bannerbanner
Le Indagini Di Giovanni Marco Cittadino Romano
Le Indagini Di Giovanni Marco Cittadino Romano

Полная версия

Le Indagini Di Giovanni Marco Cittadino Romano

Язык: Итальянский
Год издания: 2019
Добавлена:
Настройки чтения
Размер шрифта
Высота строк
Поля
На страницу:
3 из 3

Cinque anni dopo il matrimonio, era il 793,10 Marco aveva finalmente compiuto la maggiore età e aveva preso a occuparsi direttamente dei propri affari. Rimasto scettico sulla risurrezione di Gesú, egli era ormai l’unico del gruppo a non aver chiesto il battesimo cristiano.

Intanto la Chiesa, all’inizio composta da circa centoventi persone, s’era allargata e oltrepassava ormai, nella sola Gerusalemme, il numero di tremila anime, nonostante l’ostilità del sinedrio, sfociata in persecuzione causando arresti e omicidi. Parte dei cristiani aveva dunque lasciato la città, iniziando l’evangelizzazione della Samaria e di altre regioni. Oltre a chiese minori, comunità importanti erano state fondate a Damasco e ad Antiochia di Siria, tutte tributarie di quella di Gerusalemme.

Il cugino di Marco, Barnaba, incontrando cristiani a Salamina la cui minima chiesa dipendeva da quella di Antiochia ed era composta da immigrati da quella città, era rimasto turbato dalla loro predicazione. Conoscendo bene le Sacre scritture, s’era persuaso che Gesú fosse proprio il Messia annunciato dai Profeti e s’era convertito. Non avendo figli cui lasciare i propri beni, aveva venduto il suo podere, s’era trasferito con la moglie a Gerusalemme e aveva donato alla Chiesa l’incasso; aveva quindi iniziato a collaborare con Pietro. Conoscendo il greco, lingua internazionale dell’impero, e avendo cultura biblica, era stato presto impiegato come inviato in diverse regioni.

Intanto sul fronte opposto, un uomo nativo di Tarso di nome Saulo, che con Barnaba e per un certo tempo con Marco avrebbe avuto parte importante nella nostra storia, aveva preso a perseguitare cristiani per conto del sinedrio conseguendo rilevanti successi.

Saulo era cittadino romano per nascita, sotto il nome di Paolo, e fariseo seguace del grande maestro Gamaliele di Gerusalemme; avendo fine intelligenza, anche grazie a personali studi aveva raggiunto una cultura profonda. Godeva d’una gran vigoria fisica e d’una forza psichica che debordava in capacità ipnotica, la sua persona esprimeva un grande fascino nonostante fosse afflitto dalla bruttezza: a differenza di Barnaba e di Marco, persone alte, magre, dai fini lineamenti e con molti capelli e una folta barba, Saulo era calvo sin da ragazzo, grasso e piccolo di statura, aveva foltissime sopracciglia e rada peluria sul viso, dal quale esibiva un naso gigantesco. Ormai non gl’importava delle sue miserie fisiche, ma da giovane non era stato così: esse l’avevano reso oggetto di frizzi e di nomignoli rendendo il suo carattere facile all’ira; tuttavia, grazie a un lungo esercizio s’era vinto e ormai da molto tempo, incontrando un ostacolo o, peggio, un atteggiamento ostile, invece di collera vana sapeva esprimere energica ma calma indignazione costruttiva. Rimasto vedovo prematuramente, aveva deciso di dedicare la vita a Dio e, ritenendo di servirlo, nel 787 11 s’era messo agli ordini del sinedrio divenendo cacciatore di cristiani; ma tale servizio sarebbe durato solo per un triennio, poi Saulo sarebbe entrato egli stesso nel novero dei perseguitati. Nel 790,12 mentre per incarico dei suoi superiori si stava recando a piedi a Damasco, con guardie, per individuare e catturare seguaci di Cristo ed era in testa ai suoi, essendo ormai prossimo alla città era crollato di colpo a terra13 come colpito da un’invisibile folgore. Aveva visto, lui solo, il Risorto immerso in uno sfolgorio di luce abbacinante, mentre i suoi uomini avevano soltanto udito le parole che Saulo andava pronunciando nel contempo: prima egli aveva detto con voce possente, gli occhi serrati, come se stesse ripetendo involontariamente quanto stava udendo: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”; aveva quindi chiesto in un sussurro, aprendo gli occhi: “Chi sei tu, Signore?”; s’era risposto, di nuovo con voce potente e a occhi chiusi: “Io sono colui che tu perseguiti. Ora alzati e va’ a Damasco dove ti sarà detto quanto dovrai fare”. S’era ritrovato cieco, gli occhi insanguinati e dolenti; poi il sangue s’era trasformato in crosta che aveva lenito il dolore. Condotto per mano in città dai suoi uomini, che avevano pensato a un male improvviso che l’avesse accecato e inebetito, Saulo era stato alloggiato nella casa d’un ebreo di nome Giuda. Per tre giorni non aveva né mangiato né bevuto nonostante le insistenti premure del padrone di casa, che lo sapeva ragguardevole emissario di Gerusalemme. La terza notte aveva sognato, o udito nel dormiveglia, la voce di Gesú: gli annunciava ch’egli sarebbe stato visitato dal cristiano Anania, il quale gli avrebbe imposto le mani facendogli recuperare la vista. Il mattino dopo gli s’era veramente presentato un uomo di nome Anania che gli aveva detto: “Mentre dormivo e sognavo d’essere in un bellissimo giardino, ho udito pronunciare: ‘Anania’. Io, sentendo con certezza che la voce era quella del Risorto, ho sùbito risposto ‘Eccomi, Signore!’. Egli mi ha ordinato: ‘Vai sulla strada chiamata Diritta, entra in casa d’un certo Giuda e chiedi di Saulo di Tarso, che in questo medesimo istante sta sentendo il tuo nome nella propria mente: è cieco, ma tu gl’imporrai le mani ed egli vedrà’. ‘Signore’, ho ribattuto con apprensione, ‘so ch’egli ha fatto tutto il male che poteva a tuoi seguaci in Gerusalemme! Inoltre ci è giunta voce che sia giunto qui a Damasco per arrestare proprio noi’. La voce del Signore mi ha tranquillizzato: ‘Va’, egli è per me uno strumento eletto per portare il mio nome tanto ai figli d’Israele quanto agli altri popoli e ai loro capi, e quando sarà battezzato io gli mostrerò quant’avrà da soffrire per il mio nome’”. Anania aveva imposto le mani a Saulo cui erano cascate dagli occhi le scaglie di sangue raggrumato e subito egli aveva recuperato la vista: avrebbe inteso essersi trattato d’un segno divino del buio spirituale in cui era vissuto perseguitando i seguaci di Gesú e della luce nella quale stava entrando. Giorni dopo, a casa d’Anania, Saulo era stato battezzato. S’era quindi recato nel deserto dell’Arabia per un ritiro spirituale. Per giorni aveva riflettuto su cosa fare e aveva pregato Dio per ottenere illuminazione, ma senza trovare risposta: Tornare a Damasco e annunciarvi Cristo con Anania e gli altri battezzati? Andare per il mondo predicando il Risorto a chiunque avesse incontrato? Oppure recarsi in Giudea, a Gerusalemme, dov’erano nascosti i capi della Chiesa, cercarli, trovarli e presentarsi loro da pentito, offrendosi di collaborare? ma come avrebbero reagito, non l’avrebbero forse preso per una spia del sinedrio? Una notte, avendo ormai deciso di ripartire il mattino seguente, aveva fatto un sogno rivelatore. Gli era parso di salire in alto fin al terzo cielo e d’arrivare in contatto col Trascendente, quasi viso a viso con Dio: non sarebbe mai riuscito a esprimere chiaramente agli altri l’esperienza, vivissima sebbene vissuta nel sonno, che gli aveva dato una gioia incomparabile. Tuttavia, dopo l’iniziale beatitudine, era apparso al dormiente un viscido e bavoso demonio che l’aveva schiaffeggiato con violenza su entrambe le guance. Quel diavolo era sparito subito dopo, ma non il dolore: Saulo aveva sofferto di lancinanti trafitture nella carne, come se vi fossero state conficcate lunghe spine; e a questo punto aveva udito la voce di Gesú: “Ecco le innumerevoli difficoltà che incontrerai nel tuo apostolato, abbandoni di amici, equivoci, persecuzioni, carceri e malattie, e infine la morte violenta a Roma per decapitazione”.

“Signore”, l’aveva pregato Saulo con parole contratte dal dolore, “se vuoi ch’io sia tuo apostolo, dammi la possibilità d’annunciare l’evangelo fin quando non sarò ucciso: non mettermi intralci sulla strada”.

“Per raggiungere lo scopo ti basteranno il mio amore e la mia benevolenza. Io ti amo! Non preoccuparti e sii certo che, nonostante le molte sofferenze, tu riuscirai. Ci saranno ostacoli che t’impediranno di portare a termine quei progetti che io stesso ti susciterò, ma che t’importa?! Pensa all’illimitato mio amore che si manifesta non solo nell’assoluta forza di Dio ma pure nel misterioso svuotamento della sua potenza, nel mio dolore e nella mia morte per la gloriosa mia Risurrezione. Ti sia sufficiente l’esser amato da me Dio e fatto partecipe del mistero pasquale della mia debolezza e della mia forza; e sarà questo scandalo apparente, anzitutto, che tu predicherai”. Saulo aveva visto allora negli abbandoni degli amici, nelle malattie e negli innumerevoli altri ostacoli che avrebbe incontrato la sua partecipazione alla debolezza del Dio-uomo crocifisso e s’era sentito così amato e sorretto da lui da poter compiere, per volere divino, nella sua propria carne quanto ancora mancava alla Passione di Gesú, anche se nello stesso tempo aveva capito perfettamente che il vero e solo Salvatore dell’umanità era Cristo, e pure che l’unico autore del successo del suo apostolato sarebbe stato lui, il Risorto.

Gesú gli aveva ancora detto, appena prima del risveglio: “Tu fa’ tutto quanto puoi, affidandoti appieno al mio amore che concluderà l’opera per te; e adesso va’ a Damasco e inizia da lì la tua opera”.

L’apostolo era tornato in quella città e, colmo d’entusiasmo, vi aveva predicato per un triennio. Col tempo però, egli aveva suscitato l’odio religioso di ebrei canonici. Verso la metà dell’anno 793 14 costoro avevano deciso in ottima fede, “per onorare il Signore” d’uccidere “Saulo l’eretico”. Informato in tempo da amici, col loro aiuto era fuggito facendosi calare di notte in una cesta dalle mura cittadine. S’era rifugiato a Gerusalemme, nella casa d’una sorella sposata con la quale aveva abitato da quand’era rimasto vedovo, prima del viaggio a Damasco. S’era quindi recato a casa di Marco dove, come aveva saputo tempo prima da Anania, vivevano i dirigenti della Chiesa: era forte d’una sua lettera che lo raccomandava quale ottimo, fidatissimo cristiano. Aveva offerto la sua opera d’evangelizzatore al capo degli apostoli Pietro e a Giacomo Bar Alfeo che aveva affiancato il primo nella direzione dei cristiani di Gerusalemme, essendo sovente impegnato il primo in altri luoghi della Palestina e nella città d’Antiochia di Siria. Nonostante la raccomandazione del buon Anania, Saulo aveva incontrato molta diffidenza: il suo referente era conosciuto dal direttivo della Chiesa, ma la lettera non avrebbe potuto essere falsa?! Solo Barnaba era rimasto convinto e aveva interceduto con forza, a più riprese, riuscendo a dissolvere la sfiducia degli altri. Conoscendo assai bene il greco, Saulo aveva iniziato a predicare la notizia della risurrezione di Gesú Cristo nel luogo di maggiore passaggio, davanti al tempio, a quei giudei ellenisti che avevano come unico idioma quella lingua; senza successo però; peggio, aveva suscitato in loro tale ostilità che anch’essi, come gli ebrei di Damasco, avevano cercato d’ucciderlo. Non c’erano riusciti perché l’apostolo, per un contrattempo, non era passato quel giorno nella via dove, nascosti, l’attendevano armati. Qualcuno dei fratelli di fede aveva però raccolto notizia del fallito agguato e ne aveva avvertito Pietro; dunque Saulo era stato condotto in segreto, da Barnaba e un paio d’altri in funzione di scorta, a Cesarea Marittima e da qui imbarcato alla volta della sua città natale, Tarso. V’era rimasto per quattro anni evangelizzando, per primi ebrei in sinagoga, poi gentili. Essendo ben risaputo in città ch’egli era cittadino romano, s’era trovato relativamente al sicuro: quanto meno, qui nessuno aveva cercato d’ammazzarlo. Alcuni convertiti da Saulo, trasferitisi a Roma, vi avevano portato il Cristianesimo, ancor prima che vi giungesse Pietro anni dopo.

Nel 798 15 Barnaba aveva raggiunto Saulo a Tarso e con lui era partito alla volta d’Antiochia, la cui comunità dei seguaci di Gesú, ormai comunemente detta “i cristiani”, da qualche tempo egli coordinava per incarico di Pietro.

Capitolo VI

(Indice)

Erano passati diciassette anni dalla morte del padre di Marco e quindici dalla nascita della Chiesa e all’imperatore Tiberio erano succeduti sul trono di Roma l’ancor più turpe Caligola e suo zio Claudio.

Il desiderio del giovane di far giustizia dell’uccisore del genitore, nei primi tempi vivissimo, era stato lenito a poco a poco dal tempo, che certo non induce all’oblio per i cari morti e però lascia, a un certo punto, che ne affiori il ricordo solo a tratti e velato. Era stato inaspettatamente dunque che, verso la fine dell’anno 798,16 Marco aveva fatto lo sconvolgente sogno del padre che usciva dalla fossa e lo esortava a visitare la sua tomba e a cercare chi l’avesse ucciso: era stato così reale quel sogno da indurlo a considerarlo una visione mandata da Dio; il dolore per la perdita del genitore era tornato intenso quasi come nel giorno in cui era giunta la lettera di Barnaba con la ferale notizia.

Nella Bibbia e nella tradizione orale giudaica il sogno, ogni sogno, ha grande importanza, induce a vedere la realtà sotto una luce più chiara rivelando cose che durante la veglia appaiono in penombra o che restano celate; ma tanto più importante è il sogno in cui parlino, a volte visibili e altre no, figure angeliche o persone defunte, tutte considerate messaggere di Dio: dal sogno di Giacobbe della scala collegante Cielo e terra e percorsa da angeli, a quello preveggente di suo figlio Giuseppe, ai sogni profetici di Daniele, fino a quelli moderni di Giuseppe padre putativo di Gesú e di altri seguaci del Nazareno, tra cui Saulo Paolo di Tarso, l’accaduto antico e il nuovo, l’attesa del Messia e la sua venuta erano legati dall’onirico filo il quale inoltre, nella vita d’ogni giorno, collegava, secondo il generale sentire, la pesante realtà terrena all’eterna Festa celeste, manifestando insegnamenti e svelando voleri divini per le quotidiane cose.

Così Marco, convinto che il padre gli avesse davvero parlato per ordine di Cristo, pur non arrivando a chiedere il battesimo al suocero né a privarsi dei propri beni come i cristiani, aveva iniziato a operare con Pietro come segretario e, conoscendo bene il greco e il latino, quale interprete e scriba.

Dopo un paio di settimane dal sogno, era accaduto un altro fatto straordinario che Marco aveva inteso come suggello alla sua visione onirica. Si era appena entrati nell’anno nuovo, sempre regnante l’imperatore Claudio, quand’era giunta a Pietro una lettera di Barnaba con cui l’apostolo annunciava il suo arrivo assieme a Saulo: avrebbero condotto due carri con vettovaglie provenienti da una colletta in natura fatta ad Antiochia, in aiuto della Chiesa madre che in quel momento era in grave bisogno a causa d’una carestia scoppiata in tutto l’impero e particolarmente grave a Gerusalemme, dove il cibo in vendita era scarsissimo; manifestava inoltre l’intenzione d’intraprendere con Saulo un giro missionario che avrebbe toccato diverse città, e la speranza che il cugino Marco, di cui conosceva le capacità pratiche, li seguisse ad Antiochia e di qui li accompagnasse nel viaggio quale aiutante amministrativo.

Pietro aveva chiamato suo genero e gli aveva detto: “Figlio mio, forse mi priverò del tuo aiuto?”.

“Ho sbagliato in qualcosa?” s’era turbato Marco.

“No, tutt’altro. Fatto è che Barnaba farà con Saulo un giro d’evangelizzazione in molte città, tra cui Perge dov’è sepolto tuo padre…”

“…Perge?!”.

“Ebbene sì, e tuo cugino vorrebbe che tu accompagnassi lui e Saulo come segretario e amministratore; e avresti la possibilità di visitare la tomba del tuo genitore”: Pietro non sapeva del sogno di Marco perché suo genero l’aveva serbato per sé e dunque, considerando la gran fatica e i gravi pericoli del viaggio e temendo ch’egli fosse restio ad accettare, stava tentando di convincerlo.

Marco, col cuore colmo d’emozione, aveva inteso invece l’invito di Barnaba come il sigillo del Cielo, in assoluta sintonia con quella che ormai s’era rivelata una profezia. Così, con grandissimo trasporto aveva senz’altro aderito.

“Ah no, eh?!” s’era dovuto ricevere tuttavia da sua madre, quand’ella aveva saputo della sua prossima partenza: “È un viaggio pieno di pericoli! Lo sai benissimo che non mi fa nessun piacere che tu giri per il mondo: non ti basta quel che successe a tuo padre?!”.

“Dovrò pur visitarne il sepolcro, prima o poi, non ti pare?” le aveva risposto Marco con tono severo: “Che figlio sarei se l’ignorassi per tutta la vita?! E inoltre dovresti ben sapere che Cristo non vuole vigliacchi. Mamma, non interferire mai più”.

La donna aveva chinato il capo.

Capitolo VII

(Indice)

La nave, salpata da Seleucia presso Antiochia alla volta dell’isola di Cipro, provincia romana senatoria, dopo 155 miglia di non difficile navigazione grazie alle correnti solitamente deboli in quella zona di mare, aveva attraccato nel porto di Salamina, prima tappa del viaggio missionario. Barnaba, Saulo e Marco erano stati alloggiati da un fratello di fede membro della piccola comunità cristiana da cui il primo dei tre era stato a suo tempo evangelizzato.

Gli ebrei erano numerosi in città e c’erano diverse sinagoghe. I due apostoli e Marco, essendo anch’essi giudei, vi avevano libero accesso; così Barnaba e Saulo, accompagnati dal giovane, il primo sabato erano entrati in una di esse e, dopo le comuni orazioni cogli altri partecipanti, avevano predicato Gesú Cristo risorto:

Aveva iniziato a parlare Barnaba, essendo nella sua città e conoscendo molti dei presenti. Preso un rotolo della Torah che riportava insegnamenti del libro Vaykrah, ne aveva letto questo versetto: “Il lebbroso colpito dalla lebbra porterà vesti strappate e il capo scoperto, si coprirà la barba e andrà gridando: Immondo! Immondo! Sarà immondo finché avrà la piaga; è immondo, se ne starà solo, abiterà fuori dell'accampamento”17. Aveva commentato: “Figli d’Israele, ci fu insegnato dai sacerdoti e dagli scribi del tempio di Gerusalemme, ma non dall’Altissimo, che il Signore è l’onnipotente che neppure si può citare per nome, la divinità che si deve servire con timore, e ci fu detto che, quando si tradisca questo dovere, egli castiga, non solo non concedendo la vita eterna ma inviando sventure e malattie al colpevole e ai suoi discendenti; ed è per questo che voi considerate i più gravi fra tutti gli ammalati, gl’inguaribili e intoccabili lebbrosi, come peccatori imperdonabili, sebbene il precetto che vi ho appena letto avesse in origine solo e soltanto uno scopo igienico, evitare il contagio, senz’alcuna condanna morale per l’ammalato. Ebbene, figli d’Israele, Gesú, il Messia che noi predichiamo, aveva dato un fortissimo segno di chi è davvero l’Altissimo proprio toccando e guarendo un lebbroso! Secondo la spietata mentalità diffusa da sacerdoti e scribi, il Messia si sarebbe in tal modo reso impuro nel cuore, sebbene egli avesse toccato l’intangibile per carità al fine di mostrare, ancor prima di sanarlo, che il poveruomo, come tutti i suoi simili, nient’affatto era un peccatore colpito dal Cielo; ed era stato proprio grazie all’amore di Gesú verso quel malato che lo Spirito, che è l’assoluto Amore, aveva operato il miracolo di guarigione. Amici! Durante tutta la sua vita il Messia del Padre celeste s’era impegnato a ribaltare il sentire da schiavi di noi figli d’Israele, da gran tempo ormai sottomessi acriticamente al potere dei sacerdoti e dei dottori della Legge trascurando gl’insegnamenti ricevuti a mezzo dei Profeti del Signore. Gesú aveva rivelato che, per l’Altissimo, purità e impurità sono nelle nostre decisioni buone o cattive, non nei gesti cultuali individuali e neppure nei riti religiosi collettivi inventati dai capi dei giudei; e aveva svelato che Dio, per amore, si pone lui al servizio degli uomini e non domanda affatto d’esserne servito: ci chiede invece d’imitarlo amandoci e aiutandoci gli uni gli altri. Gesú era stato il primo a prestare servizio al suo prossimo dando l’esempio, lui l’Unto del Padre s’era abbassato a servo insegnando che allo status di capo non deve corrispondere il comandare e l’essere servito, come invece pensano i sacerdoti e gli scribi, ma il servire: sappiate, amici, che nel corso dell’ultima cena coi suoi, com’è testimoniato dagli stessi discepoli ch’erano a tavola con lui e che noi personalmente conosciamo, prima d’essere arrestato e ucciso egli, per dare un segnale indelebile del suo insegnamento, alzatosi e toltosi il mantello, simbolo d’autorità, s’era cinto il grembiule, segno di servizio, e aveva lavato e asciugato i piedi ai suoi; infine aveva comandato: ‘Anche voi dovete lavarvi i piedi tra di voi. Infatti vi ho dato un esempio perché operiate come me; e voi pure dovete essere di modello al mondo’. Gesú era rimasto tuttavia il maestro e ne aveva dato mostra quando s’era cinto di nuovo il mantello, s’era riseduto a mensa quale capotavola e aveva preso a insegnare; ma attenzione, cari fratelli! egli non s’era tolto il grembiule e aveva mostrato così che Dio stesso è per sempre al servizio spirituale degli uomini; Gesú infatti, poco dopo, aveva detto ai suoi: ‘Chi ha visto me ha visto il Padre’. Sì, bisogna dare amore concreto ai propri simili: è così anzitutto che s’adora l’Altissimo!”.

Конец ознакомительного фрагмента.

Текст предоставлен ООО «ЛитРес».

Прочитайте эту книгу целиком, купив полную легальную версию на ЛитРес.

Безопасно оплатить книгу можно банковской картой Visa, MasterCard, Maestro, со счета мобильного телефона, с платежного терминала, в салоне МТС или Связной, через PayPal, WebMoney, Яндекс.Деньги, QIWI Кошелек, бонусными картами или другим удобным Вам способом.

Конец ознакомительного фрагмента
Купить и скачать всю книгу
На страницу:
3 из 3