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Vivere La Vita
In pochi minuti, siamo arrivati al nuovo stadio, dove eravamo andati insieme per il lavoro volontario.
Non l'avevo ancora visto finito, anche se una piccola parte riuscivo a vedere dalle nostre finestre di casa.
Era diventato molto bello.
Sembrava immenso.
Appena entrati, sono rimasto un po' deluso, perché ho visto sul campo giocare già le due squadre, ma e subito tornata la tranquillità , quando mio papà mi ha detto che erano le squadre juniores. Le prime squadre dovevano, come sempre, cominciare appena finita quella partita. Non eravamo in ritardo come ho pensato, ma in anticipo e questo mi ha aiutato a vedere bene ogni cosa prima dell'inizio della vera partita.
Era tutto molto bello, molto interessante e non c'era niente che non mi piaceva.
Mi chiedevo soltanto, mentre vedevo quei ragazzi grandi a giocare, se le prime squadre erano molto più veloci di loro e se sarei riuscito a vedere e capire bene tutto. Non era più come a casa in televisione, dove le cose più importanti le facevano vedere più di una volta.
Non lo so quanto e come vivevo tutto ciò, ma so che mio papà ogni tanto mi guardava, ogni tanto mi sorrideva senza dirmi nulla e quasi ogni due minuti mi diceva di sedermi di nuovo, perché sarei riuscito a vedere anche da seduto le stesse cose.
Quando la partita delle giovanili è finita, sul campo sono entrate le prime squadre.
Era tutto così bello che in quel momento non potevo assolutamente restare seduto.
Vederli uscire dagli spogliatoi da squadra, tutti in fila, il modo di correre, di toccare il pallone, vedere dal vivo il modo come erano vestiti, il riscaldamento fatto in gruppo, molto organizzati.
Tutto bellissimo.
Anche se erano di terza serie e quelle che vedevo in televisione erano partite di prima, mi sembrava tutto molto più interessante dal vivo. Vedendo tutto ciò, il mio pensiero è subito volato e mi chiedevo come poteva essere, vedere dal vivo una partita di prima serie, della squadra che era nella città più grande della nostra vallata.
Mi gustavo tutto in pieno.
Preso come ero, ho soltanto sentito mio padre quando sorridendo, mi chiedeva se ero diventato sordo.
Ero sempre in piedi ed ero ancora vicino a mio padre seduto, soltanto perché c'erano le gradinate.
Mentre le squadre, laggiù sul campo continuavano a riscaldarsi, mio papà ha cominciato a raccontarmi di sapere che in quella primavera, perché saliti in terza serie, dovevano far' nascere anche la squadra dei pulcini. Non lâho lasciato neanche finire, perché li ho subito chiesto cosa avrei dovuto fare per andarci anch'io.
La prima risposta e stata che dovevo continuare ad essere bravo come prima, in tutto quello che facevo già .
E quando sentivo tutto, era tutto.
Da tutto quello che facevo a scuola, a tutto quello che facevo a casa, ma non ho dato importanza e non ero preoccupato per questa condizione.
Era la stessa da sempre e non mi pesava.
Tutto quello che facevo, lo facevo in quel modo perché mi piaceva e non perché qualcuno me lo chiedeva, oppure perché dovevo farlo. Senza neanche lasciarlo finire, li ho detto che per me, quel accordo andava benissimo.
Ha fatto in tempo a dirmi che se le cose stavano cosi, chiedeva quando facevano le selezioni e mi portava.
Poi e cominciata la partita.
Con quello che mi aveva appena detto, i calciatori della nostra squadra, li sentivo già i miei compagni più grandi.
Quella notizia così bella e così importante che mio papà mi aveva dato, mi ha messo le ali sotto i piedi e pensando all'accordo fatto con lui, tutto quello che facevo, lo facevo con ancora più interesse, più determinazione, scoprendo anche tutti i giorni cose nuove e molto interessanti.
Studiavo con ancora più fame e sete di sapere.
Mi impegnavo sempre di più, anche con dei miei amici che a scuola capivano di meno ed avevano bisogno di aiuto.
Aiutavo anche qualche ragazza della mia classe a trovare nelle industrie della città , il ferro vecchio necessario da portare al centro di raccolta, per il piano economico.
A casa, appena arrivato dalla scuola, mi toglievo subito la divisa e la mettevo sempre apposto nell'armadio.
Dopo che studiavo, mettevo sempre tutto in ordine e mi preparavo già la borsa da scuola per il giorno dopo, prima ancora di andare fuori casa a giocare con i miei amici. Andavo senza problemi, quando mia mamma mi mandava, a comperare il pane, a buttare l'immondizia, oppure quando dovevo fare altre cose per la casa che da bambino riuscivo a fare.
Andavo a fare le stesse cose, anche per qualche vicino più anziano e che chiedeva a mia mamma il permesso di poterlo aiutare.
In quel periodo, anche la maestra compagna comandante, che purtroppo dovevo vedere negli incontri periodici dei comandanti di classe, mi sembrava meno aggressiva, meno cattiva e forse anche meno brutta.
Ogni partita di calcio che facevamo sul nostro âMaracanaâ in terra rossa, d'avanti al condominio, per me era già un allenamento per le future prove e quando è arrivato il grande giorno, ero più che preparato.
Ero pronto.
Scendere sul prato verde dove giocava la prima squadra e che avevo visto soltanto dalla tribuna fino in quel momento, era già un grande traguardo.
Sentire il profumo del' erba ed il fruscio dei passi sul campo di gioco, una cosa unica.
Vedere che sul prato eravamo entrati soltanto noi bambini ed i genitori stavano tutti a bordo campo senza poter entrare, mi faceva già sentire un po' importante e mi aiutava a non pensare al numero immenso dei bambini che eravamo ed al numero limitato dei pulcini da selezionare.
Ancora meno al fatto che ero tra i più piccoli.
Poi, quando è arrivato il futuro allenatore con il magazziniere che aveva una grande sacca di rete con tanti palloni di cuoio dentro, subito qualcosa è cambiato.
Si sentiva che dovevamo cominciare a fare sul serio.
Non avevo mai visto da vicino un pallone di cuoio, non l'avevo mai toccato, non vedevo l'ora di farlo.
L'allenatore ci ha messi su due fila, dai più grandi ai più piccoli e ha cominciato a farci fare degli esercizi fisici per il riscaldamento.
Dopo un bel po' di esercizi, ci ha fatto fare dei passaggi tra di noi con il pallone.
Purtroppo, prima ancora di capire come andava quel pallone, ci ha fermati.
Cominciava la selezione.
Ha cominciato dai più grandi, ed uno a uno, chi veniva chiamato, andava nella zona di campo più lontana ai genitori.
Vedevo, l'allenatore che prima parlava con ognuno dei ragazzi, poi faceva fare loro delle cose con il pallone. A qualcuno di più ed a qualcun' altro di meno e poi scriveva qualcosa sul quaderno che aveva in mano.
Subito dopo, l'allenatore diceva qualcosa ad ognuno di loro.
Non eravamo abbastanza vicini per capire cosa succedeva, ma vedevo alcuni ragazzi alla fine, saltare di gioia, altri, andare via con la testa bassa, altri ancora, andare via piangendo.
Le gambe mi stavano quasi facendo male aspettando il mio turno.
Quando è arrivato, eravamo rimasti soltanto due ragazzini e due papà .
Eravamo i più piccoli.
Mentre mi avvicinavo all'allenatore, lui, il campo, il pallone, mi sembravano diventati molto grandi, quasi giganteschi e mi chiedevo se ero ancora capace e giocare a pallone.
Se potevo ancora farlo in quel momento, perché mi sembrava di respirare a fatica.
Era come nel giorno della prima premiazione a scuola, e mentre ero "quasi pronto" per essere schiacciato da tutte quelle cose, ho sentito da lontano, dietro le spalle, la voce del mio papà che mi diceva di non avere paura.
Di fare con tranquillità quello che dovevo fare.
Quello che sapevo fare.
Dopo i primi passaggi che ho fatto con l'allenatore, è diventato tutto normale.
Più andavamo avanti, più mi sentivo meglio.
Mi chiedevo soltanto, perché mi faceva fare tutte quelle prove, tirare con tutti e due i piedi, colpire di testa, provare a dribblarlo, fare i cross, girarmi di spalle e dopo che lui mi tirava il pallone, di trovarlo subito e passarlo di nuovo a lui.
Avevo visto che ai ragazzi prima di me, ha fatto fare molto meno.
Ero molto concentrato.
Quando mi ha detto che abbiamo finito ero molto tranquillo, molto contento.
L'ho visto che si è avvicinato a mio papà e non lo aveva fatto con nessuno prima. Li ha parlato e dopo avermi chiamato, mi sono avvicinato. Mi ha detto che era un po' preoccupato perché ero il più piccolo tra tutti. Di età e di fisico, ma perché, secondo lui, ero bravo, mi prendeva.
Sorridendo, mi ha chiesto se ero contento.
Lo avrei baciato, anche se non lo avevo mai visto prima e poteva essere quasi mio nonno.
Quando mi ha chiesto quale era la cosa che mi e piaciuta di più in quel pomeriggio, li ho subito detto che ero felice di aver potuto tirare finalmente forte come volevo e come potevo, senza avere paura che il pallone andava nel corso e qualche macchina lo faceva scoppiare.
Mi ha fatto una carezza, dicendomi che sarò il suo preferito, la sua mascotte, anche se di sicuro avremo avuto tanti problemi per riuscire a trovare scarpe da calcio, magliette e pantaloncini della mia misura.
Andando verso casa, ero sulle nuvole.
Camminavo senza toccare terra.
Motivi di gioia per i miei sacrifici, per il mio lavoro, per i miei risultati, avevo già avuti molti e molto belli, ma quello era il motivo di gioia.
Era unico.
il più importante per me in quel momento.
Non vedevo l'ora di dirlo alla mia mamma ed a tutti quelli che incontravo.
Amici o anche soltanto conoscenti.
In poco tempo, ho fatto così bene quel lavoro, che lo sapevano tutti e quando i ragazzi grandi del condominio, mi hanno detto che da quel giorno ero nella loro squadra se volevo, per me era tutto.
Un' altro sogno quasi impossibile, che diventava realtà .
Ero tranquillo, sereno e felice.
Vivevo da beato.
Tutto quello che facevo, volevo farlo molto bene, perché mi piaceva tanto e lo facevo volentieri.
Con tutte le belle cose da vivere, la maestra compagnia comandante che mi piaceva sempre meno, ed il fatto che non potevo più giocare con i miei amici a pallone sul nostro âMaracanaâ, perché il mio allenatore non voleva, le vedevo come sacrifici che dovevo fare.
Il prezzo che dovevo pagare, per le cose meravigliose che vivevo.
Poi, un giorno, mentre mi gustavo, in pieno come sempre, tutto quello che vivevo, è arrivata una doccia fredda, ghiacciata.
Come l'acqua dei rubinetti di casa nei giorni di inverno e dalla testa, sulla schiena e fino ai piedi, mi ha congelato in un attimo.
Era arrivata all'improvviso e sembrava che avrebbe messo fine a tutto.
La nostra maestra ci ha detto che eravamo cresciuti e che d'avanti a noi, avevamo ancora soltanto un trimestre da passare insieme, poi noi andavamo alle medie e lei prendeva altri pulcini di prima.
Saremo rimasti per sempre nel suo cuore, perché eravamo stati i suoi primi allievi.
Quello che sentivo dentro, non mi piaceva e se qualche mio amico era felice perché andare alle medie voleva dire essere più grandi, per me, andava tutto benissimo così com'era.
Era tutto bellissimo.
Non volevo cambiare niente.
Non mi interessava cambiare nulla.
Non volevo crescere.
Crescere senza volerlo
Quell'estate, è stata un'estate di grandi riflessioni, grandi interrogazioni e grandi pensieri per quello che sarebbe successo da lì a poco.
Facevo tutte le cose con la stessa passione e tranquillità di sempre, i motivi di soddisfazione erano molti e molto variegati, forse come mai fino in quel momento della mia vita, ma dentro me, succedeva un qualcosa di nuovo.
Un qualcosa che non riuscivo a capire, perciò neanche spiegarmi.
Era un qualcosa di così complesso e diverso del solito, che mi stavo quasi rifiutando di credere che era tutto dovuto soltanto al' inizio delle medie.
Soltanto perché ero cresciuto.
Guardavo i grandi intorno a me ed anche loro mi sembravano diversi.
Sembrava quasi, che sapevano, capivano molto bene cosa stava succedendo, ma non parlavano.
Con tutti i pensieri per la testa delle novità future di qui ho sentito parlare, ma che non mi convincevano ed ancora meno mi piacevano, ho deciso di non dare più spazio e tempo a cose che avrebbero creato dentro me soltanto preoccupazioni inutili, facendomi sprecare del tempo e togliendomi la mia tranquillità .
Ho provato con tutti gli aiuti che ho trovato intorno a me, a capire bene ed in anticipo tutto quello che potevo, ma purtroppo, mi sono trovato subito d'avanti un grande problema.
L'orario di scuola delle medie, era di pomeriggio, dallâuna fino alle sei.
Oltre l'orario di studio, avevo tutti i miei impegni come comandante della classe e gli incontri con la compagna comandante della scuola. Quasi sempre, per quelli delle medie, questi impegni, erano tutti prima degli orari di studio.
Non avevo ancora cominciato la scuola e mi trovavo d'avanti il problema più grosso che avrei potuto avere fino in quel momento. Con quasi il doppio di materie da studiare, che voleva dire il doppio dei compiti, con una lingua straniera in più, con gli impegni come comandante della classe e soprattutto con gli allenamenti del calcio al meno tre volte alla settimana, avrei dovuto fare tutto, nella sola mattinata di ogni giornata.
Mi sembrava impossibile.
Già l'idea delle medie non mi entusiasmava, ero infelice per aver lasciato la nostra maestra, non mi piaceva non avere più a disposizione tutto il pomeriggio, non mi piaceva andare a scuola di pomeriggio ed a conti fatti, mi sarebbe mancato il tempo per preparare bene e come volevo i compiti per la scuola.
Prima ancora di cominciare, mi sembrava di intravedere un mezzo disastro.
Riuscivo a trovare un po' di serenità , quando parlando âme con meâ, mi dicevo che conoscevo alle medie ragazze e ragazzi con dei buonissimi risultati nello studio, perciò, se ce l'hanno fatta loro, ce l'avrei fatta benissimo anch'io.
Magari scoprendo qualche segreto che in quel momento non conoscevo.
Purtroppo, il dolore di questo passaggio, era appena cominciato, e ho scoperto che era ancora più profondo, quando insieme ai miei genitori, siamo andati nel solito negozio, per comprare la mia nuova divisa.
Appena entrati nel negozio, abbiamo girato a destra e non più a sinistra come negli anni passati.
In quel momento, ho toccato per la prima volta con mano i problemi per quali, soffrivo già da un po', perché entrando, a sinistra, dove c'erano i vestiti per i bambini delle elementari, ho visto dei miei amici ed amiche più piccoli di me, conosciuti a scuola.
In quel momento, andando verso destra con i miei genitori, dentro mi sono sentito strappare via con una forza inimmaginabile e violenta, da quella che era la mia vita.
Dal mio mondo.
Il mondo dove avrei voluto restare ancora.
Ero presente soltanto fisicamente.
Con tutto il resto di me stesso, ero nell'altro reparto del negozio, dove ero sempre andato i quattro anni prima.
Avrei voluto fuggire via, per andare li.
Cominciavo a rendermi conto, che il periodo più bello della mia vita fino in quel momento, era passato.
Non lo avrei mai più ritrovato, mai più vissuto.
Più guardavo da l'altra parte del negozio, più ero assente dove stavo fisicamente.
Mi sentivo vuoto dentro e mi sembrava di diventare sempre più pesante.
Forse anche rigido.
Ero quasi terrorizzato al pensiero che non ero più un bambino piccolo, e mentre d'avanti agli occhi, in un attimo mi sono passati forse tutti i momenti più belli, tranquilli e spensierati di quei anni, mi veniva da piangere con tutto me stesso. Avrei voluto farlo in quel momento, senza nessun problema, senza pensare al posto dove ero ed a tutte le persone che erano intorno.
Purtroppo non ho potuto farlo, perché mi ha riportato nel duro presente mia mamma, che con la mia nuova divisa in mano, mi indicava la fila per la cabina di prova.
Appena vestito, ho visto che era un po' diversa di quella degli anni passati.
Aveva di diverso poche piccole cose, ma quelle cose l'ha rendevano un po' più elegante e forse più matura.
Guardandomi nello specchio, non ero più un piccolo bambino, ma un mezzo ometto.
Da quel momento non avrei più potuto piangere.
Non perché non avrei più voluto, ma perché dentro ero diventato come un pezzo unico di ghiaccio, come congelato ed il mio cuore, le mie lacrime, erano congelate insieme a me.
Quella, era la prima prova pratica, già toccata con mano, che un altro periodo nella mia vita, era appena cominciato.
Ero costretto a crescere più in fretta di quanto e di come lo volevo.
Appena arrivati a casa, è stato per la prima volta da quando avevo cominciato la scuola, che non ho provato di nuovo la mia nuova divisa. Per vederla bene in tutta tranquillità , per capire come mi stava, così come ho sempre fatto con tanto entusiasmo in tutti gli anni prima.
Mi sono cambiato e sono sceso di casa, dicendo che andavo fuori, d'avanti al condominio con i miei amici.
Scendendo le scale, speravo e pregavo di non incontrare nessuno.
Volevo sparire, non vedere più niente e nessuno.
Mentre facevo questi pensieri, capivo che un'altra cosa era veramente cambiata dentro me.
Avevo visto già da un po' di tempo, che mi piaceva molto pensare, girare le cose da tutte le parti per capirle bene, per comprendere tutto più che potevo, ma quello che succedeva in quei momenti, era una cosa ancora più nuova, mai vissuta prima.
Totalmente diversa.
Era per la prima volta nella mia vita che volevo stare completamente solo.
In silenzio.
Non sapevo cosa volevo fare, ma volevo stare da solo.
Mentre dal sesto piano, scendevo le scale a piedi come sempre, perché mi piaceva cosi, e provavo a darmi da fare per gestire nel migliore dei modi tutto quello che mi veniva di dentro come un fiume in piena, mi è venuta dentro me, una cosa che senza neanche valutarla mezzo secondo, l'ho considerata subito la cosa migliore da fare in quel momento.
Appena attraversato il portoncino d'ingresso, mi sono trovato in mezzo agli amici ed alle amiche del condominio.
Come sempre, ci si stavano raccontando le nuove impressioni per le divise appena comperate, per i quaderni, matite, pene stilografiche e tutto il materiale didattico, per il nuovo anno scolastico.
I sogni e le speranze.
Succedeva ogni anno, come un rito.
Si condivideva tutto con tutti.
Le nostre cose.
Dalle più in vista, alle più intime, nascoste nelle nostre menti e nei nostri cuori. Era il nostro mondo aperto a tutti noi, ma chiuso agli adulti, che non ci perdevano di vista, ma sempre da lontano.
Non venivano mai a disturbare il nostro mondo.
Erano i momenti in qui tutti ci sentivamo i fratelli di tutti.
Tutti insieme, eravamo uno soltanto.
Era per la prima volta che non volevo partecipare.
Mi dispiaceva moltissimo, perché erano le persone a me più care e vicine, ma in quel momento, il desiderio di stare da solo, era il più forte in assoluto. Senza quasi pensare, mi è venuta una scusa per non restare. Mi era venuta in modo naturale e convincente, che nessuno mi ha chiesto nulla, dopo averla sentita.
Ho attraversato il corso, sono sceso nella vallata, attraversato il letto del piccolo fiumiciattolo, per poi salire sulla collina dove mio padre mi aveva portato per la prima volta, dopo quel mio primo incontro con la maestra compagna comandante.
Nel fra tempo, la collina era diventata il posto dove noi tutti gli amici, andavamo lontano dai grandi quando volevamo essere tranquilli, per raccontarci le nostre cose.
Stare insieme indisturbati.
Dalla base della collina e fino al nostro posto, dove avevamo anche costruito una piccola capanna sopra un albero ed un'altra un pochino più grande sotto lo stesso albero, c'erano dieci minuti di salita tranquilla.
Mentre salivo, sentivo soltanto il rumore dei miei passi ed il mio respiro.
Quando ho cominciato a sentire sempre meglio il mio respiro, ho capito che era affannato e rigido, anche se su quella piccola salita, non mi stancavo mai.
Mi sentivo diverso.
Non tranquillo e sereno come sempre.
Rigido.
Abbastanza rigido, da chiedermi se prima i miei amici non mi avevano fatto domande perché la mia scusa è stata convincente, oppure perché ero stato rigido nei loro confronti.
Sarebbe stato per la prima volta.
Non vedevo l'ora di arrivare al nostro posto, alle nostre capanne.
Per troppe volte in quel giorno ho dovuto dire: âè per la prima volta nella mia vita che mi succedeâ, questo o quell'altro e purtroppo per me, ogni volta erano cose che non mi piacevano affatto.
Appena, arrivato al nostro albero, ho cominciato a salire ed appena su, d'avanti alla nostra piccola capanna, mi sono fermato e seduto.
Senza entrare.
All'improvviso, il mio respiro è diventato meno affannato ed in poco tempo è ritornato ad essere come sempre. La grande tempesta che sentivo dentro, piano, piano è scomparsa, lasciando il posto alla pace, alla tranquillità ed alla serenità che tanto amavo.
Poco dopo, mi sono reso conto che stavo già sentendo ed ascoltavo con tanto piacere il profondo silenzio che mi avvolgeva.
Ogni tanto, un leggerissimo colpo di vento, muoveva le foglie degli alberi, aggiungendo al grande silenzio, quel qualcosa che lo faceva diventare la miglior sinfonia da ascoltare, forse la più grande, bella e delicata mai esistita. I buoni profumi che portava con sé, insieme ai canti degli uccelli che ogni tanto sentivo, hanno fatto il resto.
Mi hanno riportato alla tranquillità assoluta.
Il sereno, ha preso il posto di tutto il resto.
Seduto, godevo in pieno tutto.
Da beato.
Ho alzato gli occhi e cominciato a vedere quanto era bella la parte della città che riuscivo a vedere.
Osservare le finestre del nostro alloggio, senza che nessuno dei miei famigliari lo sapesse.
Andare con lo sguardo oltre e rendermi conto che la fabbrica alla fine dei condomini, quasi fuori città , sul lato opposto della vallata, non era poi così piccola come sembrava ed era anche molto bella da vedere. Soprattutto, faceva meno fumo delle altre fabbriche.
Le belle colline oltre il fiume, in quella giornata piena di luce, erano ancora più belle.
Finalmente, riuscivo a vedere quanto era luminosa quella giornata.
Ero finalmente ritornato ad essere me stesso, così come mi conoscevo.
La pace, la tranquillità e la serenità che mi gustavo, assaggiando con tanto piacere ogni cosa fino in fondo, non hanno però fatto scomparire quello che con insistenza, mi era girato nella mente per tutta la giornata. Anzi, era ancora più forte e molto presente, ma girava in un modo molto meno fastidioso. Sembrava che la sua forza distruttrice che avevo sentito in mattinata, si era trasformata in un qualcosa di positivo, di costruttivo.
Forte ed interessante.
Così interessante, da farmi prendere subito un impegno con me stesso per quei momenti e per tutta la mia vita da quei momenti in poi. L'impegno di non provare più a cacciare via da me quel qualcosa, così come avevo fatto per quasi tutto il giorno, ma conservarlo sempre con attenzione, averlo presente in ogni momento come compagno affidabile di un lungo viaggio.
Capire il motivo del suo arrivo, chiedere il suo aiuto quando arrivava e magari cercarlo, se non arriverà più da sé nel futuro.
Quel qualcosa non era stato la causa del mio ânon stare beneâ di quel giorno, come mi era sembrato, ma forse era quello che mi ha aiutato a trovare la soluzione a quel grosso problema.