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Le Indagini Di Giovanni Marco Cittadino Romano
Il levita aveva dedicato i sette giorni seguenti a purificarsi dalla contaminazione del cadavere, secondo le norme mosaiche di purità contenute nel libro della Torah Bemidba: ââ¦chi avrà toccato un cadavere umano sarà immondo per sette giorni. Quando uno si sarà purificato con quell'acqua il terzo e il settimo giorno, sarà mondo; ma se non si purifica il terzo e il settimo giorno, non sarà mondoâ2.
Compiuto il rito, lâottavo dì sâera imbarcato per Salamina con le sue sementi. A casa aveva scritto e affidato a un corriere una lettera per la moglie e il figlio di Gionata Paolo, con dettagliate notizie sulla tragedia. Non aveva chiesto loro il rimborso, al netto dei pochi spiccioli del defunto che aveva trattenuti, dei costi della sepoltura e del forzato soggiorno a Perge per altri sette giorni: a differenza dello zio, Barnaba considerava il denaro un mero strumento e non una gratificazione del Signore per i giusti; peraltro seguiva sì i 10 comandamenti di Mosè, il precetto della decima al tempio e le norme di purità ma, come moltissimi altri suoi correligionari, non scendeva a minute bigotterie nonostante, secondo i pignoli dottori della Legge, tutti dâorigine farisaica, fossero da ritenersi giusti solo coloro che si sforzavano di rispettare, comâera stato per il padre di Marco, tutti i 613 precetti della Legge nessuno escluso, tra i quali figuravano addirittura obblighi come quello di recitare, ogni volta che ci si ritirava al gabinetto, questa preghiera di benedizione: âSii tu benedetto, Signore nostro re dellâuniverso, che hai fatto lâuomo con sapienza e hai creato in lui molti fori e vani. à rivelato e si conosce dinanzi al Trono della tua Gloria che se uno di questi sâaprisse o uno di quelli si serrasse, sarebbe impossibile vivere e rimanere davanti a te. Benedetto sei tu Signore, che curi ogni corpo e agisci magnificamenteâ3.
Ben si comprende quanto il lutto avesse gettato nellâafflizione il giovane Marco e sua madre. La vedova Maria, quando finalmente sâera data pace, aveva venduto per conto del figlio, unico erede di Gionata Paolo, il bazar di tappeti, causa indiretta della morte del diletto marito e padre, e aveva investito il ricavato in un bellâappezzamento di terreno in aggiunta a quelli già posseduti: aveva ragionato che, così, Marco non avrebbe dovuto fare viaggi lunghi e pericolosi per acquistare merce; aveva inoltre vietato al figliolo dâandare a Perge a visitare la tomba paterna, perché âdi morti in casa, ne basta e avanza già unoâ e, peggio ancora, dâandarvi a cercare gli assassini, come lui avrebbe voluto: âUnâideaâ, lâaveva rimproverato con fermissimo tono, âdel tutto assurda, che poteva venire in mente solo a un bambino come teâ.
Capitolo IV
(Indice)
Erano passati due anni dallâomicidio ed era il venerdì 6 aprile della settimana di Pasqua dellâanno di Roma 783.4 Era tramontato da poco il sole del giovedì e, col primo buio, era iniziato il giorno pasquale sia per il popolo sia per la chiusa setta degli esseni che computavano la data di Pasqua seguendo il calendario solare; invece per le sette dei sadducei e dei farisei il gran giorno sarebbe stato solo lâindomani, ché stabilivano la solenne ricorrenza secondo il calendario lunare, onde per loro il 6 aprile di quellâanno era solo la parasceve, cioè il giorno dei preparativi. 5
Un rabbì originario di Nazareth di Galilea e dodici suoi seguaci sâerano riuniti al primo piano della dimora amica di Marco e di sua madre, per celebrare la cena pasquale entro la città santa di Gerusalemme comâera prescritto a tutti gli ebrei quando possibile. Lâagnello tradizionale di Pasqua che sarebbe stato consumato dai tredici al culmine del solenne convivio era stato comprato dal discepolo del rabbì e tesoriere del gruppo Giuda Bar Simone detto lâIscariota6 e presentato al tempio dovâera stato ritualmente scannato da un ministro del culto.
La vedova di Gionata Paolo aveva conosciuto il maestro nazareno nella prossima Betania in casa delle amiche Marta e Maria e del loro fratello Lazzaro, e affascinata dal carisma dellâuomo ne era divenuta spiritualmente seguace. Per simpatia, gli aveva concesso il proprio cenacolo perché potesse celebrare coi suoi la cena pasquale nella città , al riparo da occhi nemici; la sua vita era infatti minacciata dai membri del consiglio supremo giudaico di Gerusalemme, il sinedrio, in cui sedevano sacerdoti, scribi e certi anziani della comunità , ricchi potenti che tramavano per arrestarlo al più presto e consegnarlo al tribunale romano con unâaccusa passibile di morte, poiché li aveva pubblicamente criticati e ingiuriati sulla piazza antistante il tempio. Per quei potenti non si trattava solo di vendetta, essi lo temevano perché in suoi insegnamenti erano una minaccia continua per loro; egli insegnava infatti, senza mezze parole, che in ogni tempo i capi delle collettività non devono esigere dâesser lodati e serviti ma, al contrario, devono essere a disposizione del popolo; e affermava che lâEterno aveva stabilito che purità e impurità dâun essere umano non stanno nellâadempiere o no i precetti formali della Legge, non nel commissionare per adorazione sacrifici dâanimali7 e offerte di primizie e nello svolgere i rituali inventati da sacerdoti e dottori della Legge per averne prestigio e guadagno, ma nelle scelte dâamore o di odio per il prossimo. Se questi insegnamenti avevano allarmato assai i capi dâIsraele, avevano all'inverso entusiasmato molti come la Maria la vedova.
Il giovane Marco non era fra i seguaci del rabbì, ma essendo ufficialmente il padrone di casa e religiosamente maggiorenne da un biennio,8 avrebbe avuto il diritto di stendersi al posto dâonore sulle stuoie della mensa pasquale assieme agli invitati. Se nâera tuttavia astenuto perché, seguendo gli usi farisaici paterni, egli con la madre e i servi avrebbe festeggiato la Pasqua la sera seguente, e difatti un altro agnello era stato immolato per loro nel tempio. Dunque i tredici erano stati lasciati soli nel cenacolo, completamente liberi di celebrare la festa fra di loro.
Inaspettatamente, a un certo punto della serata uno del gruppo, quel Giuda che aveva provveduto allâagnello, era sceso spedito al pian terreno con una brutta smorfia sul volto, le guance porporine, e aveva infilato la porta di casa senza nemmeno salutare Marco, châera nellâatrio. Il giovane sâera chiesto se quellâuomo avesse ricevuto un improvviso, urgente incarico dal maestro, al suo carattere piaceva infatti moltissimo indagare su fatti in ombra; ovviamente avrebbe voluto, prima di tutto, scoprire e far arrestare gli assassini del padre, ma ormai lo riteneva irrealistico: mancava qualche anno ancora allo straordinario sogno che lâavrebbe spinto a investigare. Non vedendo più tornare Giuda, la curiosità del ragazzo sâera accresciuta. Quando il gruppo del nazareno aveva lasciato la casa dietro al maestro per recarsi a dormire, su concessione di Maria, nel capanno dellâuliveto detto Getzemani che Marco aveva ereditato, il giovanissimo proprietario aveva detto alla madre che avrebbe accompagnato i dodici, sarebbe rimasto anchâegli per la notte e avrebbe fatto rientro alle prime luci: sâaugurava in cuor suo che, cammino facendo, avrebbe conosciuto le ragioni dellâuscita imprevista dellâIscariota e del mancato suo ritorno.
Maria restava assai protettiva verso il figlio, come di norma le madri ebree, almeno in quei tempi; allarmata, aveva esclamato con tono acceso, pur sapendo che le sue parole non sarebbero servite affatto contro la testardaggine del ragazzo: ââ¦ma cosa vai a fare là di notte?! à mai possibile che tu debba sempre farmi preoccupare? Perché non ascolti per una volta la tua mamma?!â.
Maria aveva solo quindici anni più del figlio ed era ancora una bella donna, piccolina ma dai tratti fini e un corpo florido che molto piaceva in quei tempi, e terminato il periodo del lutto aveva ricevuto proposte di matrimonio da diversi vedovi, anche perché avrebbe ereditato beni alla morte dei propri genitori: proposte tutte rifiutate in quanto la donna aveva deciso di dedicarsi interamente a Marco.
Con viso mesto, senzâaggiungere altre parole la madre aveva ordinato ai servi di preparare lâoccorrente, tre lanterne per illuminare la via e tredici teli di lino dove avvolgersi durante il sonno. Quattro dei discepoli sâerano caricati le lenzuola, tre avevano avuto ciascuno una lampada accesa e il gruppo sâera avviato dietro al maestro, con in coda Marco châera uscito ignorando la madre: Maria sâera piantata appena fuori dalla porta e aveva seguito muta il suo passaggio, cogli occhi umidi, accompagnandolo poi con lo sguardo finché il gruppo non era sparito alla vista.
Il rabbì nazareno era silenzioso, assorto in qualche grave pensiero. I suoi, per non infastidirlo, parlavano a bassa voce e a Marco parevano inquieti: forse temevano un arresto? Eppure, ragionava il giovane, era impossibile che quegli uomini venissero rintracciati nellâuliveto, fuori città e al buio, e certo si sarebbero messi in salvo se, ancor prima dellâalba, avessero lasciato la zona e fossero tornati nella loro Galilea; tanto ormai, soggiungeva a sé stesso, avendo soddisfatto lâimpegno dei festeggiamenti pasquali a Gerusalemme, non avevano più motivo di restare.
Marco non aveva resistito per molto e aveva domandato allâappena più anziano di lui Giovanni Bar Zebedeo, châera in coda al gruppo al suo fianco e, unico, pareva del tutto tranquillo: âPerché il tuo condiscepolo ha abbandonato quasi di corsa la cena e non è più tornato?â.
âAveva avuto un improvviso incarico dal maestroâ, aveva risposto lâaltro confermando la sua ipotesi, âma quale non saprei perché gli aveva parlato a bassa voce. So che, in tono più alto, lâaveva infine esortato dicendogli: âQuello che devi fare, fallo presto!â. Avevo presunto lâavesse inviato a cercare altre provviste, ma visto che Giuda non è più tornato, ora non saprei che pensare, né oso chiederlo al rabbìâ.
Era intervenuto Giacomo Bar Alfeo, parente del maestro, che procedeva sùbito innanzi ai due e voltando la testa aveva sussurrato al condiscepolo: âIo non sono affatto tranquillo dopo che, a cena, il rabbì ci ha annunciato che uno di noi lo tradirà e lui sarà arrestato, mentre noi fuggiremoâ.
âIl traditore non potrebbe essere Giuda?â sâera frapposto Marco.
âMahâ, aveva considerato Bar Alfeo, sempre sottovoce, âil maestro gli avrebbe dato un incarico di fiducia se avesse sospettato di lui?! e poi, solo dopo che Giuda era uscito ci ha detto che lâavremmo abbandonato, perciò penso che il rinnegato sia tra noi undici, anche se certamente non sono ioâ.
ââ¦e nemmeno io! e non lâabbandonerò mai!â sâera risentito Giovanni, come se lâaltro avesse sospettato proprio di lui; e aveva proseguito: âHai trascurato dâaggiungere che il maestro ha pur detto che uno di noi invece non fuggirà e sarà con lui fino alla morte; e io sento dâessere quel discepoloâ: la sua voce appassionata aveva attratto lâattenzione di tutto il gruppo compreso il rabbì, il quale sâera fermato e voltato. A questo punto era stato tutto un vociare rivolto al maestro, per primo un certo Simon Pietro che aveva esclamato: âIo non ti lascerò mai, mai, mai!â; suo fratello Andrea, per non essere da meno aveva espresso con foga: ââ¦e figuriamoci un poâ se me ne andrò io, rabbonì!â, parola che significa maestro mio ed esprime la massima devozione possibile verso il proprio rabbì; da Giacomo Bar Alfeo era giunto un urlo, o quasi: âNon dare retta a Giovanni! Sono io quello che non tâabbandonerà â; un tale di nome Taddeo aveva espresso: ââ¦e chi potrebbe lasciarlo, un maestro come te?!â; insomma, uno per uno tutti avevano promesso assoluta fedeltà ; quindi, per buon peso, nemmeno si fossero messi dâaccordo prima, avevano pronunciato allâunisono: âNessuno di noi tâabbandonerà mai, o rabbonì!â.
âPietro, tu che hai promesso per primo sappi che, avanti che il gallo canti due volte, tu mâavrai tradito tre volteâ, aveva profetizzato il maestro, âe come avevo annunciato, tutti voi tra poco scapperete, a parte uno: e dico adesso châegli è il giovane Giovanniâ. Quindi, impartito lâordine di non parlare più, il maestro sâera di nuovo immerso nei propri pensieri.
Giunti al podere Getzemani, Marco e otto degli undici erano entrati nellâampio capanno degli attrezzi e sâerano stesi sul pavimento, nelle aree libere da utensili, per prendere sonno; invece i discepoli Simone Bar Giona detto Pietro e i fratelli Giovanni e Giacomo Bar Zebedeo, obbedendo a un ordine del maestro, avevano cercato, ma sarebbe stato un vano tentativo, di restare svegli in preghiera con lui, tra gli ulivi.
Appena un paio dâore dopo, era il momento più buio della notte, sâera finalmente capito che, proprio come Marco aveva sospettato, il traditore annunciato era Giuda. Ecco che lâIscariota era apparso alla testa di guardie del sinedrio che impugnavano spade e bastoni e aveva identificato il rabbì, châera stato arrestato. Sapendo dellâintenzione del maestro di salire allâuliveto per la notte, il cattivo discepolo ne doveva aver informato i capi dâIsraele che avevano capito di poter arrestare segretamente lâodiato e pericoloso nazareno approfittando dellâoscurità e dellâisolamento della zona, senza correre il rischio dâuna sollevazione della piazza che simpatizzava per lui. In realtà il giorno dopo la stessa, soggetta come sempre alle ultime, superficiali suggestioni, istigata da agenti del sommo sacerdote Caifa avrebbe chiesto a Pilato che lâarrestato fosse tolto di mezzo9.
A Giuda, come si sarebbe saputo in Gerusalemme, erano venute in compenso trenta monete dâargento, il prezzo dâuno schiavo robusto o dâun piccolo campo. Lâesortazione che il maestro gli aveva lanciato, âQuello che devi fare, fallo prestoâ, poteva aver adesso un significato, poteva trattarsi, come avrebbe riflettuto Marco, del desiderio del nazareno di non restare troppo a lungo preda dellâansietà : il rabbì doveva aver realizzato di non avere più scampo, che ormai, essendo troppo inviso ai capi dâIsraele per glâinnumerevoli attacchi loro rivolti, ovunque fosse andato sarebbe stato trovato e, dunque, che fosse inevitabile il suo martirio; conosciuta lâintenzione di Giuda di denunciarlo, doveva averla accolta come una liberazione dallâangustiante attesa e per questo, informato il discepolo che sapeva tutto, doveva averlo esortato a non indugiare.
Al trambusto châera seguito allâarrivo delle guardie, i nove che riposavano nel capanno sâerano svegliati ed erano corsi a vedere. Marco, che per essere più comodo dormiva senzâabiti avvolto nel telo, in tale stato era uscito allâaperto. Un soldato, temendo châegli nascondesse unâarma sotto il lenzuolo, glielâaveva tolto violentemente e il giovane, rimasto nudo, era fuggito precipitosamente nel buio. Sâera fermato più in là a riprendere fiato, accosciato dietro a un ulivo plurisecolare, battendo i denti per il freddo della notte e maledicendo la sua abitudine di dormire nudo. Aveva udito passi in fuga di molti uomini: in seguito avrebbe saputo trattarsi dei discepoli dellâarrestato che, avendogli promesso di non abbandonarlo mai, stavano scappando a precipizio. Molto tempo dopo, quandâera stato proprio sicuro che le guardie avevano abbandonato il luogo dellâarresto e il Getzemani era rimasto deserto, il giovane era tornato al capanno per riprendersi gli abiti. Rivestitosi, sâera diretto cautamente a casa. Giuntovi, aveva raccontato gli ultimi eventi alla madre che, non appena realizzato il pericolo che Marco aveva corso, lâaveva sgridato severissima: âHai visto cosa succede a disubbidire alla mamma?! Diventa un figlio buono! Perché mai sei così cattivo con me?â. Solo dopo lo sfogo sâera preoccupata del maestro arrestato.
Genitrice e figlio avevano saputo il resto degli avvenimenti dai discepoli del rabbì Pietro e Giovanni: tutti gli undici, come lo stesso Marco, erano sfuggiti nellâoscurità allâarresto, ma nove erano sùbito tornati alla spicciolata nel cenacolo mentre i primi due avevano seguito di nascosto gli avvenimenti fin allâalba; quindi Pietro sâera rifugiato anchâegli a casa di Maria e Marco e aveva riferito loro quantâaveva vissuto, mentre Giovanni aveva ancor assistito alla morte del nazareno in croce prima di rientrare e narrare lâultimo atto della tragedia. In breve: nella notte il rabbì era stato condannato ufficiosamente da quei membri del sinedrio che il sommo sacerdote era riuscito a riunire col buio nel proprio palazzo, quindi alle prime luci era stato condotto in vincoli al procuratore Ponzio Pilato per ottenerne lâufficiale sentenza di morte quale sedizioso, condanna capitale che, in base agli accordi con Roma, il sinedrio non poteva più comminare sia che fosse riunito informalmente e senza tutti i membri, come quella volta, sia che lo fosse ufficialmente e in seduta plenaria; Pilato, per chetare la folla aizzata dai sacerdoti, aveva fatto flagellare il prigioniero orribilmente e poi lâaveva condannato alla morte in croce sul luogo delle esecuzioni, la collinetta di poco fuori le mura detta Calvario.
Allâalba del terzo giorno dopo la morte del maestro nazareno, alcune sue seguaci che avevano partecipato alla sepoltura e conoscevano lâubicazione del suo sepolcro vi sâerano recate per rendere gli onori funebri alla salma ungendola, non essendo stato possibile quandâera stata calata dalla croce, verso il tramonto del sole del venerdì e perciò poco prima del sabato, giorno per gli ebrei del sacro riposo. Del tutto inaspettatamente, le brave donne avevano trovato la tomba aperta e, come avrebbero testimoniato, ma senzâessere credute, avevano visto un giovane uomo vestito di bianco, seduto sulla pietra sepolcrale, il quale sâera rivolto loro affermando che il crocifisso era risorto, e chiedendo di riferire agli undici lâordine del maestro di recarsi in Galilea dovâessi lâavrebbero rivisto. Erano rimaste esterrefatte e invece dâobbedire avevano vagato senza meta per Gerusalemme; finalmente una di esse, una certa Maria originaria di Magdala, nel passare davanti alla casa di Maria la vedova, sua amica, sâera risolta a entrare e a riportarle lâaccaduto. La madre di Marco lâaveva introdotta presso gli undici, ai quali finalmente la donna magdalena aveva riferito gli ultimi straordinari fatti. Tutti, a parte il giovane discepolo Giovanni, erano rimasti increduli e sâerano detti lâun lâaltro allâincirca così: Come si potrebbe dar fiducia alle donne?! Nemmeno hanno diritto di testimoniare in giudizio persino sulle più banali cose, figurarsi se sarebbe possibile prestar fede a tale notizia. Un messaggero del Cielo?! Isteria femminile. Anche Marco era restato scettico, pur imprimendosi in mente le parole della donna. Giovanni invece aveva voluto andare al sepolcro e Pietro, mosso da curiosità , fattosi coraggio lâaveva seguito. Erano stati guidati da Maria di Magdala perché, non avendo partecipato alla sepoltura, non conoscevano la tomba. Lâavevano trovata veramente aperta e vuota, se non per i lini sepolcrali.
âUn furto del cadavere da parte del sinedrio?â aveva proposto Pietro a Giovanni.
Dopo averci riflettuto, avevano concluso che i capi dâIsraele non avrebbero avuto alcun vantaggio dalla scomparsa del corpo, anzi al contrario essi non avrebbero voluto di certo accreditare voci di prodigi. I due avevano inoltre ragionato che sarebbe stato assai più comodo per i ladri, e del tutto naturale, portare via il corpo avvolto nel lenzuolo, non svolgerlo prima di trasportarlo; e per di più, avevano notato che il funebre tessuto di lino in cui era stato avvolto il cadavere giaceva non in disordine ma semplicemente afflosciato, come se la salma fosse svanita al suo interno. Avevano concluso che, a meno che terzi ignoti avessero organizzato una messa in scena per misteriosi motivi, il crocifisso doveva essere davvero risorto.
âCâè ancora oscurità sufficiente per non crederlo, caro Giovanni, ma câè chiarore bastante per crederloâ, aveva detto Pietro, più a sé stesso però che al suo compagno.
Il giorno dopo gli undici erano partiti per la Galilea, non solo nella possibilità che il loro maestro vi apparisse davvero, ma per togliersi finalmente dai pericoli.
Quanto a Giuda Iscariota, era corsa voce in Gerusalemme che si fosse suicidato dopo aver restituito il prezzo del venduto e aver chiesto vanamente dâesser giudicato dal sinedrio come accusatore insincero dâun uomo retto. Marco, uditi questi fiati e avendo saputo da Giovanni che il traditore era giunto dallâambiente dei rivoluzionari zeloti, aveva supposto châegli avesse denunciato il nazareno pensando che lâarresto avrebbe causato una sollevazione popolare la quale avrebbe posto il maestro sul trono dâIsraele; e Giuda si sarebbe confortato nellâidea quando il rabbì stesso non solo gli aveva detto di conoscere la sua intenzione di denunciarlo ma, addirittura, lâaveva esortato a non indugiare; visto però lâesito opposto, il traditore si sarebbe sentito colpevole secondo le leggi di Mosè dâaver denunciato un innocente e, poiché il sinedrio non lâaveva voluto processare e condannare, si sarebbe giustiziato da solo: Marco aveva buon cuore, invece il giudizio morale di molti su Giuda sarebbe stato dâassoluta condanna.
Un giorno i fatti raccolti da Marco in quei giorni e altre notizie sul maestro nazareno châegli avrebbe avuto da Pietro sarebbero confluiti in un suo libricino, âVangelo di Gesú Cristo Figlio di Dioâ: sarebbe stato proprio Marco a inventare il genere letterario vangelo, cioè buona notizia; ma ciò sarebbe avvenuto molti anni dopo, al di là della nostra storia.
Due settimane dopo aver lasciato Gerusalemme, gli undici erano tornati e avevano bussato a casa di Marco e sua madre. Avevano raccontato loro che Gesú di Nazareth era veramente apparso loro in Galilea ordinando di tornare a Gerusalemme a predicare la buona notizia della sua risurrezione e della salvezza eterna venutane agli esseri umani, e di allargare in seguito questo vangelo a tutte le nazioni.
Marco era rimasto incredulo. Aveva suggerito a Pietro: ââ¦e se aveste avuto pure e semplici allucinazioni?â.
âCrediamo proprio di noâ, aveva risposto il capo dei discepoli, ânoi tutti abbiamo ormai più che sufficiente luce per credere, anche se comprendo che, per te e per chiunque non abbia visto il maestro risuscitato, ci sia bastante buio per poter non credere. Sai? sento che sarà ovunque e sempre così: luce e ombra, fiducia e no nella nostra testimonianza su Gesú risorto sâaccompagneranno sino alla fine del mondoâ.
A differenza di Marco, Maria aveva glorificato il maestro, del tutto convinta che fosse risuscitato davvero, anche se non lâaveva visto. Gli apostoli, cioè glâinviati come ormai gli undici si definivano, le avevano chiesto di pregare il figlio dâacconsentire ad averli ancora suoi ospiti. Il giovane, nonostante il personale scetticismo, per amore della sua mamma aveva accettato. Così la sua dimora era divenuta la sede del direttivo della neonata Chiesa.
Senza queste occasioni e frequentazioni, Marco non si sarebbe mai trovato nella situazione di poter indagare sullâassassinio del proprio padre.
Capitolo V
(Indice)
Compiuti i ventâanni, il giovane sâera sposato con lâunica figlia di Pietro, la quattordicenne Ester. Il matrimonio era stato combinato dai relativi genitori, comâera allora usuale in Israele. Si trattava dâuna brava giovane che, sottomessa al marito come di norma le spose giudee in quel tempo, si sarebbe parzialmente compensata, come tutte loro, esercitando ferrea autorità verso i figli minorenni e, a volte, tentando dâinfluire su di loro anche dopo, così come ancor cercava di fare Maria con Marco anche se con poco successo. Ester aveva accolto glâinsegnamenti religiosi del padre ed era credente in Gesú Cristo risorto. A differenza della suocera la sua cultura era quasi nulla ma ciò, nellâambiente antico, era normalmente considerato per una donna un merito più che un difetto. Avrebbe dato figli a Marco e, a causa dei molti viaggi che il marito avrebbe intrapreso anni dopo, sarebbe rimasta sovente senza di lui, nellâombra della loro casa in Gerusalemme. Fin dâora possiamo farla uscire dalla nostra storia.