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Il Giardino Dei Rododendri
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Il Giardino Dei Rododendri

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Una smorfia di rabbia disegnò una prima traccia sul volto inanimato di Lynda. James la notò subito, ma proseguì il racconto senza fermarsi.

«Evidentemente pensò subito all’impatto che avrebbe avuto l’abbandono di sua moglie con un figlio in grembo sulla sua carriera. Fece quindi marcia indietro, forse su consiglio dei suoi fedelissimi scagnozzi al potere. Stava giocando davvero a un gioco molto delicato e pericoloso per lui, che avrebbe portato sicuramente a disastrosi risultati. Il Senatore stava per mandare all’aria la sua carriera quando gli consigliarono di cercare di mantenere la calma e di mettere il tutto a tacere, comunque la sua paternità non gli avrebbe portato tanti svantaggi quanto quelli che avrebbe prodotto uno scandalo di quel tipo. Ma avrebbe dovuto accettare quel figlio come se fosse stato suo. Il Senatore siglò un vero e proprio contratto con tua madre, che prevedeva il silenzio forzato, pena l’allontanamento immediato dalla casa. Tua madre accettò, per amore tuo e per darti un padre, ragazza mia».

Lynda alzò lo sguardo cercando gli occhi di James. Non stava più piangendo. Il colpo ormai assestato l’aveva trascinata in uno stato di rassegnazione e di abbandono al punto tale che ogni stimolo esterno non riusciva più a provocarle alcun dolore o emozione.

«E quell’uomo, il mio vero padre, dove si trova ora?», chiese mentre si alzava in piedi cercando di recuperare le forze. Capì che il racconto stava per finire.

James abbassò gli occhi sospirando. Non rispose.

«Non mi ha mai cercata?».

«Il Senatore non gli ha mai permesso di avvicinarsi a te in libertà, alla luce del sole. Anche questo era scritto nel patto siglato con tua madre». Ci fu un attimo di silenzio durante il quale ognuno raccolse le idee.

«E’ tutto?», chiese Lynda senza espressione.

«Si Lynda, è tutto».

«Allora andiamocene via da qui ora», ordinò la donna mentre con passo deciso si dirigeva verso la porta di casa. Puh, che nel frattempo si era svegliato, la segui con un passo stanco, trascinato.

«Aspetta, non mettiamo la marmellata nei vasetti prima di andare?».

«Ma per favore James! Portami a casa ti ho detto!».

James coprì la pentola e la infilò nel portabagagli dell’auto mentre Lynda guadagnava il suo posto sul sedile posteriore, come sempre.

Il motore si avviò e James iniziò a guidare. Interminabili pensieri, lunghi come trame di film, affollavano la mente di Lynda in quel momento. Il passato che fino a quel momento aveva vissuto aveva perso ogni sua sfumatura, non aveva più alcun senso. Il futuro che aveva progettato e disegnato fin da quel mattino dopo il suono della sveglia era stato completamente demolito con colpi precisi e decisi, non esisteva più. Si sentiva in bilico, come uno spirito che aveva perso la materia alla quale era stato legato fino a quel momento. Forse era questo il significato di ciò che tutti chiamavano comunemente “morte”? Qualcuno aveva ucciso il suo futuro, qualcun altro aveva fatto altrettanto con il suo passato. Le rimaneva solo il presente, solo su quello poteva ancora agire. Forse, in questo modo, avrebbe potuto ridisegnare la sua nuova vita, il suo nuovo destino. Doveva solo calmarsi, attendere per poi rinascere.

Nei giorni seguenti Lynda si barricò in casa, rifiutando qualunque contatto con il mondo esterno. Persino Puh dovette rinunciare alle passeggiate alle quali era abituato. Trascorreva le sue giornate davanti alla televisione, guardando programmi che non le interessavano e mangiando senza controllo schifezze di ogni genere, perché non aveva alcuna voglia di andare al supermercato per fare la spesa. La sua mente era rivolta sempre al racconto di James, alle rivelazioni che aveva ricevuto. Ora riusciva a capire molte più cose, il suo passato cominciava ad assumere una nuova forma e riusciva a cogliere in pieno le radici del suo presente. Non poteva incolpare James di quanto accadutole, al contrario avrebbe dovuto esprimergli tutta la sua gratitudine! E avrebbe dovuto farlo quanto prima! Ma nonostante i buoni propositi, continuava a rimandare al giorno seguente.

«Grazie James, domani te lo dirò».

Ma quel domani sembrava davvero non voler arrivare mai.

5

Quando l’infermiera entrò nella stanza per aprire le tende alle finestre, Sarah era già sveglia da diverse ore.

«Buongiorno Sarah, come andiamo oggi?», chiese la ragazza con il suo marcato accento francese. Aveva origini marocchine e si era trasferita a New York da una decina di anni per seguire “l’amore della sua vita” che dopo poco tempo l’abbandonò. Lei decise comunque di restare, di vivere la sua vita in quel posto e continuare il suo lavoro che tanto le piaceva. Anche se fosse tornata nella sua terra non sarebbe mai più stata accettata da alcun uomo, poiché aveva violato la legge imposta dal Cornano.

«Buongiorno a lei Lynette. Come vuole che stia? Come ieri, e come starò domani!», rispose Sarah svogliatamente al consueto rituale mattutino.

La ragazza estrasse una lettera dalla tasca e la consegnò nelle mani di Sarah con un sorriso.

«Guardi che cosa le ho portato oggi! E’ una lettera che arriva dalla Cornovaglia! Vede il timbro sul francobollo?».

«Dalla Cornovaglia? Ma allora è una lettera di mia sorella Beth! Non ci scriviamo più da tantissimo tempo, ultimamente ci sentivamo solo per telefono!».

L’emozione di Sarah salì alle stelle, non vedeva l’ora di aprire la busta ma le sue mani logorate dal tempo non le permettevano di compiere agilmente quell’azione che per altri sarebbe stata banale.

«Oh accidenti! Le mie maledette mani!», esclamò nervosamente Sarah.

«La prego signora, lasci fare a me», si offrì di aiutarla Lynette. La ragazza prese la busta e con un coltellino cominciò lentamente a lacerarne la parte superiore fino ad estrarne il contenuto. All’interno c’era un semplice foglio piegato in due, riportante poche righe scritte a mano e con calligrafia incerta, quasi tremolante.

Newquay, 15 Maggio 2012

Mia cara sorella Sarah, ti scrivo queste poche righe per dirti che la mia vita sta giungendo ad una svolta. Molte cose sono cambiate e molte altre accadranno in breve tempo. Ho un forte bisogno di parlarti, di raccontarti tutto come facevamo una volta. Per questo motivo vorrei davvero rivederti, riabbracciarti, per stare insieme a te proprio come quando eravamo bambine, moltissimo tempo fa, prima che gli eventi accaduti nelle nostre vite ci separassero. Porta Lynda con te, ho ancora delle ricette da insegnarle e un grosso favore da chiederle. Vi aspetto, non tardate per favore…

La tua amata sorella Beth

Sarah rimase molto scossa da quel messaggio. Non era usuale da parte di Beth scrivere così poche righe senza accennare a qualche cosa di più preciso, in fin dei conti era sempre stata una gran chiacchierona. Cosa poteva esserle successo di così importante da spingerla a scrivere un messaggio tanto criptico? Lynette, che nel frattempo aveva portato la colazione al tavolo, notò il viso incupito della donna.

«Qualche brutta notizia signora?», chiese preoccupata la giovane, «Mi auguro di no!».

«No, o quantomeno ancora non lo so. E’ un messaggio piuttosto strano, insolito per una donna come mia sorella che in vita sua non è mai stata capace di mantenere il benché minimo segreto. Lo legga anche lei Lynette, e mi dica cosa ne pensa», rispose la donna mentre porgeva il foglio alla ragazza che lo lesse attentamente.

«Sembra non dire molto, in effetti. Ma si intuisce che c’è una grossa novità della quale vuole mettere lei e sua figlia a conoscenza. E anche con una certa fretta a quanto pare», rispose la giovane senza togliere gli occhi dalla lettera, sperando forse fino all’ultimo momento di scoprire qualche dettaglio di più ma senza successo.

«Che cosa pensa di fare signora? Pensa di partire?», chiese la ragazza.

«Non so se potrò andarci Lynette, sono quasi inferma, non vede?», replicò la donna.

«Non sarà da sola, con lei ci sarà anche sua figlia. E poi quel “quasi inferma” non significa che lei lo sia veramente! Anzi, sa che cosa penso? Muoversi un po’ e cambiare aria lontano da qui le farà davvero bene! Mi hanno raccontato che la Cornovaglia è un posto splendido, avrei fatto carte false per poterci andare anche io. Forse un giorno accadrà, chi lo può sapere!», esclamò la ragazza con tono convincente.

«Mia figlia! Mia figlia! Lei è troppo assorbita dai suoi impegni, dal suo lavoro, dalla carriera. Si figuri se può mollare tutto senza preavviso e partire con me per verso un cottage perso nella campagna inglese! E per far cosa? Per assecondare le idee bizzarre di una vecchia zia che non vede ormai da tanti anni».

«Ma qui leggo che sua sorella Beth avrebbe un grande desiderio e bisogno di vedere anche lei, di parlarle. Se ha un po’ di cuore accetterà, non crede? Io farei subito le valige e partirei con il primo volo disponibile, se solo mi fosse possibile! Le passo il telefono, la chiami e le dica tutto subito, così se avrà necessità di sistemare delle cose al lavoro potrà cominciare a farlo», replicò la giovane regalando alla donna un bel sorriso rassicurante.

«Va bene Lynette, mi hai convinta. La chiamerò. Farò un paio di telefonate. Ora, se mi vuole scusare, la pregherei di uscire e di chiudere la porta dietro di sé. La chiamerò io quando avrò finito di fare colazione».

L’infermiera acconsentì con un inchino del capo e si allontanò dalla stanza facendo esattamente ciò che Sarah le aveva chiesto di fare. Rimasta sola, Sarah cominciò a pensare a cosa avrebbe detto alla figlia, cercando di anticiparne la reazione e le possibili risposte, per pianificare di conseguenza la prossima mossa. Passarono diversi minuti e poi, decisa, cominciò a comporre il numero.

Il telefono squillò a vuoto per parecchio tempo prima che partisse il messaggio della segreteria telefonica. Ma Lynda era in casa. Sarah lasciò un messaggio che Lynda ascoltò in diretta, seduta sul suo letto in balia delle sue lacrime e della sua più totale frustrazione. Ma non reagì, non disse e non fece assolutamente nulla, come se quella telefonata non fosse mai arrivata. In quel momento non sapeva davvero che cosa fare. Le parole di James le riecheggiavano continuamente nelle orecchie, martellandole il cervello e riducendole il cuore in brandelli. Era cresciuta senza un padre. E sua madre, la donna che le aveva donato la vita e che avrebbe dovuto darle amore l’aveva tenuta all’oscuro di tutto questo. E se James non le avesse raccontato nulla? Forse il segreto più grande della sua esistenza sarebbe morto insieme a sua madre? Oppure ne sarebbe venuta comunque a conoscenza, in un modo o nell’altro? Il Senatore, colui che aveva creato la bella copertina di un libro che descriveva le storie di una “famiglia felice”, era ormai morto da parecchio tempo. Perché non raccontarle tutto quindi? L’immagine dell’uomo e del politico non sarebbero state compromesse. Non più ormai. O forse c’era dell’altro che lei ancora non sapeva e che le era stato nascosto?

Sarah non aveva dato l’impressione di essere preoccupata o in pericolo per qualche cosa nel suo messaggio. Le aveva semplicemente detto che aveva bisogno di vederla e di parlarle. Forse James era andato a farle visita e le aveva raccontato dell’accaduto per poi invitarla a chiarire tutto con la figlia? Era una possibilità da non trascurare. Ma se aveva atteso così tanto tempo per chiarire il tutto con lei, non sarebbe stato un grosso problema attendere ancora per un po’. Perché mai tutta questa fretta? Lynda non aveva proprio nessuna voglia di vedere sua madre e tantomeno di parlare con lei quel giorno. Avrebbe prima dovuto digerire tutto, e solo dopo affrontare la madre a muso duro. Il boccone era troppo amaro. Si sistemò i capelli e si vestì comoda per uscire a prendere una boccata d’aria, visto che anche Puh la implorava di farlo. Ma mentre stava per uscire sentì squillare nuovamente il telefono. Jack la stava chiamando dall’ufficio. Svogliatamente decise di rispondere.

«Che c’è?», iniziò la conversazione con maniere assai poco amichevoli.

«Lynda cara, ma dove sei finita? Ti avrò chiamato già mille volte e non mi hai mai risposto!», la riprese l’uomo.

«Ho avuto cose molto più importanti da fare».

«Più importanti del tuo lavoro? Della tua carriera? Dai Lynda, non fare la sciocca! Non rovinare tutto per un insignificante disguido!», rispose Jack in tono quasi paterno.

«Ah, ma sentilo il signorino! Il tuo motto è sempre stato “Io mi spezzo ma non mi piego”! E poi che cosa hai fatto? Non appena quell’imbecille ti ha detto di tagliarmi fuori tu lo hai fatto, ti sei piegato! E senza paure o riserve hai chiamato quell’essere viscido e infame!».

«Si chiama Gregory», s’inserì Jack per spezzare il monologo della ragazza furiosa, mai vista prima dall’ora così arrabbiata e di cattivo umore. Ma cosa aveva fatto lui di male? Aveva solo cercato di fare quanto possibile per il bene dell’azienda!

«Lo so come si chiama Jack, non prendermi per una stupida perché lo sai che non lo sono! Anche se è il nipote del presidente, per me resta sempre e comunque un viscido schifoso e raccomandato!».

«Va bene. Ora calmati Lynda, te ne prego. E’ proprio di questa cosa che vorrei parlarti, possiamo discuterne?».

«Vomita! Ti sto ascoltando!», rispose Lynda, raggelandolo.

«Lynda, non son cose da discutere al telefono, questo tu lo sai bene. Vieni qui nel mio ufficio tra un’ora e ne parliamo con calma, a quattr’occhi e in privato, ok?».

«Sarò lì tra un’ora Jack, ma ti giuro su quanto ancora mi è rimasto di caro al mondo che se solo osi sfidarmi o prendermi in giro butto all’aria l’ufficio intero. Dovrai chiamare le guardie e farmi buttare fuori, e poi potrai anche farmi licenziare!». Jack non rispose, fino alla richiesta di Lynda, «Mi sono spiegata con sufficiente chiarezza caro Jack?».

«Si Lynda, ho capito! Ho capito! Ora però ti prego di calmarti e di non venire qui così prevenuta. Ti aspetto, ciao». E riattaccò.

Lynda scaraventò il telefono sul letto, dove rimbalzò per poi cadere violentemente a terra, frantumando lo schermo. Lynda lo raccolse e lo guardò, ma senza dare troppa importanza all’accaduto. In fin dei conti funzionava ancora.

Anche se per quel lavoro e per le persone di quell’ufficio non provava più alcun sentimento di amicizia o complicità ma solo tanto odio, pensò di cambiarsi e vestirsi come sempre con il suo tailleur. Agli occhi di chi la conosceva bene, lei voleva apparire come la solita donna di sempre. Jack le avrebbe fatto ancora una volta i suoi complimenti? Ci pensò per un attimo ma realizzò subito che tutto sommato non le importava affatto. Ma voleva comunque mantenere la sua dignità.

* * *

James cominciò a preparare la valigia con estrema lentezza. La sua mente tornava continuamente alle parole dei Beth che al telefono gli chiedeva di andare da lei urgentemente, senza specificare altro. La sua voce sembrava calma, rilassata e felice, non avrebbe quindi avuto modo di preoccuparsi più di tanto. Tuttavia non si sentiva totalmente tranquillo. Era inoltre molto preoccupato per Lynda e per il modo in cui si erano lasciati il giorno prima. Sapeva di aver combinato un bel pasticcio e di aver perso la stima della giovane, ma era una cosa che si sentiva di dover fare, per il bene della ragazza e per il suo futuro lei doveva sapere come stavano le cose in realtà. Era sicuro che se la ragazza avesse scoperto quella verità per conto suo, le conseguenze sarebbero state anche più gravi. In silenzio nel suo cuore, però, le chiedeva scusa. Nel giro di due giorni si sarebbe ritrovato in Cornovaglia al cottage di Beth, con lei avrebbe discusso nel dettaglio sul da farsi. Era sicuro che lei avrebbe capito i motivi che l’avevano spinto a parlare. Il resto della storia si sarebbe spiegato da solo e lei lo avrebbe accettato, forse. Si guardò allo specchio e sorrise. Poi prese il telecomando della televisione e la accese su una trasmissione a caso. Si sedette distrattamente sul suo comodo divano e lasciò la sua mente libera di viaggiare a cavallo dei pensieri.

* * *

Lynda arrivò in azienda. La receptionist la salutò come sempre con il suo riconoscibile tono gentile. Tuttavia non si spinse oltre, aveva notato subito l’espressione cupa nel volto della giovane e la risposta distratta con un gesto di mano al suo saluto, segnale inequivocabile che c’era qualche cosa che non andava in lei. Lynda era stata sempre molto aperta ed espansiva con le persone, una sua caratteristica era proprio quel sorriso che sapeva donare a tutti, in ogni momento, anche il meno opportuno. Ma quella non era più la solita Lynda. Quella ragazza allegra e solare si era in realtà persa, proprio come il suo passato. Quella donna che aveva attraversato la hall si sentiva in bilico, come se stesse camminando sulla lama di un rasoio. Sapeva che prima o poi sarebbe caduta, si chiedeva solo da quale parte. Una donna senza un passato poteva riuscire a ricostruirsi una vita e un nuovo futuro?

Jack l’aspettava nel suo ufficio, Lynda era stata puntuale, onorando come sempre l’impegno preso.

«Ciao cara Lynda, entra pure, accomodati», disse Jack mentre Lynda già si stava sedendo anche senza il suo invito esplicito.

«Jack, per te non sono più la “cara Lynda”, ti prego di tenere un tono più adeguato e di rispetto nei miei confronti se vuoi che anche io continui a comportarmi in modo rispettoso nei tuoi. Veniamo al dunque, non ho tempo da perdere! Dimmi quello che hai da dirmi, che cosa vuoi da me e perché mi hai chiamato», rispose Lynda in tono assai scocciato, desiderosa di liberarsi quanto prima da quella scomoda situazione.

«Ok, ok. Ti racconto subito tutto. Riguarda l’incontro con Yamada», accennò Jack a testa bassa, prima di fare una lunga pausa per poi riprendere le fila del discorso, «Non è andata affatto bene come speravamo».

Lynda si abbandonò a una sonora e isterica risata. Mai come in quel momento si era sentita così bene, al punto da dimenticare per un attimo tutti i suoi problemi personali. Nella sconfitta ne stava uscendo vincitrice.

«Ahahah! Bene! E tu avevi dei dubbi? Io proprio nessun dubbio, affatto! Cosa potevi aspettarti da quel…»

«Idiota!», la interruppe Jack, tenendo sempre la testa bassa, gli occhi puntati su un foglio di carta che giaceva sulla sua scrivania, giusto di fronte a lui. Lynda s’interruppe e lo guardò, seria. Poi puntò gli occhi verso il foglio e si accorse che era stato firmato dal presidente. Jack la guardò e le allungò il foglio perché potesse leggerlo anche lei.

«Si Lynda, Gregory è un vero idiota. Leggi la lettera, poi ti spiego tutto», annunciò Jack mentre si dirigeva con le mani in tasca verso la finestra del suo ufficio, quella che offriva una splendida vista sulla città sottostante. Lynda aveva tanto desiderato un ufficio come quello e aveva pensato che lo avrebbe finalmente avuto dopo aver permesso all’azienda di concludere l’affare con Yamada. Il foglio annunciava che sarebbero stati presi seri provvedimenti disciplinari nei confronti di Lynda Grant in seguito all’increscioso comportamento tenuto durante l’incontro con uno dei più grossi e potenziali clienti per l’azienda, mettendo in seria difficoltà e cattiva luce l’operato e l’immagine di un valido e stimato collega chiamato a sopperire alle sue mancanze e senza avere a disposizione strumenti adeguati.

«Con questa lettera mi stanno licenziando?», chiese Lynda, incredula di quanto aveva appena finito di leggere.

«Non ancora Lynda. Ma sei stata penalizzata, le tue mansioni sono state pesantemente ridotte e il management aziendale ti terrà sotto stretta osservazione per tutto il prossimo anno. Ti hanno retrocessa a mansioni più semplici, di amministrazione ordinaria», rispose Jack senza nemmeno voltarsi. Temeva lo scontro con gli occhi delusi di Lynda.

«E tu non ha fatto nulla? Chi sarebbe il mio “controllore”, tu forse?», riprese la donna. Sentiva ancora una volta il mondo intero caderle sulle spalle. Era arrabbiata con Jack, sicura che nulla si sarebbe mai più sistemato. Tutto stava degenerando verso l’irreparabile, come un oggetto in caduta libera dentro un pozzo senza fine.

«Io ho raccontato al direttore quanto è accaduto, difendendo il tuo operato e il materiale da te prodotto fino alla fine. Gregory si è comportato da vero idiota e davanti a Yamada si prendeva il lusso di fare battute che solo lui poteva considerare esilaranti, ma che non lo erano affatto. Ha fatto la figura del pagliaccio di fronte al cliente, trascinando dietro di se l’immagine di questa azienda. Yamada ha espresso la sua volontà di non voler continuare la presentazione sin dalle prime battute, battezzando il progetto come non adatto alle loro necessità. E’ stato anche troppo gentile e corretto nei nostri confronti. Con la sua squadra, dopo gli inchini di rito, ha abbandonato la sala. Inutile dire che Gregory non s’è affatto preso le sue responsabilità di fronte al presidente, ha incolpato te per quanto accaduto, affermando che il progetto non era affidabile e nemmeno presentabile in quel modo, portandolo inevitabilmente al fallimento e a fargli fare una incresciosa pessima figura».

«E il presidente gli ha dato retta!», rispose Lynda.

«Non dovrei dirlo, ma come tu sai idioti e parenti si capiscono sempre al volo. Penso che in privato gli abbia dato una lavata di testa, ma in pubblico ha dovuto seguire le procedure aziendali. Tu sei scappata via Lynda, questo è stato il tuo più errore, una colpa alla quale io non ho potuto rimediare in alcun modo. Mi dispiace. Quando il presidente mi ha chiamato nel suo ufficio e mi ha consegnato quel foglio, mi ha anche detto di riferirti che sei fortunata a non essere stata licenziata e questo grazie a Gregory che, a detta sua, gli ha riferito delle tue enormi capacità nell’esecuzione delle attività più ordinarie. Ti ha fatto fuori Lynda! E purtroppo sei stata tu a servirgli la tua testa su un piatto d’argento».

Scese il silenzio. I due non parlarono per diversi minuti. Poi Jack, capita la situazione, invitò Lynda a riflettere per bene sul da farsi. Le suggerì di prendersi un periodo di ferie per cercare di lavare via la rabbia e meditare sul suo futuro in azienda. Sapeva quanto sarebbe stato insano e frustrante per lei, una ragazza energica e piena d’energia in piena corsa per la carriera, mettersi da parte e ricominciare tutto da capo, con gli occhi delle persone che inevitabilmente sarebbero finiti su di lei, insieme a tutte le chiacchiere e ai giudizi che sarebbero stati espressi ad ogni suo passaggio nei corridoi. Avrebbe perso il suo ufficio e le sarebbe stata assegnata una semplice scrivania, condivisa con altri colleghi. Lynda cominciò a vedere con gli occhi della mente quelle immagini che fino ad allora aveva visto solo nei film, persone licenziate che riempivano una scatola di cartone con i loro effetti personali per poi abbandonare l’ufficio e i colleghi. Questa volta era capitato a lei. Si, proprio lei era protagonista del film che passava nella sua mente. Lynda Grant, la donna che era stata fino a qualche giorno prima era morta, non esisteva più nemmeno sotto il profilo professionale. Si alzò e prese distrattamente la sua borsa, rimanendo ferma in piedi in attesa che Jack le confessasse che in realtà si era trattato solo di uno scherzo di cattivo gusto, per poi scoppiare a ridere e chiudere il tutto con un abbraccio come era solito fare quando scherzava amichevolmente con lei. Ma non fu così. L’unica cosa che Jack le disse fu che il foglio che teneva ancora in mano era suo e poteva tenerlo. Le disse che avrebbe atteso tutto il tempo necessario perché lei potesse fare la scelta più opportuna, per poi di comunicargli quanto deciso. Concluse infine con un sincero “mi dispiace”, quindi la congedò.

Tornata a casa prese il telefono per chiamare la madre. La giornata era già stata completamente rovinata, parlare con la madre non avrebbe potuto aggravare ulteriormente le cose. Pensò anche che forse sarebbe stato meglio morire lo stesso giorno per rinascere con il sorriso il giorno seguente. Compose il numero.

«Pronto, sono Sarah». Lynda non fiatò. «Pronto? Chi parla?».

«Sono io», rispose freddamente Lynda.

«Tesoro! Meno male che mi hai richiamato! Ho provato a telefonarti stamattina presto ma evidentemente eri già uscita per andare al lavoro, quindi ti ho lasciato il messaggio in segreteria».

«Che cosa c’è? Perché mi hai cercato?».

«Ma tesoro, che cosa c’è che non va? Ti sento molto dura nei miei confronti. E’ successo qualche cosa al lavoro?»

«Questi sono affari che non ti riguardano ora! Dimmi che cosa c’è, non ho molto tempo da perdere Sarah».

«Sarah? Ma Lynda, tesoro mio, da quando chiami tua madre per nome? Che fine hanno fatto la tua energia e il tuo sorriso?».

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