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Un rumore di zoccoli si fece largo tra la folla e attirò la mia attenzione.

Era Calien, sempre con la camicia di seta svolazzante e i pantaloni color cachi.

Stavolta però i capelli erano sciolti, raccolti all’indietro con una treccia per lato.

Accostò il cavallo vicino a noi e fece un leggero inchino.

Era la prima volta che lo vedevo da vicino, i suoi occhi erano di un blu cielo intenso, spettacolare.

‹‹Siete arrivate, finalmente. Vedo che Twinkle non ha aspettato a consegnarti la polvere di fata››. Sorrise.

Non a me però, a Sonia.

E lei ricambiò il sorriso, arrossendo.

C’era qualcosa fra i due? Sembrava proprio di sì.

Avevo appena scoperto che anche Sonia aveva una parte dolce.

‹‹I Siruco sapevano dov’era. Siamo fuggiti in fretta perché la stavano cercando al castello di Ares. Credo ci sia una spia fra di noi››.

La piccola Sara parlava poco, ma nel momento in cui lo faceva mi sorprendeva sempre.

Capii che la sua dote era l’osservazione.

Ricapitolando: Sonia era la più pratica, Sara la più attenta ai dettagli, e io?

Di sicuro potevo essere la più problematica o la più combina guai.

Certo, mi ci vedevo benissimo in quel ruolo.

‹‹Sì, sanno che è arrivata. Sono venuti a cercarla anche qui. Ci hanno fatto credere che era una normale spedizione in cui rubano e torturano tutto ciò che si trova sul loro cammino, ma non hanno portato via nulla e nessuno è stato torturato, fortunatamente››. Calien scosse la testa, sconcertato.

Non capivo come potesse essere accaduto. Se i Siruco non potevano viaggiare alla luce del sole, chi era venuto al villaggio? Non avrebbero potuto cercarmi stando sottoterra.

Non feci in tempo a pensare a tutto ciò che Sara mi precedette nel porre domande.

‹‹Maledetta Waning››, sbottò la mia sorellina.

Era disgustata per non so quale motivo.

‹‹Chi è Waning?›› chiesi.

‹‹La regina delle fate nere. Pensi che le fate siano tutte belle, buone e carine come Twinkle? Allora non hai mai visto il popolo Curoos! Vivono sulle montagne che hai visto prima, quelle al confine fra i due Regni. Le montagne Gehnul››.

Fate nere.

Non riuscivo a immaginarmi delle fate cattive.

Come poteva essere? Ero cresciuta, come tutte le bambine, con storie di magia in cui le fate sono sempre dalla parte dei buoni. Non potevo pensare che quegli esseri indifesi avessero la forza per fare del male a qualcuno, grande o piccolo che fosse.

‹‹Non posso crederci››, mi sorpresi a dire scuotendo la testa.

‹‹E fai male! Devi stare molto attenta, invece: le fate nere sanno essere molto cattive e crudeli››. Calien parlò con tono serio.

Era una cosa con cui non si poteva scherzare.

Avevo capito in pochi giorni che esisteva un mondo pieno di esseri di cui avevo sentito parlare solo nei racconti e, allo stesso tempo, questi esseri magici convivevano con un popolo oscuro e potente.

Io ero stata catapultata lì per qualche preciso motivo.

Un allineamento particolare dei pianeti?

Una cospirazione divina?

Fatto sta che tutti in quel posto credevano in me.

E io non volevo deluderli.

Nei loro occhi vedevo speranza, giustizia e libertà.

Volevano essere liberi dalla crudeltà e dalla sottomissione di Mefisto e la Dea in persona mi aveva detto che solo io potevo aiutarli.

Cosa potevo fare a quel punto?

Dovevo prendere in mano le redini del mio destino.

Dovevo domare i miei poteri e la mia forza.

Dovevo combattere contro Siruco, Curoos e Mefisto in persona.

E ce l’avrei fatta! Ma ne ero poi così sicura?

‹‹Farò tesoro di quello che mi avete detto, Calien. Ora, se non ti dispiace mi piacerebbe fare una bella dormita. Senza incubi, spero››.

Avevo riposato veramente male la notte prima e il mio corpo cominciava a sentire tutta la stanchezza.

Arrivata a casa mi diressi pigramente nella mia stanza.

Avevo dimenticato tutto, vedevo solo il letto. Mi stesi sopra le coperte e mi addormentai ancora vestita.

***

Qualcuno stava correndo.

Era una foresta quella che vedevo o cosa?

Mi ricordava un posto in cui ero già stata.

A terra c’erano tante foglie morte che coprivano una specie di vialetto terroso. Sorvolai un ponte che se ne stava adagiato sopra un fiumiciattolo pieno di ciotoli.

Sono già stata qui!

Mi accorsi che stavo fluttuando, attirata da qualcosa.

Il respiro affannato di qualcuno risuonò nelle mie orecchie.

Abbassai lo sguardo, mentre tutto attorno a me scorreva velocemente. Un ragazzo stava correndo e io mi muovevo con lui. Ogni tanto si guardava alle spalle.

Evidentemente credeva di essere seguito.

Non riuscivo a vederlo bene in faccia ma mi ricordava qualcuno.

Si fermò di colpo e trattenne il fiato. Qualcosa per terra gli bloccava il passaggio. Sembrava un tronco coperto di foglie.

Fluttuai più in basso per vedere meglio.

Era un tronco strano, sembrava avere forma umana.

Il ragazzo si piegò sulle ginocchia, affianco al tronco.

Un singhiozzo strozzato bucò il silenzio.

Stava piangendo.

Perché?

Alzò una mano tremante e spostò un po’ di foglie.

Rimasi paralizzata.

Una parte di me voleva fuggire lontano, un’altra voleva restare a guardare la macabra scena.

Non era un tronco.

Vedevo dei vestiti. Una canotta che doveva essere stata bianca, un disegno indecifrabile ormai rovinato da un’ampia macchia rossa, un paio di pantaloncini corti neri e…un paio di Converse nere e rosa!

Ero io, era il mio corpo!

Mi avvicinai di più al ragazzo.

Un rumore di foglie e rami spezzati attirò la sua attenzione e alzò la testa di scatto.

Mia Dea, era Michael!

Il ragazzo che si era innamorato di me, quello per cui avevo paura di uscire di casa.

Trattenni il respiro.

Un senso di nausea si impossessò del mio corpo.

Come aveva fatto a trovarmi?

Perché si trovava lì nel bel mezzo della notte?

I miei pensieri furono interrotti.

Michael spalancò gli occhi e qualcosa gli si scaraventò addosso.

Urlai con lui e fui inghiottita dall’oscurità.

10

ARRIVI INASPETTATI


Il sogno che avevo fatto mi aveva lasciato un senso di smarrimento, terrore e un lieve pizzicore allo stomaco che non significava niente di buono.

Ero convinta che qualcosa fosse successo veramente a Michael, ma non avrei potuto fare nulla. Avrei voluto poter consultare i tarocchi, di loro potevo fidarmi senza avere il terrore che mi pugnalassero alle spalle.

Non sapevo a chi avrei potuto raccontare del sogno e delle sensazioni che mi erano rimaste.

Tutti stavano ancora dormendo, solo io ero seduta in cucina sulla sedia a dondolo.

Quella mattina faceva caldo, perciò mi liberai del vestito scomodo e scesi in slip e canottiera. A parte Sonia e Sara, non c’erano ragazzi in casa.

Gabriel, come al solito, spariva per andare chissà dove a fare chissà cosa. Ovviamente senza dire nulla a nessuno.

Stavo sorseggiando una tazza di tè verde, ovvero l’unica cosa decente che avevo trovato in cucina, mentre osservavo il sole che, a poco a poco, riprendeva il suo brillare che distingueva il giorno dalla notte

Qualcosa attirò la mia attenzione.

Qualcosa di famigliare a cui però non sapevo dare un nome.

Girai leggermente la testa e tesi l’orecchio.

Rimasi in silenzio ad ascoltare.

Qualcosa stava graffiando la porta.

Un rumore secco e regolare, come un segnale.

Il pensiero scivolò nella mia mente cercando di dare una forma, una dimensione e finalmente qualcosa trovò.

‹‹Ade!››. Quasi urlai per la gioia.

Saltai giù dalla sedia a dondolo su cui mi ero rannicchiata e quasi inciampai per la fretta. Un po’ di tè scivolò fuori dal bordo macchiando il legno fresco sotto i miei piedi.

Appoggiai la tazza al volo sul tavolo e mi precipitai verso il pomello della porta. Lo girai freneticamente. Le mani sudate per l’agitazione non facevano aderenza sull’ottone e non riuscivo ad aprire.

Finalmente un click, e la porta si aprì.

Un batuffolo di pelo chiaro mi saltò addosso. Mi chinai sulle ginocchia per coccolarlo e abbracciarlo e lui agitò freneticamente la coda bianca con una riga nera nel mezzo. Con il muso annusò ogni singola parte del mio viso, dandomi un leggero bacio-leccatina ogni tanto.

‹‹Ade! Mi hai trovato. Come hai fatto? Sei qui veramente!››.

Mi accorsi che stavo piangendo solo quando qualcosa di umido e caldo cadde sulle mie gambe.

Lui rispose con un bau e dei piccoli cigolii di contentezza.

‹‹Mia Dea, ma che succ… tesoro! Vieni qui bello!››. Sara, con addosso una maglia blu di due taglie più grande, si accucciò, tese una mano e schioccò le labbra per chiamare il cane.

Ade scodinzolò felice fino a lei, l’annusò e decise che le stava simpatica.

Nel frattempo, Sonia ci raggiunse scendendo le scale di corsa con la sottoveste di pizzo color bronzo che svolazzava a destra e a sinistra. I capelli rossi le sfuggivano da tutte le parti e aveva un’espressione strana.

Aveva qualcosa da nascondere?

La risposta alla mia domanda arrivò quasi subito.

Sì, qualcosa nascondeva.

Più che qualcosa… qualcuno!

Dietro di lei si materializzò Calien. Anche lui con i capelli stropicciati, l’aria di chi non ha mai dormito la notte e i suoi fedeli pantaloni color cachi.

Stavolta la camicia bianca non c’era.

Immaginavo dove poteva essere finita, ma non volevo pensarci.

La mia mente era impegnata a gioire con il mio fedele amico. Ero talmente impegnata che non mi preoccupai di essere in slip e canottiera in presenza di un ragazzo.

Sonia, talmente rossa in viso che avrebbe potuto mimetizzarsi con i suoi capelli, si avvicinò. ‹‹Non ci posso credere. Non dirmi che lui è…››.

‹‹Lui è Ade, il mio tesoro››, dissi io mostrando un sorriso a trentadue denti e accarezzando il mio cucciolone.

‹‹Sofia, mmm… lo sai che significa questo, vero?››, disse Calien con un tono un po’ troppo serio per i miei gusti, le braccia incrociate sul petto nudo e lo sguardo solennemente triste di chi sta per darti una cattiva notizia.

‹‹Cosa significa questo… cosa?››. Il cuore mi martellava nel petto.

Avevo il terrore che mi dicesse che stavo immaginando tutto, che Ade non era veramente lì con me. Non avrei voluto sentirmi dire una cosa del genere, al solo pensiero mi sentivo male.

Sì, lo so, è solo un cane, ma per me era molto di più. Ero legata a lui quando ero in vita. Era il mio compagno fedele, sempre al mio fianco nel momento del bisogno, e ora più che mai avevo bisogno di lui.

‹‹Ade… il tuo cane. Insomma, non… non ti chiedi come abbia fatto a raggiungerti?››.

La domanda me l’ero posta per soli due secondi, ma la gioia di averlo ancora con me era troppo grande, sovrastava qualsiasi altra cosa.

‹‹Sì, beh, me lo sono chiesta ma…››.

Calien mi interruppe. Si avvicinò a me, ancora inginocchiata a terra, mi posò un braccio sulle spalle.

Brutto segno.

‹‹Vedi, tu e lui avete un legame forte. Come posso spiegarti? Hai mai sentito parlare di imprinting?››.

Sì, sapevo cos’era. L’avevo letto in molte storie e ne avevo sentito parlare molte volte. Era una sorta di teoria per cui un animale era portato a seguire, di solito come sua madre, il primo animale o essere umano con cui veniva in contatto.

Più o meno doveva funzionare così.

Annuii verso Calien, senza dire niente.

‹‹Ecco, Ade è legato a te. Legato talmente tanto che, quando tu sei morta per venire in questa dimensione…›› e non finì la frase.

Qualcosa si illuminò dentro il mio cervello, quella fastidiosa lucina che a volte vorresti bruciare perché ti fa capire cose a cui non avresti mai voluto pensare.

‹‹Vuoi dire che… che…››, un groppo in gola non mi permise di finire la frase.

Mandai giù e feci un respiro profondo. Lacrime umide e calde stavano affiorando sui miei occhi, questa volta non di gioia.

Non volevo piangere.

Distolsi lo sguardo e come una volta, quando ero ancora viva, guardai Ade e lo accarezzai. Forse capì quello che provavo e appoggiò la testa vicino alle mie gambe dandomi un piccolo colpetto con il naso freddo e bagnato.

‹‹Sì, Sofia, è morto per seguirti fin qui››. Calien, che mi stava ancora tenendo il braccio sulla spalla, aumentò la presa e mi scrollò un po’.

‹‹Non essere triste. A volte bisogna saper vedere il lato positivo della morte, anche se è nascosto al nostro cuore. È solo più difficile da vedere››.

Già, il lato positivo.

In questo caso ero felicissima di poter essere ancora insieme al mio Ade. Era come sentirmi realmente viva, di nuovo. Come un legame con la ragazza che ero stata prima.

Ma a questo punto mi venne da pormi una domanda.

‹‹Qual è il lato positivo della mia morte?››. La mia voce fu un sussurro quasi impercettibile e le lacrime scendevano silenziose sul mio viso.

Calien alzò gli occhi verso Sonia. Si guardarono e abbassarono lo sguardo.

Li avevo messi in imbarazzo?

Beh, non mi importava.

Pretendevo una risposta senza mezzi termini.

Sara spiazzò tutti ome sempre. ‹‹Okay, vuoi sapere perché sei morta? Te lo spiego io››.

11

POTERE


Sara ci portò in uno stanzino che non sapevo nemmeno esistesse.

Aveva tirato fuori da non so dove un’altra maglia enorme blu, e me la diede. Avrei dovuto chiedere se nell’armadio dove teneva lo stock di maglie blu c’erano anche dei jeans. O almeno dei pantaloni di qualsiasi tipo.

Spostò qualche scatolone pieno di cianfrusaglie e afferrò qualcosa dal pavimento. Non capii subito che cosa stava facendo, ma poi notai che stringeva fra le mani una maniglia.

Tirò e una parte di pavimento legnoso si alzò. Era una specie di porta, una botola.

‹‹Ta-da!››, disse Sara in tono soddisfatto, e con un gesto secco del braccio ci fece cenno di scendere.

‹‹Scendo prima io, non si sa mai. Preferisco essere sicuro che là sotto non ci sia niente di pericoloso››. Calien dimostrò di essere un vero cavaliere d’altri tempi.

‹‹Sara, hai una pila o una torcia?››.

‹‹Certo››. Si diresse verso gli scatoloni, frugò un po’ e poi trovò una pila che porse al mezzelfo.

Calien scese qualche gradino. Sparì per qualche secondo e poi la sua testa riemerse.

‹‹Via libera. Potete scendere››.

Sonia mi superò e sparì nel buco sul pavimento.

Poi toccò a me.

Guardai dentro. Vedevo solamente pochi gradini e poi il buio. Fortunatamente la scala non era come avevo immaginato, verticale e a strapiombo nel nulla, ma aveva una pendenza dolce e i gradini erano in marmo.

Man mano che scendevo, una luce leggera illuminava l’ingresso di quella che sembrava essere una galleria.

‹‹Ragazzi, guardate qua››, dietro di me Sara stava trafficando con un accendino e un pezzo di legno con una pezza legata all’estremità.

Un leggero odore di benzina scivolò sotto il mio naso. Appena la fiamma toccò la pezza, questa prese fuoco immediatamente con un bagliore caldo e rosso.

Sara si avvicinò alla parete destra e piegò leggermente la torcia verso qualcosa che era attaccato al muro. Era una ciotola che prese fuoco all’istante appena entrò in contatto con la torcia improvvisata.

Una scia calda avanzò velocemente come acqua che scorre lungo il percorso che le è stato imposto dalla natura accendendo, ogni due metri, altre ciotole attaccate al muro.

Sara si spostò verso il lato sinistro della galleria e compì lo stesso rito del fuoco.

Tutto si illuminò e quello che a me poco prima era sembrato un buco stretto, piccolo e buio, era in realtà un enorme tunnel illuminato.

‹‹E questo cos’è? Sara, perché non ne sapevo nulla? Avresti potuto dirmi che sotto casa nostra c’è una galleria››.

Sonia si guardava attorno stupita mentre rimproverava la piccola Sara, la quale si limitò a sollevare le spalle e a dire: ‹‹Beh, questo posto devo conoscerlo solo io, fa parte del mio potere. Vedi, qui… qui c’è la fonte della conoscenza››, disse allargando le braccia con enfasi. ‹‹Io devo proteggerla e nasconderla, come mi è stato detto dalla Dea››.

La Dea aveva comunicato anche con lei?

Quindi si era manifestata anche alle mie sorelle, non solo a me.

Il ricordo di Morrigan si fece vivo di fronte ai miei occhi. Non ricordavo il suo viso, ricordavo solo il contorno sfumato del suo vestito bianco e i suoi capelli corvini. Nel vero senso della parola dato che erano veramente formati da corvi.

‹‹Quindi anche tu hai visto Morrigan?›› chiesi, lieta di poterne parlare con qualcuno.

Sara sgranò gli occhi e Sonia trattenne il respiro. ‹‹No, non l’ho mai vista. La Dea non mi ha parlato di persona, ho ricevuto il suo messaggio spiritualmente. Ma…›› Si guardò attorno e si avvicinò a me parlando sottovoce. ‹‹Vuoi dire che tu l’hai vista?››.

Un alito di aria fresca si posò sulle mie gambe nude. Ebbi un fremito.

Che dovevo fare?

Mentire o dire la verità?

Optai per la seconda opzione, sfidando la sorte di nuovo. Loro erano le mie sorelle, dopotutto, dovevano sapere.

‹‹Sì, io… l’ho vista quando sono caduta da cavallo ieri››.

‹‹E perché non l’hai detto subito? Così avresti evitato quella scenata con Gabriel››. Sonia era su tutte le furie.

Fu Sara a risponderle e gliene fui grata. ‹‹Non si fida, non l’hai ancora capito? Lei preferisce qualcun altro. O non hai capito nemmeno quello?››

Sonia mi trapassò con lo sguardo. ‹‹Che diavolo, Sofia! Da quant’è che conosci Ares? Un giorno? È un immortale, per la miseria››.

La vocina fastidiosa si ripresentò nella mia testa, chiara e limpida.

Non ascoltarla, è solo gelosa. Ares è tuo.

Una rabbia improvvisa cominciò a ribollirmi dentro.

‹‹Che c’è, sorellina? Sbaglio o sei stata tu a dirmi che ci si poteva fidare di lui?››.

La voce mi uscì con un timbro diverso. Sembrava una brutta imitazione della mia. Più… malvagia. Non saprei come altro descriverla.

‹‹Sì, ammetto di aver detto che è l’unico immortale di cui ci si può fidare, ma non ho detto che mi fido ciecamente di lui! Gli immortali sono imprevedibili. La loro natura può essere repressa, nascosta in qualche angolo della loro mente, ma può uscire quando meno te lo aspetti››. La voce di Sonia si era alzata di un’ottava.

Era talmente tanto arrabbiata che i capelli le si erano rizzati in testa come attirati da un’invisibile scarica elettrica.

‹‹E allora perché mi avete portato da lui se non ti fidi ciecamente?››. Le mani cominciarono a tremare leggermente.

Mi volevano vendere al nemico? Ero convinta che di loro potevo fidarmi.

Mi stavo sbagliando?

In quel caso, Sonia doveva darmi una spiegazione convincente.

‹‹Ti abbiamo portato da lui perché può aiutarti. Infatti ti ha spiegato un sacco di cose e ti ha dato quello››. Con il dito indicò il medaglione di cristallo con i draghi.

Era vero, me l’aveva dato per proteggermi.

Nonostante ciò, la rabbia non voleva sbollire. Anzi, cresceva ogni secondo di più.

‹‹Voglio solo che tu stia attenta. Non si sa mai cosa potrebbe succedere se tu ti innamorassi di lui››.

Nessuno può impedirti di provare qualcosa per Ares.

La vocina insisteva e fu come soffiare sul fuoco alimentandolo sempre di più.

Qualcosa mi punzecchiò i piedi e salì, salì, fino a raggiungere le mani.

Un battito d’ali invisibile si poteva udire in lontananza.

‹‹Tu. Non. Devi. Dirmi. Cosa. Devo. Fare. CAPITO?››.

Alzai le mani come per lanciare qualcosa in direzione di Sonia e una forza invisibile si sprigionò dalle mie braccia.

Udii un cra cra e il battito d’ali sempre più vicino.

Immaginai un corvo scendere in picchiata verso quella che era diventata mia sorella.

‹‹Attenta!››. Calien si precipitò verso Sonia e la buttò a terra nell’istante stesso in cui l’ondata di potere esplose nel punto esatto in cui lei si trovava pochi attimi prima.

Feci un respiro profondo e il pizzicore che avevo sotto la pelle sparì velocemente com’era arrivato.

Guardai Sonia ancora a terra, Calien che la teneva delicatamente abbracciata. Ogni tanto le dava un bacio in testa smettendo per un secondo di accarezzarle i rossi capelli.

‹‹Che mi sta succedendo?››. Ero inorridita da quello che avevo appena fatto e allo stesso tempo attirata dal potere che mi era esploso dentro.

‹‹Non preoccuparti, forse so che cosa sta succedendo, ma non voglio accusare nessuno. A questo punto…››. Fece una pausa, tenendo in sospeso il discorso. ‹‹Credo che dovresti parlare con la sibilla››. Sonia mi parlò dolcemente.

Forse capiva l’ondata di pensieri e dubbi che avevo dentro. Ero lieta che volesse aiutarmi.

‹‹Come posso raggiungerla?››

‹‹Tramite il corvo››, disse Calien senza staccare gli occhi dalla sua amata.

‹‹No, devo parlarle di persona. Il corvo mi accompagnerà››.

Avevo bisogno di parlare con la sibilla a quattr’occhi. Lei mi avrebbe finalmente spiegato tutto.

Forse.

‹‹Non puoi, è pericoloso e ne va della tua vita››. Sonia era preoccupata, ma non alzò la voce.

Mi resi conto che potevo percepire cosa provava. Aveva paura di una mia reazione come la precedente.

‹‹L’accompagnerò io››, disse Calien spiazzando tutti. ‹‹Ne ha bisogno e in questo caso… ha visto la Dea. Che ti ha detto a riguardo?››.

Ripassai mentalmente la conversazione. ‹‹Ha detto che le parole della sibilla sono vere e che devo ascoltare sempre cos’ha da dirmi››.

Calien annuì. ‹‹Questo dovrebbe bastare per convincerti. Lasciami andare, tesoro. Con me sarà al sicuro, fidati››. Teneva il viso di Sonia tra le mani e le diede un bacio delicato sulle labbra.

‹‹Okay››, disse Sonia con le guancie in fiamme. ‹‹Andrai con lei››.

‹‹Ehi, ragazzi››, s’intromise Sara. ‹‹Vi siete dimenticati perché siamo qui? Dobbiamo rispondere a una domanda››.

In realtà avrei voluto una risposta all’intero caos di domande che mi gironzolava in testa, ma era meglio fare un passo alla volta.

Un mattoncino dietro l’altro e forse sarei riuscita a risolvere tutto.

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