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Istoria civile del Regno di Napoli, v. 7
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Istoria civile del Regno di Napoli, v. 7

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Le cose di Ferdinando si ridussero in tanta declinazione, che fu fama, la quale il Fontano tiene per vera, che la Regina Isabella di Chiaramonte sua moglie, vedendo le cose del marito disperate, si fosse partita da Napoli con la scorta d'un suo confessore in abito di Frate di S. Francesco, e fosse andata a trovare il Principe di Taranto suo zio e buttatasegli a' piedi l'avesse pregato, che poi che l'avea fatta Regina, l'avesse ancora fatta morire Regina, e che il Principe l'avesse risposto, che stesse di buon animo, che così farebbe.

Il Duca di Milano, che era entrato in questa guerra in ajuto del Re Ferrante e che correva la medesima fortuna che il Re, per la pretensione del Duca di Orleans sopra lo Stato di Milano, sentendo le cose di Ferdinando in tale stato, pensò se per via di pace e di riconciliazione potesse salvargli il Regno, e mandò Roberto Sanseverino Conte di Cajazza, ch'era figliuolo di sua sorella, in soccorso del Re con istruzione di consigliarlo, che proccurasse di riconciliarsi i Baroni, e ricovrare a poco a poco il Regno; e perchè sapeva, che il Re per la natura sua crudele e vendicativa era noto a' Baroni, che non osservava mai patti, nè giuramenti, per saziarsi del sangue di coloro, che l'aveano offeso; mandò una proccura in persona di Roberto, che sotto la fede di leal Principe potesse assicurare in nome suo quelli Baroni, che volessero accordarsi col Re11. Questa venuta del Conte di Cajazza sollevò molto le cose del Re, perch'essendo parente del Conte di Marsico e di Sanseverino trattò con lui, che avesse da tornare alla fede del Re, siccome venne ad accordarsi accettando volontieri l'onorati partiti che gli fece il Re, fra' quali fu la concessione della città di Salerno con titolo di Principe; di poter battere moneta; che i beni de' suoi Vassalli devoluti per fellonia, fossero del Fisco del Principe, e non del Fisco regale, ed altri onoratissimi patti rapportati dal Costanzo. Il Conte di Marsico, che da questo tempo innanzi fu chiamato Principe di Salerno, mandò subito al Pontefice Pio per l'assoluzione del giuramento, che avea fatto in mano del Duca Giovanni, quando lo creò suo Cavaliere, rimandando al medesimo l'ordine della luna crescente, del quale l'avea ornato Cavaliere e molti altri seguirono quest'esempio; ed il Chioccarello12 rapporta la Bolla di Pio II fatta a' 5 Gennajo dell'anno 1460 colla quale assolve dal giuramento tutti coloro, che aveano dal Duca Giovanni preso l'ordine della luna crescente e disfece questa Confrateria, ch'era chiamata de' Crescenti.

L'accordo del Principe di Salerno col Re fu gran cagione della salute di Ferdinando, perchè non solo gli diede per le Terre sue il passo, e gli aperse la via di Calabria; ma andò insieme con Ruberto Orsino a ricuperarla; e perchè di passo in passo, da Sanseverino fino in Calabria erano Terre sue, o del Conte di Capaccio, o del Corte di Lauria, o di altri seguaci di casa sua, quanto camminò fino a Cosenza, ridusse a divozione del Re. Fu presa Cosenza e saccheggiata: Scigliano, Martorano e Nicastro si resero: Bisignano fu preso a forza, ed in breve quasi tutta quella provincia tornò alla fede del Re.

Il Pontefice Pio mandò Antonio Piccolomini suo Nipote in ajuto del Re con mille cavalli e cinquecento fanti, che gli ricuperò Terra di Lavoro. Nel medesimo tempo il Duca di Milano mandò nuovo soccorso, col quale nell'Apruzzo ridusse molte Terre alla sua ubbidienza. Il Re passò in Puglia per dare il guasto al paese di Lucera, ove era il Duca Giovanni con buon numero di gente, aspettando il Principe di Taranto. Si resero a lui Sansevero, Dragonara e molte altre Terre del Monte Gargano: e finalmente prese S. Angelo, dove trovò ridutte tutte le ricchezze della Puglia. Fu saccheggiato con ogni spezie di avarizia e di crudeltà, ed il Re sceso alla Chiesa sotterranea di quel famoso Santuario, trovò gran quantità d'argento e di oro, non solo di quello, ch'era stato donato per la gran devozione al Santuario, ma di quello, ch'era stato portato ivi in guardia da Sacerdoti delle Terre convicine. Il Re fattolo annotare se lo prese, promettendo dopo la vittoria restituire ogni cosa, e di quell'argento fece subito battere quella moneta, che si chiamava li Coronati di S. Angelo; che gli giovò molto in questa guerra.

(Questa moneta pur trovasi impressa dal Vergara Tab. XXIII n. 4, nella quale da una parte è l'immagine di Ferdinando e dall'altra quella dell'Arcangelo Michele, col motto IVSTA TVENDA: per iscusarsi, che la necessità di difendere lo Stato l'obbligò a valersi degli Argenti di quel Santuario).

Sopraggiunse ancora in questo stato di cose al Re Ferdinando un altro improviso ajuto, poichè venne da Albania a soccorrerlo con un buon numero di navi, con settecento cavalli e mille fanti veterani Giorgio Castrioto cognominato Scanderbecch, uomo in quelli tempi famosissimo per le cose da lui adoperate contra Turchi. Costui, ricordevole, che pochi anni avanti, quando il Turco venne ad assaltarlo in Albania, dove e' signoreggiava, Re Alfonso gli avea mandato soccorso; avendo inteso, che Re Ferdinando stava oppresso da tanta guerra, volle venire a questo modo a soccorrerlo, e la venuta sua fu di tanta efficacia che fece diffidar i suoi nemici d'attaccarlo.

Il Cardinal Rovarella Legato appostolico, che stava in Benevento, fece pratica di tirare dalla parte del Re Orso Orsino; e poco da poi il Marchese di Cotrone si riconciliò col Re, ed il simile fece il Conte di Nicatro.

Alfonso Duca di Calabria primogenito del Re, che non avea più che quattordici anni, fu mandato dal padre sotto la cura di Lucca Sanseverino ad interamente sottomettere la Calabria, il quale mostrandosi dalla sua puerizia quello, che avea da essere nell'età perfetta, con somma diligenza ed audacia perfezionò l'impresa. Dall'altro canto il Re debellò i suoi nemici in Capitanata, prese Troja e ridusse quella provincia interamente alla sua fede; onde gli altri Baroni, vedendo posta in tanta grandezza la casa del Re, ed in tanta declinazione la parte Angioina, venivano a trovarlo e rendersegli, come fece Giovanni Caracciolo Duca di Melfi.

Il Principe di Taranto vedendo finalmente, che non restava altro di fare al Re, che venire ad espugnarlo, deliberò di mandare a domandargli pace13: Ferdinando non la ricusò, e mandò Antonello di Petruccio suo Segretario col Cardinal Rovarella Legato del Papa a trattare le condizioni con gli Ambasciadori del Principe, fra le quali fu convenuto, che il Principe avesse da cacciare da Puglia e da tutte le Terre sue il Duca Giovanni. Il Principe si ritirò in Altamura, dove poco da poi morì, non senza sospetto, che il Re l'avesse fatto strangolare.

Solo rimaneva da ridurre Terra di Lavoro di là dal Vulturno e l'Apruzzo, ove il Duca Giovanni s'era fortificato ed il Principe di Rossano. Fu pertanto guerreggiato a Sora, dove le genti del Papa, ancorchè sollecitate da Ferdinando per l'assalto, non si vollero movere; con iscoprire la cagione, dicendo, che il Papa non gli avea mandati a dare ajuto al Re, perchè più non bisognava, essendo tanto estenuato lo stato del Duca d'Angiò, ma solamente perchè pretendeva, che 'l Ducato di Sora, il Contado d'Arpino e quello di Celano, essendo stati un tempo della Chiesa romana, dovessero a quella restituirsi. Il Re per non intrigarsi a nuove contese, prese espediente di dare in nome di dote il Contado di Celano ad Antonio Piccolomini nipote del Papa, e suo genero, con condizione, che riconoscesse per supremo Signore il Re; e morto poi Papa Pio, con la medesima condizione diede il Ducato di Sora ad Antonio della Rovere nipote di Papa Sisto. Finalmente il Principe di Rossano mandò pure a trattare la pace, e per mezzo del Cardinal Rovarella fu conchiusa, con condizione per maggior sicurtà, che si dovesse fermare con nuovo vincolo di parentado, cioè, che il Re desse a Giovan Battista Marzano figliuolo del Principe, Beatrice sua figliuola, che poi fu Regina d'Ungheria, la quale fu subito mandata a Sessa ad Elionora Principessa di Marzano come pegno di sicurtà e di certa pace. Ma non passò guari, che il Principe fu fatto incarcerare dal Re, il quale avendo mandato a pigliar subito il possesso di tutto il suo Stato, fece venire in Napoli la Principessa, e li figli insieme con la figliuola sua, ch'avea promessa per moglie al figliuol del Principe.

Il Duca Giovanni vedendosi tolti i suoi partigiani, s'accordò col Re d'andarsene dove gli parea, e gli fu data sicurtà, e se n'andò in Ischia; ed il Re, dopo avere interamente ridotta tutta la Puglia, l'Aquila e tutto l'Apruzzo a sua divozione, non gli restava altro, che l'impresa d'Ischia, ove erasi ritirato il Duca d'Angiò, che veniva guardata da otto galee, le quali ogni dì infestavano anche Napoli; nè potendo il Re venirne a capo, fu necessitato mandare in Catalogna al Re Giovanni d'Aragona suo zio, per far venire Galzerano Richisens, con una quantità di galee di Catalani per finire in tutto queste reliquie di guerra; onde il Duca vedendo tutti i partigiani suoi, o morti o prigionieri o in estrema necessità, deliberò partirsi dal Regno, ed imbarcato con due galee, se n'andò in Provenza: dopo la di cui partita essendo venuta l'armata de' Catalani, fu dal Toreglia, che comandava l'Isola, proposto trattato per mezzo di Lupo Ximenes d'Urrea Vicerè di Sicilia, di renderla; ma perchè il Re Alfonso avea fatta Ischia colonia de' Catalani, dubitando il Re Ferdinando, che costoro non alzassero le bandiere del Re d'Aragona suo zio, e lo facessero pensare all'impresa del Regno, si contentò fare larghissimi patti al Toreglia, con liberar Carlo suo fratello, che poc'anzi avea fatto prigione, e dargli cinquantamila ducati, e restituirgli due galee, che avea prese: ciò che fu subito eseguito, e Ferdinando rimase padrone dell'isola.

Scrive Giovanni Pontano, che nel partir il Duca Giovanni dal Regno, lasciò ne' Popoli, e massimamente appresso la Nobiltà un grandissimo desiderio di se, perch'era di gentilissimi costumi, di fede e di lealtà singolare, e di grandissima continenza e fermezza, ottimo Cristiano, liberalissimo, gratissimo, ed amatore di giustizia, e sopra la natura de' Franzesi grave, severo e circospetto. Per tante virtù di questo Principe si mossero molti Cavalieri del Regno a seguire la fortuna sua, ed andare con lui in Francia, tra' quali furono il Conte Nicola di Campobasso, Giacomo Galeotto, e Roffallo del Giudice: e questi due salirono in tanta riputazione di guerra, che 'l Galeotto fu generale del Re di Francia alla battaglia di S. Albino, dov'ebbe una gran vittoria14; e Roffallo nella guerra del Contado di Rossiglione Generale del medesimo Re in quella frontiera contra 'l Re d'Aragona, dove fece molte onorate fazioni; ed il Re gli diede titolo di Conte Castrense.

Ma il Duca Giovanni, come fu giunto in Provenza, non stette in ozio, perchè fu chiamato da' Catalani, ch'erano ribellati al Re Giovanni d'Aragona, il che aggiunse felicità alla felicità del Re Ferdinando I, perchè s'assicurò in un tempo di due emoli, del Duca Giovanni e del Re Renato suo padre e del Re d'Aragona, che si tenea per certo, che se non avesse avuto quel fastidio del Duca Giovanni, avria cominciato a dare al Re Ferdinando quella molestia, che diede poi al Re Federico il Re Ferdinando il Cattolico, che a lui successe. Il Contado di Barzellona erasi ribellato contro Re Giovanni, ed avea chiamato Re Raniero per Signore, nato da una sorella del Re Martino d'Aragona, il quale avea le medesime ragioni sopra quello Stato, e sopra i Regni d'Aragona e di Valenzia, che avea avuto il padre del Re Alfonso e di esso Re Giovanni, ch'era nato dall'altra sorella. Il nostro Re Ferdinando avvisato di ciò, mandò alcune compagnie di uomini d'arme in Catalogna in soccorso del zio, ed il Duca Giovanni da poi che partì dall'impresa del Regno, arrivato in Francia, subito andò a quella impresa, come Vicario del padre, e signoreggiò fino all'anno 1470, nel qual anno morì in Barzellona, e perchè non finissero qui di travagliare i Franzesi questo Regno, trasfuse le sue ragioni, nella maniera che diremo più innanzi, a Luigi ed a Carlo Re di Francia.

CAPITOLO II

Nozze d'Alfonso Duca di Calabria con Ippolita Maria Sforza figliuola del Duca di Milano; di Elionora figliuola del Re con Ercole da Este Marchese di Ferrara; e di Beatrice altra sua figliuola con Mattia Corvino Re d'Ungheria. Morte del Pontefice Pio II, e contese insorte tra il suo successore Paolo II ed il Re Ferrante, le quali in tempo di Papa Sisto IV successore furon terminate

Da poi che il Re Ferdinando ebbe trionfato di tanti suoi nemici, e ridotto il Regno sotto la sua ubbidienza, pensò ristorarlo da' preceduti danni, che per lo spazio di sette anni di continua guerra l'aveano tutto sconvolto e posto in disordine, ma prima d'ogni altro, per maggior precauzione, volle fortificarsi con nuovi parentadi, e mandare in esecuzione il trattato, che molti anni prima avea tenuto col Duca di Milano, di sposare il Duca di Calabria con Ippolita sua figliuola; onde nella primavera di quest'anno 1464 inviò Federico suo secondogenito con 600 cavalli in Milano a prender la sposa.

Federico giunto a Milano sposò in nome del fratello Ippolita, che dopo partita da Milano, e dopo essersi trattenuta per due mesi a Siena, passata indi a Rema, giunse finalmente in Napoli, ove con molta pompa fu ricevuta da Alfonso suo marito, e si fecero dal Re celebrare molte feste e giuochi. Alcuni anni appresso fu conchiuso il nuovo parentado con Ercole da Este Marchese e poi Duca di Ferrara, al quale il Re sposò Elionora sua figliuola, e fu dal Duca mandato a Napoli Sigismondo suo fratello a pigliar la sposa, che il Re mandò accompagnata dal Duca d'Amalfi e sua moglie, dal Conte d'Altavilla Francesco di Capua, e dalla Contessa sua moglie, dal Conte e Contessa di Bucchianico, dal Duca di Andria e da altri Signori.

Fu poi conchiuso anche il matrimonio di Beatrice con Mattia Re d'Ungheria; e venuto il tempo, che la sposa dovea essere condotta al marito, fu ordinata la sua coronazione avanti la Chiesa dell'Incoronata, ove eretto un superbissimo teatro, vi venne il Re con veste regali, e corona in capo accompagnato da' suoi primi Baroni: poco appresso vi giunse Beatrice, la quale con gran pompa fu coronata Regina d'Ungheria per mano dell'Arcivescovo di Napoli Cardinale Oliviero Caraffa accompagnato da molti Vescovi; ed il dì seguente, avendo la nuova Regina cavalcato per tutti i Seggi della città colla corona in testa accompagnata da tutto il Baronaggio, partì poi da Napoli in comitiva de' Duchi di Calabria e di S. Angelo suoi fratelli, e giunti in Manfredonia, imbarcatisi su le Galee di Napoli, si condussero in Ungheria. Con questi Signori s'accompagnarono ancora alcuni nostri Avvocati, li quali, siccome narra Duareno, colli loro intrighi e sottigliezze invilupparono l'Ungheria d'inestricabili liti: tanto che bisognò pensare d'allontanargli da quel Regno, perchè si restituisse nel primiero stato di pace e di quiete.

Tutte queste feste furono interrotte da' lutti, che portò la morte della Regina Isabella, donna d'esemplare vita e di virtù veramente reali. Fu compianta da tutti, e con pomposissime esequie fu il cadavere portato in S. Pietro Martire, ove ancor si vede il suo sepolcro.

Ma maggiori disturbi avea recato al Re Ferdinando la morte del Pontefice Pio, accaduta a' 14 agosto del 1464, la quale nel medesimo anno fu accompagnata da quella del Duca di Milano, e poi seguìta da quella di Giorgio Castrioto Signor d'Albania, suoi maggiori amici e grandi fautori; poichè rifatto in luogo di Pio il Cardinal di S. Marco Veneziano, che Paulo II volle chiamarsi; questi di natura avarissimo cominciò a premere il Re Ferdinando, che gli pagasse tutti i censi decorsi, che dovea alla sua Chiesa, li quali per più anni non s'eran pagati; e Ferdinando, il quale aggravato per le eccessive spese della passata guerra, era rimase esausto di denari, non solo si scusò di potergli pagare, ma richiese al Pontefice di doverglieli rilasciare. E da quest'ora si sarebbe venuto a manifesta discordia, se il Papa volendo abbassare i figliuoli del Conte dell'Anguillara, non avesse avuto bisogno del Re, al quale ebbe ricorso, perchè gli mandasse le sue truppe, ciò che Ferdinando fece assai volentieri. Ma terminata l'impresa con li fratelli dell'Anguillara, queste differenze, che per alcun tempo erano rimase sopite, risursero di bel nuovo; poichè il Papa tornando a richiedere con maggior acerbità i censi di quello che avea fatto prima, obbligò il Re a dichiararsi, che non solo pretendeva, che i censi si dovessero rilasciare, anche per cagion delle spese, che ultimamente avea fatte in dargli soccorso; ma che per l'avvenire il censo, che prima importava ottomila once l'anno, si dovesse minorare; poichè prima questo censo si pagava non meno per lo Regno di Napoli, che per quello di Sicilia: onde possedendosi la Sicilia dal Re Giovanni d'Aragona suo zio, e non da lui, non era dovere ch'egli pagasse l'intero censo. Il Papa dall'altra parte esagerava gli ajuti, che il Re avea avuti dal suo predecessore, il quale gli avea salvato il Regno, ed allegava l'investiture date con questa legge, ed i tanti meriti della Chiesa15. E portandosi le querele or dall'uno ora dall'altro, ciascheduno aspettava congiuntura di coglier il tempo opportuno per far valere le sue ragioni; ma Ferdinando per farlo piegare a' suoi voleri, pose in campo un'altra pretensione, e faceva premurose istanze che se gli restituissero quelle Terre, che il Papa possedeva, le quali erano dentro i confini del Regno, cioè, Terracina in Terra di Lavoro e Cività Ducale, Acumoli e Lionessa nell'Apruzzo a' confini dello Stato della Chiesa; e ciò in vigore dell'accordo fatto nel 1443 da Papa Eugenio IV col Re Alfonso suo padre; come ancora pretese la restituzione di Benevento, la quale egli avea restituita al Pontefice Pio suo buon amico, e non volea che di vantaggio se la godesse ora un Pontefice a se sospetto ed odioso. Il Papa vedendo inasprito l'animo del Re, nè potendo colle forze e con altri maneggi resistergli, mandò subito in Napoli il Cardinal Rovarella suo Legato a placare il Re, il quale adempì così bene la sua incumbenza, che per allora non si parlò più di censi decorsi, nè di restituzione di quelle Terre.

Sursero poi fra di loro alcune altre contese per la difesa de' Signori della Tolfa, perchè il Papa pretendendo, che l'alume di rocca, che quivi nasce, fosse sua, assediò quel luogo: ma sopraggiunto l'esercito del Re, si posero subito le genti del Papa in fuga, lasciando l'assedio16. Le contese ch'ebbero i nostri Re co' Pontefici romani intorno quest'alume, furon sempre acerbe e continue; non pure nella Tolfa, ma anche ne' campi di Pozzuoli e d'Agnano, ebbero i Papi pretensione, che l'alume, che si fa in questi luoghi, spettasse alla Sede appostolica, delle quali controversie trattò il Chioccarello nel volume 21 de' suoi M. S. Giurisdizionali. La morte poi seguìta a 25 luglio del 1471 del Pontefice Paolo, e l'esaltazione in quella Cattedra a' 9 agosto del Cardinal Francesco della Rovere, che fu chiamato Sisto IV fece cessare tutte queste discordie; poichè Papa Sisto, purchè non si parlasse più delle pretensioni di Ferdinando, spedì al medesimo nel 1475 una Bolla, rapportata dal Chioccarello17, nella quale gli rimette tutti i censi, e che durante la sua vita non fosse obbligato pagarglieli; ma, invece del censo, fosse obbligato mandargli ogni anno, per cagion dell'investitura, un palafreno bianco e ben guarnito18, e conoscendo quanto questo Pontefice fosse di grande spirito, volle il Re apparentar con lui, e diede il Ducato di Sora (che avea tolto a Giovan Paolo Cantelmo) ad Antonio della Rovere, col quale poi collocò Caterina figliuola del Principe di Rossano, nata da Dionora d'Aragona sua sorella.

CAPITOLO III

Splendore della Casa Reale di Ferdinando, il quale, pacato il Regno, lo riordina con nuove leggi ed istituti: favorisce li Letterati e le lettere; e v'introduce nuove arti

Ferdinando, calcando le medesime pedate del Re Alfonso suo padre, ora che si vide il Regno tutto placido e tranquillo, non trascurò in questi anni di felicità e di pace, di ordinarlo, di arricchirlo di nuove arti, di fornirlo di provide leggi ed istituti, e d'uomini letterati ed illustri in ogni sorte di scienze, e sopra tutto di Professori di legge civile e canonica; onde avvenne, che nel suo Regno, oltre lo splendore della sua casa Regale, cotanto presso di noi fiorissero i Giureconsulti e le lettere. E certamente Napoli videsi a questi tempi in quella floridezza che fu nel regno di Carlo II d'Angiò, per li tanti Reali, che adornavano il suo Palazzo. Ebbe Ferdinando non meno che Carlo, molti figliuoli, che illustrarono la sua Casa reale. Dalla Regina Isabella di Chiaramonte, oltre Alfonso Duca di Calabria, destinato suo successore nel Regno, ebbe Federico Principe tanto buono e savio, che il padre lo fece Principe di Squillace, indi Principe di Taranto e poi Principe d'Altamura. Ebbe Francesco, che lo creò Duca di S. Angelo al Gargano. Ebbe Giovanni, che da Sisto IV fu fatto Cardinale, ed era nomato il Cardinal d'Aragona19; ma questi due premorirono al padre. Ebbe ancora Eleonora, e Beatrice sue figliuole, che maritò una col Duca di Ferrara e l'altra col Re d'Ungheria.

Il Re Ferdinando rimaso vedovo della Regina Isabella nel 1477 si casò la seconda volta con Giovanna sua cugina figliuola del Re Giovanni d'Aragona suo zio, dalla quale ebbe una sola figliuola che chiamò col nome della madre pur Giovanna. Oltre di questi ebbe D. Errico e D. Cesare suoi figliuoli naturali, ed oltre alle femmine che maritò co primi Signori e Baroni del Regno.

A tanti Regali di Napoli s'aggiungeva ancora la famiglia del Duca di Calabria, il quale casato, come si è detto, con Ippolita Sforza figliola del Duca di Milano, avrà con lei procreati tre figliuoli, Ferdinando primogenito, che poi gli successe nel Regno, Pietro ed Isabella; ma Pietro premorì non meno al padre, che all'avo, e Isabella fu data in moglie a Giovanni Galeazzo figliuolo di Galeazzo Duca di Milano, il quale morto il padre fu sotto il baliato e tutela di Lodovico suo zio: quegli, che, come si dirà, pose in Italia tanti incendj, e fu cagione di tante rivoluzioni e disordini. La Casa regale di Napoli non avea in questi tempi da invidiare qualunque Corte de' maggiori Principi d'Europa; e narra Camillo Tutini, deplorando la sua infelicità nel supplemento della varietà della fortuna di Tristano Caracciolo, che un giorno in un festino celebrato in Napoli comparvero più di cinquanta persone di questa famiglia, tal che non si credea che si potesse estinguer mai; ed era sostenuta colla maggior splendidezza e magnificenza, così nelle congiunture delle celebrità, che si facevano per tante nozze ed incoronazioni, come per riguardo di tante Corti, che questi Reali tenevano e per tanti Ufficiali maggiori e minori della Casa e dell'ostello regale, li quali con molto fasto, mentre fu Napoli Sede Regia, si mantennero.

Non solo fu mantenuto il fasto e lo splendore della Casa regale, ma Ferdinando volle anche ristabilire nel Regno gli Ufficiali della Corona, i di cui uficj esercitati per la maggior parte da que' ribelli Baroni, che egli avea spenti, eran per le precedute rivoluzioni e disordini, rimasi vacanti. Per la morte del Principe di Taranto, dovendosi provvedere l'uficio di Gran Contestabile, egli n'investì Francesco del Balzo Duca di Andria. Vacando ancora per la ruina del Principe di Rossano il G. Ammirante, lo diede a Roberto Sanseverino Principe di Salerno. Per la ribellione di Ruggiero Acclocciamuro fece G. Giustiziere Antonio Piccolomini Duca d'Amalfi e Conte di Celano. Elesse per G. Protonotario Onorato Gaetano Conte di Fondi: per G. Camerario Girolamo Sanseverino Principe di Bisignano: per G. Cancelliere Giacomo Caracciolo Conte di Brienza e per G. Siniscalco D. Pietro di Guevara Marchese del Vasto. Questi Ufficiali durante il Regno degli Aragonesi erano nell'antico loro splendore e preminenza; anzi si videro ora più rilucere, quanto che Ferdinando non avea altri Stati e perciò proccurava ingrandire le loro prerogative per porre in maggior lustro il suo unico Regno.

Ancorchè questo Principe fosse stato terribile coi suoi Baroni per le precedute ribellioni, e s'avesse perciò acquistato nome di crudele e d'inumano; nientedimeno non tralasciava per acquistar benevolenza presso i suoi aderenti di innalzarli con onori e dignità. Accrebbe per ciò il numero de' Titoli e di Conti sopra ogni altro, creandone molti, come nel 1467 fece con Matteo di Capua, che lo creò Conte di Falena, con Scipione Pandone, facendolo Conte di Venafro, con D. Ferrante Guevara, che lo creò Conte di Belcastro e con tanti altri; ond'è che accrebbe il numero de' Titoli nel Regno assai più, che non fece il Re Alfonso, siccome si vede chiaro dal catalogo, che ne tessè il Summonte, numeroso assai più degli altri, così ne' tempi d'Alfonso, come degli altri Re angioini suoi predecessori.

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