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Il Quadriregio
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CAPITOLO V

Dell'avvenimento di Giunone invitata alla festa di Diana.

        – O regina del cielo, o alta Iuno,        moglie e sorella del superno Iove,        che l'aer rassereni e failo bruno,        Diana prega te che venghi dove    5 ella fa festa e con le belle dame        del nobil regno tuo qui ti ritrove.        Il nostro dir, benché da lungi chiame,        noi sappiam ben che l'odi dall'altezza        del monte Olimpo, dov'è il tuo reame. —   10 Queste parole con tanta dolcezza        cantôn due ninfe, Pallia e Lisbena,        ch'anco, quando il ricordo, io n'ho vaghezza.        Né mai cantò sí ben la Filomena,        né per addormentare in mar Ulisse   15 cantò sí dolcemente la Sirena.        Iuno, per dimostrar ch'ella l'udisse,        mandò un lustro e sin a lor discese        come balen che subito venisse.        Le ninfe di Diana inver'il paese,   20 onde venne quel lustro, stavan vòlte,        con gli occhi rimirando e stando intese.        Ed ecco come il raggio spesse volte        pare una via, che 'nsino a terra cada        fuor delle nubi, ove non son sí folte,   25 cosí da alto ingiú si fe' una strada        dal loco, onde Iunon dovea venire,        lucida e stesa insin quella contrada.        Poi, come il chiaro Febo suol uscire        fuori dell'orizzonte la mattina,   30 cosí vidi io per la strada apparire        un nobil carro, e suso una regina        con corona di stelle e sí splendente,        come tra li mortal cosa divina.        E quanto piú e piú venía presente   35 agli occhi miei, tanto parea piú adorno,        maraviglioso il carro e piú eccellente.        E mille ninfe avea intorno intorno        con corone di stelle in su la testa,        lucenti al sole ancor nel mezzogiorno.   40 E d'oro e celestina avean la vesta,        e cantando dicíen: – Viva Iunone! —        con suoni, balli, gioia e con gran festa.        Il carro ad ogni rota avea un grifone,        pappagalli e pavon con belle penne   45 intorno e sopra; e tre 'n ogni cantone.        Poscia che 'l plaustro giú nel pian pervenne,        Diana il carro suo fe' venir anco,        che gran bellezza ancora in sé contenne,        di drappi adorno e d'ogni uccello bianco:   50 mai vide Roma carro trionfante,        quant'era questo bel, né vedrá unquanco.        Con piú di mille ninfe a lei davante        ella si mosse incontra a fare onore        alla regina, moglie al gran Tonante.   55 E poiché fu ballato ben due ore,        le ninfe di Iunon l'altre invitâro        a voler concertar con lor valore,        dicendo: – Acciò che ben si mostri chiaro        chi usa meglio l'arco o voi o noi,   60 se a voi piace, a noi anco sia caro.        Di vostre ninfe due eleggete voi;        e noi due altre; e chi trarrá piú dritto,        da dea Iunon sia coronata poi. —        Alle dèe piacque cosí fatto ditto;   65 e dea Diana una corona pose        nell'aer alta a lor per segno fitto,        fatta di fiori e pietre preziose.        Per parte di Iunon, celeste dea,        vennono due ardite e valorose.   70 Una fu Ursenna e l'altra fu Lippea,        a me promessa, bella giovinetta;        ma che foss'ella, io ancora nol sapea.        A lei diede Iunone una saetta        e l'arco eburneo bello ed inorato:   75 tanto era grata a lei e tanto accetta.        A campo incontra uscîr dall'altro lato        Lisbena e Pallia; e queste due son quelle,        che, 'nvitando Iunone, avean cantato.        E patto fên tra lor quelle donzelle   80 di trar tre volte; e chi piú ritto manda,        dé' coronarsi le sue trecce belle.        Pallia trasse prima alla grillanda,        coll'arco dirizzando a lei lo strale;        ma ello dechinò a destra banda.   85 Poi trasse Ursenna; e ferío altrettale,        sí che fu giudicato d'este due        che fosse il colpo loro ognuno eguale.        Lisbena a saettar la terza fue        e die' sí ritto, che quasi toccata   90 fu la grillanda nelle frondi sue.        Lippea trasse la quarta fiata        e ritto tanto, che toccò una fronde,        che cadde in terra dal colpo levata.        Le sue compagne si fenno gioconde,   95 perché credetton che dentro passasse;        ma spesso il fatto al creder non risponde.        Pallia poi un'altra volta trasse,        prima pregando la sua dea Diana        che 'l dardo alla corona dirizzasse.  100 Ma la saetta tratta andò lontana        dalla grillanda forse quattro dita,        sí che la prece e la spene fu vana.        Lippea bella giá s'era ammannita,        e, dopo lei, col suo duro arco scocca  105 una saetta leggiadra e polita.        Da lei fu un poco la grillanda tócca,        non dalla punta, ma sol dalla penna,        c'ha la saetta appresso della cocca.        E, dopo questa poscia, trasse Ursenna,  110 Lisbena poi; e giá secondo il patto        due volte ognuna avea tratto a vicenna.        Ognuna ancora avea a fare un tratto;        e Pallia pria, per aver la corona,        vòlta a Diana con riverente atto  115 disse: – Se mai, o dea, la mia persona        servito ha te con arco e con faretra,        a questo colpo la grillanda dona. —        Poscia a misura, come un geomètra,        nella corona sí forte percosse,  120 che ne fe' d'ella sbalzare una pietra.        Nel centro avrebbe dato, se non fosse        che Iuno in quella fe' venire un vento,        che 'l dardo alquanto dal segno rimosse.        Ursenna, lieta d'esto impedimento,  125 prese la mira per voler poi trare,        col core e con lo sguardo ben attento.        Non die' nel mezzo, ov'ella credea dare;        ma la toccò e commossela alquanto,        ma non però che la fêsse voltare.  130 Ora in due era omai rimaso il vanto        della battaglia e della gran contesa;        e queste eran pregate da ogni canto.        – Fa', o Lisbena, che vinchi l'impresa        e getta sí, che non abbiam vergogna,  135 con l'arco al segno e con la mente intesa.        – Soccorri, o dea Diana, or che bisogna        – disse Lisbena, – e se lo mio quadrello        tu fai che dentro alla grillanda io pogna,        offerta farò a te d'un bianco agnello,  140 di bianchi gigli e bianchi fior coperto,        e d'un bel cervio a Febo tuo fratello.        Egli è signor e dio e mastro esperto        di trar con l'arco: egli ferí Fetonte,        il quale un gran paese avea deserto. —  145 Lippea ancora al ciel con le man gionte        a dio Cupido insú alzava il volto,        che stava meco ascosto a piè del monte.        – Derizza il dardo mio, ti priego molto,        o dio d'amor, sí come tu percoti  150 col dardo che nel cor a tanti è còlto. —        Poich'ebbon fatti molti e grandi voti        e che pregato avean con gran desire,        mostrando gli atti e' sembianti devoti,        trasse Lisbena, a cui toccò il ferire;  155 e 'l dardo dentro alla grillanda colse        in un de' lati e torta la fe' gire.        In quel che la corona si rivolse,        gittò Lippea nella circonferenza;        e 'l dardo trapassolla e lí si folse.  160 Ora tra lor comincia grande intenza,        ché l'una e l'altra la grillanda vuole,        credendo ognuna aver giusta sentenza;e diceano a Diana este parole.

CAPITOLO VI

Della caccia del cervo per la gara della ghirlanda tra Lisbena e Lippea.

        – O dea Diana, o figlia di Latona,        discerna tua prudenza e tuo gran senno        chi di noi due debbia aver la corona. —        Diana, udito questo, fece cenno    5 che l'una e l'altra andasse a dea Iunone        con riverenza; ed elle cosí fenno.        Lisbena in pria, che crede aver ragione,        umilemente abbassa le ginocchia;        e mosse po' a Iunon questo sermone:   10 – O del gran Iove mogliera e sirocchia,        mira l'onor della mia compagnia,        mira se ho ragione, e bene adocchia.        Io trassi alla corona alquanto pria;        e poi Lippea; ma non trasse ad ora,   15 ché giá pel colpo ell'era fatta mia. —        Lippea incontro a questo dicea ancora:        – O alta Iuno, a cui il sommo impero        ha dato Iove, e sei con lui signora,        se ben si mira qui a quel ch'è vero,   20 Lisbena e le compagne vedran forse        che 'l colpo suo non fu ritto e sincero,        che diede alla grillanda e sí la torse,        perocché la toccòe; ed io, in quel mentro        ch'ella voltòe, la mia saetta porse   25 un poco dopo lei e ferii dentro,        e con tanta misura al segno diedi,        che la mia polsa andò per mezzo il centro.        Però ti prego pel carro ove siedi        e per l'amor che porti all'alto Iove,   30 che la corona bella a me concedi.        Se 'l priego mio, signora, non ti move,        movati il sacro cor, che teco viene:        che abbiam perduto non si dica altrove. —        Iunon rispose: – A Diana appartiene   35 giudicar questo e che la pace pogna        tra te e Lisbena; e cosí si conviene. —        Diana a questo: – Ancor pugnar bisogna        un'altra volta; e la qual parte vince,        abbia l'onore, e l'altra la vergogna.   40 Un cervio sta non molto lontan quince        con corni grandi, e 'l dosso ha tutto bianco,        se non c'ha i piè macchiati come lince.        Questo in la selva è stato sempre franco,        ché mai non lo lasciai morder dai cani,   45 né da persona mai ferire unquanco.        Io manderò miei fauni e miei silvani,        che menin questo cervio su nel prato,        e sia lasciato in mezzo a questi piani.        E tu, o Lippea, li porrai da un lato   50 con le tue ninfe e con le tue compagne,        con quante e quali e come a te sia grato.        Lisbena ancor per piani e per montagne        porrá le ninfe mie dall'altra parte;        e se addivien che il cervio tu guadagne,   55 piaccia a Iunon volere incoronarte.        Ma se le ninfe mie vincon la caccia        o per ingegno o per forza di Marte,        anco Lisbena incoronar gli piaccia,        non per lei tanto, ma per le sorelle,   60 che per vergogna stan con rossa faccia. —        Le ninfe di Iunon gentili e belle        si mostrôn d'accettar volonterose        con arditi atti e con pronte favelle.        Allor Diana a sei silvani impose   65 che menassero il cervio; ed ei menôllo        su delle ripe e delle vie scogliose,        con una fun legato intorno al collo;        poi fu lasciato sciolto presso al fonte,        ch'era sacrato alla suora d'Apollo.   70 – Su su, sorelle, circondate il monte        – dicea Lippea, – e prendete la costa        con archi e spiedi coll'acute ponte.        Ognuna attenta sia nella sua posta:        co' can correnti dietro alli cespogli,   75 come chi sta in aguato, stia nascosta.        E tu, Tirena, va' 'ntorno a li scogli        con cento ninfe: sai ch'io mi confido        in tua virtú; però mostrar la vogli.        Sí come io accenno o col mio corno grido,   80 cosí con quelle cento mi soccorre,        co' cani alani e col tuo arco fido.        Perché, se 'l cervio suso al monte corre,        di lá dall'altra valle non trapassi,        lassú, Ipodria, tu ti vogli porre   85 e con ducento ninfe prendi i passi:        con can mastini e con cani levrieri        fa' che lo pigli e che passar nol lassi.        Or ora essere accorte è ben mestieri;        acciò che onore abbia la nostra dea,   90 mostriam la forza de' nostri archi fieri. —        Non men Lisbena ancora disponea        la schiera sua e facevala forte        con modi e con parol, ch'ella dicea.        – Sorelle, ora conviene essere accorte;   95 ora convien mostrar nostro valore;        ch'altri che noi di caccia onor non porte.        Ora si vederá chi porta amore        a dea Diana e se siete valente,        sí che di questa caccia abbiamo onore.  100 O Lisna bella mia, va' prestamente        sopra del monte e circonda la cima        con cento ninfe: e state bene attente.        Credo che 'l cervio lí correrá prima:        abbiate cani e spiedi, ché non varchi  105 di lá dal monte verso la valle ima.        Chi per la costa discorra cogli archi,        chi di lanciotto e chi di duro spiedo,        quando fia l'ora, la sua mano incarchi.        Alconia, te per principal richiedo,  110 che stii con cento ninfe in su la piaggia;        ché 'l cervio lí verrá, sí come io credo. —        Quando ordinata fu la schiera saggia,        e fu ognuna nel loco che vòlse        quella di Iuno e della dea selvaggia,  115 la bella Iris i gran cani sciolse        d'intorno al cervio abbaianti e feroci;        ed ei fuggí e ver' Diana volse.        Le ninfe sue alzôn liete le voci,        gridando fortemente: – Ad esso, ad esso  120 con le saette e coi passi veloci. —        Le lor verrette scoccavano spesso;        e 'l cervio corre e su lo monte sale;        e dietro i can correndo vanno appresso.        E poi che giunto fu nel piano equale,  125 passato arebbe il monte, se non fosse        che Lisna bella gli die' d'uno strale.        Allora quello addietro alquanto mosse,        ed un fier can mastin gli prese il volto,        e Marsa ninfa d'un dardo il percosse.  130 Per questo il cervio, alla man destra vòlto,        ver' quelle di Iunon fece l'andata;        e questo a Lisna bella increbbe molto.        Ipodria bella, tutta rallegrata:        – Fa' – disse, – o Iuno, che vinciam la festa;  135 dá' or questa vittoria a tua brigata.        L'aspere ninfe della dea foresta        non l'han saputo aver, ma s'è fuggito:        però è degno che perdan l'inchiesta. —        Quando quel cervio presso a lei fu ito,  140 d'un fiero dardo gli passò la spalla,        tal che egli a terra cadde giú ferito.        Come che gente alcuna volta balla        per la vittoria, che giá aver si spera,        e poi si scorna se l'effetto falla;  145 cosí fên quelle, ché Lisbena, ch'era        dall'altra parte, disse: – Abbi memoria,        o dea Diana, della nostra schiera:        fa' che le ninfe tue abbian la gloria        di questa caccia, acciò che non sia ditto  150 ch'altri che tu ne' boschi abbia vittoria. —        Per questo il cervio si levò su ritto;        ché quelle di Iunon non eran corse        insino a lui, ma sol l'avean trafitto.        Poi per la costa giú correndo corse  155 per gire al fonte, che stava a rimpetto;        ma Lisna, quando di questo s'accorse,        un legno attraversò 'n un passo stretto        lá onde convenía ch'egli passasse;        e quel correndo vi percosse il petto.  160 Lisbena in quello d'un dardo gli trasse        nel fianco manco e passò l'altro canto,        onde convenne che 'l cervio cascasse.        L'aspere ninfe s'allegraron tanto,        quanto si possa dir, ognuna certa  165 che d'aver vinto si potea dar vanto.        Tagliôn la testa, e di bei fior coperta        portavanla a Diana, e lei fe' segno        che a dea Iunon ne facessero offerta.        Ella accettò con aspetto benegno:  170 Lippea e le compagne il volto basso        tenean d'ira e di vergogna pregno,ché 'l lor pensier era venuto in casso.

CAPITOLO VII

Come la ninfa Lippea fu coronata della ghirlanda, che avea vinta.

        Per questo Lippea bella è disdegnosa;        e perché vinta gli parea a ragione        quella grillanda tanto preziosa,        andò piangendo all'alta dea Iunone,    5 dicendo a lei: – Perché le paraninfe,        che vengon dietro a te, cosí abbandone?        Queste silvestre e queste rozze ninfe        di dea Diana, tra' boschi assuete        e tra li scogli e valli e tra le linfe,   10 perché han vinto il cervo, stanno liete        e stan superbe e fan di noi dispregio        con beffe e riso e con parol secrete.        Perché a me, che son del tuo collegio,        la mia vinta corona mi si nega?   15 Io 'l dico per l'onor e non pel pregio.        Se il pregio mio, regina, non ti piega,        mover ti debbe la mia compagnia:        vedi che ognuna per me te ne prega. —        Iunon alquanto a ciò sorrise pria,   20 e poi benigna a lei la man distese,        dicendo: – Usar convien qui cortesia.        Dacché Diana tien questo paese,        e noi venimmo ad onorar sua festa,        ben è che 'nverso lei io sia cortese.   25 La tua vittoria a tutte è manifesta,        e tutte veggon ch'è tua la grillanda        e che l'emula tua perde la 'nchiesta.        Ma va' a Diana ed a lei la domanda:        cosí a me piace e voglio che si faccia   30 da te e dall'altra ciò ch'ella comanda. —        Allora andò con reverente faccia        e disse a lei: – O figlia di Latona,        con reverenza io prego che ti piaccia        che mi sia data la vinta corona;   35 tu sai, Diana, che secondo il patto        debbe esser mia, e ragion me la dona. —        La dea rispose a lei con benigno atto:        – D'allora in qua, Lippea, bene ti vòlsi,        che festi alla grillanda sí bel tratto.   40 Del cervio la vittoria io ti tolsi;        quand'egli cadde, io gli rendei la lena,        e su levato alle mie ninfe il volsi,        ché di perder le vidi aver gran pena;        ond'i', a pietá commossa, alla lor parte   45 il feci andar a prego di Lisbena.        Né questo feci per ingiuriarte,        ma perché scaccia invidia e serva amore        sempre l'onor che insieme si comparte. —        E poi la 'ncoronò con grande onore   50 e nel carro la pose seco appresso,        con la grillanda di tanto valore.        Iunon, che stava non molto da cesso,        diede a Lisbena un arco d'unicorno        per premio della caccia a lei promesso,   55 tutto smaltato d'un bianc'osso eborno,        e d'una pelle d'orso un bel carcasso        fulcito tutto d'oro intorno intorno.        Diana intanto il carro a passo a passo        mosse verso Iunon; e, giunta a lei,   60 riverenza gli fe' col capo basso,        dicendo: – O gran regina delli dèi,        Lippea, che sta meco qui presente,        tanto m'è grata e piace agli occhi miei,        che, se a te piace ed ella me 'l consente,   65 prego che facci che meco rimagna        insino all'altra festa rivegnente        e non sia grave a lei nostra montagna;        ché meco la terrò non come ancella,        ma come mia carissima compagna. —   70 La dea assentío ed anche Lippea bella;        e l'altre ninfe ne fenno allegrezza,        mostrando ognuno insieme esser sorella.        E tutto il loco s'empí di dolcezza,        di canti e balli su nel verde prato,   75 il quale ha ben sei miglia di larghezza.        Cupido, ed io con lui, stava occultato;        e dalle dèe sí poco er'io distante,        ch'io intendea lor parlar da ogni lato,        quando l'Amor mi disse: – Tutte quante   80 le ninfe hai viste; or, dimmi, qual tu vuoi?        a qual ti piace piú esser amante? —        E detto questo, d'un de' dardi suoi        d'oro ed acceso mi percosse il petto,        e beffeggiando se ne rise poi.   85 Ed io a lui: – Il grato e bello aspetto        della gentil Lippea tanto eccede,        che nulla paion l'altre a lei rispetto.        Ma perché non è esperta, non s'avvede        ch'io l'ami e che di lei m'abbi ferito,   90 e la mia pena occulta ella non crede.        Per quella fé, con la qual t'ho seguito,        ferisci ancora lei, perché s'avveggia        quant'ha valore in sé l'arco tuo ardito. —        Cupido rise come chi beffeggia;   95 cosí ridendo da me disparío        sí come un'ombra o cosa che vaneggia.        – Ove ne vai – diss'io, – o falso dio?        perché mi lassi? Or veggio ben ch'è folle        chi pone in te speranza ovver desio. —  100 In questo, come mia fortuna volle,        una schiera di cervi giú emerse        e discese nel pian suso dal colle.        Le ninfe tutte per la valle sperse        cursono a far la caccia per lo piano  105 per vari lochi e vie aspre e diverse.        Lippea coll'arco bello, ch'avea in mano,        seguí un cervio, ch'andò verso il monte        e passò a lato a me poco lontano.        Sola soletta e con le voglie pronte  110 gli andava dietro su tra il bosco incolto,        ferendo lui con le saette cónte.        Ed io, che stava lí in quel loco occolto,        per ritrovarla dietro a lei mi mossi,        e tra le frondi del boschetto folto  115 due miglia o quasi cred'io andato fossi,        ch'io la trovai, e la fiera avea morta,        in prima dato a lei mille percossi.        E quand'ella di me si fo accorta,        lassò il cervio e misesi a fuggire  120 su verso il monte timidetta e smorta.        E dietro a lei io comincia' a dire:        – O ninfa bella, io prego, alquanto ascolta,        prego che mie parole vogli udire. —        Come il cacciato cervio si rivolta  125 sol per veder se il seguitan li cani,        cosí ella facea alcuna volta.        E poi fuggía tra quelli boschi strani,        ed io seguíala tra le acute spine,        che mi strappavan le gambe e le mani.  130 – Perché fuggendo sí ratto cammine? —        diceva io a lei. – Io prego che ti guardi        che tra li boschi e scogli non ruine.        Deh! perché non ti volti e non mi sguardi?        Di te ferito m'ha, o cara gioia,  135 il falso Amor co' suoi orati dardi.        Se tu non m'hai pietá, non ti sia noia        almen ch'io t'ami; e questo sol domando,        se tu non vuoi ch'io manchi ovver ch'io muoia.        Io prego il sacro Amor ch'io veggia il quando  140 ferisca te e costrengati tanto,        che sii, com'io, soggetta al suo comando. —        Quand'ella questo udí, si volse alquanto        e disse, vòlta a me, alzando il grido:        – Mai si potrá Amor di me dar vanto.  145 Tutta la forza del crudel Cupido        metto a dispetto e le saette e 'l foco,        ed anco alla battaglia io lo disfido        ch'egli abbia possa a innamorarmi un poco,        e del vano arco, il qual portare egli usa,  150 secura io me ne vo in ogni loco.        Il petto mio trasmutato ha Medusa        contro l'Amor in sasso e 'n dura pietra,        ed a piacergli ha ogni porta chiusa,        sí che suoi dardi e sua vile faretra  155 niente curo; e bench'egli mi fera,        il colpo suo mia carne non penètra. —        E perché ogni ninfa è piú leggera        assai che l'uomo, da me dipartisse,        correndo come veltro ovver pantera,160 e 'nsin che fu a Diana, non s'affisse.

CAPITOLO VIII

Come Cupido, irato con la ninfa Lippea, la ferí d'una saetta d'oro.

        Io era solo e scornato rimaso,        quando scontrai in quella via smarrita        Cupido, come andasse quindi a caso.        E disse a me: – Lippea ov'è fuggita,    5 che m'ha sfidato e mette me a dispetto?        Ma converrá che da me sia punita,        ch'io gli trapasserò il core e il petto        con un acceso dardo delli miei;        e farla a te soggetta io ti prometto.   10 Io, che ho domato Iove ed altri dèi        con la potenza della mia saetta,        non vincerò, non domerò costei? —        Quando egli disse voler far vendetta,        pensa, lettore, s'io mi feci lieto,   15 da che affermava a me farla soggetta.        Egli si mosse, ed io gli andai dirieto;        e sempre per la costa andò all'ingiúe        tra 'l duro bosco e l'aspero spineto.        Quando presso alla valle giunto fue,   20 vidi io Lippea che guidava il ballo        'nanti alle dèe con le compagne sue.        L'arco suo dur, che mai ferisce in fallo,        prese Cupido, e d'uno stral gli diede        a venti braccia forse d'intervallo   25 sol nelli panni e giú appresso il piede;        ché se a lor desse in petto o molto forte,        sí come a' viri ed agli dèi e' fiede,        perché ad amar le ninfe non son scorte,        pel grande incendio del sacrato foco   30 verrebbon meno e caderebbon morte.        Il caldo cominciò a poco a poco        passargli al cor con l'infocato dardo;        e giá ferita non trovava loco.        Lippea allora a me alzò lo sguardo   35 e con gli occhi mirommi, con li quali        tanto m'accese il cor, ch'ancora io ardo.        L'Amor, movendo poi le splendide ali,        per man menommi insino alla fontana,        menacciando anco con suoi duri strali.   40 Di me s'avvide allora dea Diana        e disse irata e con acerbo volto:        – Or che fa qui quella persona strana? —        Lo dio Cupido meco s'era folto,        ma non veduto; ch'egli alla sua posta   45 si può manifestare e farsi occolto.        Egli mi disse: – Fa', fa' la risposta. —        Onde io andai, e riverente e chino        mi posi al carro suo appresso e a costa.        E dissi a lei: – Mio caso e mio destino,   50 o dea, m'ha qui condotto nel tuo regno        per uno errante ed aspero cammino.        Forse Dio il fe' che alla tua festa vegno:        per lui ti prego, o alma dea selvaggia,        che non mi scacci e che non m'abbi a sdegno.   55 E prego te che una grazia io aggia:        che come starvi Ippolito a te piacque,        cosí possa io tra questa turba gaggia. —        E come chi consente, ella si tacque:        cosí sospeso e dubbioso rimasi   60 e tornai a Cupido presso all'acque.        Il carro della dea ben venti pasi        dal fonte, a mio parere, era distante,        e 'l sol calato all'orizzonte o quasi,        quando con vergognoso e bel sembiante   65 venne Lippea inverso il fiumicello,        ond'io andai dicendo a lei davante:        – O ninfa mia gentil col viso bello,        deh! non t'incresca e non aver temenza        se io, che tanto t'amo, ti favello.   70 Perché pur fuggi e pur fai resistenza        a quell'Amor, ch'anco li dèi percote        con le saette della sua potenza? —        Sí come onesta donna, che non puote        soffrir lascivo sguardo, sottomette   75 e abbassa gli occhi e fa rosse le gote:        cosí fece ella alle parole dette,        che abbassò il viso e diventò vermiglia        e lagrimò e le parol tacette.        – Mostra i zaffiri, c'hai sotto le ciglia   80 – dissi, – o Lippea, ed alza sú la vista,        che alle dèe del ciel si rassomiglia. —        Sfogando il pianto: – Oimè, misera, trista!        Oimè! – diss'ella. – Io ho tanto tormento:        Amor non vuol che a lui io piú resista.   85 Se mai il dispettai, io me ne pento;        se mai il gran Cupido io ebbi a vile,        dico «mia colpa» e dico «me ne mento».        Con la potenza dell'orato astile        di mie parole folli ora mi paga   90 e col foco, che al cor va sí sottile.        Ma io il prego o che il dardo ritraga,        che m'ha ferito il cor, o che mi uccida,        sí che la morte risani la piaga. —        Ed io a lei: – Cupido fu mia guida   95 insino a te, ed egli mi promise        donarti a me con sua parola fida. —        Udito questo, il viso sottomise;        poi disse sospirando e con vergogna:        – Perché, quando ferí, e' non mi uccise?  100 – Da che egli vuole, e questo esser bisogna        – diss'io a lei, – io prego che mi dichi        se tu se' mia, e non mi dir menzogna. —        Come la sposa, cui pudor fatichi,        cosí un «sí» de' labbri gli uscí fuore  105 pur con vergogna e con atti pudichi.        Il viso bianco di smorto colore        prima dipinse e poscia si fe' rosso        de' due color, che fuor dimostra Amore.        Poi disse: – Oimè, oimè che piú non posso  110 celar l'amor! – E questo ella dicendo,        cadea, se non che io gli tenni il dosso.        Soggiunse poi: – Amor, a te mi rendo:        non trova l'arco tuo difesa o scudo;        però invan contra te mi difendo. —  115 Poi disse a me: – O amoroso drudo,        io prego te, da che Amor mi ti dona,        che contra me non sie cotanto crudo,        che tu mi lievi la bella corona,        che io porto in testa e la qual io mi vinsi,  120 e che mai non mi lasci per persona. —        Io gliel promisi e per fede gli strinsi        la bianca mano e con le braccia stese        il capo bianco e 'l collo ancor gli avvinsi.        Contro l'amor non fe' poi piú difese  125 la bella ninfa e mostrossi sicura,        pur con vergogna ed onestá cortese.        Cercando andammo per quella pianura,        e poi salimmo ad alto suso al monte,        in tanto che la notte si fe' oscura.  130 Era giá Febo sotto l'orizzonte        ben venti gradi, ed ella mi condusse        in un bel prato, ov'era un bello fonte.        Ed in quel loco tanto vi rilusse        la chiara luna, che per quella valle  135 ogni fiore io vedea qual e' si fusse.        Di fiori e di viol vermiglie e gialle        la bella ninfa tutto mi coprío;        e poi sul prato mi posai le spalle.        E quando all'oriente in pria apparío  140 il chiaro sol, trovai che n'era andata,        e posto un sasso scritto al capo mio,        nel qual dicea: «Sappi ch'io son tornata        a dea Iunone, alla regina mia;        che colle mie compagne io sia trovata.  145 Tu sai che dea Iunone, andando via,        di lassarmi a Diana ell'ha promesso        che con lei io rimanga in compagnia.        In questo tempo che star m'è concesso,        staremo ed anderem come a noi piace,  150 cercando e boschi e balzi e scogli spesso.        Fatti con Dio e tieni occulto e tace;        e prego che a vedermi torni tosto,        ché solo in veder te 'l mio core ha pace».        Oh lasso! a Invidia nulla è mai nascosto,  155 c'ha mille orecchie la malvagia e rea,        e l'occhio suo in mille lochi è posto.        Questa n'andò all'una e all'altra dea,        dicendo: – Or non sapete ch'una dama        qui delle vostre, chiamata Lippea,160 il giovinetto qui venuto ell'ama        col core e coll'amor tanto fervente,        che sol per lui di rimaner ha brama? —        E, detto questo, sparí prestamente.
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