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Tornanti
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Riappese e affrontò il genitore infuriato, che ora era davanti alla porta della sua camera. Però non appariva così minaccioso con la carta da parati a fiori blu come sfondo.

«Eri al telefono?»

«Scusa. Dovevo parlare con un’amica perché si faccia dare i compiti per me. Visto che sto perdendo le lezioni.»

«Datti. Subito. Una mossa.»

Si fece coraggio e disse tutto d’un fiato: «Papà, se la mamma non viene, non ci vengo nemmeno io».

«Oh sì che ci vieni, signorina.»

«Ma non mi piace cacciare.»

Era vero. Non le dispiaceva sparare ai bersagli. Suo padre pensava che saper sparare fosse un’abilità necessaria nella vita e le aveva insegnato a farlo quando aveva undici anni. Perry aveva cominciato ancora prima. «Tutto parte dalla sicurezza, e la sicurezza inizia con la conoscenza», aveva detto. Le aveva fatto caricare e manovrare una carabina, una rivoltella e un fucile, tutto da sola. Sua madre aveva insistito sul fatto che, se voleva insegnare loro a sparare, avrebbe dovuto insegnare anche a difendersi in altri modi. Il padre, allora, aveva organizzato vere e proprie lezioni, con tappetini sul pavimento del soggiorno e i suoi tre allievi, contando anche la madre, di fronte a lui. Li istruiva per bene. «Qualunque cosa vi faranno fuori da qui sarà sempre peggio di quello che vi farò io qui. Quindi lottate, lottate, lottate.» Poi li addestrava sulle mosse di autodifesa. Dita negli occhi. Colpi di testa al naso. Calci all’inguine.

Onestamente, suo padre era piuttosto violento. E un super fanatico.

In definitiva, non le piaceva combattere. Ma sparare era divertente ed era brava in quello. Le piaceva di più la pistola. Non le rinculava contro la spalla. Negli ultimi tempi, l’ossessione di suo padre era il suo nuovo arco compound e lei e Perry si erano esercitati con lui.

Ma poi l’aveva fatta andare a caccia di antilopi con lui l’anno prima. Non aveva voluto sparare da sola, così il padre si era messo dietro di lei e l’aveva aiutata a tenere il fucile. Aveva persino messo il proprio dito sopra il suo sul grilletto. Il loro primo colpo in tandem aveva colpito l’animale, ma, probabilmente grazie a lei, non l’aveva ucciso. Suo padre gli aveva allora dato rapidamente il colpo di grazia per porre fine alle sue sofferenze. Il pensiero di aver ferito un animale e che avesse sofferto, anche solo per un secondo, a causa sua? Era stato orribile. Aveva pianto tanto. Dopo che si era calmata, avevano dovuto eviscerarlo. Suo padre le aveva fatto guardare tutto il processo. Disgustoso. Disgustoso e triste. E ci era voluta un’eternità. Poi avevano dovuto trascinarlo e caricarlo sul pick-up e portarlo a casa. Che schifo! E per settimane avevano mangiato solo antilope. Il gusto era buono, ma aveva finito per stufarla, e le ricordava come era morto l’animale a ogni singolo pasto.

Suo padre stava ancora parlando. «Non è necessario che ti piaccia cacciare. Vieni lo stesso.»

«Non voglio.»

«Non ti ho chiesto se volevi.» La sua voce cambiò da cupa ad allegra. «Ma sarà divertente. Vedrai.»

La figlia cambiò il proprio tono da ribelle a triste. «I miei amici vanno tutti a una festa di compleanno.»

«Peccato per loro che non abbiano padri in gamba che li portino a caccia di cervi.»

Dal momento che la tristezza non funzionava, Trish alzò gli occhi al cielo. «Perderò una settimana di scuola.»

«Non una settimana intera. Ho detto a tua madre che rimarremo fuori solo quattro giorni.»

Il cuore di Trish sobbalzò. «Solo quattro giorni?» Fece il gesto di esultazione del pugno pompato. «Sì.»

«Non fare quei gesti.» Si voltò prima di arrivare alla porta, guardandola da sopra la spalla. «Vado ad agganciare il trailer. Ci vediamo giù al cancello per aiutarmi a caricare i cavalli. E porta la tua borsa e tuo fratello.»

Lei saltò in piedi e si mise sull’attenti. «Sì, signor sergente, ai suoi ordini, signor sergente.»

«Molto divertente. E mettiti qualcosa che vada bene per la montagna», rispose il padre, e se ne andò.

Pochi secondi dopo, la porta d’ingresso sbatté dietro di lui.

Borbottando, Trish tirò fuori a casaccio qualche indumento dai suoi cassetti e li infilò in una borsa. Poi saltò su una gamba e si sfilò gli stivali. Lanciò il suo bel completino sui finti Dingo, facendo un mucchio disordinato sul pavimento in mezzo alla stanza. Dopo essersi messa una maglietta, jeans e stivali da cowboy, fece un ultimo cambiamento, rimuovendo gli elastici neri dalle trecce e sostituendoli con quelli a sfera con le faccine sorridenti che ancora le piacevano, ma che non poteva più portare in pubblico. Poi si mise la borsa sulla spalla. Forse non avrebbe avuto bisogno di tutta quella roba. Ma non le importava. A volte in montagna faceva un freddo boia in settembre. Avere freddo era una rottura.

Si precipitò fuori dalla sua stanza, sospirando, e per poco non si scontrò con la madre nel corridoio. Era buio, poiché tutta la parte posteriore del pianterreno era sottoterra e non aveva finestre. Solo la parte anteriore le aveva. Era una specie di dugout gigante, che conosceva solo perché suo padre l’aveva fatta giocare a baseball due estati prima. Nella squadra maschile, perché non c’era una squadra femminile. Era stato mortificante.

Trish si aspettava di vedere un cesto della biancheria tra le braccia di sua madre. L’unica stanza nel corridoio oltre alla sua era la lavanderia, e dal momento che sua madre sosteneva di stare meglio senza vedere il disordine nella stanza di Trish, non ci entrava mai se poteva evitarlo. Ma non stava portando i panni da lavare. Nell’altra direzione c’era la scala centrale e oltre di essa una grande stanza aperta che i loro genitori chiamavano la stanza dei giochi. Trish là ascoltava i dischi. Perry faceva le sue cose, mentre lei lo ignorava. Ma sua madre non stava andando nemmeno nella stanza dei giochi. Stava andando da Trish.

«Non ho sentito squillare il telefono», disse Susanne, bloccandole il passaggio. I suoi lunghi capelli castani erano raccolti in una coda bassa sulla nuca. Era una bella donna con delle belle curve e briosa. Tanto che metà dei ragazzi della sua scuola avevano una cotta per lei. Trish sperava che tra quelli non ci fosse anche Brandon. Quanto sarebbe stato imbarazzante?

«Cioè, non ha squillato.»

«Ma ti ho sentita parlare con Brandon Lewis.»

«Eri al telefono?» Trish alzò la voce. «Eri al telefono?» Si ricordava del clic.

Susanne non rispose alla sua domanda. «Le brave ragazze non chiamano i ragazzi. Soprattutto i ragazzi più grandi.»

«Forse nell’età della pietra, ma siamo nel Wyoming nel 1976 e le ragazze possono chiamare i ragazzi.»

«Non ti chiamerà mai se lo fai tu al posto suo.»

Sua madre stava seriamente dicendo che lei non era una brava ragazza e che Brandon non l’avrebbe mai chiamata? «Grazie per la dritta, mamma. Devo andare. Papà vuole che lo aiuti a caricare. Dov’è il moccioso?»

«Non parlare così di tuo fratello.»

Trish aggirò sua madre. Quando arrivò in fondo alle scale, urlò: «Perry, dobbiamo andare. Dai.»

Apparve Perry, trascinando giù dietro di sé, un gradino alla volta, un borsone di tela verde militare e portando nell’altra mano la sua canna da pesca e la relativa cassetta. «Sto arrivando.»

«Cioè, se ti muovi così, avrò l’età di mamma quando arriverai giù.»

Sua madre sospirò dietro di lei. «Trish.»

«È vero.»

«Ascolta, dì a tuo padre che il medico legale vuole che lo chiami.»

«Perché non glielo dici tu?»

«Ooh, che intelligente, lo capirai», si intromise Perry, saltando sulle punte dei piedi con il viso gongolante.

«Sono troppo arrabbiata con tuo padre per parlare con lui.»

Trish si gettò la punta della treccia dietro la spalla. «Non devi essere tanto arrabbiata. Non ti ho sentita rompere niente.»

«Io non rompo niente.»

«L’hai fatto quella volta che hai tirato una tazza di caffè a papà», le ricordò Perry.

«E un’altra volta quando gli hai tirato un piatto», aggiunse Trish.

«Non so di cosa stiate parlando.» Tirò su con il naso e baciò ciascuno di loro sulla guancia.

Trish e Perry si guardarono con le sopracciglia alzate. La loro mamma faceva sempre finta di non ricordare ciò di cui non voleva parlare.

Susanne salì le scale fino al pianerottolo. «Tenete d’occhio vostro padre. E state attenti. Ci vediamo tra quattro giorni.»

Trish gemette. «Se sopravviveremo così a lungo.»

Perry strinse i pugni e li ruotò agli angoli degli occhi come se stesse piangendo. «Uè, Trish deve andare a caccia. Uè, uè.»

Trish spalancò la porta, lasciando entrare la brillante luce del sole autunnale. Ferdinand era proprio lì fuori, dimenando la sua lunga coda ricurva. «Dai, stupido. Andiamo e non pensiamoci più.»

QUATTRO

INTERSTATALE 90 A NORD DI BUFFALO, WYOMING

18 settembre 1976, mezzogiorno

Patrick

All’incrocio tra la strada principale e quella per l’aeroporto, Patrick fermò il pick-up, anche se non c’era traffico in nessuna delle due direzioni. Il motore Ford faceva le fusa come un gattino, dopo la sua messa a punto all’inizio della settimana.

Respirò l’aria attraverso i finestrini aperti. Libertà. Quattro giorni interi con i suoi figli, senza essere di guardia, senza telefoni. Niente cavalli che scalciavano, escursionisti drogati, cani che mordevano o, peggio ancora, agenti delle forze dell’ordine assassinati. Perché l’agente dello sceriffo che era stato portato d’urgenza al pronto soccorso quella mattina era morto. Morto di una morte violenta e insensata. L’essere umano poteva essere così perverso. Come medico, odiava il fatto che a volte il bene non fosse sufficiente per sconfiggere il male. Come genitore, si preoccupava solo di come proteggere i suoi figli. Era successo in quella zona. Non in una grande città. Non in un paese straniero. Ma proprio lì nel nord del Wyoming, troppo vicino a casa loro. E, a causa del suo lavoro, ci si era trovato in mezzo. Gli piaceva fare il medico, ma non gli sarebbe mancato l’ospedale mentre era via. Aveva bisogno di una pausa.

L’unica cosa che gli sarebbe mancata durante quella gita sarebbe stata sua moglie. Al pensiero, sentì una profonda fitta nel petto, della malinconia mista a disappunto. Forse era stato troppo duro con Susanne, ma lei non avrebbe dovuto spingerlo a esserlo. Avrebbe dovuto desiderare di stare con lui. Tuttavia, l’ultima cosa che voleva era essere intransigente con tutti quelli che lo circondavano, come lo era stato suo padre. Lui e Susanne avevano un ottimo rapporto e non doveva importargli che non le piacessero certe cose che piacevano a lui. Lei era divertente e avventurosa, ed era la sua compagna. Solo che se non le faceva conoscere ciò che rendeva meraviglioso il Wyoming, non se ne sarebbe mai innamorata. Allora sarebbe stata solo questione di tempo prima di ritrovarsi alla guida di un furgone da trasloco per tornare in Texas.

Trish alzò lo sguardo dal suo libro. Patrick sapeva che stava di nuovo leggendo Per sempre di Judy Blume, anche se nascondeva la copertina. Lui e Susanne avevano deciso di lasciarla fare, anche se il romanzo trattava della sessualità adolescenziale. Ogni adolescente si trovava ad affrontare quelle problematiche. Diavolo, per questo lui e Susanne si erano sposati così giovani, per poter dare libero sfogo al desiderio sessuale adolescenziale senza problemi. Sorrise.

«Cioè, perché ci siamo fermati? E perché stai parlando da solo? Di nuovo.»

Patrick non si era nemmeno accorto che le sue labbra si stavano muovendo. Si atteggiò da tipo fico come meglio poté e imitò il modo di parlare di sua figlia. «Cioè, perché sto decidendo da che parte andare, sai, no.» Ma all’improvviso decise e girò a sinistra.

Trish gemette. «Che sfigato.»

Ma non disse “cioè” o “sai, no.” Aveva messo a tacere quel suo linguaggio adolescenziale. Missione compiuta.

La figlia si accigliò. «Papà, Hunter Corral è a destra.»

«Vi stavo portando là solo perché a tua madre piacciono i campeggi con i bagni.»

«Anche a me.»

«Sarà troppo affollato nel fine settimana. Andremo invece a Walker Prairie.» Patrick era eccitato. C’erano più cervi lassù. Meno gente. E nuovi posti da esplorare.

Sul sedile posteriore, Perry russava. Patrick dette un’occhiata a suo figlio nello specchietto retrovisore. Era così carino con i capelli biondi a spazzola, il viso lentigginoso e la saliva che gli si accumulava sul mento. Cinque minuti da quando erano partiti e suo figlio stava già dormendo. Sorrise. Era normale per lui.

Trish chiuse il libro di botto e si voltò a guardare suo padre, la voce improvvisamente alta e stridula. «Ma avevi detto Hunter Corral.»

Perry si mise a sedere. «Eh? Cosa?»

Patrick mise la freccia. Sinistra. Verso i monti Bighorn settentrionali. «Qual è il problema?»

Trish riaprì il libro, borbottando qualcosa sul fatto che il padre avesse incasinato i suoi piani con i suoi amici. Patrick sapeva per esperienza passata che la discrezione era la strategia migliore e non le chiese di ripetere quello che aveva detto. Invece accese la radio. Stavano suonando “Joy to the World” dei Three Dog Night. Alzò il volume quanto era possibile senza provocare scariche elettriche. Si mise a cantare battendo sul volante. Perry si unì a lui.

«La volete smettere? Qualcuno potrebbe vedervi», disse Trish.

A parte loro, non c’era nessuno sull’interstatale 90, cinque miglia a nord di Buffalo e trenta miglia a sud di Sheridan. Perry si protese verso l’orecchio della sorella e cantò più forte. Lei gli tirò una sberla e lui si abbassò per schivarla. Non molto tempo prima, Trish avrebbe cantato con loro, saltando sul sedile. Dov’è andata a finire la mia bambina, e quando questa musona ha preso il suo posto? Il suo atteggiamento toglieva a Patrick un po’ di entusiasmo, ma non lo dava a vedere. In nessun modo le avrebbe permesso di rovinare quella gita a Perry. O a lui.

Oltrepassarono il lago Desmet. «Guardate, ragazzi.» Indicò un branco di antilopi. Un grande branco, perché era il periodo degli accoppiamenti. Cinquanta o più, e stavano approfittando delle ultime offerte della stagione nei campi di qualche povero contadino. Era una scena comune in quel periodo dell’anno. Quello che più voleva vedere, però, e non l’aveva ancora fatto, era un branco di pecore bighorn allo stato selvatico sui monti Bighorn. Le aveva viste nello Yellowstone, naturalmente. Chiunque poteva vederle nello Yellowstone. Là erano praticamente addomesticate. Ma lui voleva vedere quelle creature dalle grandi corna in via di estinzione nel loro ambiente originario, sulle montagne dove un tempo erano così numerose che gli indiani avevano chiamato il fiume Bighorn in loro onore e in seguito Lewis e Clark avevano dato il loro nome all’intera catena montuosa. «Quel maschio deve essere un vero animale da monta per avere un così grande gruppo di femmine. Sapevate che le antilocapre americane comunicano il pericolo l’una all’altra alzando i peli bianchi della groppa?»

«Veramente?» chiese Perry.

«È un po’ rozzo», commentò Trish.

«Hanno una vista eccezionale e sono...»

«I secondi animali terrestri più veloci del mondo», ripeterono insieme i ragazzi.

«Lo sappiamo, papà», disse Trish.

Patrick sorrise e si perse con lo sguardo nel branco e oltre. I colori delle praterie all’inizio dell’autunno sembravano monotoni a certe persone, ma lui ci vedeva un’intera palette di marroni, grigi e neri. Il ciclo di vita della prateria non smetteva mai di stupirlo. Mentre contemplava la natura, il pick-up finì sul ciglio della strada.

«Paaa-pà.» La voce di Trish lo avvisò, scandendo bene le sillabe. «Guarda dove vai. Cioè, non voglio mica morire adesso.»

«Ops.» Patrick corresse la direzione.

Alla radio misero “Bad, Bad Leroy Brown”. Jim Croce era il cantautore preferito di Patrick. Lui e Perry gridarono le parole sopra la musica. Il piede di Trish iniziò a battere. All’ultimo ritornello si muovevano anche le sue labbra.

«Un’aquila testa bianca», urlò Perry all’orecchio del padre, indicando i fili della corrente.

Uno di quei maestosi uccelli vi era appollaiato sopra, con la testa che ruotava alla ricerca di una preda. «Buon occhio, ragazzo.» Patrick lanciò un’occhiata a Trish. «Chi vuole fermarsi a Sheridan dal McDonald’s?» chiese.

Trish tirò il suo libro sul fondo dell’auto, presa dall’entusiasmo. «L’ultima vera roba da mangiare per giorni, ma scherzi? Le Patty grasse, sì!»

Patrick lasciò l’interstatale e parcheggiò il pick-up e il trailer in una strada laterale, sentendosi appena appena colpevole per aver comprato l’affetto dei figli con il fast food. Quando Trish e Perry erano piccoli, lui e Susanne non potevano dire “patatine fritte” in auto senza che ci fosse una rissa. Avevano pertanto iniziato a parlare delle potenziali fermate al McDonald’s in codice, chiamando le patatine fritte “Patty grasse”. Pensavano di essere astuti, ma Trish, che aveva quattro anni, aveva capito tutto fin dalla prima volta e lo aveva detto al fratellino. E le patatine fritte erano diventate da quel momento in poi le Patty grasse, nella loro tradizione familiare.

Mentre parcheggiavano e scendevano, si udì un forte colpo provenire dal trailer.

Trish commentò: «Eccola di nuovo.»

Era Cindy, il cavallo di Susanne. Aveva la brutta abitudine di prendere a calci l’interno del trailer. Poteva continuare a farlo per ore. Lo dimostravano le fiancate del loro rimorchio, che portavano ammaccature a forma di zoccolo. Patrick sperava che non finisse prima o poi incastrata con le sue piccole zampe. Anche se ciò avrebbe potuto farle perdere l’abitudine di tirare calci.

Entrarono uno dietro l’altro nel ristorante. Il suo amico Henry Sibley stava svuotando il proprio vassoio nella spazzatura.

Patrick si avvicinò allo smilzo allevatore da dietro e gli diede una pacca sulla spalla. Dalla sua camicia uscì uno sbuffo di polvere. «Ehi, fratello.»

Henry si girò di scatto, poi sorrise. «Doc. Bambini. Che ci fate voi qui?»

«Caccia al cervo», disse Perry, con voce eccitata.

«Oh, cavolo, che fortunati! Magari potessi andare a caccia questo fine settimana.»

«Che cos’hai in ballo?» chiese Patrick.

«La consegna del fieno.»

«Peccato. Allora, tu e Vangie siete invitati a venire a mangiare le bistecche di cervo, uno di questi giorni. Sto usando il mio nuovo arco compound.»

«Quale hai preso?»

«Un Darton.»

«Bello. Che modello?»

«Trailmaster 45 K.»

«Fammi sapere come si comporta sul campo.» Henry corrugò la fronte. «Ehi, posso parlarti un secondo?»

Patrick tirò fuori dal portafogli un biglietto da venti dollari e lo porse a Trish. «Prendimi un Big Mac, patatine fritte e una Coca.»

«Sì, papà.» Lei e Perry fecero a gara per arrivare per primi alla fila, lanciando qualche sgomitata mentre cercavano di prendere posizione. Per fortuna che sua figlia si preoccupava di cosa pensassero gli altri del loro comportamento.

Non appena i figli furono fuori portata d’orecchio, Patrick chiese: «Che succede?»

«Stavo giusto parlando con Harry Bethel.»

Patrick dovette pensare un attimo per ricordarsi chi fosse Bethel. «È un agente della contea di Sheridan, no?»

«Già. Mi ha detto che, la scorsa notte, un prigioniero ha ucciso un suo collega ed è sfuggito alla custodia durante il trasporto dalla contea al penitenziario statale. Billy Kemecke, quello che ha ucciso quel Gill Hendrickson del Dipartimento della caccia e della pesca.»

«Eh, sì. Ero di turno. Hanno portato l’agente al pronto soccorso. Un giovane di nome Robert Hayes. Quando è arrivato era ormai morto. Non abbiamo potuto fare niente. Lascia una moglie e un bambino. Davvero triste.»

«Come ha fatto Kemecke a ucciderlo?»

«L’ha strangolato con un filo, poi gli ha spezzato il collo per star sul sicuro.»

«Brutta cosa. Veramente brutta.» Henry si passò una mano dalla fronte al mento, lasciandosi dietro un’espressione affaticata. «Hai sentito qualcos’altro quando l’hanno portato?»

«Hanno detto che è successo sul versante ovest delle montagne, vicino a Ten Sleep, mentre lo stavano portando al penitenziario statale. Ma questo è tutto quello che so.»

«Non ti conviene imbatterti in Kemecke. Non un bel tipo.»

Patrick annuì.

«Dove avevi intenzione di andare a cacciare?»

“Walker Prairie.» Patrick non ci aveva pensato, ma Walker Prairie era dalla parte opposta dell’area wilderness di Cloud Peak, rispetto a Ten Sleep. Una ragione in più per andarci.

Henry lo confermò: «Bene». Poi diede a Patrick le indicazioni per il suo posto preferito dove accamparsi, vicino a quelle che considerava le migliori aree di caccia. Era cresciuto andando a caccia nella zona, quindi sapeva quello che diceva.

Perry arrivò trotterellando, facendo dondolare un sacchetto di carta di McDonald’s e sorridendo. «Papà, abbiamo la tua ordinazione.»

Patrick strofinò i capelli ispidi del ragazzo. Suo figlio non aveva ancora avuto lo scatto di crescita adolescenziale. Era praticamente un piccoletto con una voce acuta e rotolini di grasso sui fianchi. Era stato così anche lui da bambino? Gli sembrava di ricordare di essere cresciuto tardi. Ma poi aveva raggiunto un’altezza normale e anche Perry lo avrebbe fatto, così sperava. Ma, cavolo, il ragazzo aveva un gran cuore. Il sorriso del figlio spazzò via un po’ della sua persistente inquietudine per la dura notte passata e per il litigio con Susanne.

Non poté fare a meno di ricambiargli il sorriso. «Arrivo, figliolo.» Poi si accorse che Trish non era con lui. «Dov’è tua sorella?»

«Al telefono pubblico.» Perry gli lanciò uno sguardo d’intesa ruotando gli occhi al cielo e sospirando.

«Uhm.» Con chi diavolo aveva già bisogno di parlare? Aveva terminato la sua ultima telefonata solo un’ora prima. Oh, beh. Doveva solo accettare il fatto che, quando si trattava di ragazze adolescenti, ci fosse la possibilità di non capirle mai fino in fondo.

Henry lo salutò con un cenno del capo. «Guardati le spalle.»

Patrick lo ricambiò con un saluto a due dita all’altezza della fronte. «Sempre.»

CINQUE

BUFFALO, WYOMING

18 settembre 1976, mezzogiorno e mezza

Susanne

Attraverso le vetrine del locale, Susanne poteva vedere la gente che affollava la caffetteria Busy Bee, tra cui alcuni turisti di fine stagione. Il posto era un’istituzione locale. Stretto tra il torrente Clear Creek e l’hotel Occidental, condivideva parte del fascino del vecchio West di quest’ultimo. Rivestimenti in legno. Una vecchia stufa a legna nell’area dei tavoli. Un bancone decorato e un barman vestito da cowboy. I turisti erano facilmente identificabili per le loro ingombranti macchine fotografiche e i loro modi rilassati. Il Labor Day segnava la fine della stagione estiva, ma l’area attirava comunque qualche visitatore di inizio autunno, per ammirare le foglie autunnali e godersi le fresche giornate in relativa solitudine. Anche i cacciatori cominciavano ad apparire, con tute mimetiche esagerate e bisognosi di un bel bagno, ma non ne vide nessuno nel ristorante.

Mentre era sul punto di entrare, Susanne sentì chiamare il suo nome alle sue spalle. Si voltò e vide Hal Greybull, il medico legale della contea. Stava attraversando la strada e agitando il braccio, la sua figura stagliata sullo sfondo delle facciate di mattoni rossi degli edifici del centro. Accidenti. Non aveva detto a Patrick che il coroner aveva chiamato. Dare l’incombenza a Trish di farlo era stato irresponsabile da parte sua e ne era pentita. Si trattava del lavoro di Patrick, la loro fonte di sostentamento. Si stampò un sorriso sul viso e ricambiò il saluto con il braccio.

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