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Il Giardino Dei Rododendri
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Il Giardino Dei Rododendri

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Andrea Calò

IL GIARDINO DEI RODODENDRI

ROMANZO

Prima Edizione – Gennaio 2014


Questo libro è un’opera di fantasia. Personaggi e situazioni sono invenzioni dell’autore o hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, eventi, luoghi e persone, vive o scomparse, è assolutamente casuale.

La stilista Sonia Galiano è invece un personaggio reale. I suoi lavori sono disponibili sul sito internet: www.soniagaliano.com


© Copyright 2014 – Andrea Calò

ISBN: 9788873042884

@ e-mail: andrea.calo_ac@libero.it


Edizioni TEKTIME

A mia moglie Sonia, l’amore della mia vita.

Per sempre.


RINGRAZIAMENTI

Scrivere un libro è sempre un’avventura, sembra di partire per un viaggio. Si fanno le valige, si parte da un punto preciso e si procede cercando di raggiungere il punto d’arrivo, la meta tanto desiderata. Ma come a volte accade durante un viaggio, le insidie, gli errori, le paure e gli imprevisti sono lì pronti a sorprenderci, a frenarci, a volte al punto di farci desistere dal proseguire. Con l’aiuto delle persone che ci stanno accanto o di quelle incontrate lungo la strada, si riesce tuttavia a venirne fuori, a volte con facilità, altre con estrema pena; ma non ci si siede mai sull’errore, per non perdere l’investimento fatto. Durante il mio viaggio ho avuto diverse persone al mio fianco che mi hanno spronato e incoraggiato a continuare il cammino, a realizzare il sogno che da tanti anni tenevo chiuso in un cassetto, il mio progetto.


Grazie ai miei genitori, che mi hanno donato la vita, mi hanno cresciuto e istruito, permettendo che tutto questo si trasformasse in realtà.

Un grazie particolare alla stilista Sonia Galiano, un personaggio reale che prende vita in questo romanzo, per aver prestato gentilmente il suo nome e quello dei suoi lavori. Li potrete trovare sul suo sito internet ufficiale: www.soniagaliano.com.

E infine, ma non da ultimo, grazie a te Elena, per aver istruito il mio cuore e guidato la mia mente durante tutto questo percorso: qui dentro c’è davvero una grossa parte di te.

1

La sveglia suonò facendola sobbalzare. Erano già le sette e mezza del mattino e quell’orrendo suono non le lasciava alcuna scelta, le perforava il cervello come se fosse un semplice ammasso di gelatina. Appena svegliati, tutti i rumori sembrano amplificati a dismisura. Ancora assonnata, Lynda allungò la mano per premere il tasto e far tacere finalmente quella macchinetta infernale, e per un attimo sperò fosse per sempre. Si rigirò nel letto avvolta nel suo caldo piumone e fu lì per riaddormentarsi, quando sentì sul suo viso il fiato caldo del suo cane Puh, venuto al suo letto per incoraggiarla ad alzarsi, come faceva ogni mattina, con puntualità.

«Ciao bello mio!», esclamò anche quel giorno mentre con le mani prendeva e strapazzava il musetto morbido del cane, completamente ricoperto di pelo. Da parte sua Puh ricambiava con un dolce lamento, reclinando il capo e lasciando libero sfogo alla coda scodinzolante.

«Dai, ma che fai Lynda Grant, muoviti! Alza le chiappe dal materasso, oggi hai l’incontro con i giapponesi e ti giochi la carriera, te ne sei dimenticata forse?», si obbligò ad alta voce per convincersi prima e meglio a lasciare quelle calde lenzuola che le davano sicurezza oltre che una piacevole sensazione di benessere. Alzatasi dal letto, Puh la seguì, felice di aver compiuto il suo dovere anche quel mattino. Puh sapeva che entro pochi minuti la sua padrona lo avrebbe lasciato ancora da solo per una lunga, interminabile giornata e lui sarebbe rimasto lì ad attenderla fino a sera quando lei, rincasando, lo avrebbe fatto giocare un po’, regalandogli un po’ di quella compagnia che il cucciolone andava elemosinando ogni giorno. La seguiva ovunque per la casa, non voleva perdersi nemmeno un istante di quella sua fugace presenza.

Lynda lavorava per una multinazionale operante nel settore delle materie plastiche di ogni genere e da qualche tempo aveva avviato una grossa trattativa con un importante cliente giapponese, un produttore e distributore di giocattoli. Lynda non aveva però mai avuto l’opportunità di parlare con il signor Yamada in persona, l’avevano sempre messa in contatto con i suoi scagnozzi. Tuttavia alla fine le fu comunicato che Yamada avrebbe preso parte personalmente alla presentazione del suo progetto, presso la loro sede di New York. Si diresse in bagno con tutti i vestiti in mano, li aveva già diligentemente riposti ben stirati sulla sedia della camera la sera precedente. Si conosceva troppo bene per accettare di correre rischi quel mattino. Entrò nella cabina doccia e le luci colorate cominciarono a coprire il suo corpo con sfumature di colore che andavano dal rosso al verde, dal blu al giallo e davano alla sua pelle una parvenza metallica. Le usava per rilassarsi la sera, prima di andare a dormire. Ma quel mattino non aveva davvero nessuna voglia di starle a guardare. Doveva incontrare i giapponesi, Yamada-san in persona! E doveva ancora ripassare tutte quelle stupide regolette sull’inchino tra persone di diversa classe, età, estrazione sociale e sesso! Troppe cose da fare ancora, tutte concentrate in una sola mattina, tanto che non riuscì nemmeno a ritagliarsi un momento per un caffè veloce.

Uscì di casa intorno alle otto e un quarto, le strade erano già intasate come sempre dal traffico di pendolari diretti in ufficio, dai turisti e dai taxi fermi in coda ai semafori. Lynda ne individuò subito uno, guidato da un uomo che conosceva molto bene e che l’aveva già portata in giro parecchie volte in precedenza, fin dalla tenera età.

«Buongiorno signorina Grant!», esclamò il tassista non appena Lynda ebbe spalancata la portiera posteriore del veicolo.

«Buongiorno James», rispose, senza nemmeno guardarlo negli occhi, «Questa mattina devi volare come un razzo, mi raccomando! Sono già in ritardo pazzesco e ho un’importante riunione di lavoro che mi aspetta tra poco».

«Farò l’impossibile signorina, ma come anche lei può vedere siamo tutti qui fermi in coda. A che ora è il suo appuntamento?».

«Alle nove meno un quarto, abbiamo ben trenta minuti!», rispose Lynda, irritata dall’osservazione dell’uomo che la contrariava.

«Abbiamo solo trenta minuti, vorrà dire. Lei sa bene quanto tempo ci vuole per attraversare il centro città a quest’ora del mattino e con questo traffico. Saremo fortunati se riuscirà ad arrivare per le nove. Ma sarà già comunque in ritardo e non so se con i giapponesi è una cosa buona», rettificò James.

«Infatti non lo è. Oggi mi gioco la promozione James, quello per cui ho lavorato per anni! Senti, scendo e me la faccio a piedi, arriverò prima», esclamò mentre si apprestava ad aprire la portiera per scendere dall’auto.

«Arriverà sfinita e bagnata di sudore come un pulcino signorina. Non glie lo consiglio. Almeno non oggi. Visto che per lei è così importante, deve presentarsi in modo impeccabile! I giapponesi badano molto alle apparenze!».

«E tu come lo sai?».

«Dopo aver lavorato per tanti anni per il Senatore, suo padre, qualche cosa l’ho imparata! Forza ora andiamo».

Lynda accennò un segnale di consenso, tirò verso di se la sua valigetta in pelle contenente i cataloghi e il materiale cartaceo da distribuire quel mattino ai partecipanti e lasciò andare la testa contro il poggiatesta, per rilassarsi un po’. Il taxi procedeva lentamente, quasi a passo d’uomo, mentre i minuti correvano via senza pietà come blocchi di marmo su una lastra d’acciaio cosparsa d’olio. Arrivò l’ora dell’appuntamento e Lynda era ancora lontana dalla sede di lavoro. In quel momento squillò il cellulare, se lo aspettava.

«E’ il mio capo! E adesso che cosa gli dico?», esclamò mentre cercava il tasto per rispondere alla chiamata. Ma, trovatolo, decise di non rispondere e lasciò squillare il telefono a vuoto fino a quando non si fermò dopo parecchi interminabili secondi. L’uomo la guardava attraverso lo specchietto retrovisore, accennando un timido sorriso per la ragazza.

«Signorina, forse dovrebbe rispondere al suo capo, che ne dice? Può sempre inventare una piccola bugia, per guadagnare un po’ di tempo prezioso. Ormai non manca molto, tra quindici minuti al massimo saremo arrivati», pronunciò James con tono rassicurante, lanciando un eloquente gesto d’intesa non appena il telefono ricominciò a squillare. Lynda rispose.

«Jack! Ciao, buongiorno!», rispose Lynda con un tono quasi infantile.

«Buongiorno un corno Lynda! Dove diavolo sei finita? Yamada è già qui da cinque minuti in sala riunioni. Non un minuto, ben cinque!»

«Si Jack hai ragione. Ma vedi, ho avuto un grosso problema questa mattina! La sveglia si è rotta, mi sono alzata tardi perché ieri sera ho lavorato fino a notte fonda per mettere a punto la presentazione. Poi stamattina c’è un traffico incredibile! E per di più una signora anziana è caduta per strada, non ci crederai proprio davanti a me, non potevo non aiutarla, capisci….», ansimò Lynda senza tregua. James sorrideva, compiacendosi del fatto che Lynda avesse seguito il suo consiglio. Le strizzò un occhio ma la invitò a non esagerare con le bugie.

«Ma che cosa stai dicendo? La signora è caduta, tu sei corsa da lei per aiutarla a rialzarsi e magari l’hai anche accompagnata all’ospedale! Una signora da aiutare proprio stamattina, proprio oggi che abbiamo qui i giapponesi? Lynda, tu non sai mentire! Per favore cerca di muoverti, ti voglio qui tra cinque minuti, non uno di più! Sono stato chiaro?», sbottò il suo capo Jack, prima di riattaccare senza nemmeno attendere una risposta da parte della ragazza.

«Ha visto James? Non ha funzionato! Non mi ha creduto!»

«Ma io le avevo suggerito di inventare una piccola bugia, non una balla gigantesca come questa!», rispose James sorridendo, «Quanto tempo ha a disposizione?».

«Cinque minuti, oppure è la fine. La mia fine!».

«Ora in cinque minuti a piedi dovrebbe farcela, arriverà un po’ stanca ma tutto sommato ancora viva. Attraversi il centro Commerciale che trova qui alla sua destra, poi prosegua sempre dritto e oltrepassi l’area pedonale».

«Si è vero! Conduce direttamente alla piazza antistante l’azienda! Grazie James! Quant’è per la corsa?», chiese Lynda in segno di ringraziamento.

«Per oggi nulla, ci penserà domani quando sarà più tranquilla e meno di fretta. La prossima volta però faccia suonare prima la sveglia, ok? Forza vada ora, vada!».

«Seguirò il tuo consiglio James, grazie», rispose, inviandole un bacio con la mano che l’uomo accettò di buon grado, stimandosi per la dolce conquista.

Lynda percorse le poche centinaia di metri a piedi con passo sostenuto e a tratti accennando ad una leggera corsa. Cominciò a sudare, era appena scesa dall’auto con l’aria condizionata accesa e all’aperto la prima calura di Maggio si faceva già ben sentire. Arrivata davanti all’entrata, la porta le si spalancò davanti. Lynda entrò di corsa mentre la receptionist le veniva incontro.

«Signorina Grant, Jack Brown la sta aspettando in sala riunioni con i giapponesi, dice che siete già in ritardo!»

«Si lo so, lo so! Altrimenti secondo lei per quale motivo starei correndo? Per mantenermi in forma forse?», rispose Lynda, estremamente infastidita dall’insolenza di quella semplice receptionist che si era presa la libertà di farle un appunto per il suo ritardo.

«La sala riunioni è al quarto piano e stamattina abbiamo un problema con gli ascensori! Temo dovrà utilizzare le scale signorina Grant», gridò la ragazza mentre Lynda correva verso le rampe agitando le mani come una pazza in preda ad una crisi di nervi. Le stava andando tutto storto, come sempre quando aveva da portare a termine qualcosa di veramente importante!

Arrivata davanti alla sala riunioni rallentò, si ricompose aggiustandosi la gonna e la camicia del suo elegante tailleur. Si guardò sotto le ascelle, erano un po’ bagnate e delle chiazze di sudore si erano fatte spazio sulla stoffa ma potevano ancora andare, avrebbe evitato di alzare le braccia più dello stretto necessario. E poi, i giapponesi non sudavano? Aprì la porta ed entrò. Nella sala regnava il silenzio totale, come in chiesa alle tre del pomeriggio di una giornata lavorativa nel mese di agosto. Jack la guardò prima per un forte rimprovero e poi per accennarle un sorriso forzato e presentarla al meglio che poteva ai giapponesi, nel tentativo di rimediare ad un danno ormai fatto. Lynda diede una rapida occhiata alle persone, ne contò ben cinque con gli occhi a mandorla e la pelle gialla come la buccia di un limone andato a male. Chi di questi era Yamada?

«Yamada-san, mi permetta di presentarle la nostra Lynda Grant, con lei avete intrapreso le prime trattative e i contatti relativi al progetto che oggi lei stessa avrà il piacere di presentarvi. Linda, questo è il presidente Yamada e con lui ci sono i signori Mizuke, Koboashi, Okano e Fukura».

I giapponesi si alzarono in piedi in sequenza, come se fosse stato ordinato loro di farlo dopo essere stati chiamati per nome. La loro movenza ricordava i martelletti dei tasti di un pianoforte che si alzavano per colpire le corde tese ed emettere il loro suono. S’inchinarono e Jack rispose all’inchino. Ognuno di loro s’inchinò secondo un angolo diverso e a partire da Yamada, che aveva semplicemente piegato la testa in avanti, sembravano formare uno scivolo. In quel momento Lynda realizzò di non aver ripassato bene la lezione sull’inchino quel mattino. Cosa poteva fare? Decise di inchinarsi il più possibile, pensando che così facendo avrebbe espresso il suo massimo grado di rispetto, allineandosi all’inchino più basso rilevato tra i presenti. Jack la guardò irritato indicandole di inchinarsi di più, molto di più! Ma perché mai? Oh si, l’aveva dimenticato! Lei era una donna! Ma come poteva inchinarsi più di così se quasi toccava con il volto il piano del tavolo?

Yamada e uno dei suoi scagnozzi del quale aveva già dimenticato il nome cominciarono a parlare tra di loro in giapponese. Yamada era impassibile, immobile come un tronco di legno in una stanza chiusa e privata di aria. A malapena muoveva le labbra e i suoi occhi sembravano immobilizzati, nascosti dietro le gonfie palpebre. L’altro individuo continuava a muovere il capo in su e in giù, per indicare che ciò che gli veniva detto era da lui ben compreso. Al termine il sottoposto accennò un inchino atto a chiedere la parola e cominciò a riportare ciò che gli era stato comunicato.

«Yamada-san dice che possiamo iniziare la nostra riunione», disse indirizzando lo sguardo verso Jack il quale replicò subito in tono di approvazione con un sorriso.

«Benissimo! Quindi lascio la parola a Lynda che ora vi presenterà nel dettaglio il progetto per la produzione e…».

«Ma Yamada-san dice anche che il business è fatto dagli uomini e vuole quindi che sia un uomo a presentare oggi questo progetto».

Nella sala calò un gelido silenzio. Lynda era incredula, non riusciva a credere alle sue orecchie. Sentiva solamente freddo, tanto freddo. Forse era arrivato l’inverno, dentro di lei.

«Ma che figlio di…»

«Lynda! Per cortesia!», la sgridò Jack. Poi rivolgendosi ai giapponesi chiese un minuto per parlare con la ragazza. Uscirono dalla sala.

«Devo farti una cortesia? E per che cosa, scusa? Lo hai sentito che cosa ha detto quel bifolco? Vuole parlare con un uomo, non con me!».

«E cosa ci posso fare io Lynda, è insito nella loro cultura, dovresti saperlo! Sono giapponesi, vivono di apparenze e di regole sociali! E’ un paese dove le leggi son fatte dagli uomini, che cosa pretendi?».

«No Jack, io non so proprio nulla e nulla voglio sapere. Io sono entrata in contatto con loro, io sono la persona che ha sviluppato il progetto e io lo presenterò a questi “signori”. Che gli stia bene oppure no! Non è vero Jack?», disse Lynda fissandolo dritto negli occhi fin quando lui non li abbassò per guardarsi le scarpe. «Vero Jack? Dico bene? Ti prego Jack!», gridò Lynda con le lacrime che cominciavano a riempirle gli occhi e che a stento riusciva a trattenere.

«Lynda, gli interessi dell’azienda vengono prima di tutto e di tutti. Tu lo sai quanto ti sono amico e quanti stimi il tuo lavoro e il tuo operato qui dentro. Avrai la tua promozione comunque, non preoccuparti per questo. In fin dei conti il lavoro è comunque tutto tuo. Vogliono che sia un uomo a presentare? Un uomo avranno!».

«Ma non mi puoi fare questo! Io non voglio la tua elemosina, questa promozione me la sono cercata, ho combattuto per averla e penso di essermela meritatamente guadagnata. Voglio portare avanti tutto io fino alla fine. Jack, per favore! Fa che sia io a presentare il mio lavoro! Sono sicura che puoi convincerli», replicò Lynda, senza distogliere lo sguardo da quello dell’uomo che, però, non aveva armi a sua disposizione per difendere ed esaudire la richiesta della giovane. Riusciva a capirla perfettamente, era passato anche lui in una situazione simile e sapeva quanto fosse frustrante e difficile da accettare. Ma come lui aveva capito a suo tempo, era sicuro che anche l’intelligentissima Lynda lo avrebbe fatto. Ripensò alle parole che gli disse il suo capo in quella occasione e decise di riciclarle in quella occasione.

«Lynda, ora vai in bagno a sistemarti il viso, te lo sto chiedendo come tuo capo. Non puoi presentarti in questo stato davanti a queste persone. La presentazione del progetto la farà Gregory».

«Chi scusa? Gregory? Quel viscido verme raccomandato?».

«Lui. E’ pur sempre il nipote del Presidente della nostra società, quindi ti chiedo di mantenere un tono di rispetto quando parli di lui. Vai in bagno ora, veloce! E cerca di rientrare in aula il prima possibile, non possiamo aspettare ancora spazientire i nostri ospiti più di quanto non abbiamo già fatto», rispose Jack appoggiandole in segno amichevole una mano sulla spalla.

«Non mi toccare Jack, mi fai schifo anche tu come loro! Tutti qui dentro mi fanno schifo! Anche quelle piante vicino alla finestra, mi hanno sempre fatto schifo! Ma non ho mai detto nulla, ho sempre inghiottito il rospo in attesa di questo giorno! E ora che è arrivato sono io quella che viene tagliata fuori dai giochi, perché sono donna e non mi è permesso partecipare. Ma che scherzo è mai questo?».

«E quindi hai scelto proprio questo momento per parlare Lynda? Proprio ora che sei ad un passo dal raggiungimento del tuo obiettivo? Cos’altro vuoi dire?», replicò Jack con un leggero sorriso, nel tentativo di rassicurala. Ma Lynda non fu dello stesso avviso.

«C’è ancora una cosa che vorrei dire Jack», continuò Lynda, scura in volto, «Andate tutti a farvi fottere, tu compreso Jack. Io mi licenzio, vedetevela voi uomini qui dentro!».

«Lynda ti prego di ragionare, per favore! Non fare la bambinetta insolente! Dai vieni qui, ti aspetto dentro, muoviti! Ne parleremo meglio dopo, quando il contratto sarà stato firmato e io avrò il piacere di ufficializzare la tua promozione!», implorò Jack alla volta della ragazza che, invece di dirigersi verso i bagni per darsi una sistemata, aveva imboccato la rampa delle scale, in preda ad uno sfrenato sfogo di pianto.

2

Sentì sbattere forte la porta d’ingresso e sobbalzò, raddrizzando le orecchie e prestando la massima attenzione ad ogni singolo rumore che percepiva. Puh non si aspettava di veder rincasare la sua padroncina così presto, quando ancora la forte luce del sole filtrava attraverso le enormi vetrate dell’appartamento che dai piani alti si affacciavano sulla città. Le corse incontro abbaiando e saltando sulle quattro zampe come sempre faceva ogni giorno, pronto a giocare con lei e a ricevere le carezze dalle sue mani morbide come la seta. Ma il suo cuore di cane intuì che qualche cosa in lei non andava come al solito: smise di abbaiare, lo scodinzolio della sua coda rallentò e si accucciò, appoggiando il musetto sulle zampette unite ma senza togliere gli occhi di dosso alla sua padroncina. Immobile in quella posizione, la seguiva con gli occhi in ogni suo movimento. Lynda, ancora in preda al pianto e alla tristezza che provava nel cuore, si chinò per accarezzarlo e per ringraziarlo di quella sua complicità che le offriva senza chiedere mai nulla in cambio. Puh era davvero il suo unico, vero amico. Poco importava che si trattasse di un cane, era l’unico essere in grado di donarle un po’ di serenità.

«Caro il mio Puh! Sai, a volte invidio il tuo stato d’essere, la tua libertà. Vorrei essere come te, libero, spensierato. Vorrei poter correre felice rincorrendo una palla, come facevo da bambina quando mamma e papà mi portavano in vacanza dai nonni e dalla zia Beth, in Cornovaglia. Cara zia Beth! Insisteva nel volermi insegnare a preparare la marmellata! Ed ero diventata anche brava, sai Puh?». Le lacrime di Lynda continuavano a solcarle il viso già arrossato, deformato dai due occhi blu come l’oceano, gonfiatisi come due meloni per il troppo pianto. Una lacrima trovò un nuovo percorso sul volto di Lynda, una parte rimasta ancora stranamente asciutta, e terminò la sua corsa sul naso di Puh. Il cane la sentì, la leccò via e poi si alzò per leccare il viso della ragazza che cominciò a ridere come sempre faceva quando il suo cane la trattava in quel modo.

«Dai Puh, smettila!», diceva mentre finalmente il pianto si diradava, lasciando emergere nuovamente il suo bel sorriso.

«Ti voglio bene, mio dolce campione!», disse diretta al cane che, compiaciuto, si lasciava accarezzare la pancia ben volentieri, «Riesci sempre a tirarmi su. Come farei senza di te?». Puh rispose ancora con un timido lamento, per indicarle che aveva capito e che, fin quando gli sarebbe stato possibile, non l’avrebbe mai lasciata.

«Dai forza, scendiamo e facciamo una passeggiata all’aria aperta!». Il cane non se lo fece ripetere due volte! Non capiva il perché di quel fuori programma, ma gli piaceva e voleva approfittare di quell’irripetibile momento di fortuna.

Il sole splendeva alto nel cielo, Lynda lo notava filtrare tra un palazzo e l’altro, disegnando sull’asfalto il profilo ombrato delle anonime facciate. Non era solita passeggiare in settimana a quell’ora nelle strade della città, lei avrebbe dovuto essere in ufficio come sempre in quel momento. Invece la rabbia che l’aveva corrosa quel mattino le aveva poi suggerito di regalarsi un momento di evasione, tutto per lei e per il suo fedele Puh che zampettava felice accanto a lei. Si lasciava trafiggere dai raggi del sole, sperando di trarne beneficio per portare un po’ di calore al suo animo congelato. Com’era diversa la città vista con quegli occhi, ora che sentiva il vuoto dentro di lei accompagnare l’assenza totale di aspettative! Quella passeggiata clandestina le ricordava le volte in cui, da piccola, aveva saltato la scuola per spassarsela con le compagne al parco o nelle città vicine! Si, quando succedeva le furbacchione prendevano i mezzi pubblici e si allontanavano dalla città, per evitare di essere scoperte dal fornaio, dal lattaio o dal droghiere. Quelli si che erano tempi belli! Tempi che a Lynda sembravano ormai così lontani, come facenti parte di una vita passata e per lei ormai definitivamente conclusa. Una macchina accostò e Puh cominciò ad abbaiare.

«Signorina Lynda!».

«James!», rispose Lynda altrettanto sorpresa di vedere il fedele tassista.

«Signorina, non dovrebbe essere in ufficio con i giapponesi ora?», chiese James sorpreso nel vedere la ragazza a piedi per strada in una situazione tanto insolita. Capì che qualche cosa non doveva essere andato per il verso giusto. Ritirò quindi il suo grosso corpo all’interno dell’auto, facendo cenno a Lynda di salire in auto.

«Non posso James, non ho soldi con me. Sono uscita distrattamente e ho lasciato il mio portafogli in casa, mi devi scusare. E poi c’è il mio cucciolo Puh qui con me, non so se è il caso».

James guardò il cane e prese le sue misure ad occhio:

«Beh, son pur sempre più grosso io di lui, non ti pare? E per quanto riguarda la corsa, diciamo che sono in pausa e che quindi è gratis!», rispose per concludere il suo invito. Lynda sorrise aprì la portiera e guardò Puh che accolse l’intesa e balzò subito all’interno della vettura. Lynda si aspettava un po’ di domande da parte del suo amico James. Per lei era più di un semplice tassista. James era stato quasi come un padre per lei fin da quando era piccola. Quel padre mancato capace di ricoprire la ragazza di attenzioni e cure, dandole ciò che il suo vero padre biologico non era stato in grado di darle per via del suo attaccamento al lavoro, così morboso da avergli fatto perdere qualunque interesse per le emozioni vissute in famiglia. Forse lui le riteneva meno importanti delle gratificazioni che la sua prestigiosa carica di Senatore poteva offrirgli. E così che non visse mai gli anni leggeri e spensierati di una Lynda bambina, di quell’unica figlia arrivata per caso e alla quale non era mai stato capace di dire davvero ‘ti voglio bene piccola’. E Lynda, da parte sua, non chiedeva nulla. Non sentiva nulla sgorgare dal cuore di quell’uomo, perché mai doveva provare il desiderio di sentirsi amata come una figlia da lui? Ma, nonostante tutto, si chiedeva spesso il perché ciò non accadesse. Riceveva dalla mamma e da James tutto ciò che le serviva, l’affetto e ogni cura nei suoi confronti provenivano da loro, perché preoccuparsi quindi di quell’altro uomo che non era mai stato veramente presente in occasione delle sue decisioni, dei suoi pianti e dei suoi momenti di gioia? Dai comportamenti del padre Lynda aveva dedotto il significato di quella forma di sentimento che tutti chiamano comunemente “indifferenza”.

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