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Le Mura Di Tarnek
L’attimo di silenzio aveva avuto un certo effetto sul Verde. Come se non ci fosse stata alcuna discussione, con voce seria fece un’offerta, e Tesos capì che era l’ultima che avrebbe fatto.
“Dieci mesi”.
“Accetto”, si arrese. La situazione lo aveva sfinito.
Il Verde girò la testa in direzione del muro. Tesos istintivamente accompagnò il suo sguardo. Non vedeva nient’altro che tenebre.
Quando sono entrato, là c’erano delle ombre. Ombre sul muro.
“Tornan, vieni fuori”.
Con passo leggero venne avanti sotto la debole luce un altro bandito. Portava un recipiente a forma di flaconcino col manico, abbastanza grande per quel che doveva contenere. Aveva un’aria visibilmente impaurita – la tensione tra i negoziatori aveva certamente lasciato un segno anche su di lui. Non eravamo soli, pensò Tesos. Anche uno stupido l’avrebbe previsto, nessun delinquente era tanto pazzo da camminare sul filo del rasoio con un giustiziere armato. Il Verde poteva anche avere una lama nascosta, ma il trinciante era l’incubo di ogni kas. Probabilmente aveva ordinato ai suoi di nascondersi al buio. A parte che non c’era tutto quel buio quando sei arrivato. Solo il muro e le ombre, non c’era nient’altro.
Tornan, senza dire una parola, poggiò la merce sul tavolo. Il Verde sollevò il coperchio e inclinò il recipiente affinché Tesos potesse guardarne l’interno.
“Ecco qua. Posso garantirne la qualità. Ti do la mia parola che sarai soddisfatto”.
Come se la tua parola valesse qualcosa per me, pensò l’altro e tirò fuori dalle maniche un ferro piuttosto lungo. Lo aveva portato proprio con quest’intenzione – non aveva pianificato di giocarsi la carta della fiducia. Penetrò la massa biancastra senza problemi fino a toccare il fondo. Tesos lo tirò fuori e ne avvicinò la punta alla luce della candela.
È così debole, proprio come avevamo previsto.
Il ferro era pulito, il composto non vi aveva lasciato traccia, e questo poteva significare soltanto una cosa. Tirò un sospiro di sollievo. Il balsamo era veramente di qualità superiore.
“Dunque l’affare è concluso?” domandò il Verde.
“Per quanto mi riguarda, sì” rispose Tesos.
“È stato un piacere. Tornan, prendi il pezzo”.
Il bandito eseguì l’ordine e i negoziatori si alzarono, alla fine decisamente soddisfatti della buona riuscita. Il rischio dell’intero affare era grande, e tutto si era concluso bene. Dopo aver diviso il bottino tra le parti, la vita poteva andare avanti. Tesos giurò solennemente a sé stesso che non si sarebbe mai più permesso di trovarsi in circostanze simili.
Fu allora che accadde.
All’inizio pensò che il suono venisse da fuori, ma poi capì che qualcosa si agitava nell’ombra. Ce ne sono altri lì dentro, ce ne sono altri nascosti. Un’imboscata. Istintivamente afferrò il tubo vuoto, senza mollare la presa sul prezioso recipiente, poi, ricordatosi che era rimasto senza il suo supporto più valido, con la mano libera tirò fuori in un lampo la corta lama che teneva dietro la cintura. Il Verde si spostò alla destra del suo tirapiedi, ma la visibilità era troppo debole perché Tesos potesse vedere l’espressione del suo viso. La sua voce gli fece capire qual che gli occhi non potevano.
“Che succede?”. Anche il bandito era turbato.
Al posto di rispondere Tornan lanciò un gemito. Come se fosse a chilometri di distanza, pensò il giustiziere. A un tratto il desiderio di fuggire prese il sopravvento su ogni precauzione e si slanciò verso l’uscita.
Peccato che non ci fosse più un’uscita. Anche se prima lì c’era il corridoio che lui stesso aveva percorso, ora al suo posto si estendeva una vuota tenebra, quasi viva. Non può essere vero. Veloce come un lampo, vibrò la lama, senza neanche sapere cosa sperava di ottenere, ma al posto del movimento desiderato fece un goffo mezzogiro su sé stesso e per poco non finì a terra. Si scivola come sull’olio, pensò. Il tavolo presso il quale si trovava fino a poco prima aveva perso ogni forma nella distanza, mentre la fiamma della candela era ormai un punto lontano nell’infinito. Laggiù da qualche parte c’era anche il Verde, non poteva vederlo ma sapeva che c’era.
Poi con un rumore spaventoso tutto prese a girare intorno a lui e l’oscurità prese una forma la cui esistenza gli fece perdere la ragione.
Mentre con gli ultimi brandelli di coscienza navigava in un mare di terrore, il suo corpo gridò.
CAPITOLO PRIMO
“Abbi pietà dei deboli,
perché il loro risveglio può essere il tuo”
Dal Libro della Grazia
Sarius si ricordava bene il suo primo giorno sulla strada. Aveva subito prestato giuramento all’Eternorisorto per entrare nella Chiesa, e non dovette passare molto tempo prima che gli assegnassero una circoscrizione. Da allora erano trascorsi vent’anni, ma i cambiamenti erano così palpabili che gli sembrava che si trattasse almeno del doppio.
Un tempo aspettavo l’indomani con impazienza.
Dall’alba al tramonto i predicatori trascorrevano il loro tempo con i kasi, tempravano la loro forza di volontà e le loro virtù, si godevano i momenti trascorsi insieme e fugavano preoccupazioni e paure. Non molto tempo fa, i cittadini erano soliti andare loro incontro con un sorriso, discutere con loro di Dio e giungere a conclusioni tali da riempire il corpo di gioia. Un tempo avrebbe riconosciuto i loro volti, e si sarebbe fermato a parlare con loro e a benedirli. Oggi era diverso. Passo a passo era andato tutto in malora, non si sa bene come. Semplicemente, era successo.
Non ci sono più volti familiari.
La cosa lo angustiava. Le esistenze minacciate, i kasi avevano continuato a migrare da una zona della città all’altra, le loro attività erano sparite e il bisogno li aveva spinti a trovarne di nuove, buona parte delle quali non faceva loro onore. Se anche di tanto in tanto avesse incontrato nella massa un volto conosciuto, non lo avrebbe stupito l’assenza di cordialità. Quando il domani diviene incerto, una parola santa non può offrire una consolazione sufficiente.
È la stessa cosa dentro di noi.
Era un segreto di pulcinella. Anche se la Chiesa era una delle parti della società meno minacciate, nonostante la continua ricerca di quello o quell’altro balsamo fosse ormai roba ordinaria, molti fratelli avevano perso le forze e abbandonato il servizio divino. Sarius non lasciava che le voci di corridoio alimentassero i suoi timori, ma sempre più spesso nel suo ordine religioso si potevano sentire racconti che gli facevano venire i brividi.
Se i più devoti si allontanano tanto dalla retta via, cosa può mai succedere agli altri?
Qualche giorno prima, fratello Pion era rientrato dal servizio prima del previsto. Sarius non era riuscito a vederlo, ma – secondo quanto aveva sentito – aveva una brutta ferita nella zona delle spalle. Per qualche ragione si era rifiutato di parlare, e la cosa, unita al foro delle dimensioni di una mano che gli aveva quasi trapassato il corpo, aveva causato un’ulteriore inquietudine. Che cosa può terrorizzare tanto un servitore del Sarto dei sogni, del Dio Eternorisorto che senza fallo elargisce i destini? Quali forze oscure si erano moltiplicate tra le mura, e quando qualcuno si sarebbe messo sulla loro strada?
Anche l’Ordine, certo, ha i suoi problemi.
Sarius riteneva di possedere una buona capacità di giudizio. Non aveva mai dubitato della propria fede, forse proprio in virtù di questo dono. Una cosa però è credere, un’altra è agire. A che cosa servono le preghiere se non ti sforzi in prima persona di combattere per ciò a cui mirano i tuoi pensieri? Non vi era ragione di negare che erano ormai a un passo dal collasso, e non vi era più motivo di negare che la situazione era fuori controllo. Perché dunque nessuno reagiva? Anche se un piano fosse esistito, il tempo per metterlo in moto era agli sgoccioli. Almeno una parte, solo un piccolo segnale di unità di cui tutti avevano un gran bisogno, al di là del loro status sociale.
Certo, non si tratta di un unico problema.
Soltanto un kas stupido lo avrebbe presupposto. Se tutto era diventato evidente con la carenza di balsamo, ciò non significava necessariamente che fosse quello l’unico focolaio. Che cosa mai aveva portato al crollo definitivo della produzione? Per quale motivo le elargizioni dall’Anello Esterno si stavano praticamente estinguendo? Come mai quel suolo per secoli fertile era d’improvviso diventato sterile? E perché in nome di tutto il Consiglio Cittadino non si esprimeva a riguardo? Possibile che il Reggente non contattasse la Gilda dei Veggenti? Sarius era presente quando alla riunione annuale Tenej il Gioioso aveva chiesto al Santo Fratello Kalej la posizione ufficiale della Chiesa su tale questione. Sconsiderato nell’affrontare l’argomento, aveva gettato l’ombra del dubbio sul Sommo Sacerdote e sul suo impegno nella più alta struttura del potere. Fu ammonito all’istante. Sarius lo compativa, profondamente convinto che le sue intenzioni non fossero cattive. Un predicatore tanto rispettato, abbastanza da essere condannato alla rovina. Tuttavia, la decisione doveva essere rispettata, e in un certo senso poteva capirne i retroscena. I tempi erano tali da non permettere dubbi sulla forza e la correttezza dell’autorità, soprattutto negli ordini ufficiali.
Eternorisorto, dacci la forza per superare tutta questa follia.
Camminava a rilento attraverso un fiume di kasi. Li guardava in volto, e sembrava che fosse l’unico a farlo. Si spingevano e cadevano, strillavano e s’insultavano. Gli sembrò che a qualche metro da lui fosse scoppiata una lite ma non poteva esserne sicuro per il gran chiasso.
Un tempo non vi erano risse.
Strinse forte l’involto sul petto pensando al proprio compito. Quelli che oggi avevano bisogno di lui non si trovavano tra la folla. Si diresse verso il monumento alle stelle ed entrò nel Viale della Luna. La spazzatura non incenerita era ammucchiata attorno a una fontana inaridita. Una filigranetta ricoperta di polvere ne beccava inutilmente l’arida sommità. Gli uccelli sono creature fragili e hanno bisogno di acqua. In tempi più felici le fontane cittadine lavoravano solo per loro, e loro mostravano la propria gratitudine col canto. Da tempo non li vedeva più in stormi.
Sei rimasto solo, piccolo. Qui non placherai la tua sete.
Prese a destra all’incrocio successivo, e si fermò davanti a una baracca mezza crollata. Era solo una tra le tante in città che offrivano rifugio agli emarginati. Come se volesse assicurarsi di essere nel posto giusto, fissò attentamente la porta cadente prima di imboccarla e procedere all’interno.
“Che l’Eternorisorto vi porti la pace”, annunciò la propria presenza. In tutta risposta, qualcuno gemette. Rimase fermo sul posto per qualche istante, finché i suoi occhi non si abituarono all’oscurità. Poi, con un movimento che mostrava la sicurezza di quanto cercava, smosse il mucchio di stracci che si trovava vicino ai suoi piedi.
Era messa peggio del giorno prima, la cancrena si era diffusa più in fretta di quanto potesse immaginare. Era partita dal petto, ma come un fiore si era diffusa nell’intero torace e aveva preso tutti gli arti e parte del viso. Solo gli occhi potevano ancora muoversi, e lasciavano trapelare una tristezza infinita. Sta per morire, pensò, se la sposto andrà in pezzi. Coprì la poveretta, consapevole che ungerla sarebbe stato solo uno spreco della preziosa risorsa. Per lei non poteva più fare niente. Le chiuse gli occhi.
Sarto dei sogni, accorcia la pena della tua serva fedele e guidala verso il riposo eterno.
I due malati successivi non erano messi tanto meglio, e Sarius prese la difficile decisione di non ungerli col balsamo. La misericordia era una cosa, ma un inutile spreco di quel prezioso unguento su corpi immobili in cui si stava irrimediabilmente spegnendo la vita era tutt’altra cosa. Sperava che anche la loro coscienza fosse ormai andata, che gli infelici non fossero coscienti di cosa li aveva colpiti. Il corpo era la cosa più sacra per ogni kas, e la sua conservazione il primo dei propri doveri. Essere negligente nei confronti del proprio corpo o annientare quelli altrui erano peccati al di sopra di ogni peccato. Qualcosa per cui non vi era perdono.
Solo che loro non sono responsabili della propria rovina.
La morte cancrenosa, un’epidemia che devastava i tessuti, era diventata realtà. Il balsamo, un bene dato per scontato di cui la Gilda riforniva la città, e la ghiera che teneva insieme la società, era diventato un lusso. La sua scomparsa definitiva era ancora ben lontana, ma persino quei fortunati che continuavano a ricevere la razione regolare erano preoccupati per la sua efficacia. Le conseguenze di tale situazione giacevano di fronte a Sarius. L’unico kas ancora capace di muoversi, accanto a cui si era accovacciato, alzò con gran pena la testa e si appoggiò al muro.
“Come stai oggi, Kalon?”, domandò Sarius con dolcezza.
“Meglio, predicatore. Ero convinto di poter fare una bella corsetta, ma le gambe mi hanno stranamente tradito”. La gola di Kalon emise un suono stridente, un misero tentativo di risata. Sarius era stupito dalla combattività del suo spirito.
“Fammi vedere”. Sollevò la coperta sporca temendo ciò che avrebbe trovato. La situazione era tutt’altro che buona. La gamba destra sembrava quasi non appartenergli più, giusto un paio di strisce di pelle secca la teneva attaccata al resto del corpo. Delle bolle di un azzurro sbiadito non lasciavano spazio alla speranza che l’altra potesse sfuggire al destino della sua vicina.
“Sembra un po’ meglio”, mentì senza pensarci troppo su.
“Sembra, niente più”, rispose il malato. “Se si potesse ancora curare la cancrena, le probabilità di guarigione sarebbero ben più alte”.
Sarius avvampò per la vergogna. “Volevo dire che l’abbiamo un po’ rallentata”.
“Lo so, predicatore. Voi siete un buon kas, le vostre intenzioni sono pure. Una rarità, al giorno d’oggi”.
“Sono solo un servitore dell’Eternorisorto, il merito è suo”, rispose, slacciando il telo cerato che copriva l’involto. L’unguento diluito iniziò a gocciolare, e lui lo carpì velocemente con le dita e iniziò a sfregarlo sul punto dolente.
“L’Eternorisorto… avete ancora le forze per credere in lui?”.
Stupito dalla domanda, Sarius lo fissò. Prima che riuscisse a formulare una risposta, Kalon continuò.
“Stanotte ho pensato di strisciare fino a quei poveretti e di porre fine alle loro sofferenze. Sarebbe bastato tuffare le mani nella carne incancrenita e li avrei fatti a pezzi”.
“Perché dovresti voler fare una cosa del genere? Non ti hanno fatto nulla di male”, ribatté Sarius.
“Farmi del male?”, sorrise Kalon. “Oh, non mi hanno fatto nulla. Né a me, né a Dio. Eppure, lui li ha premiati con una morte lenta. Penso che avrebbero di gran lunga preferito il mio dono”.
“Uccidere un corpo è il più grave dei delitti”.
“Ma lui li uccide comunque. Perché?”.
“Abbiamo tutti un destino, ci svegliamo con esso, lo viviamo e alla fine ci avviamo verso il riposo. Al di là del destino, però, esistono circostanze che in esso si possono manifestare in modo diverso. La morte cancrenosa è solo una di esse. Quando ci sono favorevoli, le chiamiamo fortune. Quando non lo sono, ci arrabbiamo con Dio e diciamo che è ingiusto”.
“Le circostanze giustificano le mie intenzioni. Non sarebbe forse sensato abbreviare la loro sofferenza? I corpi non sentiranno l’invito nella Torre di Cristallo”. Kalon non si arrendeva.
Anche se era perfettamente consapevole di parlare con un morente, Sarius decise di essere sincero.
“Forse sembra sensato a te e a quelli che ti somigliano”, iniziò. “Al momento, non per tua colpa, la portata di ciò che ti turba si trova tra le mura questa stanza. Non è neanche più una malattia, perché è diventata parte di voi. Questa è la morte, Kalon, e tu per questo pensi che il culto del corpo non abbia senso. Quel che mi preoccupa, al di là dello spazio che al momento condividiamo, è quanto succede agli altri kasi che si trovano nella mia circoscrizione, e al di fuori di essa. Sono queste le mie mura. Tra di esse risiedono le mie speranze per un domani migliore, e per questo m’importano. Ora immagina una coscienza i cui confini non esistono, una cui singola scelta sbagliata possa sconvolgere l’ordine perfetto in cui anche noi siamo stati creati, immagina le sue mura e le sue speranze, poi dimmi – abbiamo il diritto di innalzarci al suo stesso livello?”.
Kalon taceva. L’ho offeso, pensò Sarius, ma proprio allora arrivò la risposta.
“Parli con saggezza per essere un predicatore. Posso parlare apertamente?”.
“Certo”.
“Puoi immaginare perché non ho portato le mie intenzioni fino alla fine?”.
“Hai onorato la regola? Alla fine hai riconosciuto di peccare?”.
“No, idiota! Temevo che mi si staccasse la gamba!”. Kalon scoppiò in un altro impeto di riso spezzato, e questa volta anche Sarius si unì a lui. Qualcosa in quel kas era degno di ammirazione.
Un colpo deciso alla porta raggelò il riso sulle loro bocche. Un’onda di luce abbagliante lo colpì negli occhi e Sarius scorse il contorno di un kas imponente. La sagoma fece qualche passo in avanti. Era straordinariamente corpulento e indossava la scadente imitazione di un’uniforme, rattoppata usando pezzi di diverse divise. I pantaloni sembravano fatti con la fodera delle uniformi dell’Ordine, sbiadite e probabilmente raccolte dalla spazzatura. I lunghi capelli neri erano raccolti in un codino unto che pendeva moscio sul petto. Aveva un’aria tanto sgraziata nella sua altezza che pareva si tenesse in equilibro bilanciandosi mentre teneva con entrambe le mani un bastone a due bracci con delle lame al posto delle estremità. Sarius non aveva il minimo dubbio sulla sua professione ancora prima che iniziasse a parlare.
“Mi scuso con vostra santità per aver interrotto così la festa!”. La risata di Kalon era musica in confronto al rumore che veniva dalla sua gola. “Vi prego di benedirmi, io sono Herek!”, fece una brutta imitazione di un inchino e senza attendere risposta strappò via il mucchio di stracci sotto a cui giaceva il malato.
Sarius si alzò, conscio che il balsamo vitale che era rimasto sul pavimento avrebbe presto iniziato a riversarsi al di là dell’orlo dell’involto che avrebbe dovuto contenerlo.
“Vattene di qui. Non abbiamo niente per te, qui ci sono solo malati”.
Il bruto si accigliò, poi fece qualche passo avanti.
“Ti sbagli, santità. Qui non c’è più nulla per i cadaveri di cui ti prendi cura”. Lo allontanò con sgarbatezza e il predicatore si tenne a fatica in piedi. Il bandito si chinò, quindi afferrò e annusò il balsamo. “Pensate di curarli con questa risciacquatura?”. Il suo sguardo si abbassò su Kalon, che in silenzio osservava la scena. Con una mano enorme avvicinò lo stracciò al suo volto e gli premette la testa contro il muro, finché la crema biancastra lì rimasta grondò per la pressione. “Eccolo qui, ti senti meglio, cadavere?”. Rise sguaiatamente, evidentemente soddisfatto del suo sadico gioco. Il malato non emetteva più alcun suono.
“Smettila immediatamente o ne pagherai le conseguenze!”, gridò Sarius.
“Pagare le conseguenze a chi, verme? A chi? Alla Chiesa? A Dio? All’Ordine?”, urlò il bandito puntandogli la punta del bastone nel petto. “A chi?”.
“Di questi malati mi occupo io e loro sono il mio dovere. Ogni impedimento intenzionale all’adempimento del mio dovere sullo spazio pubblico è considerato insubordinazione civica e come tale è trattato in accordo con la legge”. Neppure lui sapeva da dove gli fosse venuta l’idea di citare le dichiarazioni del compendio per le situazioni critiche, ma per qualche strano caso questo aveva placato un briciolo il bruto. Tuttavia, le parole che seguirono non erano meno sinistre.
“Ascoltami bene. Questo spazio appartiene ai sani, ficcatelo bene nella tua santissima zucca. Me ne sbatto dell’asta e della legge e dell’Ordine e della Chiesa intera se serve. Vogliamo che spariate, e se ti trovo un’altra volta qui, farò in modo che la punta del mio bastone ti finisca in un occhio”. Senza attendere la risposta, Herek si voltò e se ne andò.
Sarius attese un paio d’istanti, quindi tentò di aprire la porta. Per fortuna, era ancora integra. Poi tornò indietro e si chinò accanto a Kalon. L’infelice lo guardava con un triste sorriso e Sarius sentì dolore e impotenza come un colpo allo stomaco.
“Stai bene?”, gli domandò, e la mano si mosse da sola per spalmare i pochi rimasugli di balsamo che gli erano gocciolati sul volto e sul collo.
“Sì. E come potrei stare dopo un simile trattamento?”.
“Erano già venuti?”.
“No”, rispose Kalon. “È la prima volta che vedo uno di loro”.
Non vi erano parole con cui avrebbe potuto esprimere tutto ciò che provava in quel momento. Avrebbe quasi desiderato ammalarsi e giacere accanto ai sofferenti rimasti.
“Ascoltami, Kalon, ascolta bene. Chiederò all’Ordine di mandare già stasera qualcuno a proteggervi”.
“Lasciate perdere, predicatore. Hanno lavori più importanti che occuparsi dei cadaveri. Come avete detto anche voi, questa regione è abitata da molti kasi, e un gruppetto di morti viventi è solo un granello di sabbia nell’infinito”:
Non pensavo che suonasse così, pensò Sarius, messo in trappola dalle sue stesse parole. Ognuno aveva il diritto alla pace. Persino la follia avrebbe dovuto riconoscere dei limiti.
“Manderanno qualcuno, è sicuro”, fu tutto quel che riuscì a rispondere.
Come se volesse confortarlo, Kalon con fatica gli toccò la mano. Come ho potuto credere che avesse veramente le forze per strisciare?
Mentre tornava con passo affrettato in chiesa, Sarius si sentiva più malato di lui.
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Il torrione della Chiesa della Speranza si stagliava altero contro il cielo serale. Le teste in pietra dei Quattro guardavano la città da ciascun lato dell’antico campanile, rappresentando le emanazioni basilari dell’Eternorisorto – il Sarto, il Pensatore, il Creatore e il Messaggero. Proprio di fronte all’arco del portone, Sarius levò lo sguardo su di essi. L’assenza di reazioni fu reciproca.
Nel cortile sedeva una ventina di predicatori. Il tempo del servizio si avvicinava alla fine e si erano lentamente raccolti prima di andare a meditare nelle celle comuni. Parlavano in gruppetti e alcuni di loro chinarono la testa in segno di saluto. Non volendo unirsi a loro, procedette oltre. Gli eventi a cui aveva assistito lo avevano scosso profondamente, e doveva adempiere alla promessa data prima di ritirarsi per raccogliere le proprie idee e prepararsi a una nuova alba.
Una sorpresa lo attendeva giusto di fronte all’ingresso. Non aveva ancora messo piede nel cortile quando sentì la voce del sovrintendente Rel.
“Sarius! Che bene che sei tornato!”. Gli si avvicinò a piè sospinto, senza rispondere all’inchino formale che il predicatore gli aveva rivolto.
“Il Sacerdote desidera parlare con te!”.
Preso in contropiede dall’invito, di primo acchito non sapeva che cosa rispondere. La Chiesa della Speranza contava circa duecento fratelli, cosa che la rendeva la terza per dimensione a Tarnek. Non era raro incontrare il Sacerdote Tios nell’edificio e neppure scambiare qualche parola con lui sul servizio. Tuttavia, gli incontri privati erano tutta un’altra cosa, e un predicatore qualsiasi che si fosse ritrovato in simili circostanze avrebbe difficilmente potuto sperare in bene.
“Quando?”, domandò sconcertato Sarius. Forse in qualche modo è venuto a sapere degli eventi odierni, pensò. Se si trattava di quello, non aveva motivo di preoccuparsi. Ho agito correttamente.
“Subito!”. Negli occhi del sovrintendente si leggeva un rimprovero. Poi, come se volesse stemperare la tensione, aggiunse in fretta: “So soltanto che è urgente”.
“Volete annunciarmi?”.
“Va’ da solo”, gli rispose. “Ho da fare, e non vi servirà la mia presenza”. Senza attendere altre domande, il sovrintendente gli diede una pacca sulle spalle e si avviò verso l’uscita. Il discorso era chiuso.
Che altro devo aspettarmi da questa giornata?, si domandò Sarius, e si affrettò verso il tempio per adempiere al proprio dovere. Non c’era nessuno, i servizi si svolgevano soltanto all’alba. Per la prima volta nel suo ciclo mise piede al di là dell’altare e socchiuse la porta finemente intagliata di legno rosso. Un corridoio piuttosto lungo terminava in una scalinata. Dunque da qui si accede al Torrione Orientale, pensò. I cardini cigolarono, e il passaggio si richiuse alle sue spalle.