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Il Quadriregio
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CAPITOLO XVII

Dove si tratta dell'inganno, che fu fatto all'autore dalla ninfa Ionia.

        E giá il chiaro sol sí calato era,        che nell'altro emisperio a quello opposto        faceva aurora e quivi prima sera.        E, per meglio vedere, io m'era posto    5 alto in un sasso e lí cogli occhi attenti        stava sperando che venisse tosto.        Intanto fûn del sole i raggi spenti;        e giá 'l cielo mostrava ogni sua stella,        e non sentéa se no' 'l soffiar de' venti.   10 – Quando verrai, o Ionia ninfa bella?        – dicea fra me; – perché tanta dimora?        Qual sará la cagion che sí tarda ella? —        Qual va cercando l'angosciosa tora,        a cui il figlio o la figliola è tolta,   15 che soffia e cerca e mugghia ad ora ad ora,        e poi si folce e coll'orecchie ascolta;        tal facea io, ed alquanto la spene        dalla sua gran fermezza s'era vòlta.        Queste son le saette e dure pene,   20 che balestra agli amanti il folle Amore;        ché se speranza o tarda o in fallo viene,        quanto sperava, tanto ha poi dolore;        ché sempre volontá s'affligge tanto,        quanto a quel che gli è tolto avea fervore.   25 Io cercai per quel bosco in ogni canto        insino al primo sonno e chiamai forte,        aggirando quel loco tutto quanto,        come fe' Enea alla suprema sorte        cercando della misera Creusa,   30 rimasa in Troia dentro delle porte.        Eco tapina, che vive rinchiusa        tra le spelonche, mi dava risposta        al fin della parol, come far usa.        Per ritrovarla scesi poi la costa,   35 e driada trovai su nel sentiero,        che a guardar le ninfe ivi era posta.        – Deh dimmi, driada, prego, e dimmi il vero,        se delle ninfe ve ne manca alcuna,        o se 'l numero loro è tutto intero.   40 – Quando la notte ieri si fe' bruna        – rispose quella, – Ionia n'andò via,        e non era levata ancor la luna. —        E disse a me che cenno fatto avía        la dea Ciprigna, acciò ch'andasse a lei   45 cosí soletta senza compagnia.        – Ma io, o giovin, volentier saprei        perché tu ne domandi ed a quest'otta        come vai quinci, e dimmi che far déi. —        Risposi: – Iersera, quando il dí s'annotta,   50 io vidi lei; ond'io maravigliai        che sí soletta andar s'era condotta;        ch'i' so che in questo loco stanno assai        centauri e fauni, e so che qui ed altrove        sono alle ninfe infesti sempremai.   55 Io temo, o driada, che alcun non la trove        e, sol da questo mosso, quaggiú vegno:        questo a venir di notte qui mi move.        – Se Citarea, la dea di questo regno        – rispose quella – volle ch'ella gisse   60 ed acciò ch'ella andasse gli fe' segno,        nullo saría centauro che ardisse,        né che potesse impedirgli l'andata,        la qual i fati e la dea gli prescrisse.        Ma, se questo non è e fie trovata,   65 null'altra cosa, credo, la ripara        che non sia presa e che non sia sforzata. —        Ahi, quanto esta risposta mi fu amara,        credendo fermamente fosse presa!        E questa opinion mi parea chiara;   70 ond'io risalsi insú tutta la scesa,        che avíe fatta, e giunsi su nel piano,        ove aspettato avíe con spene accesa.        Io dicea meco: – O ninfa, alla cui mano        or se' venuta? O vaga giovinetta,   75 qual fauno t'ha scontrata o qual silvano?        Questa è, Cupido, tua crudel saetta,        e grave pena è la tua fiamma dura,        se tardi o togli quel che spene aspetta.        E l'altra è gelosia e la paura,   80 che, perché la bellezza troppo s'ama,        però in nulla parte è mai secura. —        Cosí andai chiamando quella dama,        come colui che una persona sola        vuol che lo 'ntenda e timoroso chiama,   85 che dice ratto e parla nella gola;        e tal i' la chiamai ben mille volte,        qual Eco rende 'l suon della parola.        Tant'eran giá del ciel le rote vòlte,        che Aurora giá mostrava sua quadriga,   90 e giá Titon gli avea le trecce sciolte,        quando pel pianto e per la gran fatiga        convenne che giú in terra io mi colcasse,        e piú per lei cercar non mi diei briga.        In questo parve a me che in me entrasse   95 il sonno, che ristora e che riposa        a' mortali le membra stanche e lasse.        Mentr'io dorméa, apparve a me, amorosa        e piena di splendor, la bella Ilbina,        in apparenza piú che umana cosa.  100 – Lévate su, – mi disse, – ch'è mattina:        Cupido tante volte t'ha tradito,        egli e la madre sua, che è qui reina.        Sappi che a Ionia il petto egli ha ferito        d'un dardo oscuro ed impiombato e smorto,  105 che 'l venir suo a te ha impedito.        L'amor, che avea a te, in lei è morto;        e ad un fauno vile, rozzo e negro        l'han data per amante e per conforto:        colui del suo bel viso ora sta allegro.  110 E perché queste cose, c'ho racconte,        le sappi appieno e tutto il fatto intègro,        quand'ella a te venía quassú nel monte,        perché piacesse a te piú la sua vista,        di rose s'adornò il capo e il fronte.  115 Cupido allor d'una saetta trista        ed impiombata dentro al cor gli diede,        colla qual fa ch'all'amor si resista:        questa ogni amor gli tolse ed ogni fede        a te promessa. E poi con l'altro astile,  120 il quale è d'òr, da cui amor procede,        sí come l'ésca el foco del focile,        cosí accese lei; e poi mostrògli        un fauno bovin, cornuto e vile.        Però ti prego che seguir non vogli  125 questo Cupido e che non vogli ire        piú tra le selve e tra li duri scogli.        Se al regno di Minerva vuo' venire,        lassú l'animo tuo sará contento,        lassú trova la voglia ogni desire. —  130 Poscia sparí; e 'l sonno mio fu spento,        e giú di terra mi levai sú erto,        ché 'l letto mio fu 'l duro pavimento.        E per voler di questo esser ben certo,        sí come il bracco va cercando a caccia,  135 cosí cercando andava io quel diserto;        e trovai Ionia stare intra le braccia        del fauno duro ed abbracciargli il seno.        Ond'io con grande voce e gran minaccia        corsi ver' lor, di furia e d'ira pieno;  140 ond'elli, spaventati, fuggîr presti.        Ma, perché Ionia potea correr meno,        rimase addietro; ond'io: – Ché non t'arresti?        perché fuggi cosí, o mala putta?        Son queste tue parole ed atti onesti?  145 Tu m'hai fatto aspettar la notte tutta        ed hai lasciato me sol per restarte        con un mostro cornuto e fèra brutta. —        E, perché del fuggir le ninfe han l'arte        e son veloci, sen fuggí sí ratto,  150 che non la giunsi mai in nulla parte.        Allor meco pensai ch'io era matto        seguitar piú Cupido, ch'è fallace        nelle promesse ed infedel nel fatto.        Con voce irata ed animo audace  155 queste parole contra Amor profersi,        volendo seco guerra e mai piú pace,sí come si contiene in questi versi.

CAPITOLO XVIII

Dove si tratta del reggimento della casa de' Trinci e della cittá di Foligno.

        – O vano e rio e traditor Cupido,        nelle promesse iniquo ed infedele,        morto sia io, se piú di te mi fido!        Che tu non se' piatoso, ma crudele,    5 e come falso il tosco amaro ascondi        nella dolcezza d'un poco di mèle.        Perché, o falso e rio, non ti confondi        aver tradito me, che li miei passi        seguíto han dietro a' tuoi sempre secondi?   10 e tra li scogli e tra li duri sassi        condotto m'hai, con tue promesse ladre,        tra lochi montuosi e lochi bassi?        Non è venusta dea tua falsa madre;        anche è pellice obbrobriosa e sozza,   15 nemica a tutte l'opere liggiadre.        Io prego che la lingua gli sia mozza        a chi ti chiama e chiamerá mai dio;        ché chiunque il dice, mente per la strozza. —        Quando queste invettive dicea io,   20 una dea venne innante a mia presenza,        saggia ed onesta, coll'aspetto pio.        «Io son nel ciel la quarta intelligenza —        avea nel manto e nella fronte scritto: —        Minerva manda me, dea di scienza».   25 E bench'io avessi el cuor cotanto afflitto,        quand'io la vidi presso me venire,        m'inginocchiai, ché prima stava io ritto.        Benignamente a me cominciò a dire:        – Dimmi, per qual cagion tu ti lamenti?   3 °Chi t'ha condotto in sí fatto martíre? —        Ed io a lei: – Li falsi tradimenti        del rio Cupido lamentar mi fanno:        egli m'ha indutto in cotanti tormenti.        E se saper tu vuoi il mio affanno,   35 ed egli ed una ninfa m'han tradito,        usando meco falsitá ed inganno.        S'io fossi con Minerva insú salito        nel regno suo, ella mi promettea        il ben, il qual contenta ogni appetito.   40 Ed io lassai l'andar con quella dea        per l'amor di Cupido, e tornai vòlto        nella ruina d'esta selva rea. —        Rispose quella con benigno volto:        – Minerva a te mi manda ed anco Ilbina,   45 ch'io ti tragga del cammino stolto.        Degno è chi dietro al folle Amor cammina        e chi nel suo voler fonda sua voglia,        che cada in precipizio ed in ruina.        Tu stesso se' cagion della tua doglia,   50 da che sapei che donna ha per usanza        ch'ella si volta e move come foglia.        Ahi, quanto è stolto chi pone speranza        in cosa vana! ché, quando si fida,        quand'ella manca, ancor egli ha mancanza.   55 Non sai che 'l folle Amor sempre si guida        dietro a Concupiscenzia, e di lei è figlio        quei che coll'arco l'amador disfida?        E questo, se non ha el mio consiglio,        convien che erri e come cieco vada   60 smarrito per le selve in gran periglio.        Ma, se tu vuoi tornar in tua contrada,        séguita me, ed io sarò tua scorta;        e riporrotti nella dritta strada. —        Da quella selva tanto errante e storta   65 mi pose nella via, la qual conduce        dov'è della virtú la prima porta.        Ivi parlommi e disse la mia luce:        – Per questa via ritroverai Topino,        che ad onta il trapassò il grande duce.   70 E dietro al tuo signor movi il cammino        (per U e go, e per quel nominollo,        ch'a Pier fu nel papato piú vicino).        A lui e a' suoi passati il grande Apollo        diede per segno due mezzi destrieri   75 con redini vermiglie intorno al collo,        in campo bianco, a teste vòlte, e neri;        ed a' suoi descendenti il fiero Marte        per gran virtú promesso ha fargli interi.        Come si trova nell'antiche carte,   80 di Tros di Troia un suo nepote scese,        detto anche Tros e venne in quella parte        ad abitare in quel nobil paese,        ove il Topino e la Timia corre:        tanto l'amor di quel bel loco il prese.   85 E Troia dal suo nome fece porre,        chiamato or Trieve, ché antico idioma        si rinovella e mutando trascorre,        tanto che Persia Perugia si noma,        e Spello in prima fu chiamato Specchio:   90 cosí un vocabol su nell'altro toma.        E questo Tros poi in quel tempo vecchio,        Flamminea pose al nome della stella,        che a battaglie influir non ha parecchio.        Flamminea chiamò la cittá bella,   95 ché «flammeo» è chiamato Marte fèro:        cosí l'astrologia ancor l'appella;        ché Marte avea promesso far intero        il segno de' cavalli in campo bianco:        però cosí nomarla ebbe pensiero.  100 La cittá il nome e 'l loco mutò anco;        e fo Flamminea Foligno nomata,        perché l'antichitá sempre vien manco.        Ed in quel loco anch'è la strada lata,        la via Flamminea ed or detta Fiammegna:  105 cosí da' patriotti ora è chiamata.        Da questo Tros vien la progenie degna        de' troian Trinci, ed indi è casa Trincia,        che anco ivi dimora ed ivi regna.        E costui anco tutta la provincia  110 Asia cosí chiamò dall'Asia grande,        com'uom che nuovo regno a far comincia.        E, se certezza di questo domande,        quivi è 'l monte Soprasia cosí detto,        che sopra a quella patria piú si spande.  115 Da questo scese il prence, a cui subbietto        amor t'ha fatto e l'influenzia mia,        quando prima spirò nel tuo intelletto.        Come andò Paulo alla man d'Anania,        al magnanimo torna, che detto aggio,  120 ove mai porte serra cortesia. —        Andai al mio signor cortese e saggio;        e come alcun domanda ond'altri vène,        cosí mi domandò del mio viaggio.        Risposi a lui: – Seguíto ho vana spene  125 del rio Cupido, ed egli mi condosse        tra selve e boschi con acerbe pene.        Ivi saría smarrito, se non fosse        che una donna venne a me davanti,        ed ella a te tornar anco mi mosse. —  130 E poscia che gl'inganni tutti quanti        gli dissi di Cupido, e come foi        con lui tra' boschi per diversi canti,        di dea Minerva gli ragionai poi        e come m'invitò e fui richiesto  135 ch'andassi seco alli reami suoi,        e che Cupido, quando vide questo,        egli e la madre sua mi fecer segno,        tal ch'io tornai al bosco sí molesto.        Rispose a questo quel signor benegno:  140 – Come l'animo tuo tanto sofferse        non seguitar Minerva all'alto regno,        da che ella t'invitò e ti proferse        il carro suo eccellente e di splendore,        e d'essere tua guida anco s'offerse?  145 Non sai che ogni senno e buon valore        vien dal suo regno e che da lei procede        ciò che per probitá s'acquista onore?        Prego, se mai a me avesti fede,        che questo regno tu vadi cercando;  150 ché poi io vi verrò, s'ella il concede. —        Che risponder dovea a tal domando        se non: – Farò, signor, ciò che m'hai imposto,        ché ogni priego tuo a me è comando? —        E, perch'egli ad andarvi era disposto,  155 questo, a cercar di quel regno felice,        mi diede piú fervor ad andar tosto,nel tempo che 'l seguente libro dice.

LIBRO SECONDO

DEL REGNO DI SATANASSO

CAPITOLO I

Come la dea Pallade appare all'autore e gli descrive la sedia e signoria di Satanasso.

        Febo la notte addovagliava al giorno        ed era in compagnia col dolce segno,        che prima fa di fiori il mondo adorno,        quando a cercar mi misi il nobil regno    5 di dea Palla Minerva, per comando        d'un mio signor magnanimo e benegno.        E come alcun che parla seco, quando        va pel cammin soletto, faceva io,        e questo dicea meco ragionando:   10 – O alto re, monarca, o sommo Dio,        non vedi tu che 'l mondo va sí male        e quanto egli è perverso e fatto rio?        Non vedi il vizio che la virtú assale?        E da che questo da te si comporta,   15 o tu nol vedi o dell'uom non ti cale.        Giá l'avarizia ha ogni pietá morta        ed ogni parentela ed ogni fede:        il vizio alla virtú serra ogni porta.        Non vedi che superbia sotto il piede   20 tien la giustizia e con orgoglio e pompe        s'è posta armata su nella sua sede?        Non vedi tu che la lussuria rompe        le leggi di natura e che 'l corrotto        quel di novella etá poscia corrompe?   25 Signor e Dio, se Abraam o Lotto        in Sodoma e Gomorra tu non trovi,        cioè nel mondo a tanto mal condotto,        perché tu 'l foco e 'l zolfo giú non piovi?        e se tu odi tante a te biasteme,   30 perché a fulminar Vulcan non movi?        perché tu non disfai il crudel seme,        peggior che Licaon e che i giganti,        se non che lor fortezze son piú sceme? —        Minerva in questo venne a me davanti,   35 e non la conoscea che fosse quella;        ed una dea pareva alli sembianti.        Come che saggia e vergine donzella,        d'oliva e d'òr portava due corone,        talché mai 'mperator l'ebbe sí bella.   40 Scolpito avea l'orribile Gorgone        nel bello scudo, ch'ella ha cristallino,        il quale porta e contro i mostri oppone.        Quando a lei fui e reverente e chino,        ella mi disse: – Dove andar intende   45 l'animo tuo per questo aspro cammino? —        Risposi a lei: – Tra belli monti scende        Topino in Umbria, ed in quel bel paese,        sinché al Tevere l'acqua e il nome rende,        regna un signor magnanimo e cortese:   50 egli mi manda a cercar un reame,        al qual Minerva m'invitò e richiese.        Ma, perché allor Cupido di tre dame        colle saette sue m'avea invaghito,        con quali e' fa che fortemente s'ame,   55 non accettai da quella dea l'invito,        ma dietro al folle amor con molti affanni,        sí come cieco, andato son smarrito.        Or ch'io mi so' avveduto de' suo' inganni        e che ogni cosa si può dir niente,   60 la qual vien men per correre degli anni,        che non andai con Palla il cor si pente;        e 'l detto mio signore anco sen duole,        ch'io non fu' al suo comando ubbidiente.        Però mi ha detto in espresse parole   65 ch'io cerchi infin che truovi ov'ella regna,        ch'egli al suo regno poi venir vi vuole.        Però ti prego, donzella benegna,        o tu m'insegna il loco, ove la trovi,        o di guidarmi infino a lei ti degna.   70 E s'al mio basso prego non ti movi,        mòvati quel signor, il qual mi manda,        e li congiunti suoi antichi e nuovi. —        Minerva, poiché 'ntese mia dimanda,        sorrise alquanto e fece lieta cèra,   75 mostrando faccia dilettosa e blanda.        Rispose poi: – Virtú e fede vera        del prince, che tu dici, e suoi passati,        e che ne' figli e nepoti si spera,        lui e suo' amici a me fatt'han sí grati,   80 ch'io son venuta a te, e son colei        che t'invitai a' mie' regni beati. —        Allora la conobber gli occhi miei,        ond'io m'inginocchiai e mia persona        prostrai in terra innanti alli suoi pièi,   85 dicendo: – O dea Minerva, a me perdona,        s'io te lassai e seguitai Cupido        per la via ria e abbandonai la buona.        E quella fiamma, che fe' errar giá Dido,        Ercole e Febo, innanzi a te mi scuse   90 e 'l pentimento, pel qual piango e grido. —        Allor porse la mano e sí la puse        benignamente in su la mia man destra        e poscia in questo modo mi rispuse:        – Da che Cupido e la sua via alpestra   95 non vuoi piú seguitar, io acconsento        menarti meco ed esser tua maestra.        Ma dimmi prima se tu se' contento        combatter contra i mostri ed esser forte,        che nel viaggio dánno impedimento. —  100 Risposi: – O sacra dea, piú mi conforte        che Adriana Teseo, quando il fe' saggio        scampar del laberinto e della morte.        Pensa se del venir gran voglia io aggio,        quando cosí soletto mi son mosso  105 a cercar te per questo aspro viaggio.        Tu sai la mia virtú e quant'io posso;        e, s'ella è poca, io spero aver ardire,        se io mi guiderò dietro il tuo dosso.        Ma prego, o sacra dea, mi vogli dire  110 qual è 'l cammino e prego che mi mostri        chi sta in quel viaggio ad impedire.        – Il primo e principal di tutti i mostri        – rispose – è Satanasso ed ha 'l governo        del mortal mondo e delli regni vostri.  115 Giá piú tempo è ch'egli uscí for d'inferno,        e prese questo mondo a gran furore        e ciò che muta tempo, o state o verno.        Nel primo clima sta come signore        colli giganti, ed un delle sue braccia  120 piú che nullo di loro è assai maggiore        Tu vederai il suo busto e la sua faccia,        e gloriarsi e dir che 'l mondo vince,        e giá la sua superbia al ciel menaccia.        E con lo scettro in mano il mondan prince  125 in mezzo il mondo siede triunfante,        come signore e re delle province.        E sua cittá ha fatta somigliante        al vero inferno e li vizi egli tiene,        la morte e le miserie tutte quante.  130 E perché questo tu lo sappi bene,        convien che tu discendi in quel profondo,        onde ciò che si parte, alla 'nsú vene.        Visto lo primo cerchio e poi il secondo,        l'anime afflitte e gli altri cerchi ancora,  135 ritornerem tu e io quassú nel mondo.        Il regno di Satán cercherai allora        e la sua gran cittá e l'alto seggio        anche vedrai e chi con lui dimora.        Or, perché 'l mondo va di male in peggio,  140 se ben pensi chi 'l guida, da te stesso        chiaro il vedrai sí com'io chiaro il veggio.        Tu ragionavi, a me venendo adesso,        ond'è che 'l mondo è sí di vizi pieno        e perché tanto mal da Dio è permesso.  145 Or sappi ben che Dio ha dato il freno        a voi di voi; e se non fosse questo,        libero arbitrio in voi sarebbe meno.        E voglio ancor che ti sia manifesto        che vostra carne, le piú volte, volta  150 vostra ragion dal segno d'atto onesto.        E perché al vizio è prona gente molta,        Satáno vince; e questa è la sementa        e la zizania sua mala ricolta.        Vince anco le piú volte quando tenta,  155 ché 'n mille modi torcer vostra nave        puote dal porto ritto, ove si avventa;        ché correre a vertú sempre par grave        a vostra carne, la qual sempre incíta        a quel che par al senso piú soave.  160 Facciamo omai di qui nostra partita:        il tempo è breve, ed è distante il loco,        ov'è d'andar al ciel prima salita.        – Minerva mia, te primamente invoco,        e poi le muse, che dell'acqua chiara  165 del fonte pegaseo mi diate un poco. —        Cosí risposi e poi: – Or mi dichiara        di questo che mi dá gran maraviglia:        tu sai che domandando l'uomo impara.        Quando fu che Satán e sua famiglia  170 lasciò di sé e de' suoi l'inferno vòto        e venne su, ove si more e figlia?        Vorrei saper ancor, ché non mi è noto,        s'egli è signor di tutti quegli effetti,        che influisce il cielo ovver suo moto. —175 Allora mi rispose in questi detti.

CAPITOLO II

Come l'autore narra a Minerva che e' si confida vincere Satanasso e suoi vizi.

        – Vergine saggia e bella il cielo adorna,        di cui Virgilio poetando scrisse:        «Nova progenie in terra dal ciel torna».        Resse giá 'l mondo, e sí la gente visse    5 sotto lei in pace, che l'etá dell'oro        el secol giusto e beato si disse.        La terra allora senza alcun lavoro        dava li frutti e non facea mai spine;        né anco al giogo si domava il toro.   10 Non erano divisi per confine        ancor li campi, e nullo per guadagno        cercava le contrade pellegrine.        Ognuno era fratello, ognun compagno;        ed era tant'amor, tanta pietade,   15 ch'a una fonte bevea il lupo e l'agno.        Non eran lance, non erano spade;        non era ancor la pecunia peggiore        che 'l guerreggiante ferro piú fiade.        La Invidia, vedendo tanto amore,   20 di questo bene a sé generò pene,        e d'esto gaudio a sé diede dolore:        con quella doglia che a lei si convene,        andò in inferno, ed alli vizi dice        quanta pace avea il mondo e quanto bene.   25 E l'Avarizia, d'ogni mal radice,        seco ne trasse e menolla su in terra        per conturbar quello stato felice.        Vennon con lei la Crudeltá e la Guerra,        l'Inganno e Froda e la Malizia tanta,   30 che ha guasto 'l mondo e fa che cotanto erra.        Presa ch'ebbe la terra tutta quanta,        non gli bastò, e 'l mar ebbe assalito        la rea radice d'ogni mala pianta.        Quando Nettuno vide l'uomo ardito   35 cercar il mare e non temer tempesta        e di solcarlo e gir per ogni lito,        trasse di fuor del mar la bianca testa        e 'l suo tridente, ed ebbe gran pavento,        dicendo: – Oimè! Che novitá è questa?   4 °Come ha trovato l'uom tanto argomento,        che passa il mar e non teme dell'onde,        e va e vien a vela ad ogni vento? —        Come cosa nociva si nasconde        che non si trove, però che si teme   45 che, se si trova, gran mal ne seconde;        cosí Natura de' denari il seme        pose e nascose nel regno di Pluto,        perché la gente non turbasse insieme.        Ma l'amor dell'aver tanto cresciuto   50 sfondò la terra e 'l gran Pluto infernale        robbò, gridante lui, chiamando aiuto.        Questo fu poi cagion di maggior male,        ché ruppe amor e legge ed ogni patto,        e fe' il figliolo al padre disleale.   55 Vedendo Astrea il mondo esser disfatto        e 'l viver santo, e guasto il giusto regno        dal mostro reo, che fu d'inferno tratto,        lassò la terra prava a grande sdegno,        sí come indegna della sua presenza,   60 e tornò al ciel, ov'ella è fatta segno.        Allor li vizi senza resistenza        uscîro di comun da Mongibello        col loro ardire e con la lor potenza.        E come quei che han preso alcun castello,   65 gridan: – Brigata, sú! il castello è nostro! —        per veder se si leva alcun ribello;        cosí, usciti dall'infernal chiostro,        Satan e i suoi questo mondo pigliâro:        allor d'inferno uscí il primo mostro.   70 E sua superba sede collocâro        in mezzo il mondo, dov'è il primo clima,        onde l'un polo e l'altro vede chiaro.        Lá sta la via che al regno mio sublima,        su per la qual nessun può mai venire,   75 se colui non combatte e vince in prima.        Lí stanno i vizi sol per impedire        che verso il cielo alcun insú non saglia        con grandi orgogli ed onte e con ardire.        Chi come Circe la mente gli abbaglia,   80 chi canta dolce piú che la sirena,        e chi menaccia e chi dá gran battaglia.        Di mille se un passa e anco appena,        viene in contrada di splendor sereno,        di belli fiori e dolci canti piena.   85 Ed in quel pian sí chiaro e tanto ameno        stanno quei ch'ebbon fama di virtute,        benché battesmo e fede avesson meno:        ché non vuol l'alto Dio che sien perdute        le prodezze in inferno, e senza fede   90 vuol che null'abbia l'eternal salute.        Chi, oltre andando, piú suso procede,        trova nel gran giardin quattro donzelle:        oh beato chi l'ode e chi le vede!        Tre altre piú divine e vieppiú belle   95 ne stan piú su, e con queste sto io,        accompagnata da quelle sorelle.        Ed in quel loco bel vagheggio Dio,        e veggio il primo artista nel suo esemplo        tra le bellezze del suo lavorio.  100 Poi vo piú alto ed entro nel gran templo        del sommo Iove, e con la mente mia        a faccia a faccia il Creator contemplo.        Anche domandi quanta signoria        ha Satanasso; ed, a ciò dichiararte,  105 convien con fondamento sappi in pria        che Dio è primo prince in ogni parte        sempre e di tutto, ed a' primi motori        la sua virtú comunica e comparte.        E questi dopo lui sonno signori  110 di tutte quelle cose, che 'l ciel move,        perché de' cieli son governatori.        Adunque ciò che da influenzia piove,        o che fa 'l tempo, cioè state o verno,        ovver natura delle cose nòve,  115 tutto procede dal moto superno;        e la virtú vien da' motor primai,        a cui de' cieli Dio dato ha 'l governo.        Piú che gli altri motor Satán assai        ha di potenza, e da lui esser mossa  120 puote ogni spera ed influir suoi rai.        E se ogni cosa natural è scossa        dai ciel, che viene in terra, or puoi sapere        quant'ella è grande e ampia la sua possa.        E, poiché colpa gli fe' l'ali nere,  125 Dio spesse volte l'operar gli toglie,        sí come in Iobbe si poteo vedere.        Vero è che a certe cose egli lo scioglie,        ché vuol che sia signor sopra la gente        che segue la sua legge e le sue voglie.  130 E tu lo proverai s'egli è possente        coi vizi suoi ed anco s'egli stanca        la carne vostra, quando a lui consente.        Ma non temere e l'animo rinfranca;        reduci i grandi esempli alla memoria,  135 ché fortezza incorona, se non manca.        Nella battaglia s'acquista vittoria.        Nessun mai per fuggir o per riposo        venne in altezza, fama ovver in gloria.        E, se il cammino è duro o faticoso,  140 pensa del fine e pensa qual sia il frutto        fra te medesmo saggio e virtuoso. —        Allor allor alla briga condutto        stato essere vorria: tanta speranza        mi die' il suo dir e rinfrancòme tutto.  145 E però dissi con grande baldanza:        – Andiam, ché nullo mostro pel sentiero        di potermi impedire avrá possanza.        – Non ti fidar di te, né sie altèro        – rispose, – ché colui è piú da lunge,  150 che stima esser piú appresso nel pensiero.        Nessun giammai a buon termine giunge,        se del gir poco o del tornar addietro        non fa a sé gli spron, con che si punge.        Perché di sé presunse il gran san Pietro,  155 cadde, da vento piccolo commosso,        non come ferma pietra, ma di vetro. —        Quando udii questo, di vergogna rosso        sí diventai, che dissi per scusarme:        – Minerva, senza te niente posso.  160 Perché spero da te la possa e l'arme        – diss'io, – credo cosí esser difeso,        se dietro a te ti degni di guidarme. —Allor si mosse, quando m'ebbe inteso.
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