Il Quadriregio

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Il Quadriregio
Язык: Итальянский
Год издания: 2017
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CAPITOLO XVII
Dove si tratta dell'inganno, che fu fatto all'autore dalla ninfa Ionia.
E giá il chiaro sol sí calato era, che nell'altro emisperio a quello opposto faceva aurora e quivi prima sera. E, per meglio vedere, io m'era posto 5 alto in un sasso e lí cogli occhi attenti stava sperando che venisse tosto. Intanto fûn del sole i raggi spenti; e giá 'l cielo mostrava ogni sua stella, e non sentéa se no' 'l soffiar de' venti. 10 – Quando verrai, o Ionia ninfa bella? – dicea fra me; – perché tanta dimora? Qual sará la cagion che sí tarda ella? — Qual va cercando l'angosciosa tora, a cui il figlio o la figliola è tolta, 15 che soffia e cerca e mugghia ad ora ad ora, e poi si folce e coll'orecchie ascolta; tal facea io, ed alquanto la spene dalla sua gran fermezza s'era vòlta. Queste son le saette e dure pene, 20 che balestra agli amanti il folle Amore; ché se speranza o tarda o in fallo viene, quanto sperava, tanto ha poi dolore; ché sempre volontá s'affligge tanto, quanto a quel che gli è tolto avea fervore. 25 Io cercai per quel bosco in ogni canto insino al primo sonno e chiamai forte, aggirando quel loco tutto quanto, come fe' Enea alla suprema sorte cercando della misera Creusa, 30 rimasa in Troia dentro delle porte. Eco tapina, che vive rinchiusa tra le spelonche, mi dava risposta al fin della parol, come far usa. Per ritrovarla scesi poi la costa, 35 e driada trovai su nel sentiero, che a guardar le ninfe ivi era posta. – Deh dimmi, driada, prego, e dimmi il vero, se delle ninfe ve ne manca alcuna, o se 'l numero loro è tutto intero. 40 – Quando la notte ieri si fe' bruna – rispose quella, – Ionia n'andò via, e non era levata ancor la luna. — E disse a me che cenno fatto avía la dea Ciprigna, acciò ch'andasse a lei 45 cosí soletta senza compagnia. – Ma io, o giovin, volentier saprei perché tu ne domandi ed a quest'otta come vai quinci, e dimmi che far déi. — Risposi: – Iersera, quando il dí s'annotta, 50 io vidi lei; ond'io maravigliai che sí soletta andar s'era condotta; ch'i' so che in questo loco stanno assai centauri e fauni, e so che qui ed altrove sono alle ninfe infesti sempremai. 55 Io temo, o driada, che alcun non la trove e, sol da questo mosso, quaggiú vegno: questo a venir di notte qui mi move. – Se Citarea, la dea di questo regno – rispose quella – volle ch'ella gisse 60 ed acciò ch'ella andasse gli fe' segno, nullo saría centauro che ardisse, né che potesse impedirgli l'andata, la qual i fati e la dea gli prescrisse. Ma, se questo non è e fie trovata, 65 null'altra cosa, credo, la ripara che non sia presa e che non sia sforzata. — Ahi, quanto esta risposta mi fu amara, credendo fermamente fosse presa! E questa opinion mi parea chiara; 70 ond'io risalsi insú tutta la scesa, che avíe fatta, e giunsi su nel piano, ove aspettato avíe con spene accesa. Io dicea meco: – O ninfa, alla cui mano or se' venuta? O vaga giovinetta, 75 qual fauno t'ha scontrata o qual silvano? Questa è, Cupido, tua crudel saetta, e grave pena è la tua fiamma dura, se tardi o togli quel che spene aspetta. E l'altra è gelosia e la paura, 80 che, perché la bellezza troppo s'ama, però in nulla parte è mai secura. — Cosí andai chiamando quella dama, come colui che una persona sola vuol che lo 'ntenda e timoroso chiama, 85 che dice ratto e parla nella gola; e tal i' la chiamai ben mille volte, qual Eco rende 'l suon della parola. Tant'eran giá del ciel le rote vòlte, che Aurora giá mostrava sua quadriga, 90 e giá Titon gli avea le trecce sciolte, quando pel pianto e per la gran fatiga convenne che giú in terra io mi colcasse, e piú per lei cercar non mi diei briga. In questo parve a me che in me entrasse 95 il sonno, che ristora e che riposa a' mortali le membra stanche e lasse. Mentr'io dorméa, apparve a me, amorosa e piena di splendor, la bella Ilbina, in apparenza piú che umana cosa. 100 – Lévate su, – mi disse, – ch'è mattina: Cupido tante volte t'ha tradito, egli e la madre sua, che è qui reina. Sappi che a Ionia il petto egli ha ferito d'un dardo oscuro ed impiombato e smorto, 105 che 'l venir suo a te ha impedito. L'amor, che avea a te, in lei è morto; e ad un fauno vile, rozzo e negro l'han data per amante e per conforto: colui del suo bel viso ora sta allegro. 110 E perché queste cose, c'ho racconte, le sappi appieno e tutto il fatto intègro, quand'ella a te venía quassú nel monte, perché piacesse a te piú la sua vista, di rose s'adornò il capo e il fronte. 115 Cupido allor d'una saetta trista ed impiombata dentro al cor gli diede, colla qual fa ch'all'amor si resista: questa ogni amor gli tolse ed ogni fede a te promessa. E poi con l'altro astile, 120 il quale è d'òr, da cui amor procede, sí come l'ésca el foco del focile, cosí accese lei; e poi mostrògli un fauno bovin, cornuto e vile. Però ti prego che seguir non vogli 125 questo Cupido e che non vogli ire piú tra le selve e tra li duri scogli. Se al regno di Minerva vuo' venire, lassú l'animo tuo sará contento, lassú trova la voglia ogni desire. — 130 Poscia sparí; e 'l sonno mio fu spento, e giú di terra mi levai sú erto, ché 'l letto mio fu 'l duro pavimento. E per voler di questo esser ben certo, sí come il bracco va cercando a caccia, 135 cosí cercando andava io quel diserto; e trovai Ionia stare intra le braccia del fauno duro ed abbracciargli il seno. Ond'io con grande voce e gran minaccia corsi ver' lor, di furia e d'ira pieno; 140 ond'elli, spaventati, fuggîr presti. Ma, perché Ionia potea correr meno, rimase addietro; ond'io: – Ché non t'arresti? perché fuggi cosí, o mala putta? Son queste tue parole ed atti onesti? 145 Tu m'hai fatto aspettar la notte tutta ed hai lasciato me sol per restarte con un mostro cornuto e fèra brutta. — E, perché del fuggir le ninfe han l'arte e son veloci, sen fuggí sí ratto, 150 che non la giunsi mai in nulla parte. Allor meco pensai ch'io era matto seguitar piú Cupido, ch'è fallace nelle promesse ed infedel nel fatto. Con voce irata ed animo audace 155 queste parole contra Amor profersi, volendo seco guerra e mai piú pace,sí come si contiene in questi versi.CAPITOLO XVIII
Dove si tratta del reggimento della casa de' Trinci e della cittá di Foligno.
– O vano e rio e traditor Cupido, nelle promesse iniquo ed infedele, morto sia io, se piú di te mi fido! Che tu non se' piatoso, ma crudele, 5 e come falso il tosco amaro ascondi nella dolcezza d'un poco di mèle. Perché, o falso e rio, non ti confondi aver tradito me, che li miei passi seguíto han dietro a' tuoi sempre secondi? 10 e tra li scogli e tra li duri sassi condotto m'hai, con tue promesse ladre, tra lochi montuosi e lochi bassi? Non è venusta dea tua falsa madre; anche è pellice obbrobriosa e sozza, 15 nemica a tutte l'opere liggiadre. Io prego che la lingua gli sia mozza a chi ti chiama e chiamerá mai dio; ché chiunque il dice, mente per la strozza. — Quando queste invettive dicea io, 20 una dea venne innante a mia presenza, saggia ed onesta, coll'aspetto pio. «Io son nel ciel la quarta intelligenza — avea nel manto e nella fronte scritto: — Minerva manda me, dea di scienza». 25 E bench'io avessi el cuor cotanto afflitto, quand'io la vidi presso me venire, m'inginocchiai, ché prima stava io ritto. Benignamente a me cominciò a dire: – Dimmi, per qual cagion tu ti lamenti? 3 °Chi t'ha condotto in sí fatto martíre? — Ed io a lei: – Li falsi tradimenti del rio Cupido lamentar mi fanno: egli m'ha indutto in cotanti tormenti. E se saper tu vuoi il mio affanno, 35 ed egli ed una ninfa m'han tradito, usando meco falsitá ed inganno. S'io fossi con Minerva insú salito nel regno suo, ella mi promettea il ben, il qual contenta ogni appetito. 40 Ed io lassai l'andar con quella dea per l'amor di Cupido, e tornai vòlto nella ruina d'esta selva rea. — Rispose quella con benigno volto: – Minerva a te mi manda ed anco Ilbina, 45 ch'io ti tragga del cammino stolto. Degno è chi dietro al folle Amor cammina e chi nel suo voler fonda sua voglia, che cada in precipizio ed in ruina. Tu stesso se' cagion della tua doglia, 50 da che sapei che donna ha per usanza ch'ella si volta e move come foglia. Ahi, quanto è stolto chi pone speranza in cosa vana! ché, quando si fida, quand'ella manca, ancor egli ha mancanza. 55 Non sai che 'l folle Amor sempre si guida dietro a Concupiscenzia, e di lei è figlio quei che coll'arco l'amador disfida? E questo, se non ha el mio consiglio, convien che erri e come cieco vada 60 smarrito per le selve in gran periglio. Ma, se tu vuoi tornar in tua contrada, séguita me, ed io sarò tua scorta; e riporrotti nella dritta strada. — Da quella selva tanto errante e storta 65 mi pose nella via, la qual conduce dov'è della virtú la prima porta. Ivi parlommi e disse la mia luce: – Per questa via ritroverai Topino, che ad onta il trapassò il grande duce. 70 E dietro al tuo signor movi il cammino (per U e go, e per quel nominollo, ch'a Pier fu nel papato piú vicino). A lui e a' suoi passati il grande Apollo diede per segno due mezzi destrieri 75 con redini vermiglie intorno al collo, in campo bianco, a teste vòlte, e neri; ed a' suoi descendenti il fiero Marte per gran virtú promesso ha fargli interi. Come si trova nell'antiche carte, 80 di Tros di Troia un suo nepote scese, detto anche Tros e venne in quella parte ad abitare in quel nobil paese, ove il Topino e la Timia corre: tanto l'amor di quel bel loco il prese. 85 E Troia dal suo nome fece porre, chiamato or Trieve, ché antico idioma si rinovella e mutando trascorre, tanto che Persia Perugia si noma, e Spello in prima fu chiamato Specchio: 90 cosí un vocabol su nell'altro toma. E questo Tros poi in quel tempo vecchio, Flamminea pose al nome della stella, che a battaglie influir non ha parecchio. Flamminea chiamò la cittá bella, 95 ché «flammeo» è chiamato Marte fèro: cosí l'astrologia ancor l'appella; ché Marte avea promesso far intero il segno de' cavalli in campo bianco: però cosí nomarla ebbe pensiero. 100 La cittá il nome e 'l loco mutò anco; e fo Flamminea Foligno nomata, perché l'antichitá sempre vien manco. Ed in quel loco anch'è la strada lata, la via Flamminea ed or detta Fiammegna: 105 cosí da' patriotti ora è chiamata. Da questo Tros vien la progenie degna de' troian Trinci, ed indi è casa Trincia, che anco ivi dimora ed ivi regna. E costui anco tutta la provincia 110 Asia cosí chiamò dall'Asia grande, com'uom che nuovo regno a far comincia. E, se certezza di questo domande, quivi è 'l monte Soprasia cosí detto, che sopra a quella patria piú si spande. 115 Da questo scese il prence, a cui subbietto amor t'ha fatto e l'influenzia mia, quando prima spirò nel tuo intelletto. Come andò Paulo alla man d'Anania, al magnanimo torna, che detto aggio, 120 ove mai porte serra cortesia. — Andai al mio signor cortese e saggio; e come alcun domanda ond'altri vène, cosí mi domandò del mio viaggio. Risposi a lui: – Seguíto ho vana spene 125 del rio Cupido, ed egli mi condosse tra selve e boschi con acerbe pene. Ivi saría smarrito, se non fosse che una donna venne a me davanti, ed ella a te tornar anco mi mosse. — 130 E poscia che gl'inganni tutti quanti gli dissi di Cupido, e come foi con lui tra' boschi per diversi canti, di dea Minerva gli ragionai poi e come m'invitò e fui richiesto 135 ch'andassi seco alli reami suoi, e che Cupido, quando vide questo, egli e la madre sua mi fecer segno, tal ch'io tornai al bosco sí molesto. Rispose a questo quel signor benegno: 140 – Come l'animo tuo tanto sofferse non seguitar Minerva all'alto regno, da che ella t'invitò e ti proferse il carro suo eccellente e di splendore, e d'essere tua guida anco s'offerse? 145 Non sai che ogni senno e buon valore vien dal suo regno e che da lei procede ciò che per probitá s'acquista onore? Prego, se mai a me avesti fede, che questo regno tu vadi cercando; 150 ché poi io vi verrò, s'ella il concede. — Che risponder dovea a tal domando se non: – Farò, signor, ciò che m'hai imposto, ché ogni priego tuo a me è comando? — E, perch'egli ad andarvi era disposto, 155 questo, a cercar di quel regno felice, mi diede piú fervor ad andar tosto,nel tempo che 'l seguente libro dice.LIBRO SECONDO
CAPITOLO I
Come la dea Pallade appare all'autore e gli descrive la sedia e signoria di Satanasso.
Febo la notte addovagliava al giorno ed era in compagnia col dolce segno, che prima fa di fiori il mondo adorno, quando a cercar mi misi il nobil regno 5 di dea Palla Minerva, per comando d'un mio signor magnanimo e benegno. E come alcun che parla seco, quando va pel cammin soletto, faceva io, e questo dicea meco ragionando: 10 – O alto re, monarca, o sommo Dio, non vedi tu che 'l mondo va sí male e quanto egli è perverso e fatto rio? Non vedi il vizio che la virtú assale? E da che questo da te si comporta, 15 o tu nol vedi o dell'uom non ti cale. Giá l'avarizia ha ogni pietá morta ed ogni parentela ed ogni fede: il vizio alla virtú serra ogni porta. Non vedi che superbia sotto il piede 20 tien la giustizia e con orgoglio e pompe s'è posta armata su nella sua sede? Non vedi tu che la lussuria rompe le leggi di natura e che 'l corrotto quel di novella etá poscia corrompe? 25 Signor e Dio, se Abraam o Lotto in Sodoma e Gomorra tu non trovi, cioè nel mondo a tanto mal condotto, perché tu 'l foco e 'l zolfo giú non piovi? e se tu odi tante a te biasteme, 30 perché a fulminar Vulcan non movi? perché tu non disfai il crudel seme, peggior che Licaon e che i giganti, se non che lor fortezze son piú sceme? — Minerva in questo venne a me davanti, 35 e non la conoscea che fosse quella; ed una dea pareva alli sembianti. Come che saggia e vergine donzella, d'oliva e d'òr portava due corone, talché mai 'mperator l'ebbe sí bella. 40 Scolpito avea l'orribile Gorgone nel bello scudo, ch'ella ha cristallino, il quale porta e contro i mostri oppone. Quando a lei fui e reverente e chino, ella mi disse: – Dove andar intende 45 l'animo tuo per questo aspro cammino? — Risposi a lei: – Tra belli monti scende Topino in Umbria, ed in quel bel paese, sinché al Tevere l'acqua e il nome rende, regna un signor magnanimo e cortese: 50 egli mi manda a cercar un reame, al qual Minerva m'invitò e richiese. Ma, perché allor Cupido di tre dame colle saette sue m'avea invaghito, con quali e' fa che fortemente s'ame, 55 non accettai da quella dea l'invito, ma dietro al folle amor con molti affanni, sí come cieco, andato son smarrito. Or ch'io mi so' avveduto de' suo' inganni e che ogni cosa si può dir niente, 60 la qual vien men per correre degli anni, che non andai con Palla il cor si pente; e 'l detto mio signore anco sen duole, ch'io non fu' al suo comando ubbidiente. Però mi ha detto in espresse parole 65 ch'io cerchi infin che truovi ov'ella regna, ch'egli al suo regno poi venir vi vuole. Però ti prego, donzella benegna, o tu m'insegna il loco, ove la trovi, o di guidarmi infino a lei ti degna. 70 E s'al mio basso prego non ti movi, mòvati quel signor, il qual mi manda, e li congiunti suoi antichi e nuovi. — Minerva, poiché 'ntese mia dimanda, sorrise alquanto e fece lieta cèra, 75 mostrando faccia dilettosa e blanda. Rispose poi: – Virtú e fede vera del prince, che tu dici, e suoi passati, e che ne' figli e nepoti si spera, lui e suo' amici a me fatt'han sí grati, 80 ch'io son venuta a te, e son colei che t'invitai a' mie' regni beati. — Allora la conobber gli occhi miei, ond'io m'inginocchiai e mia persona prostrai in terra innanti alli suoi pièi, 85 dicendo: – O dea Minerva, a me perdona, s'io te lassai e seguitai Cupido per la via ria e abbandonai la buona. E quella fiamma, che fe' errar giá Dido, Ercole e Febo, innanzi a te mi scuse 90 e 'l pentimento, pel qual piango e grido. — Allor porse la mano e sí la puse benignamente in su la mia man destra e poscia in questo modo mi rispuse: – Da che Cupido e la sua via alpestra 95 non vuoi piú seguitar, io acconsento menarti meco ed esser tua maestra. Ma dimmi prima se tu se' contento combatter contra i mostri ed esser forte, che nel viaggio dánno impedimento. — 100 Risposi: – O sacra dea, piú mi conforte che Adriana Teseo, quando il fe' saggio scampar del laberinto e della morte. Pensa se del venir gran voglia io aggio, quando cosí soletto mi son mosso 105 a cercar te per questo aspro viaggio. Tu sai la mia virtú e quant'io posso; e, s'ella è poca, io spero aver ardire, se io mi guiderò dietro il tuo dosso. Ma prego, o sacra dea, mi vogli dire 110 qual è 'l cammino e prego che mi mostri chi sta in quel viaggio ad impedire. – Il primo e principal di tutti i mostri – rispose – è Satanasso ed ha 'l governo del mortal mondo e delli regni vostri. 115 Giá piú tempo è ch'egli uscí for d'inferno, e prese questo mondo a gran furore e ciò che muta tempo, o state o verno. Nel primo clima sta come signore colli giganti, ed un delle sue braccia 120 piú che nullo di loro è assai maggiore Tu vederai il suo busto e la sua faccia, e gloriarsi e dir che 'l mondo vince, e giá la sua superbia al ciel menaccia. E con lo scettro in mano il mondan prince 125 in mezzo il mondo siede triunfante, come signore e re delle province. E sua cittá ha fatta somigliante al vero inferno e li vizi egli tiene, la morte e le miserie tutte quante. 130 E perché questo tu lo sappi bene, convien che tu discendi in quel profondo, onde ciò che si parte, alla 'nsú vene. Visto lo primo cerchio e poi il secondo, l'anime afflitte e gli altri cerchi ancora, 135 ritornerem tu e io quassú nel mondo. Il regno di Satán cercherai allora e la sua gran cittá e l'alto seggio anche vedrai e chi con lui dimora. Or, perché 'l mondo va di male in peggio, 140 se ben pensi chi 'l guida, da te stesso chiaro il vedrai sí com'io chiaro il veggio. Tu ragionavi, a me venendo adesso, ond'è che 'l mondo è sí di vizi pieno e perché tanto mal da Dio è permesso. 145 Or sappi ben che Dio ha dato il freno a voi di voi; e se non fosse questo, libero arbitrio in voi sarebbe meno. E voglio ancor che ti sia manifesto che vostra carne, le piú volte, volta 150 vostra ragion dal segno d'atto onesto. E perché al vizio è prona gente molta, Satáno vince; e questa è la sementa e la zizania sua mala ricolta. Vince anco le piú volte quando tenta, 155 ché 'n mille modi torcer vostra nave puote dal porto ritto, ove si avventa; ché correre a vertú sempre par grave a vostra carne, la qual sempre incíta a quel che par al senso piú soave. 160 Facciamo omai di qui nostra partita: il tempo è breve, ed è distante il loco, ov'è d'andar al ciel prima salita. – Minerva mia, te primamente invoco, e poi le muse, che dell'acqua chiara 165 del fonte pegaseo mi diate un poco. — Cosí risposi e poi: – Or mi dichiara di questo che mi dá gran maraviglia: tu sai che domandando l'uomo impara. Quando fu che Satán e sua famiglia 170 lasciò di sé e de' suoi l'inferno vòto e venne su, ove si more e figlia? Vorrei saper ancor, ché non mi è noto, s'egli è signor di tutti quegli effetti, che influisce il cielo ovver suo moto. —175 Allora mi rispose in questi detti.CAPITOLO II
Come l'autore narra a Minerva che e' si confida vincere Satanasso e suoi vizi.
– Vergine saggia e bella il cielo adorna, di cui Virgilio poetando scrisse: «Nova progenie in terra dal ciel torna». Resse giá 'l mondo, e sí la gente visse 5 sotto lei in pace, che l'etá dell'oro el secol giusto e beato si disse. La terra allora senza alcun lavoro dava li frutti e non facea mai spine; né anco al giogo si domava il toro. 10 Non erano divisi per confine ancor li campi, e nullo per guadagno cercava le contrade pellegrine. Ognuno era fratello, ognun compagno; ed era tant'amor, tanta pietade, 15 ch'a una fonte bevea il lupo e l'agno. Non eran lance, non erano spade; non era ancor la pecunia peggiore che 'l guerreggiante ferro piú fiade. La Invidia, vedendo tanto amore, 20 di questo bene a sé generò pene, e d'esto gaudio a sé diede dolore: con quella doglia che a lei si convene, andò in inferno, ed alli vizi dice quanta pace avea il mondo e quanto bene. 25 E l'Avarizia, d'ogni mal radice, seco ne trasse e menolla su in terra per conturbar quello stato felice. Vennon con lei la Crudeltá e la Guerra, l'Inganno e Froda e la Malizia tanta, 30 che ha guasto 'l mondo e fa che cotanto erra. Presa ch'ebbe la terra tutta quanta, non gli bastò, e 'l mar ebbe assalito la rea radice d'ogni mala pianta. Quando Nettuno vide l'uomo ardito 35 cercar il mare e non temer tempesta e di solcarlo e gir per ogni lito, trasse di fuor del mar la bianca testa e 'l suo tridente, ed ebbe gran pavento, dicendo: – Oimè! Che novitá è questa? 4 °Come ha trovato l'uom tanto argomento, che passa il mar e non teme dell'onde, e va e vien a vela ad ogni vento? — Come cosa nociva si nasconde che non si trove, però che si teme 45 che, se si trova, gran mal ne seconde; cosí Natura de' denari il seme pose e nascose nel regno di Pluto, perché la gente non turbasse insieme. Ma l'amor dell'aver tanto cresciuto 50 sfondò la terra e 'l gran Pluto infernale robbò, gridante lui, chiamando aiuto. Questo fu poi cagion di maggior male, ché ruppe amor e legge ed ogni patto, e fe' il figliolo al padre disleale. 55 Vedendo Astrea il mondo esser disfatto e 'l viver santo, e guasto il giusto regno dal mostro reo, che fu d'inferno tratto, lassò la terra prava a grande sdegno, sí come indegna della sua presenza, 60 e tornò al ciel, ov'ella è fatta segno. Allor li vizi senza resistenza uscîro di comun da Mongibello col loro ardire e con la lor potenza. E come quei che han preso alcun castello, 65 gridan: – Brigata, sú! il castello è nostro! — per veder se si leva alcun ribello; cosí, usciti dall'infernal chiostro, Satan e i suoi questo mondo pigliâro: allor d'inferno uscí il primo mostro. 70 E sua superba sede collocâro in mezzo il mondo, dov'è il primo clima, onde l'un polo e l'altro vede chiaro. Lá sta la via che al regno mio sublima, su per la qual nessun può mai venire, 75 se colui non combatte e vince in prima. Lí stanno i vizi sol per impedire che verso il cielo alcun insú non saglia con grandi orgogli ed onte e con ardire. Chi come Circe la mente gli abbaglia, 80 chi canta dolce piú che la sirena, e chi menaccia e chi dá gran battaglia. Di mille se un passa e anco appena, viene in contrada di splendor sereno, di belli fiori e dolci canti piena. 85 Ed in quel pian sí chiaro e tanto ameno stanno quei ch'ebbon fama di virtute, benché battesmo e fede avesson meno: ché non vuol l'alto Dio che sien perdute le prodezze in inferno, e senza fede 90 vuol che null'abbia l'eternal salute. Chi, oltre andando, piú suso procede, trova nel gran giardin quattro donzelle: oh beato chi l'ode e chi le vede! Tre altre piú divine e vieppiú belle 95 ne stan piú su, e con queste sto io, accompagnata da quelle sorelle. Ed in quel loco bel vagheggio Dio, e veggio il primo artista nel suo esemplo tra le bellezze del suo lavorio. 100 Poi vo piú alto ed entro nel gran templo del sommo Iove, e con la mente mia a faccia a faccia il Creator contemplo. Anche domandi quanta signoria ha Satanasso; ed, a ciò dichiararte, 105 convien con fondamento sappi in pria che Dio è primo prince in ogni parte sempre e di tutto, ed a' primi motori la sua virtú comunica e comparte. E questi dopo lui sonno signori 110 di tutte quelle cose, che 'l ciel move, perché de' cieli son governatori. Adunque ciò che da influenzia piove, o che fa 'l tempo, cioè state o verno, ovver natura delle cose nòve, 115 tutto procede dal moto superno; e la virtú vien da' motor primai, a cui de' cieli Dio dato ha 'l governo. Piú che gli altri motor Satán assai ha di potenza, e da lui esser mossa 120 puote ogni spera ed influir suoi rai. E se ogni cosa natural è scossa dai ciel, che viene in terra, or puoi sapere quant'ella è grande e ampia la sua possa. E, poiché colpa gli fe' l'ali nere, 125 Dio spesse volte l'operar gli toglie, sí come in Iobbe si poteo vedere. Vero è che a certe cose egli lo scioglie, ché vuol che sia signor sopra la gente che segue la sua legge e le sue voglie. 130 E tu lo proverai s'egli è possente coi vizi suoi ed anco s'egli stanca la carne vostra, quando a lui consente. Ma non temere e l'animo rinfranca; reduci i grandi esempli alla memoria, 135 ché fortezza incorona, se non manca. Nella battaglia s'acquista vittoria. Nessun mai per fuggir o per riposo venne in altezza, fama ovver in gloria. E, se il cammino è duro o faticoso, 140 pensa del fine e pensa qual sia il frutto fra te medesmo saggio e virtuoso. — Allor allor alla briga condutto stato essere vorria: tanta speranza mi die' il suo dir e rinfrancòme tutto. 145 E però dissi con grande baldanza: – Andiam, ché nullo mostro pel sentiero di potermi impedire avrá possanza. – Non ti fidar di te, né sie altèro – rispose, – ché colui è piú da lunge, 150 che stima esser piú appresso nel pensiero. Nessun giammai a buon termine giunge, se del gir poco o del tornar addietro non fa a sé gli spron, con che si punge. Perché di sé presunse il gran san Pietro, 155 cadde, da vento piccolo commosso, non come ferma pietra, ma di vetro. — Quando udii questo, di vergogna rosso sí diventai, che dissi per scusarme: – Minerva, senza te niente posso. 160 Perché spero da te la possa e l'arme – diss'io, – credo cosí esser difeso, se dietro a te ti degni di guidarme. —Allor si mosse, quando m'ebbe inteso.