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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 3
Per una fatalità singolare, i travagli che avevano sofferto i Cristiani sotto il governo di un Principe virtuoso, immediatamente cessarono al comparir di un Tiranno, e siccome nessuno, fuori di loro, aveva sperimentato l'ingiustizia di Marco, così furono essi soli protetti dalla piacevolezza di Commodo. La celebre Marcia, che fu la prima favorita fra le sue concubine, e che finalmente tramò l'uccisione dell'Imperiale suo amante, aveva un singolare affetto per l'oppressa Chiesa; e benchè fosse impossibile, ch'ella conciliar potesse la pratica del vizio co' precetti dell'Evangelio, pure poteva sperar di purgare le fragilità del suo sesso e della sua professione, dichiarandosi protettrice de' Cristiani107. Sotto la graziosa protezione di Marcia essi passarono in sicurezza i tredici anni di quella crudel tirannia, e quando si stabilì l'Impero nella casa di Severo, acquistarono una famigliare, ma più onorevole connessione con la nuova Corte. L'Imperatore era persuaso, che in una pericolosa malattia gli fosse stato di qualche vantaggio o spirituale o fisico l'olio santo, col quale un suo schiavo l'aveva unto. Ei trattò sempre con particolar distinzione molti di ambedue i sessi, che avevano abbracciato la nuova religione. La nutrice non meno che il precettore di Caracalla furono Cristiani; e se mai quel Principe mostrò un sentimento d'umanità, ne fu cagione un accidente, che sebbene di piccol peso, ha qualche relazione alla causa del Cristianesimo108. Nel regno di Severo fu tenuta in freno la furia del popolo; per qualche tempo sospeso il rigore delle antiche leggi; ed i Governatori delle Province restavano soddisfatti con ricevere un dono annuale dalle Chiese poste dentro i limiti di loro giurisdizione, come prezzo o guiderdone della loro moderatezza109. La controversia intorno al preciso tempo di celebrar la Pasqua armò i Vescovi dell'Asia e dell'Italia gli uni contro gli altri, e fu questo risguardato come l'affare più importante di quel tempo di pace e di tranquillità110. Nè fu interrotta la quiete della Chiesa, finchè sempre crescendo il numero de' proseliti, sembra che finalmente richiamasse l'attenzione, o alienasse l'animo di Severo. Col fine d'impedire il progresso del Cristianesimo, pubblicò un editto, che sebbene fosse diretto soltanto contro quelli che si convertivan di nuovo, pure non si potè rigorosamente mettere in esecuzione senza esporre al pericolo ed alla pena i più zelanti tra' loro Dottori e Missionari. In questa mite persecuzione possiam ravvisar sempre lo spirito indulgente di Roma e del Politeismo, che sì facilmente ammetteva ogni cosa in favore di quelli, che praticavano le religiose cerimonie de' loro Padri111.
Ma presto spirarono, insieme con l'autorità di Severo, le leggi ch'egli avea fatte; ed i Cristiani, dopo questa accidentale tempesta, goderono una calma di trentotto anni112. Fino a quest'epoca essi avevano per ordinario tenuto le loro assemblee in case private ed in luoghi remoti. Fu loro permesso in questo tempo di erigere e di consacrare edifizi atti all'esercizio del culto religioso113, di comprar terre anche nell'istessa Roma per uso della comunità; e di far l'elezioni de' lor ministri Ecclesiastici in una forma così pubblica, e nel tempo stesso così esemplare da meritar la rispettosa attenzione dei Gentili114. Questo lungo riposo della Chiesa fu congiunto con la dignità. I regni di que' Principi, che traevan l'origine dalle Province dell'Asia, furono i più favorevoli per li Cristiani: le persone eminenti di questa setta, invece d'essere ridotte ad implorare la protezione di uno schiavo, o d'una concubina, erano ammesse nel Palazzo coll'onorevol carattere di sacerdoti e di filosofi; e le lor misteriose dottrine, ch'erano già sparse fra il popolo, insensibilmente attirarono la curiosità del Sovrano. Quando l'Imperatrice Mammea passò da Antiochia, dimostrò desiderio di trattar col celebre Origene, che avea diffuso la fama della sua pietà e dottrina per l'Oriente. Obbedì Origene ad un invito così lusinghiero, e quantunque non potesse sperar di succedere nella conversione di una donna artificiosa ed ambiziosa, essa udì con piacere le eloquenti di lui esortazioni, ed onorevolmente lo rimandò al suo ritiro di Palestina115. Furono adottati i sentimenti di Mammea dal suo figliuolo Alessandro, e fu indicata la filosofica devozione di quell'Imperatore da un singolare ma indiscreto riguardo per la religione Cristiana. Collocò egli nella sua Cappella domestica le statue d'Abramo, di Orfeo, d'Apollonio e di Cristo, quasi volendo fare un onore giustamente dovuto a que' rispettabili savj, che in vari modi avevano instruito il genere umano a porger omaggio alla suprema ed universale divinità116. Fra' suoi domestici, si professava e si esercitava apertamente una fede ed un culto più puro. Furono forse per la prima volta veduti a Corte de' Vescovi, ed allorchè, dopo la morte di Alessandro, il crudel Massimino scaricò il suo furore sopra i favoriti ed i servi dell'infelice di lui benefattore, molti Cristiani di ogni grado e di ambedue i sessi furono involti nel promiscuo macello, che ha, per tal motivo, impropriamente ricevuto il nome di Persecuzione117.
Nonostante la crudel disposizione di Massimino, gli effetti del suo sdegno contro i Cristiani furon limitati solo a certi luoghi e tempi, ed il pio Origene, ch'era stato proscritto come una sacra vittima, fu tuttavia riservato a portare la verità del Vangelo alle orecchie de' Monarchi118. Egli mandò varie lettere edificanti all'Imperator Filippo, alla sua moglie ed alla madre; ed appena quel Principe, ch'era nato nelle vicinanze della Palestina, ebbe usurpato lo scettro Imperiale, i Cristiani acquistarono un amico ed un protettore. Il pubblico ed anche parzial favore di Filippo verso i seguaci della nuova religione, ed il costante di lui rispetto per li Ministri della Chiesa diedero qualche colore al sospetto, che prevalse in que' tempi, che l'Imperatore medesimo si fosse convertito alla fede119, e somministrò qualche fondamento ad una favola, che in seguito fu inventata, vale a dire ch'egli s'era purgato, mediante la confessione e la penitenza, dalla colpa contratta per l'uccisione del suo innocente predecessore120. La caduta di Filippo introdusse con la mutazione dei Principi un nuovo sistema di governo, così oppressivo per li Cristiani, che l'antecedente lor condizione fino dal tempo di Domiziano, si rappresentava come uno stato di perfetta libertà e sicurezza, paragonandolo col rigoroso trattamento, ch'essi soffrirono sotto il breve regno di Decio121. Le virtù di questo Principe difficilmente ci permetteranno di sospettare che un vile odio contro i favoriti del suo predecessore influisse sopra di lui, ed è più ragionevole di credere, che nell'esecuzione del suo disegno generale di restaurar la purità de' costumi Romani, desiderasse di liberar l'Impero da quella ch'esso condannava come una rea e nuova superstizione. I Vescovi delle città più considerabili furono condannati all'esilio o alla morte; la vigilanza de' Magistrati impedì per sedici mesi al Clero di Roma di procedere ad una nuova elezione; ed era opinion de' Cristiani, che l'Imperatore avrebbe sofferto con maggior pazienza un competitore alla porpora che un Vescovo nella Capitale122. Se fosse possibile di supporre, che la penetrazione di Decio scoperto avesse l'orgoglio sotto il manto dell'umiltà, o che avesse potuto prevedere, che dalle pretensioni di autorità spirituale sarebbe insensibilmente nato il dominio temporale, ci cagionerebbe minor sorpresa, ch'egli risguardasse i successori di S. Pietro come i rivali più formidabili di quelli d'Augusto.
Il Governo di Valeriano si distinse per una leggerezza ed incostanza, che mal conveniva alla gravità di un Censore di Roma. Nel principio del suo regno, egli sorpassò in clemenza que' Principi de' quali si era sospettato che avessero abbracciata la fede Cristiana. Negli ultimi tre anni e mezzo, prestando orecchio alle insinuazioni di un ministro addetto alle superstizioni dell'Egitto, adottò le massime, ed imitò la severità del suo predecessore Decio123. L'esaltamento di Gallieno, che accrebbe le calamità dell'Impero, restituì la pace alla Chiesa, ed i Cristiani ottennero il libero esercizio della loro religione, mercè di un editto diretto ai Vescovi, e concepito in tali termini, che sembrava riconoscere in essi un uffizio e carattere pubblico124. Si tollerava che le antiche leggi, senza venir formalmente rivocate, cadessero nell'obblivione; ed eccettuate alcune ostili intenzioni attribuite all'Imperatore Aureliano125, i Discepoli di Cristo passarono più di quarant'anni in uno stato di prosperità molto più pericoloso per la loro virtù, che i più aspri patimenti della persecuzione.
L'istoria di Paolo Samosateno, che occupò la Sede Metropolitana d'Antiochia, allorchè l'Oriente trovavasi nelle mani di Odenato e di Zenobia, può servire ad illustrare la condizione ed il carattere di que' tempi. La ricchezza di quel Prelato era una prova sufficiente di sua reità, mentre non aveva avuto origine nè dall'eredità de' suoi padri, nè dalle arti di un'onesta industria. Ma Paolo risguardava il servigio della Chiesa come una professione molto lucrosa126. La sua Giurisdizione ecclesiastica era venale e rapace, estorceva frequenti contribuzioni da' più facoltosi Fedeli, e convertiva in uso proprio gran parte dell'entrata comune. La religione Cristiana, per causa dell'orgoglio e lusso del medesimo, si rendè odiosa agli occhi de' Gentili. Il luogo, dove teneva consiglio, ed il suo trono, lo splendore col quale compariva in pubblico, la folla de' supplicanti che implorava la sua attenzione, la quantità di lettere e di suppliche, alle quali dettava le sue risposte, e la perpetua confusione di affari, ne' quali era involto, erano circostanze molto più convenienti allo stato di un Magistrato civile127, che all'umiltà di un Vescovo antico. Ogni volta ch'egli parlava dal pulpito al popolo, affettava lo stil figurato ed i gesti teatrali di un sofista Asiatico, mentre la Cattedrale risuonava delle più alte e stravaganti acclamazioni in lode della sua divina eloquenza. Contro coloro, che resistevano al suo potere o ricusavano di adular la sua vanità, il Prelato d'Antiochia era arrogante, rigido ed inesorabile, ma rilassava la disciplina, e distribuiva con prodiga mano i tesori della Chiesa ai Cherici da lui dipendenti, a' quali era permesso d'imitare il lor capo nella soddisfazione di ogni sensuale appetito; giacchè Paolo si deliziava molto liberamente ne' piaceri della tavola, ed avea ricevuto nel Palazzo Episcopale due giovani e belle donne, come compagne costanti de' suoi momenti di quiete128.
Nonostanti questi scandalosi vizi, se Paolo di Samosata conservato avesse la purità della fede ortodossa, il suo regno sopra la capital della Siria non sarebbe terminato che con la sua vita: e se fosse nata un'opportuna persecuzione, uno sforzo di coraggio avrebbe forse potuto collocarlo nello schiera de' Santi e de' Martiri. Alcuni delicati e sottili errori, ch'egli adottò imprudentemente, ed ostinatamente sostenne intorno alla dottrina della Trinità, eccitarono lo zelo e lo sdegno delle Chiese orientali129. I Vescovi, dall'Egitto fino al Ponto Eusino, si posero in armi ed in movimento. Furon tenuti vari Concili, pubblicate confutazioni, pronunziate scomuniche, accettate e ricusate a vicenda dichiarazioni ambigue, conclusi e violati trattati, e finalmente Paolo di Samosata fu spogliato del suo carattere Episcopale per sentenza di settanta o ottanta Vescovi, che a tal fine si adunarono in Antiochia, e che, senza consultare i diritti del Clero e del Popolo, gli elessero di loro autorità un successore. La manifesta irregolarità di questo procedere accrebbe il numero de' malcontenti faziosi; e siccome Paolo, che non era nuovo negli artifizi delle Corti, s'era insinuato nel favor di Zenobia, per più di quattr'anni si mantenne in possesso della casa e dell'uffizio Episcopale. La vittoria d'Aureliano cangiò l'aspetto delle cose in Oriente, ed i due discordi partiti che attribuivansi l'un l'altro gli epiteti di scisma e d'eresia, ebbero l'ordine, o la permissione di agitar la causa avanti al tribunale del conquistatore. Questo pubblico e molto singolar giudizio serve a dare una convincente prova, che si riconosceva l'esistenza, la proprietà, i privilegi e l'intrinseco governo de' Cristiani, se non dalle leggi, almeno da' Magistrati dell'Impero. Poteva difficilmente aspettarsi, che Aureliano, come Gentile e soldato, entrasse a discutere, se le opinioni di Paolo o quelle de' suoi avversari fossero le più conformi alla verità della fede ortodossa. La sua determinazione però si fondò su' principj generali di equità e di ragione. Risguardò esso i Vescovi dell'Italia come i Giudici più imparziali e rispettabili fra' Cristiani, ed appena fu informato ch'essi avevano concordemente approvata la sentenza del Concilio, si acquietò alla lor decisione, ed immediatamente diede ordine, che Paolo fosse costretto ad abbandonare le possessioni temporali che appartenevano ad un uffizio, di cui, secondo il giudizio de' propri fratelli, egli era stato regolarmente privato. Ma nel tempo che si applaudisce alla giustizia di Aureliano, non si dovrebbe perder di vista la sua politica; imperocchè procurava egli di restituire e di collegare la dipendenza delle Province dalla capitale per qualunque mezzo che potesse vincolar l'interesse, o i pregiudizi di ogni parte de' propri sudditi130.
In mezzo alle frequenti rivoluzioni dell'Impero i Cristiani sempre fiorivano in pace e prosperità; e quantunque la famosa Era de' Martiri siasi principiata dall'avvenimento al Trono di Diocleziano131, tuttavia il nuovo sistema di politica, introdotto e mantenuto dalla saviezza di quel Principe, continuò per più di diciott'anni ad inspirare il più dolce e libero spirito di tolleranza intorno alla religione. La mente, in vero, di Diocleziano medesimo era meno idonea alle ricerche speculative che alle attive fatiche della guerra e del governo. La sua prudenza lo rendè alieno da ogni grande innovazione, e quantunque il suo temperamento non fosse suscettibile di zelo o di entusiasmo, egli conservò sempre un abituale riguardo per le antiche Divinità dell'Impero. Ma l'ozio delle due Imperatrici, Prisca di lui moglie e Valeria sua figlia, permise loro di ascoltare con maggiore attenzione e rispetto le verità del Cristianesimo, che in ogni tempo ha professato le sue più speciali obbligazioni alla devozion delle donne132. I principali Eunuchi Luciano133 e Domoteo, Gorgonio ed Andrea, che trattavano la persona, godevano il favore, e governavano la casa di Diocleziano, proteggevano con la potente loro efficacia la fede, che avevano abbracciata. Fu imitato il loro esempio da molti de' più considerabili uffiziali del Palazzo, che ne' rispettivi lor posti avean la cura degli ornamenti Imperiali, delle vesti, delle masserizie, delle gioie, ed anche del tesoro privato; e sebbene alle volte potevano esser obbligati d'accompagnar l'Imperatore, quando andava al tempio per sacrificare134, pure godevano, insieme con le loro mogli, i loro figli ed i loro schiavi, dell'esercizio libero della religione Cristiana. Diocleziano ed i suoi Colleghi frequentemente conferivano gli uffizi più importanti a quelle persone, che non celavano il loro abborrimento pel culto de' Numi, ma che avevan mostrato capacità pel buon servizio dello Stato. I Vescovi, nelle rispettive loro Province, tenevano un grado onorevole, ed eran trattati con distinzione e rispetto, non solamente dal Popolo, ma anche da' Magistrati medesimi. Quasi in ogni città si trovarono insufficienti le antiche Chiese per contenere la moltitudine, che sempre cresceva, de' proseliti; ed in luogo di quelle furono eretti pel culto de' Fedeli più stabili e capaci edifizj. La corruzione de' costumi e de' principj di religione, della quale con tanta forza lamentasi Eusebio135, si può riguardare non solo come una conseguenza, ma come una prova della libertà, di cui godevano ed abusavano i Cristiani sotto il regno di Diocleziano. La prosperità rilassato aveva i nervi della disciplina; prevalevano in ogni Congregazione la frode, l'invidia, e la malizia; i Preti aspiravano all'uffizio Episcopale, che di giorno in giorno diveniva un oggetto più degno della loro ambizione; i Vescovi, che contendevan fra loro per l'Ecclesiastiche preeminenze, pareva che con la lor condotta si attribuissero un secolare e tirannico poter nella Chiesa; e la viva fede, che distingueva sempre i Cristiani da' Gentili, molto meno si manifestava nella lor vita che ne' loro scritti di controversia.
Nonostante quest'apparente sicurezza, potrebbe un attento osservatore discernere alcuni sintomi, che minacciavan la Chiesa d'una persecuzione più violenta di tutte quelle, che aveva fino allora sofferte. Lo zelo ed il rapido progresso de' Cristiani svegliò i Politeisti dalla supina loro indifferenza nella causa di quelle Divinità, che il costume e l'educazione avevano appreso loro a rispettare. Le vicendevoli provocazioni di una guerra religiosa, che aveva continuato più di dugent'anni, esacerbò l'animosità delle parti, che combattevano. I Pagani s'irritavano per l'ardire di una oscura e nuova setta, che pretendeva di accusare di errore i propri compatriotti, e di condannare i loro padri all'eterna miseria. L'abitudine di giustificare la mitologia popolare contro le invettive di un implacabil nemico, produceva ne' loro spiriti qualche sentimento di fede e di riverenza per un sistema, ch'essi erano assuefatti a risguardare con la leggerezza più trascurata. Le facoltà soprannaturali, che assumeva la Chiesa, inspiravan terrore nel tempo stesso ed emulazione. I seguaci della vecchia religione si trinceravano con simili fortificazioni di prodigi, inventavan nuove maniere di sacrificare, d'iniziare136 o di espiare i delitti; procuravano di restituire il credito a' loro spiranti oracoli137, e con ansiosa credulità porgevan orecchio a qualunque impostore, che lusingasse i lor pregiudizi con maravigliosi racconti138. Pare che ambe le parti accordassero la verità di que' miracoli, che si attribuivano gli avversari; e mentre si contentavan di ascriverli ad arte magica o al poter de' Demonj, concorrevano reciprocamente a restaurare e stabilire il regno della superstizione139. La filosofia, ch'è il più pericoloso nemico di questa, erasi allora mutata nel suo più vantaggioso alleato. I boschetti dell'Accademia, i giardini d'Epicuro, ed anche il Portico degli Stoici erano quasi abbandonati, come tante diverse scuole di scetticismo e di empietà140, e molti fra' Romani bramavano, che fosser condannati e soppressi per autorità del Senato gli scritti di Cicerone141. La setta de' nuovi Platonici, che prevalse, credè prudente partito quello di unirsi co' Sacerdoti, che forse disprezzava, contro i Cristiani, che aveva ragione di temere. Questi filosofi alla moda sostennero il disegno di trarre un'allegorica sapienza dalle finzioni de' Greci poeti, instituirono riti misteriosi di divozione per uso de' lor discepoli eletti, raccomandarono il culto degli Dei antichi, considerati come gli emblemi, o i ministri della suprema Divinità, e composero molti elaborati trattati contro la fede dell'Evangelio142, che dopo dalla prudenza degli Imperatori ortodossi furono dati alle fiamme143.
Quantunque la politica di Diocleziano e l'umanità di Costanzo li disponessero a mantenere inviolate le massime di tolleranza, si venne ben presto in chiaro, che i due loro colleghi, Massimiano e Galerio, nudrivano il più implacabile odio pel nome e per la religione de' Cristiani. Le scienze non avevano mai illuminato le menti di que' Principi, nè l'educazione aveva addolcito il loro temperamento. Dovevano essi alle proprie spade la loro grandezza, e nella più sublime fortuna ritennero sempre i superstiziosi pregiudizi de' soldati e delle inculte persone. Nell'amministrazion generale delle Province obbedivano alle leggi stabilite dal lor benefattore; ma ne' loro campi e palazzi trovavano spesse occasioni di esercitare una persecuzione segreta144, alla quale porgeva l'imprudente zelo de' Cristiani qualche volta i più speciosi pretesti. Fu eseguita una sentenza di morte contro Massimiliano, giovane d'Affrica, ch'era stato dal proprio padre condotto avanti del Magistrato, come capace d'esser legittimamente reclutato, ma che ostinatamente sosteneva, che la propria coscienza non gli avrebbe mai permesso di abbracciare la professione della milizia145. Difficilmente potrebbe sperarsi che alcun governo soffrisse, che l'atto del Centurione Marcello restasse impunito. Quest'uffiziale, in un giorno di pubblica solennità, gettò via la cintura, le armi e le insegne del proprio impiego, ed esclamò ad alta voce, ch'esso non voleva obbedire ad altri che all'eterno Re Gesù Cristo, e che rinunziava per sempre l'uso delle armi carnali ed il servizio di un Sovrano idolatra. I soldati, rimasti attoniti, appena ripreser l'uso de' propri sensi, che arrestaron Marcello. Fu egli esaminato nella città di Tingi dal Presidente di quella parte della Mauritania, e siccome era convinto dalla sua propria confessione, fu condannato, e decapitato come disertore146. Esempi di tal natura molto meno appartengono alla persecuzion religiosa, che alla disciplina militare o anche civile; ma servirono ad alienar la mente degl'Imperatori, a giustificar la severità di Galerio, che dimise un gran numero di uffiziali Cristiani da' loro impieghi, e ad autorizzar l'opinione, che una setta di entusiasti, che sostenevano principj sì ripugnanti alla pubblica sicurezza, o dovea rimanere inutile, o presto divenir pericolosa all'Impero.
Dopo che il buon successo della guerra Persiana ebbe innalzate le speranze, e la riputazione di Galerio, passò questi un inverno con Diocleziano nel palazzo di Nicomedia; ed il destino del Cristianesimo fu l'oggetto delle segrete loro deliberazioni147. L'esperto Imperatore era sempre inclinato a prender miti determinazioni; e sebbene facilmente consentisse, che i Cristiani fossero esclusi da tutti gl'impieghi del palazzo e dell'esercito, ne' termini più forti esprimeva il pericolo non meno che la crudeltà di spargere il sangue di que' delusi fanatici. Galerio finalmente ottenne da lui la permissione di adunare un consiglio, composto di poche persone le più distinte ne' dipartimenti sì civili che militari dello Stato. Fu in lor presenza discussa tal importante questione, e quegli ambiziosi Cortigiani facilmente conobbero, che a loro incumbeva di secondar con l'eloquenza l'importuna violenza di Cesare. Si può supporre che insistessero sopra ogni punto, che interessar potesse l'orgoglio, la pietà o i timori del lor Sovrano nella distruzione del Cristianesimo. Gli rappresentarono forse, che restava imperfetta l'opera gloriosa di render libero l'Impero, finchè permettevasi, che sussistesse e moltiplicasse un popolo indipendente nel cuore delle Province. I Cristiani (potevasi così colorire il discorso) abbandonando gli Dei e gl'istituti di Roma, stabilito avevano una Repubblica a parte, che avrebbe potuto in vero sopprimersi avanti che acquistato avesse alcuna forza militare: ma ch'era già governata dalle sue proprie leggi e magistrali, che possedeva un pubblico tesoro, che era intimamente connessa in tutte le sue parti, medianti le frequenti adunanze de' Vescovi, a decreti de' quali accordavasi una cieca obbedienza dalle numerose loro ed opulente congregazioni. Pare che argomenti di questa sorta potessero determinar lo spirito ripugnante di Diocleziano ad abbracciar un nuovo sistema di persecuzione; ma quantunque noi possiam sospettare, non è però in nostro potere di riferire i segreti maneggi della Corte, gli oggetti e gli odj privati, la gelosia delle donne e degli eunuchi, e tutte quelle piccole sì ma decisive cagioni, che tanto spesso influiscono sul fato degli Imperi e ne' consigli de' più saggi Monarchi148.
Finalmente fu indicata la volontà degl'Imperatori a' Cristiani, che nel corso di quel tristo inverno avevano con ansietà aspettato l'esito di tante secrete consultazioni. Fu destinato il dì 23 di Febbraio che (o fosse per accidente, e con premeditazione) coincideva con la festa Romana de' Terminali149, per porre un termine al progresso del Cristianesimo. Allo spuntar del giorno il Prefetto150 del Pretorio, accompagnato da' vari Generali, Tribuni ed Uffiziali del Fisco, si portò alla Chiesa principale di Nicomedia, ch'era situata sopra un'eminenza nella più popolata e bella parte della città. Furono immediatamente spezzate le porte; entrarono essi nel Santuario; e siccome in vano cercarono qualche visibile oggetto di culto, furon costretti a contentarsi di dare alle fiamme i libri della Sacra Scrittura. I Ministri di Diocleziano eran seguiti da un numeroso corpo di guardie e di guastatori, che marciavano in ordino di battaglia, provvisti di tutti gl'istrumenti soliti ad usarsi nella distruzione delle fortificate città. Mediante l'assidua loro fatica fu in poche ore gettato a terra quel sacro Edifizio, che torreggiava sopra il Palazzo Imperiale, ed aveva per lungo tempo eccitato l'invidia e l'indignazione de' Gentili151.