alla luna mi preoccupava un po’.

Le mie sorelle uscirono prima di me e io per ultima, come al solito.

Ares mi afferrò di scatto per un braccio appena le ragazze furono abbastanza distanti e mi riportò dentro lo stanzino.

I capelli mi caddero davanti agli occhi e l’immortale li riportò delicatamente dietro l’orecchio accarezzandomi il viso.

‹‹Sei diventata una splendida donna, Sofia››.

Cosa volesse dire non lo so e non mi importava.

Ci avrei pensato più tardi.

Ero completamente ipnotizzata dai suoi occhi verdi e, visti così da vicino, notai che avevano delle pagliuzze dorate attorno alle pupille.

Avrebbe potuto manovrare le mie azioni come un burattinaio. Infatti non mi accorsi neanche quando avvicinò il mio corpo al suo.

Con una mano mi sorreggeva la schiena e con l’altra mi accarezzava i capelli.

‹‹Tu appartieni a me, e a nessun altro››.

Poi bisbigliò parole a me sconosciute e incomprensibili e le sue pupille si dilatarono. Il lampo rosso ricomparve e un brivido mi passò su per la schiena.

Ero in pericolo, lo percepivo in ogni singola particella del mio corpo, ma non potevo muovermi né urlare.

Ero sua!

Ero stata rapita da quel serafino immortale e non avrei potuto fare nient’altro se non arrendermi al suo volere.

Chinò la testa su di me e mi baciò.

Non fu un bacio appassionato, bensì un flusso di potere dalle sue labbra alle mie.

Il cuore non pulsava più solamente sangue, ma anche qualcosa di magico che faticai a riconoscere.

Fu proprio in quel preciso istante che capii due cose.

Ero sicura di essere Morrigan, la somma Dea della guerra e del cambiamento.

Ed ero riuscita a dare un nome alla figura sfocata dei ricordi che mi erano venuti in mente pochi istanti prima.

Sapevo chi mi voleva fare del male.

Da quel momento in poi avrei studiato ogni sua mossa.

6

VECCHI RICORDI


La mia stanza era enorme!

Le pareti sembravano d’oro, tutte con delle decorazioni floreali molto semplici. Sul soffitto invece era dipinto un enorme cielo azzurro con delle soffici nuvole bianche e, perfettamente al centro, un elegante lampadario in oro ricadeva giù a forma di piramide a base rotonda in cui era inserita una quantità immensa di candeline.

Ero troppo stanca per mettermi a contarle.

La mia attenzione fu attirata da un enorme letto a baldacchino in legno d’acero con le tende bianche scostate.

Sopra il copriletto ambrato trovai una vestaglia di seta rosa, ricamata attorno al seno. La indossai e andai verso l’enorme finestra che si trovava esattamente di fronte alla porta. Chiusi la pesante tenda e, con mia grande gioia, mi accorsi che non entrava nemmeno un singolo raggio di sole.

Feci spegnere le candele e mi infilai sotto le lenzuola.

Inizialmente non sognai nulla di particolare, poi mi ritrovai in una foresta in mezzo a dei pini enormi, talmente grandi che sembravano bucare il cielo. Ero seduta a terra, sopra un letto di aghi secchi e foglie morte.

Faceva freddo e una sottile nebbiolina inumidiva tutto il corpo, entrando sotto la pelle e raggiungendo le ossa.

Tremavo.

Il cuore pulsava all’impazzata.

Ero terrorizzata!

Volevo piangere, urlare… volevo la mamma.

Poteva essere un ricordo di quand’ero bambina?

Un ricordo che ho voluto cancellare?

Probabilmente sì.

Avevo rivisto quella stessa scena poco prima, nella mia mente, mentre parlavamo con Ares.

Coincidenza o fatalità che fosse risalita a galla proprio ora?

A un certo punto, nel sogno, sentii dei passi leggeri.

Foglie calpestate, rami spezzati.

Qualcuno si stava avvicinando.

Potevo sentire qualcuno respirare affannosamente, come se avesse fatto una gran corsa per arrivare fin lì.

Lo sentii ridere. ‹‹Piccola Sofia, non avere paura. Le altre bambine non hanno mai urlato, non si sono accorte di nulla. Vuoi essere la meno coraggiosa?››.

Quel qualcuno uscì dall’oscurità e si avvicinò a me.

Era un’ombra, una sagoma di un uomo con delle ali oscure, talmente nere che sembravano confondersi con la notte.

Mi misi a piangere più forte che potevo, dimenticandomi del tutto di quello che aveva detto delle altre bambine.

Non mi importava essere la più coraggiosa, volevo solo che qualcuno mi portasse a casa.

L’uomo si mise a farfugliare qualcosa in una lingua sconosciuta.

Alla fine urlò: ‹‹Retan ni stequo pocor. Entra in questo corpo, Somma Dea››.

Una luce verdognola sembrò bucare il cielo e aprirsi sempre di più.

Il raggio verde creò un cerchio perfetto attorno a me, e quella che l’ingenuità di una bambina avrebbe potuto descrivere come la polvere magica di Trilli si alzò verso l’alto creando degli splendidi riflessi arcobaleno ogni volta che entravano in contatto con il fascio di luce.

Allungai le piccole mani per toccarla e smisi di piangere.

Mi sentivo tranquilla, come se fossi stata nel lettone con la mamma e non fuori, in una foresta buia.

Il raggio verde a poco a poco svanì.

L’angelo nero disse: ‹‹E ora che sei entrata nel suo corpo, Dea, ti ucciderò con le mie stesse mani››. Avanzò verso di me. ‹‹Giustizia sarà fatta››.

Qualcosa rimandò il riflesso di un debole raggio di luce lunare e scattò in avanti, verso la mia testa.

Doveva essere una spada o un pugnale. Lo capii dallo swissh che fece tagliando l’aria attorno a me.

Mi svegliai di soprassalto, tutta imperlata di sudore.

Staccai i capelli dalla fronte e dal collo, li tirai indietro e cercai qualcosa per raccoglierli.

Era troppo buio e non era la mia stanza.

La stanza che avevo quand’ero viva.

Fui colpita da una sensazione di smarrimento e vuoto.

Ero sola e sentii un groppo salirmi in gola.

Deglutii due o tre volte per scioglierlo e cercai di scendere dall’enorme letto per aprire un po’ i tendoni. Incespicando e avanzando con le mani davanti per non cadere a terra, arrivai alla finestra.

Un sorriso di soddisfazione per l’impresa riuscita mi fece calmare un po’.

Un battito d’ali attirò la mia attenzione. Sembrava così vicino.

Mi girai per guardarmi alle spalle, ma dietro di me c’erano solo oscurità e silenzio.

Quell’oscurità disarmante in cui a ogni singolo rumore udito il cuore comincia a battere forte e la mente cerca disperatamente di dare un nome alla cosa sconosciuta che ci sta facendo morire di paura.

Sentii ancora il battito d’ali e qualcosa che graffiava la finestra.

Trattenni il respiro. Il cuore galoppava talmente forte che lo sentivo rimbombare in tutta la stanza.

Afferrai per un’estremità il tendone con tutte e due le mani e diedi un bel colpo per aprirlo.

Cacciai un urlo talmente forte che sorprese anche me.

Mi ritrovai di fronte a un enorme corvo. I suoi occhi neri erano puntati verso di me.

Aprì le ali e cominciò a graffiare con le zampe sul pesante vetro della finestra.

Urlai più forte sovrastando il suo gracido cra cra e, balzando indietro dalla paura, inciampai sul tappeto e caddi a terra.

Affondai la testa fra le ginocchia e cominciai a dondolare dicendomi di stare calma, che non sarebbe successo niente.

Sembravo una pazza appena uscita dal manicomio e i capelli fradici e scompigliati davano un tocco di follia in più.

Ares fu il primo a precipitarsi nella stanza.

Poi fu il turno di Sara che si gettò al mio fianco per tranquillizzarmi.

Sonia invece arrivò con più calma. ‹‹Cos’è tutto questo baccano?››. Si accorse di me a terra e dell’enorme corvo che voleva entrare a tutti i costi nella stanza. ‹‹Mia Dea! Ma quello è… Stai bene, Sofia?››.

Alzai la testa per accennare un sì, presi un respiro profondo e vidi Ares aprire la finestra e far entrare quell’uccellaccio.

Sgranai gli occhi e cominciai a urlare. ‹‹Sei pazzo? Vuole farmi del male. Tieni distante da me quella bestiaccia!››

E mi aggrappai a Sara.

Gli occhi verdi brillarono e un’incontenibile risata sembrò impossessarsi di lui. Avrei giurato che avesse le lacrime agli occhi dal ridere.

Io stavo morendo di paura e lui mi rideva in faccia.

Lo trapassai con uno sguardo pieno di rabbia.

‹‹Scusate, ma trovo divertente il fatto che la nostra Dea abbia paura del suo animale››. Stava cercando di mantenere il controllo, ma qualche risatina ogni tanto gli scappava.

‹‹Il mio animale è uno solo… o meglio, era››. Cacciai indietro il groppo alla gola che era tornato a galla. ‹‹Ade, un cane dolcissimo››.

‹‹Ade? Hai chiamato il cane Ade? Come il dio degli Inferi? Non posso crederci››. E rise di nuovo.

Si stava prendendo gioco di me.

Non me lo sarei mai aspettata da Ares, lo credevo un vero principe.

Evidentemente mi sbagliavo.

‹‹Prendimi pure in giro. Fai come se non ci fossi››.

Mi alzai offesa e mi sedetti sul letto incrociando le braccia e guardando Ares in cagnesco.

Lui si avvicinò a me con il grosso corvo nero appollaiato sulla sua spalla nuda. Si sedette sul letto e mi passò un braccio sulle spalle.

Il corvo mi guardò con i suoi occhietti neri e fece un cra che sembrava un ciao.

Ares mi tirò a sé. ‹‹Sofia, tesoro, lui è il corvo di Morrigan. Il suo umile servitore e messaggero. Guarda››, prese la zampa nera dell’animale e notai che vi era legato un tubicino d’argento. Con delicatezza lo sfilò e me lo porse. ‹‹Tieni, questo è per te››.

Sfilai il tappo del tubicino. Dentro, arrotolato perfettamente, c’era un foglietto di carta bianca.

Lo tirai fuori con calma, non volevo rischiare di strapparlo.

Fortunatamente scivolò sul metallo senza nessun problema.

Lessi cosa c’era scritto.

Sbiancai e mi cadde di mano il foglietto.

Sonia lo tirò su e lesse a voce alta il messaggio. ‹‹La piccola Dea ora è cresciuta, i sogni le rivelano la verità. Qualcuno sta giocando con lei, chi sarà il traditore? Non capisco, cosa vorrebbe dire?››

‹‹Morrigan riceveva spesso questi messaggi misteriosi››, spiegò Ares. ‹‹Venivano spediti dalla sibilla del Regno di Tenot, Kerrigan››.

‹‹Kerrigan? Una sibilla? Ma perché nessuno ce ne ha mai parlato? Io e Sara abbiamo un pezzo del potere della Dea e nessuno ci racconta certi dettagli››. Sonia si era offesa e aveva ragione. ‹‹Prevenire le mosse delle sue guardie ci sarebbe stato di grande aiuto››.

Se la Dea si serviva di una sibilla avrebbero dovuto saperlo anche loro. Sarebbe stato comodo in caso fosse scoppiata una guerra fra i due Regni.

Che pensiero sciocco!

Non sarebbe mai scoppiata una guerra.

Da quanto mi avevano raccontato, Mefisto era troppo impegnato a torturare i poveri abitanti del Regno di Elos e loro erano troppo impegnati a subire e riparare.

Forse quelli del Regno di Tenot stavano aspettando il momento giusto.

E il momento giusto era arrivato con me.

Lo sentivo, tutto mi diceva che stavano aspettando la reincarnazione della Dea per combattere, perché era l’unica speranza per entrambi i Regni.

E ora la speranza si era tramutata in certezza.

‹‹Sonia, hai perfettamente ragione, ma la sibilla vive isolata in una caverna del Regno di Tenot e nessuno avrebbe osato cercarla. Nemmeno Morrigan la cercava. Semplicemente si faceva viva tramite il corvo. Solo lui sa come comunicare e arrivare a lei››, stava per aggiungere qualcos’altro, quando lo interruppi.

‹‹Ho fatto un sogno, prima che arrivasse il corvo››.

Raccontai tutto nei dettagli. Brividi di freddo mi salirono lungo la schiena ancora imperlata di sudore per il brusco risveglio, per il ricordo di quelle ali nere che sembravano voler inghiottire la notte e per la spada lucente che aveva cercato di trafiggermi.

‹‹Non voglio assolutamente pensare che Gabriel volesse ucciderti fin da bambina››, esplose la piccola Sara.

Aveva ragione, nessuno voleva credere che Gabriel fosse malvagio.

Ma qualcosa in lui mi diceva di stargli distante, di non avvicinarmi né a lui né al suo passato e questo mi faceva sospettare della sua buona fede.

Avrei dovuto parlarne con lui.

L’idea però non era delle migliori e la scartai subito.

La mia mente cercava mille motivi per scagionarlo da queste accuse, però ogni volta che mi veniva in mente qualcosa…puff, esplodeva come un palloncino.

Riuscivo solo a trovare mille motivi per accusarlo e una vocina pungente mi sussurrava Stagli distante, ti farà solo del male.

C’era qualcosa che non andava.

‹‹Chi altro conoscete con un paio di ali nere come la notte? In tutti e due i Regni esiste solo un angelo della morte con delle ali nere, Gabriel. Dobbiamo trovarlo, metterlo in prigione e punirlo››. Ares sembrava animato dal fuoco della vendetta.

Avevamo tante ipotesi con cui poterlo accusare e nessuna prova in mano. A meno che la giustizia da queste parti funzionasse diversamente, io sapevo che si accusa e si processa qualcuno quando si hanno delle prove tangibili.

‹‹Non possiamo farlo, Ares! Non abbiamo niente in mano. Lascia fare a noi, le mie sorelle lo conoscono da più tempo di me e sapranno sicuramente cosa fare e come difendermi››.

Non ne ero molto convinta. Le vedevo fragili contro un angelo nero vendicativo, ma se questo poteva dare un po’ più di tempo a Gabriel…

E poi volevo parlargli io! Volevo scoprire perché non mi aveva ucciso quella sera.

Lo stavo accusando? Già.

Avevo i pensieri poco coerenti e non mi piaceva.

‹‹E va bene,›› disse Ares. ‹‹Ma se lui ti strappa anche solo un capello io…io…aaah››, e si alzò di scatto lasciando cadere il discorso.

Il corvo che aveva sulla spalla si spaventò e volò fuori dalla finestra con uno stridulo cra cra.

Ares strinse i pugni e diede un calcio all’aria di fronte a sé, poi si girò verso di me, i suoi riccioli biondi resi ancora più chiari dal sole.

Rimase a fissare i miei occhi per qualche secondo, poi mi prese il viso fra le mani e baciò la fronte.

‹‹È meglio che vada, ora. Fra poche ore è giorno. Anche se con questo sole non si direbbe, sono le tre di notte. Cerca di riposare, mia Dea››. Uscì dalla stanza e se ne andò.

‹‹Stai bene?›› chiese Sara girandosi verso di me, visibilmente preoccupata.

‹‹Sì, ho solo preso uno spavento. Prima il sogno, poi il corvo… il corvo! Dove se n’è andato ora?››.

‹‹Non preoccuparti per lui, ritornerà o con un altro messaggio o perché percepirà il tuo richiamo. Dovrebbe funzionare così, da come mi dice la fonte della conoscenza››. Fece un sorriso che mi ricordò una bambina felice che quel che ha studiato sia tornato utile.

Sonia andò a chiudere la finestra e cominciò a tirare i tendoni. ‹‹Vuoi che lasci passare un po’ di luce? Ti farebbe sentire più tranquilla?››.

‹‹Veramente sarei più tranquilla se voi restaste a dormire qui con me››.

Speravo davvero che restassero, da sola non avrei avuto il coraggio di chiudere occhio.

Loro mi davano forza.

Notai che il cuore rosso del ciondolo che avevo addosso aveva iniziato a scintillare e un brivido caldo percorse tutto il mio corpo.

Sembrava una cosa rassicurante, o almeno era quello in cui avevo un disperato bisogno di credere in quel momento.

‹‹Certo, per me va benissimo››, esultò Sara lanciandosi sotto le coperte.

‹‹Per me anche, se questo serve a farti stare più tranquilla››, rispose Sonia.

Dopo poco mi addormentai, risucchiata da un vortice nero e tranquillo.

E stavolta nessun sogno disturbò il mio riposo.

7

VERITÀ NASCOSTE


Troppe cose erano successe in un solo giorno.

Morire.

Andare in un altro mondo.

Scoprire di essere una Dea che cerca vendetta.

Scoprire che qualcuno mi voleva morta e che ci stava provando fin da quando ero bambina.

Insomma, per me era troppo!

Indossai di nuovo il vestito del giorno precedente.

Lo trovavo splendido, e a essere sincera da sempre sognavo di poter indossare una cosa del genere.

Però scoprii che non era proprio il massimo della comodità se dovevi affrontare una lunga cavalcata a cavallo.

Volevo un paio di jeans e una maglietta!

Lo desideravo ardentemente!

Quella mattina Ares ci svegliò di soprassalto. Era entrato nella stanza dicendoci che dovevamo far presto e tornare a casa perché i messaggeri di Mefisto stavano arrivando.

Sapevano che ero lì.

Ma come avevano fatto a scoprirlo?

Da quando eravamo arrivate non avevamo incontrato nessuno, eccetto il paggio che ci aveva accompagnate al castello, Ares e il corvo che mi aveva portato il messaggio.

Nessuno di loro mi sembrava una spia.

Il paggio era troppo giovane e troppo fragile per mettersi contro qualcuno più forte di lui, il corvo era il messaggero della Dea, perciò anche lui era da scartare e Ares… no!

Ares ci aveva accolte nel suo castello, mi aveva aiutato a capire cosa mi stava succedendo, mi aveva dato il ciondolo per proteggermi e per aiutarmi a capire come usare i miei poteri.

Di certo non poteva essere lui.

Uscii dalla stanza, percorsi il corridoio e scesi le enormi scalinate di marmo bianco che portavano direttamente alla porta d’ingresso.

Le adoravo.

Decisi di prendermi un po’ di tempo per sognare di essere una principessa.

Con una mano mi appoggiai al corrimano liscio e bianco e con l’altra alzai leggermente la gonna per permettere ai piedi di scendere senza intoppi. Non volevo rischiare di pestare l’orlo e rotolare giù dalle scale.

Scesi lentamente: un gradino, poi un altro e un altro ancora.

Quando arrivai a metà scalinata, vidi Ares che mi stava osservando con un misto di curiosità e ammirazione. Sembrava un principe appena uscito da un libro di favole. Aveva raccolto i riccioli biondi in una coda, indossava un paio di pantaloni neri e una camicia bianca con le maniche arrotolate fino al gomito.

‹‹Mia principessa››, disse, facendo un inchino regale e porgendomi una mano.

Arrossii, sembrava un sogno.

Scesi qualche gradino e appoggiai la mano delicatamente sopra quella di Ares.

‹‹Che scenetta disgustosa››. Sbottò Sonia. ‹‹Ragazzi, mi sono alzata e preparata in fretta e furia… e voi state giocando a Principi e Principesse››.

Era appoggiata al muro, le braccia incrociate e i capelli fiammeggianti raccolti in una treccia di lato. Non ci eravamo accorti di lei.

‹‹Il tempo di un saluto me lo lasci?›› Il tono di Ares era simile a quello di un bimbo che chiede alla mamma se può giocare ancora un po’.

‹‹Datti una mossa, sai che stanno arrivando. Vi aspetto fuori››.

Fra le tre, Sonia era quella più autoritaria. E quell’ordine non lo avrebbe violato nessuno, nemmeno un immortale.

Ares si voltò verso di me a pochi centimetri dal mio volto. Potevo sentire il calore del suo respiro sulla pelle.

Mi accarezzò i capelli. ‹‹Non preoccuparti Sofia, non ti succederà nulla. Se Gabriel prova ancora a farti del male, io lo fermerò prima che possa fare qualsiasi mossa››.

‹‹E se chi mi volesse morta non fosse Gabriel? Come faccio ad accusarlo se come prova ho solamente un sogno? Sfocato tra l’altro. Non ho visto in faccia quell’angelo, potrebbe essere chiunque››.

‹‹Hai visto le ali nere però, solo lui può essere!››

‹‹Non lo so, io… io non…››.

Non feci in tempo a finire la frase.

Ares affondò le dita nelle mie braccia. Un lampo rosso attraversò i suoi occhi e mi si accapponò la pelle. Mi stava spaventando, e mi faceva male.

‹‹Tu non ne sei sicura? Pensaci, Sofia, solo Gabriel può volerti morta. Ha già ucciso una volta, sono sicuro che non ci penserebbe due volte prima di farlo ancora››.

Ero scioccata.

Gabriel aveva già ucciso una volta?

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