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Una Luce Nel Cuore Dell'Oscurità
Kamui fece un sospiro di sollievo quando suo fratello se ne andò, e rilasciò la barriera di invisibilità attorno alla forma malconcia di Kotaro. Guardandolo, capì che ci sarebbe voluto un po’ prima che le ferite guarissero… non solo quelle fisiche, ma anche quelle del suo cuore.
«Andiamo.» sussurrò Kamui, facendolo appoggiare alla propria spalla per sorreggerlo, «Hyakuhei non è andato lontano e tu hai bisogno di aria.». I suoi occhi brillarono del colore dell’arcobaleno mentre cercava di trattenere le lacrime, ma era inutile perché le sentiva già scendere lungo le guance.
Avevano perso così tanto nel giro di poche ore… adesso sapeva che cos’era più oscuro del buio. Non voleva perdere anche Kotaro.
«Non lo odiavo fino a questo punto.» sussurrò Kotaro, guardando dove il corpo di Toya giaceva pochi istanti prima. Entrambi amavano Kyoko e lei ricambiava con affetto… senza parteggiare mai per uno dei due quando litigavano… fino a quella notte. Il destino gli aveva dato solo poche ore… almeno Toya non lo sapeva.
Strinse i pugni… Toya si sarebbe arrabbiato ma sarebbe rimasto in vita. «Preferirei affrontare la sua rabbia… piuttosto che questo.» disse con voce tremante.
Entrambi avevano cercato di proteggerla, ma adesso… Gli occhi blu ghiaccio di Kotaro erano offuscati dalle lacrime non versate, «Io non lo odiavo.».
«Toya lo sa.» gli disse Kamui, dirigendosi verso l’unico luogo sicuro che conosceva… a casa di Shinbe, il mago. Doveva dirgli cos’era successo a Toya… e a Kyoko. Shinbe avrebbe saputo che cosa fare, lo sapeva sempre.
«Ucciderò quel bastardo.» ringhiò Kotaro mentre la sua natura di Lycan emergeva. «L’ha uccisa… e ha ucciso Toya per colpa sua. Quando lo troverò, gli farò rimpiangere di non essere nato umano.».
Come se il vento lo attraversasse, Kotaro rabbrividì. Sapeva che Toya era molto più forte di quanto sapesse ma, non avendo più qualcuno da proteggere, aveva perso la voglia di combattere. Hyakuhei lo sapeva prima ancora che la battaglia iniziasse, il dolore aveva reso Toya terribilmente impaziente. «Se solo avesse aspettato ancora qualche istante, Kyou avrebbe potuto salvarlo.». Ogni parola era intrisa di tristezza mentre Kotaro si asciugava rabbiosamente le lacrime che gli scendevano lungo le guance.
«Volevo salvarli entrambi, Kyoko.», il dolore del suo corpo indebolito era troppo mentre chiudeva gli occhi e si arrendeva al nulla che lo avrebbe lenito per un po’.
Kamui lo prese in braccio, «Hai fatto abbastanza. Riposa, adesso.» gli sussurrò, «Tocca a me salvarli.».
Capitolo 2
Al tramonto, Kamui si trovava accanto ad una tomba senza nome. I due uomini di fianco a lui erano tutto ciò che gli era rimasto. Shinbe aveva usato i suoi poteri telecinetici per rimuovere la terra dalla tomba di Toya e allargarla abbastanza affinché ci fosse spazio per due corpi.
Adesso lui e Kotaro avevano la stessa espressione… tristezza e determinazione. Kamui sapeva che stavano cercando di farsi forza per lui, ma riusciva a vedere la malinconia che entrambi nascondevano.
Tutti e tre fissavano la tomba… la dolorosa realtà che tutto stava andando in rovina. Le cose non dovevano finire in quel modo… i buoni non avrebbero dovuto perdere… né morire. Shinbe li aveva aiutati a prendere una decisione su cosa fare. Recuperando il corpo di Kyoko, l’avevano portata alla tomba in cui Kyou aveva deposto suo fratello e li avevano sepolti insieme. Toya avrebbe voluto così… era l’unica cosa giusta da fare.
Kamui non era riuscito a trasportare il corpo di Kyoko nel luogo di sepoltura. Non era il suo sangue a turbarlo, era straziante vedere una persona così gentile e pura, che possedeva così tanta luce dentro di sé da fare male agli occhi, giacere lì nell’oscurità con gli occhi aperti che fissavano il vuoto.
Percependo lo shock di Kamui e vedendo le sue mani che tremavano, Kotaro l’aveva stretta amorevolmente tra le braccia, cercando di ignorare la rigidità degli arti. In quel momento non riusciva a provare nulla se non rabbia e tristezza. Se avesse lasciato trasparire tutto il resto che aveva dentro… le sue ginocchia avrebbero ceduto… il dolore era così pesante.
Lo sguardo sul viso di Kamui lo aiutò a controllare le proprie emozioni… e anche il senso di intorpidimento che stava provando. Kamui non era un umano né una bestia ma, qualunque cosa fosse… il suo cuore era in frantumi. Kotaro decise che, da quel momento, si sarebbe occupato di lui, anche se forse non ce n’era bisogno.
Kamui si asciugò le lacrime, cercando di essere forte come i suoi fratelli. I suoi capelli viola furono increspati dal vento mentre guardava la terra che era stata rimestata. Si era tolto il soprabito e l’aveva avvolto delicatamente attorno ai due corpi per aumentare il potere dell’incantesimo che stava per lanciare.
Chiudendo gli occhi, intrecciò le dita mentre le ali gli spuntavano dalla schiena con una pioggia di piume. Brillavano di colori così intensi, sconosciuti all’occhio umano.
Shinbe e Kotaro fecero un passo indietro per la sorpresa, rendendosi conto di chi fosse Kamui. La parola “angelo” apparve sulle loro labbra ma lui sembrava così triste. Un angelo con il cuore spezzato… un angelo caduto.
Kamui prese una piuma dalla sua ala destra e tese la mano con il palmo verso l’alto. La sua espressione triste e placida non mutò. I suoi occhi brillavano di un barlume di speranza mentre si passava rapidamente la piuma affilata sul palmo, provocando un taglio superficiale.
Apparve il liquido rosso cremisi e lui strinse lentamente il pugno, poi allungò la mano sulla tomba. Le sacre gocce di sangue caddero facendo brillare il terreno di una strana luce blu.
Shinbe e Kotaro osservavano tutto scioccati e non osavano muoversi per paura di disturbare il rito che Kamui stava eseguendo. Entrambi si rendevano conto che stavano assistendo a qualcosa di incredibile e, senza dubbio, non l’avrebbero più visto.
L’aria attorno a Kamui turbinò in un vortice che lo circondava con una luce blu fluorescente. La sua voce echeggiava e le sue labbra sembravano più sagge di quanto avessero mai ricordato. Un suono spaventoso riecheggiò nel cielo, proseguendo per chilometri e immobilizzando ogni cosa come per rispetto a quel potere.
«Ci vorranno mille anni…
Aspetteremo per il vostro bene.
Quando il sangue di un guardiano viene versato…
È tempo che questa profezia si compia.
Solo allora le due anime rinasceranno,
Riportandoli alla luce.
Destinati a combattere la magia oscura della notte,
Con questa promessa noi immortali prenderemo le armi…
Proteggeremo coloro che rinasceranno.
Nelle mani di pietra e marmo, daremo al nemico
L’unica cosa che desidera… vivere nella luce.».
Mentre il vortice circondava Kamui, due piume si staccarono dalle sue ali e fluttuarono in avanti, rigirandosi come se fossero due piccoli pugnali, per poi posarsi sulla tomba. Rimasero ferme sul terreno soffice per alcuni istanti, poi affondarono per andare a fondersi con le anime dei due amici.
Kamui s’inginocchiò mentre l’incantesimo si disperdeva, inviando un’onda d’urto in tutte le direzioni. «Ci incontreremo di nuovo, Kyoko… Toya.» sussurrò mentre si sentiva sopraffare dalla solitudine, «Forse la prossima vita sarà migliore e molto più luminosa.».
Shinbe rimase in silenzio accanto a lui, non desiderava fare altro che piangere… ma non poteva permettersi quel lusso. Hyakuhei era ancora lì da qualche parte e sapeva che, alla fine, il vampiro dal cuore nero sarebbe venuto a cercarlo e avrebbe scoperto che cosa avevano fatto. Per questo doveva cancellare tutte le tracce possibili.
Mise una mano in tasca ed estrasse una bottiglietta viola piena di polvere magica. Cosparse leggermente il terreno facendo un giro intorno alla tomba, per proteggerla da tutti gli occhi indiscreti. Il terreno divenne solido all’istante, nascondendo la presenza della tomba.
Gli occhi di Shinbe s’illuminarono dello stesso colore viola mentre sussurrava parole che solo lui poteva capire.
Percepì un legame secolare di fratelli che avevano combattuto un’eterna battaglia con l’oscurità che gli bruciava nell’anima per diventare un simbolo di protezione sulla tomba. Sopra il luogo di riposo dei suoi amici sbocciarono dei fiori senza semi. Erano di cinque colori diversi… argento… oro… blu ghiaccio… ametista… e arcobaleno.
«Io me ne vado.» disse Shinbe dopo un lungo silenzio. Non voleva che la sua presenza rivelasse la posizione degli altri e sapeva che era ora di muoversi. Guardò il cespuglio di fiori variopinti, Toya e Kyoko adesso erano protetti contro Hyakuhei e l’incantesimo non sarebbe stato intaccato.
Per ora… era tutto ciò che poteva offrire loro oltre al dolore.
Kamui guardò il mago, scioccato dalle sue parole. «Che cosa? Ma… perché?» gli chiese in preda al panico… sarebbe rimasto solo, adesso? Perdere Toya e Kyoko non era già abbastanza?
Sentendo la paura di Kamui, Shinbe gli mise una mano sulla spalla e cercò di spiegare: «Sai bene quanto me che Hyakuhei, alla fine, scoprirà che cosa abbiamo fatto qui.». Poi guardò Kotaro, sapendo che il Lycan avrebbe capito, e aggiunse: «Tu puoi sfuggire ai suoi occhi sempre attenti… ma io non ho quel tipo di potere. Sarò comunque in grado di nascondermi, ma non so per quanto.». Shinbe emise un lungo sospiro e alzò lo sguardo verso la luna alta nel cielo. «I miei giorni sono contati, adesso…», un lieve sorriso gli apparve sulle labbra, come se conoscesse un segreto, «Così sia. Salirò a bordo della prossima nave che va ad ovest, oltreoceano. Lì avrò maggiori possibilità di mantenere la mia identità al sicuro da Hyakuhei e forse anche di trovare un modo per far reincarnare la mia anima nella stessa era dei nostri cari amici.». Sperava che quello che stava dicendo fosse vero, perché avrebbero avuto bisogno di lui quando sarebbe giunto il momento.
Kamui guardò la tomba e poi il suo amico, con più calma di rispetto a quando era iniziato quell’incubo. Non voleva che Shinbe fosse la prossima vittima, perciò lo capiva. Si staccò una piuma arcobaleno dalla sua ala destra e gliela premette sul collo.
Shinbe ansimò mentre la piuma iniziava a brillare intensamente, per poi essere assorbita nella sua pelle. Abbassò lo sguardo e vide la sagoma della piuma proprio sotto il colletto del suo soprabito.
«Ti aiuterà quando sarà il momento.» disse Kamui con un sorriso, poi lo abbracciò forte. Non avrebbe perso anche lui.
«Ci rivedremo, amico mio.» sussurrò Shinbe prima di scostarsi. Fece un cenno a Kotaro, sapendo che il Lycan si sarebbe preso cura di Kamui. Guardò di nuovo la tomba, poi distolse lo sguardo, lasciando che la frangetta nascondesse la sua tristezza. «Così sia.» sussurrò di nuovo mentre svaniva nell’oscurità.
«Piccolo, sei pronto?» chiese Kotaro a Kamui, dando le spalle alla tomba. Sapeva di non poter restare, Shinbe aveva ragione… più erano lontani, più l’incantesimo sarebbe stato al sicuro.
Kamui voleva protestare per il nomignolo che Kotaro gli aveva appena dato ma non aveva il coraggio. Il suo cuore era sepolto nel terreno ma avrebbe visto Hyakuhei pagare per i suoi crimini, anche se ci sarebbe voluta un’eternità.
«Sì.» rispose, asciugandosi gli occhi con il braccio, «Sono pronto.».
Kotaro gli mise un braccio attorno alle spalle e lo portò via. Il Lycan scoprì che non aveva più lacrime per la donna che aveva amato con tutto se stesso. Si sentiva come se qualcuno gli avesse strappato l’anima, riducendola a brandelli e restituendogliene solo metà.
Se l’incantesimo avesse funzionato, avrebbe rivisto la sua adorata Kyoko. Non poté fare a meno di sorridere ricordando tutte le pagliacciate che lui e Toya dovevano inventarsi per guadagnarsi il suo affetto. Avrebbe litigato volentieri per lei ancora una volta, se solo Toya fosse tornato. Dopotutto… lui voleva bene a entrambi.
Resistette all’impulso di voltarsi indietro verso la tomba. «Mille anni sono tanti ma io sarò lì ad aspettarti… Kyoko.».
*****Oggi… oltre mille anni nel futuro.
Una figura solitaria si trovava sul tetto dell’edificio più alto, con vista sulla città affollata. I suoi lineamenti non tradivano mai il ricordo straziante del corpo del suo unico fratello disteso senza vita sul terreno duro e freddo, secoli prima. Il suo cuore, un tempo caldo e pulsante, stretto negli artigli del sadico mostro che li aveva creati entrambi.
Aveva fatto tutto ciò che era in suo potere per allontanarsi dal male che lo circondava silenziosamente. Proprio come gli umani, si nutriva soltanto degli animali che trovava in natura. Anche se l’oscurità era l’unica cosa che gli era permessa, così come la maledizione di vampiro, non sarebbe mai diventato il demone che suo zio voleva che fosse.
Negli ultimi anni si era scatenato qualcosa dentro di lui… un desiderio che non riusciva a capire e che non provava da oltre mille lunghi anni.
La sua mente fu pervasa di ricordi mai dimenticati di un giovane innocente che gli aveva riempito la vita di felicità, anche in un mondo di oscurità. Toya… era così pieno di vita, con i suoi occhi dorati e l’ingenuità di un bambino. Ancora una volta provò un senso di colpa nel cuore per non essere riuscito a proteggere suo fratello minore.
I suoi occhi dorati, induriti da centinaia di anni di solitudine, divennero rossi al ricordo di una promessa che doveva ancora mantenere. Col passare dei decenni, Kyou diventava più forte. Si era avvicinato molte volte, ma l’oggetto del suo odio e della sua ira continuava a sfuggirgli.
Non si sarebbe placato finché quella vile creatura si sarebbe contorta in agonia davanti a lui, e la sua anima non sarebbe stata gettata nell’inferno cui apparteneva.
Lo sguardo di Kyou fu attirato dall’unico posto tranquillo di tutta la città… il parco in centro. «Luoghi del genere non dovrebbero essere così vicini al male.» mormorò nella notte. Saltando giù dall’edificio, continuò la ricerca come faceva da tanti secoli. Hyakuhei avrebbe pagato con la sua stessa vita per aver preso l’unica persona che gli stava a cuore. Suo fratello era perduto per sempre e non sarebbe mai più tornato.
«Toya…» sussurrò mentre scompariva nella notte, lasciando l’immagine di un angelo vendicatore.
*****Il parco era sempre tranquillo a quell’ora, era ancora pomeriggio e il sole era alto nel cielo. Kotaro passeggiava pigramente tra gli alberi in centro, accanto a un enorme blocco di marmo. Non sapeva da dove provenisse… era lì da tanto, da prima della città stessa. Sapeva solo che provava un travolgente senso di pace ogni volta che gli era vicino.
«Chi immaginava che una roccia quadrata potesse tranquillizzare la mente?» mormorò tra sé.
Imboccando un sentiero tra gli alberi, si diresse verso la pietra per guardarla. Anche se quel giorno si sentiva bene, sapere che era ancora lì lo faceva sentire meglio.
Kotaro si fermò quando arrivò e notò qualcuno seduto in stile indiano sopra la pietra, con i gomiti sulle ginocchia e il mento poggiato sulle mani. I suoi capelli viola corti ondeggiavano nella brezza leggera, dando al giovane un aspetto ancora più infantile.
«Che diavolo ci fai qui?» gli chiese Kotaro.
Kamui sorrise senza guardarlo e annuì verso il college in lontananza. «Aspetto che inizi la lezione.».
L’altro scosse la testa e proseguì, poi si fermò di nuovo e si voltò di scatto, «Ma che dici? Tu non frequenti questa scuola.».
Kamui gli fece l’occhiolino e svanì lentamente con una pioggia di polvere arcobaleno scintillante, dicendo: «Lo so.».
Kotaro lanciò un’occhiataccia alla polvere che vorticò prima di svanire completamente. «A volte quel ragazzo è un vero mistero.» disse al vento, poi osservò la pietra. Gli sembrò di sentire dei passi frettolosi ma non se ne rese davvero conto finché qualcuno non gli diede un colpetto sulla spalla. Sussultando, si voltò e vide Hoto e Toki che cercavano di riprendere fiato con le mani appoggiate sulle ginocchia. «Perché avete corso?» gli chiese con un ghigno.
Hoto gli porse un foglietto di carta, «Per te… dalla polizia… è importante.».
Kotaro lo prese, «Dalla polizia, eh? Dev’essere davvero importante, per farvi correre come due forsennati.».
Toki annuì prima di lasciarsi cadere su un fianco per riposare. Hoto s’inginocchiò e poggiò la testa sull’erba.
«Siete le due persone più pigre che io abbia mai visto.» si lamentò Kotaro scherzosamente.
«Mi fa male un fianco.» piagnucolò Toki, «Devo tornare… in ufficio… c’è l’aria condizionata.».
Kotaro sospirò rassegnato e li lasciò aspettare al caldo mentre leggeva il biglietto. Poi strinse la mano, accartocciando il foglio che aveva appena ricevuto dalla centrale di polizia non lontano dal campus. Un’altra ragazza era scomparsa senza lasciare traccia. Lui aveva trascorso parecchio tempo a indagare sulle sparizioni delle ragazze e, alla fine, tutto riconduceva al college in cui adesso era capo della sicurezza.
I suoi pensieri tornarono subito alla sua amata Kyoko. L’aveva ritrovata e, proprio come si aspettava, Toya non era lontano. Era rimasto sorpreso nel vedere che era rinato come un umano normale, o almeno così sembrava.
A volte percepiva il vero Toya nascosto… ignaro della sua stessa esistenza, eppure quella parte di sé era rimasta latente. “Grazie, Dio, per le piccole gioie.” pensò, passandosi una mano tra i capelli mossi dal vento.
Era contento che nessuno dei due ricordasse il passato… era un qualcosa che era meglio dimenticare. Avrebbe voluto avere lo stesso privilegio di dimenticare… invece il ricordo rimaneva e spesso lo svegliava di notte, facendogli sudare freddo.
Uscendo dal parco si ritrovò sul sentiero di fronte al campus. Alzò lo sguardo nella direzione in cui viveva Kyoko. Si accigliò preoccupato mentre sentiva il bisogno di andare a controllare “la sua donna”.
Kotaro aveva la parte più lunga dei capelli raccolta in una cosa bassa, mentre il resto era sempre spettinato dal vento, conferendogli l’aspetto di un teppistello punk che, tuttavia, gli si addiceva. Quell’aspetto gli era servito più di una volta, negli ultimi anni.
Era alto e aveva muscoli esili, ma ciò poteva ingannare… non aveva un filo di grasso ed era più forte di cinquanta umani messi insieme. Le uniche persone che conoscevano la sua forza sovrumana erano quelle che decidevano di sfidarlo o che osavano ostacolarlo. E quei pochi erano troppo spaventati per dire una sola parola. Nessuno nel campus conosceva il lato segreto di Kotaro e lui voleva mantenerlo tale.
Era responsabile della sicurezza di ogni persona che si trovava nel campus, che fosse un visitatore, uno studente o un membro della facoltà. Le sparizioni delle ragazze erano iniziate da circa un mese, ad un ritmo allarmante.
Un ringhio cupo gli si formò nel petto mentre inspirava i profumi nell’aria. L’aria era contaminata da un odore antico… malvagio. Kotaro si stava avvicinando al responsabile di qualcosa che andava ben oltre le semplici sparizioni… lo sentiva. Mettendo da parte quei pensieri, si diresse a passo svelto verso gli appartamenti che ospitavano molti studenti universitari.
Sarebbe andato a controllare Kyoko e, se lei glielo avesse permesso, non l’avrebbe lasciata da sola per il resto della giornata… e della notte. Sperava solo che Toya non fosse di nuovo con lei, oggi. La voleva tutta per sé. Dopotutto, lei era la sua donna e quel ragazzo avrebbe dovuto farsi una vita.
Rallentò per un istante per l’ironia di quel pensiero… era contento che Toya almeno avesse una vita da vivere, adesso. Sorrise quasi divertito mentre lo minacciava mentalmente se non avesse smesso di perseguitare Kyoko.
L’idea di sedere accanto a lei sul suo comodo divano, a mangiare popcorn e guardare qualche film di cattivo gusto sembrava la serata perfetta. Lo facevano almeno una volta a settimana e quello era il suo giorno preferito, il suo momento indisturbato con la bella ragazza dai capelli ramati. Non gli importava se guardavano un film o chiacchieravano semplicemente… gli piaceva sentirla rannicchiata accanto a sé.
Kotaro sorrise compiaciuto, chiedendosi come sarebbe stato averla sempre accanto… di giorno e di notte.
Il suo ghigno svanì con un pensiero… Kyoko non lo aveva scelto al posto di Toya, non ancora. Almeno non in questa vita. “Certe cose non cambiano mai.” si disse. Poi alzò lo sguardo al cielo come per inviare un silenzioso e sarcastico “Grazie per l’aiuto.” a chiunque lo stesse ascoltando da lassù. Qualcosa gli diceva che gli dei dovevano avere un inquietante senso dell’umorismo.
*****Gli esami finali erano finalmente terminati e Kyoko aveva cantato quelle parole per tutto il pomeriggio. Era stata brava e aveva studiato fino a sentirsi male, ma la fatica aveva dato i suoi frutti. Sapeva di aver superato quei terribili test. Quel pensiero le aveva fatto quasi venire voglia di tornare a casa ballando.
In effetti, la prima cosa che aveva fatto dopo aver varcato la porta, era stata lanciare i libri come se fossero infetti e, alla fine, aveva ceduto all’impulso… aveva improvvisato una danza della felicità proprio lì, sulla porta.
Poi aveva ripetuto dei passi che aveva visto fare a Toya una volta, e si era diretta verso il bagno continuando a scuotere il sedere. Aveva deciso di fare un bagno caldo e di farlo come si deve, perciò accese lo stereo e prese delle candele.
Mentre la vasca si riempiva, continuava a canticchiare per la vittoria e iniziò a spogliarsi lanciando i vestiti per aria. “Molto probabilmente troverò qualcosa appeso al ventilatore, dopo.” pensò tra sé, poi scrollò le spalle ed entrò in acqua.
Scivolò giù, lasciando che le bolle le accarezzassero il collo e le spalle. I suoi occhi verde smeraldo, che a volte diventavano burrascosi in un istante, brillavano di contentezza.
I suoi capelli erano raccolti in modo spettinato e la sua pelle setosa era nascosta dalla schiuma. Si sentiva felice e tutto quello che voleva fare davvero era rilassarsi per il resto della giornata. Un po’ di musica soft in sottofondo, alcune candele profumate accese in tutto il bagno ed ecco l’ambiente perfetto.
Chiuse gli occhi, sapendo che avrebbe rivisto presto la sua immagine… come se la stesse aspettando. Quello era un suo segreto.
Gli occhi color ghiaccio la guardavano nella sua mente. Lo sognava così tante volte, di notte, che adesso lo vedeva anche di giorno. Più sprofondava nel sogno, più diventava reale finché non le sembrò che lui fosse davvero lì… inginocchiato accanto alla vasca.
Lui accennò un sorrisetto sensuale mentre allungava una mano per toglierle l’asciugamano… i suoi occhi erano luminosi come una fiamma blu.
«I sogni sono belli.» sussurrò lei, girando la testa per lasciargli fare ciò che voleva.
«Drin drin!» uno dei suoni più fastidiosi al mondo echeggiò in tutto l’appartamento. Kyoko scattò in avanti, facendo scivolare l’acqua fuori dal bordo e sul pavimento. Sfiorandosi la guancia, sentì il calore e arrossì mentre il telefono continuava a squillare.
«Accidenti!» si alzò subito, sapendo che il telefono era in soggiorno. Afferrò la vestaglia di seta e se la infilò mentre correva a rispondere.
Rendendosi conto di aver lasciato una scia d’acqua, si appuntò di ricordarsi di portare il cordless in bagno, la prossima volta.
Dall’altro capo del telefono, Suki tamburellava con le dita sul ripiano della cucina, augurandosi che Kyoko si sbrigasse a rispondere. Aveva la fastidiosa sensazione che Shinbe sarebbe stato lì da un momento all’altro e non voleva fargli sapere quello che stava pianificando.
Udì un “clic” ed esclamò: «Era ora!».
Kyoko scostò il telefono dall’orecchio e lo guardò storto, poi lo riavvicinò. «Suki, ero nella vasca!» si lamentò, guardando con nostalgia la porta del bagno, dove l’acqua calda e il profumo di gelsomino la stavano ancora aspettando. La invitavano a tornare di là… e anche il sogno. Si morse il labbro inferiore mentre distoglieva lo sguardo.
«Sei nuda?» le chiese Suki ridacchiando, sapendo che arrossiva facilmente.
«Suki!» gridò Kyoko. La sua amica aveva un senso dell’umorismo distorto, probabilmente passava troppo tempo con Shinbe. Sorrise maliziosamente mentre rispondeva: «Ti serviva qualcosa? Perché ho un bagno caldo e pieno di vapore che mi chiama e tu stai interrompendo il mio appuntamento.».
«Appuntamento?» chiese Suki alzando gli occhi al cielo, «Tu hai bisogno di aiuto, Kyoko. Chi è che farebbe un bagno romantico da solo? Usa almeno un pizzico di immaginazione e pensa a un uomo sexy che ti lava la schiena.», poi sospirò, ignara di quanto si avvicinassero alla realtà le sue parole. «Comunque, stasera usciamo per festeggiare la fine degli esami.» continuò, «Non accetto un “no” come risposta, perciò inizia a prepararti. E metti le cose che abbiamo comprato la settimana scorsa.». Suki inspirò profondamente e riprese subito prima che Kyoko potesse dire qualcosa: «Preparati per le sette e mezza. Ti voglio bene. Ciaooo!».