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Tornanti
«Darò a Mildred un antidolorifico prima di esaminarla e farle una radiografia alla zampa», spiegò Patrick.
Entrò nel trailer, trovandosi con Tater e la sua cavalla. Mildred girò immediatamente le orecchie all’indietro e si mise a scalciare contro l’interno del rimorchio con gli zoccoli posteriori.
«Buona, Mildred.» Patrick le si avvicinò. «Va tutto bene, ragazza.»
«Forse dovremmo portarla fuori di qui, dottor Flint», suggerì Tater.
«Buona idea.» Patrick aveva bisogno di spazio per muoversi.
Tater tirò il nodo della lunghina di Mildred. «Diavolo. Ha tirato e l’ha stretto così tanto che non possiamo slegarla.»
Patrick estrasse il suo coltello tascabile con la scritta segaossa e lo mostrò. «Sì?»
«Sicuro. Io la tengo ferma e lei velocemente taglia la corda dove c’è il nodo. Sarà ancora lunga a sufficienza.»
Patrick lo fece, poi rimise il coltello in tasca.
Wes intervenne: «Con quel coltello di Minnie mica ci saresti riuscito, vero?»
Patrick sorrise.
Tater portò Mildred fuori dal trailer senza che si facesse ulteriormente male, grazie all’eccellente stecca che qualcuno le aveva fissato alla zampa. Poi legò la corda a un’assicella laterale. Patrick le si avvicinò di nuovo per farle una puntura sul collo. Il cavallo reagì fulmineo come un serpente a sonagli e affondò i denti nel suo petto.
«Aah!» gridò. Si incurvò e piegò le ginocchia. «Figlia di un’esca di una poiana!»
Tater colpì Mildred sul fianco, ma la puledra mantenne la presa per due atroci secondi prima di lasciar andare Patrick, che si allontanò rapidamente. L’animale agitò la coda.
Wes incrociò le braccia. «Figlia di cosa?»
Patrick non rispose. Si strofinò il petto. La pelle non si era rotta. Però il giorno dopo avrebbe avuto una bella irritazione.
Tater accarezzò il naso della sua cavalla. «Scusi, dottor Flint. Mildred è un po’ irascibile.»
Avrebbe voluto che Tater glielo avesse detto prima di arrivare a portata dei suoi denti.
«E io che pensavo che tutti ti amassero, Doc», ironizzò Wes.
Patrick gli lanciò un’occhiataccia. Chiese a Tater: «Hai mai fatto una puntura a un cavallo?»
«Una o due volte.»
Patrick gli porse la siringa. «Accomodati pure, allora.»
Wes tossì nella propria mano, ma sembrava molto più una risata.
Un rumore di passi affrettati e una voce senza fiato fecero trasalire Patrick. «Dottor Flint, abbiamo ricevuto una chiamata.» Era Kim. Kim non correva mai.
«Cosa c’è?» Si allontanò da Mildred per tenere se stesso e Kim fuori portata.
«Un vice sceriffo. Attaccato da un detenuto. Lo stanno trasportando qui.»
Patrick poteva trasferirsi in capo al mondo, ma il peggio di cui l’essere umano era capace lo avrebbe seguito ovunque. Il suo cuore crollò. Conosceva i vice sceriffi della zona. Uno era suo vicino di casa. «Contea di Johnson?»
«Big Horn.»
Non conosceva nessuno dei vice sceriffi della contea di Big Horn. Ma ciò non minimizzava la tragedia. «Quanto ci metteranno ad arrivare?»
«Quarantacinque minuti.»
«E i pazienti all’interno?»
«I loro parametri vitali sono coerenti con l’assunzione di anfetamine. Nessun altro indicatore.» «E la coppia più anziana?» «Lei è diabetica e si è dimenticata di far rifornimento di insulina.»
Patrick chiuse gli occhi per un lungo secondo. «Va bene, allora. Cinque milligrammi di Valium per i nostri consumatori di psicofarmaci e tenerli sotto osservazione. Controllare il livello di glucosio della nostra paziente diabetica. Sistemeremo Mildred e poi verrò a controllare tutti e a firmare le prescrizioni. Dovremmo aver finito prima che arrivi l’ambulanza. Grazie, Kim, e fammi sapere se ci sono dei cambiamenti.»
«D’accordo.» L’infermiera annuì e rientrò nell’ospedale.
Al suo posto apparve un uomo robusto con un cane da montagna dei Pirenei tra le braccia. La testa del cane era sopra la sua spalla, voltata dalla parte opposta rispetto a Patrick. Una zampa era appoggiata sulle braccia dell’uomo. Patrick rimase senza parole. Fai che sia solo una zampa finita in una trappola per orsi.
L’uomo chiese: «Lei è il dottore che sostituisce il veterinario?»
Patrick avrebbe voluto negarlo, ma rispose: «Sì», e pensò: sarà una lunga, interminabile notte.
DUE
BUFFALO, WYOMING
18 settembre 1976, ore 10 di mattina
Susanne
Susanne sapeva che avrebbe dovuto sentirsi in colpa, ma non si sentiva tale.
Trish stava ancora ronfando e Perry era parcheggiato davanti alla TV a guardare il college football. Dette un’occhiata a suo figlio. Stava a pancia in giù sul tappeto marrone a pelo lungo, con indosso solo le mutande di Superman. Il mento tra le mani, le ginocchia piegate, i piedi che dondolavano nell’aria. Un mini Burt Reynolds sul suo tappeto di pelle d’orso, pensò, e ridacchiò. Nessuno dei due figli era pronto per la partenza. Nessuno dei due aveva preparato i bagagli. Nemmeno lei, se era per questo.
Sorseggiò una tazza calda di quella che Patrick chiamava la sua “acqua color caffè”. Erano le dieci di mattina ed era seduta al tavolo della cucina con indosso un caftano rosso vivo che si era fatta lei stessa. Un programma radiofonico locale che promuoveva vendite di seconda mano stava offrendo cuccioli, forniture per recinzioni e finimenti per cavalli da tiro. Rivaleggiava con la TV nell’altra stanza e il russare di Ferdinand, il loro levriero irlandese trovatello che mangiava come una betoniera e puzzava perennemente come se si fosse rotolato sopra un cane della prateria morto. Attraverso la finestra panoramica in fondo al soggiorno e sala da pranzo, Susanne poteva vedere le foglie autunnali dorate sui pioppi nel cortile posteriore, che brillavano con il sole e la brezza. Nonostante l’incalzare del ticchettio dell’orologio, non si mosse. Sentiva una tremenda mancanza di sua madre e di sua sorella, che la paralizzava. Aveva già esaurito il suo budget mensile per le chiamate interurbane parlando con loro nelle prime due settimane del mese. Le lettere sarebbero anche andate bene, ma ne riceveva solo una su tre che inviava loro. Le capiva. L’una aveva l’altra e la propria famiglia, gli amici e la comunità. Era lei quella a essere sola.
Perché Patrick aveva dovuto farli andare a vivere così lontano da tutti quelli a cui tenevano? A parte loro stessi, ovviamente. Sembrava che stesse cercando di ritrovare un elemento, il posto, del sogno che aveva abbandonato per seguire la facoltà di medicina: fare felicemente il biologo della fauna selvatica o la guardia forestale, anche se poco pagato. Certo, si era fatta qualche amica a Buffalo, ma non era come dove viveva prima. Beh, tranne che con Evangeline Sibley. La moglie incinta dell’allevatore era una buona alternativa a sua sorella. E Patrick era a sua volta un grande amico del marito di Vangie, Henry. A parte lei, le donne native del Wyoming erano semplicemente troppo mascoline e amanti della vita all’aria aperta per Susanne. La maggior parte di loro non aveva mai visto un tubetto di rossetto o una scatolina di fard. Andavano a caccia e a pesca con, o senza, gli uomini. Susanne era orgogliosa di essere una donna del Sud. Non voleva essere come loro, ma in qualche modo si sentiva comunque... non abbastanza, debole... in loro compagnia.
Come a confermare i suoi pensieri, il conduttore radiofonico annunciò: «Becky Wills è stata sorteggiata per una licenza di caccia all’alce vicino a Jackson e cerca qualcuno che tenga i suoi ragazzi, di tre, cinque e sette anni, per una decina di giorni mentre lei e suo marito sono fuori città a cacciare.»
Solo nel Wyoming una donna avrebbe fatto un annuncio alla radio per trovare qualcuno che facesse da babysitter ai suoi figli per poter andare a caccia. Susanne non avrebbe mai lasciato i suoi figli con degli estranei. Non in Texas, almeno. Avrebbe potuto trovarsi nella necessità di farlo se avesse dovuto lasciare la città in fretta per un’emergenza, ma di sicuro non sarebbe stato per andare a caccia.
Come faceva a legare con donne come Becky Wills? Ed erano tutte come lei.
Trish entrò in cucina, stropicciandosi gli occhi. Dalle sue due lunghe e bionde trecce alla francese fuoriuscivano dei capelli, formando una cornice disordinata intorno al viso e alla testa. «Cosa c’è per colazione?»
Ferdinand si alzò. Incurvò la schiena, stiracchiando il corpo smilzo e dall’aspetto trasandato, grande quanto quello di un pony. Poi fece un balzo da levriero e volò verso Trish. Lei lo abbracciò al collo e gli fece le moine.
«Perry, Ferdie e io abbiamo mangiato due ore fa. Nella dispensa ci sono i cereali Life.»
Trish strinse gli occhi e arricciò il naso, ma prese una ciotola e un cucchiaio, posandoli un po’ troppo pesantemente sulla spessa lastra del tavolo. Susanne sussultò. Il tavolo e la dispensa abbinata a fianco erano speciali per lei. Pregiato legno di noce lucido, rifiniture in ottone, ante in vetro. I primi mobili nuovi che lei e Patrick avevano acquistato. Fortunatamente, la tovaglietta assorbì l’impatto dell’urto. Trish tornò per i cereali e il latte.
«Tuo padre è in ospedale. Vorrà partire appena torna.»
«Senti, che vada pure.»
«Trish.» Il tono della sua voce diceva: basta con questa storia. La figlia sospirò. «Ti posso ancora sculacciare, sai? Non sei troppo grande.» Susanne non ne andava orgogliosa, ma aveva rotto stecche, cucchiai di legno, spazzole per capelli e bastoncini sul sedere dei suoi figli. Non avevano avuto una grande efficacia.
«Se riesci a prendermi.»
Susanne indicò i capelli della figlia. «A questo servono le trecce.»
Trish versò cereali e latte nella ciotola. Sbatté il cucchiaio contro i denti, poi fece una gran bevuta rumorosa. «A che ora sarà qui?»
«Comportati bene, Trish. Sarebbe già dovuto arrivare.»
«Grazie per avermi svegliata.»
Susanne finse di non notare il sarcasmo. «Prego.»
Il telefono squillò. Sperando che fosse sua madre o sua sorella, Susanne si lanciò per rispondere. Ma la figlia fu più veloce.
«Casa Flint, parla Trish», si presentò l’adolescente, come i suoi genitori le richiedevano, roteando gli occhi al cielo. Ascoltò per un momento. «Non è qui in questo momento. La faccio parlare con mia madre.» Porgendo il telefono a Susanne, disse: «Vogliono lasciare un messaggio, sai, no?»
«Non dire “sai, no”. Non lo so, a meno che tu non me lo dica», brontolò Susanne, e strappò il telefono alla figlia. «Sono Susanne Flint.»
«Salve, signora Flint. Sono Hal Greybull, il medico legale della contea.»
«Salve, dottor Greybull. Ci siamo incontrati a quella colazione con i pancake per i vigili del fuoco, mi pare?»
«Sì, effettivamente. Ho appena cercato Patrick in ospedale e non l’ho trovato. Può farmi chiamare da lui?»
«Mi dispiace. Starà tornando a casa. Saprà di cosa si tratta?»
«Ho qualche ultima domanda da fargli prima di rilasciare il referto dell’autopsia della Jones.» Le diede un numero di telefono.
Susanne sapeva di che caso si trattava. Suo marito era di malumore da quando non era riuscito a salvare la vita dell’anziana donna. Patrick era un medico brillante e lei sapeva che aveva fatto del suo meglio. A volte le brutte cose accadevano e basta. Senza motivo. La gente viveva, moriva e i medici non erano Dio, ma pochi lo capivano. «Nessun problema.»
«Grazie.»
Susanne rimise giù il telefono. La sua mente andò alla notte in cui Bethany Jones morì. Patrick aveva pianto tra le sue braccia. Lei aveva gli occhi che le bruciavano. Era stata così fortunata a trovare un marito come lui, in molti modi. Forse il Wyoming non sarebbe stato per sempre.
Il cucchiaio di Trish cadde rumorosamente sul tavolo, fuori dalla tovaglietta. Con la bocca piena, chiese: «Comunque, perché papà ci fa andare a caccia di cervi con lui?»
Bella domanda. Una a cui preferì non rispondere. Le discussioni con le ragazzine adolescenti andavano evitate a tutti i costi. «Togli quel cucchiaio bagnato dal mio tavolo.»
Trish lo fece, lentamente.
Susanne fu colpita da un pensiero. Capiva perché Patrick voleva andarci. Amava cacciare. Capiva anche quanto volesse trascorrere del tempo con i figli e fare insieme a loro quella attività che amava. Ma perché lei doveva andare con loro? Lei era sempre con i bambini. Enumerò mentalmente i punti a sfavore della caccia. Odiava, in nessun ordine particolare, avere freddo, dormire sul terreno duro, sparare, i cavalli e le cose morte. In un lampo, comprese perché non aveva fatto fare i bagagli ai bambini o finito di preparare le sue cose.
Non ci sarebbe andata.
«Mamma, mi hai sentita? Ti ho chiesto perché papà ci fa andare con lui?»
La porta d’ingresso si aprì e si chiuse. Patrick era a casa. Ferdinand trotterellò di sotto per andare ad accoglierlo. Susanne lo udì salutare, poi mandare fuori il cane.
«Chiedi a tuo padre.»
Perry era così preso dalla TV che non aveva sentito suo padre entrare. Se se ne fosse accorto, sarebbe saltato in piedi e avrebbe spento il televisore. Patrick e Susanne di solito limitavano i bambini a guardare Il mondo sottomarino di Jacques Cousteau o Mutual of Omaha’s Wild Kingdom, e un cartone animato a settimana. Con il suo morale a terra, Susanne aveva chiuso un occhio e lasciato Perry guardare la TV più del consentito.
La testa dai capelli castano chiaro di Patrick apparve in cima alle scale, che davano sul soggiorno, e su Perry. «Tutti pronti per la caccia?» Il suo bel viso appariva tirato e gli occhi azzurri infossati, ma la sua voce era allegra.
«Ehi, tesoro», disse Susanne. «Una lunga notte?»
Trish tornò ai suoi cereali. Ogni risucchio di latte e ogni sbattere di denti sollevava l’ira di Susanne. Si sentiva sull’orlo di un brutto sbalzo d’umore, per cui si incollò un sorriso sul viso.
«Incredibilmente dura. Ti racconterò tutto mentre andiamo in montagna.» Mentre si avvicinava a Susanne, Patrick si chinò per evitare una lampada che pendeva dal basso soffitto, aggrottando la fronte. Era alto non più di un metro e ottanta, ma la lampada era posizionata in modo strano. «Perché Perry sta guardando il football?»
Udendo il proprio nome, Perry finalmente notò la presenza di suo padre e balzò in piedi. Indietreggiò fino alla TV e la spense.
«Gliel’ho lasciata accendere un attimo mentre mangiava.» Susanne incrociò le dita in grembo e sperò che i bambini non facessero la spia.
Patrick baciò sua moglie sulla guancia, poi posò il portafogli e le chiavi sul bancone della cucina. «Le borse sono pronte per essere caricate sul pick-up?»
Perry si avvicinò al tavolo. Abbassò il capo. «Non ancora.»
«Ehi, campione, pensavo fossi emozionato di essere finalmente abbastanza grande per cacciare.»
«Lo ero. Sono. Sarò pronto in fretta. Ma, papà, come mai non posso giocare a football? Sono abbastanza grande anche per questo.»
«Perché non voglio che ti spacchi il cranio. Ne abbiamo già parlato. Potrai giocare quando sarai alle superiori.» Distolse lo sguardo dal figlio e lo portò su Trish e Susanne. «Ora preparatevi. Tutti voi. Stiamo sprecando la luce del giorno e si va a caccia!» Disse le ultime parole quasi cantando e mancò poco che inciampasse per la fretta.
«Devo proprio?» chiese Trish, con la voce dolce per convincerlo.
Suo padre si fermò. «Farò finta che tu non me l’abbia chiesto. Muovetevi.»
I ragazzi se ne andarono in fila, Perry in punta di piedi ed eccitato, Trish con le spalle curve e la faccia imbronciata.
«Che cos’ha?» chiese Patrick. Si versò una ciotola di cereali e una tazza di caffè.
«È una ragazza di quindici anni. Vuole stare con i suoi amici. E, visto come corre ogni volta che squilla il telefono, penso che potrebbe esserci di mezzo un ragazzo.»
«È troppo giovane per avere un ragazzo.»
«La stessa età che avevo io quando ho iniziato a uscire con te.»
«È esattamente questo il punto.»
Susanne gli sorrise. «Forse è come me sotto molti punti di vista.»
«Cosa intendi dire?»
Era impossibile che quello che stava per dirgli gli andasse bene, ma doveva dirglielo. «Odio la caccia.»
«Non odi la caccia.»
Si fece forza. «Sì, invece. Non mi piacciono per niente i fucili. E i cavalli. Cindy inciampa continuamente. Mi spaventa. E ho deciso che non verrò a questa gita.»
La ciotola di Patrick cadde sul pavimento e si ruppe, facendo schizzare latte e cereali sul linoleum e sugli armadietti, arrivando fino al tappeto. «Tu hai cosa?» Gli occhi che le rivolse erano tempestosi.
No, non la stava affatto prendendo bene.
TRE
BUFFALO, WYOMING
18 settembre 1976, ore 11 di mattina
Trish
Trish sollevò la cornetta del telefono a ciambella giallo che i suoi genitori le avevano regalato per il suo quattordicesimo compleanno. Compose il numero, fece confusione e lo compose di nuovo. Mentre la linea squillava, si sedette sulla sua sedia a uovo sospesa e si dondolò, ammirando il fondo dei suoi jeans a zampa di elefante. Sua madre non le permetteva di indossare i sandali con la zeppa che desiderava ardentemente, ma i pantaloni non stavano male con i suoi finti stivali Dingo.
Sentì voci alterate al piano di sopra. Piantando i piedi nel tappeto, trattenne il respiro per poter sentire.
«Ho detto che non vengo.» La voce di sua madre era ferma. Non teneva testa a suo padre tanto spesso, ma quando lo faceva, lo faceva alla grande.
«Vuoi rovinare la vacanza a tutti?» chiese suo padre.
La voce di una donna all’orecchio interruppe il suo origliare. «Pronto?»
«Posso parlare con Brandon, per favore?» chiese Trish, usando il tono educato che riservava agli adulti non della famiglia e parlando a bassa voce in modo che i suoi genitori non la sentissero. Ma di che si preoccupava? Suo padre aveva appena urlato qualcosa a sua madre. Quando i due litigavano, erano in un mondo a parte.
«Chi lo desidera?» La donna sembrava scettica.
«Trish Flint.»
«Flint?» La signora Lewis enfatizzò la t finale, emettendo un suono che parve a Trish quello di una cavalletta sputata fuori, come quando gliene era volata una piccola in bocca.
«Sì.»
Trish poteva sentire la donna respirare mentre rifletteva sulla sua richiesta. La signora Lewis era un’infermiera e Trish aveva udito i suoi genitori parlare del suo licenziamento il mese prima. Doveva aver rubato qualcosa e il padre di Trish l’aveva colta sul fatto. Non doveva avere molta simpatia per lui. Questo voleva dire che non vedeva di buon occhio nemmeno la figlia? Non aveva il tempo di cercare di farsela amica, se non chiamava subito Brandon, non avrebbe avuto la possibilità di parlargli prima che suo padre la costringesse a marciare fuori dalla porta per quella stupida gita in campeggio.
«Un attimo, per favore.»
Un forte rumore metallico disse a Trish che la signora Lewis aveva lasciato cadere la cornetta sul bancone. Poco gentile, signora. Iniziò a contare. Se fosse arrivata a cento senza che la donna avesse fatto venire Brandon al telefono, avrebbe riattaccato. Suo padre non sarebbe stato contento se fosse sceso e l’avesse trovata al telefono invece di fare i bagagli.
La madre di Trish gridò così forte che anche i vicini potevano udirla, cosa che normalmente non avrebbe fatto. «Odio la caccia. E i fucili. E il campeggio. E sentirmi dire cosa fare. E tu sapevi tutto questo prima di decidere di fare questa gita.»
Brava, mamma! Se lei non ci va, papà non costringerà nemmeno me! Poi si ricordò che quel fine settimana c’erano un sacco di attività in parrocchia. Se fosse rimasta a casa, sua madre l’avrebbe fatta andare là. Obbligava i figli a partecipare a tutto quello che organizzava la loro chiesa. La scuola domenicale, lo studio della bibbia durante le vacanze e ora il gruppo giovanile. L’unica cosa che le piaceva dello studio della bibbia era che poteva memorizzare i versi per vincere dei premi, perché vinceva sempre: settimane in campeggio, autolavaggi, prodotti da forno. La famiglia di Brandon apparteneva alla stessa parrocchia, ma non si faceva quasi mai vedere. Che cosa era meglio: evitare quello o non dover cacciare?
Suo padre si stava innervosendo sempre di più. «Non vedevo l’ora di fare questa gita. Non passo mai del tempo con i bambini.»
Niente faceva più paura della voce di suo padre quando era arrabbiato. Trish rabbrividì, ma Susanne non aveva paura di Patrick.
«Io sì. Potrei prendermi una pausa.»
Bello, mamma. Ti voglio bene.
Poi udì Brandon: «Senti... ciao.» Aveva un tono sorridente.
Trish sentì calore al viso. Non riusciva a credere di aver trovato il coraggio di chiamarlo. Non aveva mai chiamato un ragazzo prima. Dimenticò completamente il litigio dei genitori. «Senti, ciao a te.»
«Come butta?»
Con Brandon, Trish si sentiva così fuori moda. Andava matta per il modo in cui parlava. Come se fosse californiano o qualcosa del genere, anche se era nato e cresciuto a Buffalo. «Mio padre ci porta a caccia con l’arco. Per i cervi, sai, no?»
«È lontano.»
Trish valutò se dire che era d’accordo con lui. Brandon era un vero fusto e più grande di lei, due anni più avanti a scuola. Piaceva a tutte le ragazze. Era piuttosto sicura di piacergli, ma l’aveva chiamata solo poche volte e non le aveva mai chiesto di andare con lui da qualche parte né altro. Le sue amiche ritenevano che fosse importante lasciare i ragazzi parlare di se stessi e comportarsi come se si amassero le stesse cose che facevano loro. Ma Trish non era molto brava a fingere, e questo poteva rovinare le cose.
«Non lontano. Ma ci farà perdere la scuola e tutto il resto.»
«“Miss voti perfetti” rischia di prendere un otto?»
Trish udì un clic sulla linea telefonica. «Qualcuno ha appena preso su la cornetta?»
«Non credo», rispose Brandon. «Pronto, pronto, c’è qualcuno?»
Non ci fu risposta.
Trish ruotò la sedia verso la finestra e parlò più piano. «Anche mia madre non vuole andarci, ma lascia che mio padre mi ci porti. È tipo complice di un rapimento. Dovrei scappare e basta.»
«Esatto. Non lasciare che l’uomo ti metta i piedi in testa.» Trish udì una risata nella sua voce.
«Mi stai prendendo in giro?»
«Sì, un pò. Rilassati. Sarà un bel viaggio. Che culo.»
«Cioè, se lo dici tu.» Si sentiva stupida a cercare di parlare come lui, e non era nemmeno sicura di farlo bene.
«Dove andate?»
«Non lo so. Da qualche parte vicino ad Hunter Corral è quello che ha detto a mia madre.»
«Vi portate tutto con lo zaino?»
«A piedi?»
«No, a cavallo, scema.»
«Oh. Sì. A cavallo. E poi ci accampiamo.»
«Ganzo.»
«Forse dovresti andarci tu al posto mio.»
«O potrei semplicemente venire lassù per un saluto.»
«Quello sarebbe una figata.» Una vampata di calore le fece arrossire di nuovo le guance.
La voce di suo padre tuonò dal fondo delle scale. «Trish, perché la tua borsa non è vicino alla porta? Bisogna che tu venga fuori immediatamente.»
«Devo andare, Brandon.» Si fermò, quasi trattenendo il respiro, sperando che lui si dichiarasse e rendesse le cose ufficiali tra loro. Sarebbe valso qualche secondo in più e l’ira di suo padre.
Tutto quello che disse fu: «Vai, che vai alla grande.»
Parte dello sballo che aveva provato parlando con lui evaporò. Se fosse tornata e avesse scoperto che stava uscendo con Charla Newby, non avrebbe mai perdonato suo padre. Charla. Le faveva venire il vomito. Capelli neri lunghi e ricci, e grandi occhi scuri. Prima classificata nel barrel racing al rodeo giovanile di quell’anno. Charla poteva avere tutto quello voleva, e ultimamente Trish aveva sentito dire che voleva Brandon. «Ehm, sì. Ci becchiamo poi.»