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“Questa zona è la Lower East Side,” gli rispose Paul mentre superavano un gruppo di pietre arenarie. “Ma altri isolati sono allestiti come Greenwich Village, il Financial District di Seaport, addirittura Brooklyn. Abbiamo anche una strada di Chicago. La scena del crimine è vicino a Soho.”
L’ultima frase cancellò parte dell’entusiasmo dal volto di Trembley. Il detective rimase in silenzio. Pochi secondi dopo parcheggiarono dietro a un finto quartiere, accanto a un enorme studio di registrazione con un ‘32’ dipinto sopra.
“Eccoci qua,” disse Paul, come se non fosse ovvio dal viavai di persone dietro al nastro di delimitazione teso dalla polizia attorno allo studio.
“Paul, posso chiederti una cosa?” provò Jessie.
“Puoi chiedermi tutto quello che vuoi. Però non prometto di avere la risposta.”
“Questo non lo so,” ribatté lei. “Mi sembri il tipo di persona che sa sempre quello che succede nei paraggi. Da quanto lavori qui?”
“Otto anni,” le rispose. “Prima ho lavorato per sette anni alla Sony. Mi sa che mi sto trasformando in un guardiano a vita.”
“Quindi sai come funzionano questi posti,” disse Jessie. “Com’è la sorveglianza notturna qui? Tosta o più rilassata?”
“Dipende. C’è sempre qualcuno di servizio. In genere chiudiamo i cancelli laterali attorno a mezzanotte. Ma l’ingresso principale è sempre operativo. E ci sono guardie che perlustrano il lotto per tutta la notte. Ma se ci sono riprese in notturna, ovviamente c’è più personale.”
“C’erano riprese in notturna ieri?” chiese Jessie.
“Il programma prevedeva che tutto venisse concluso entro le 23, eccetto per questa produzione qui, il film del Predone. Ma alla fine hanno chiuso presto anche quella, quindi siamo rimasti con lo staff standard.”
“Sai perché abbiano chiuso presto?” chiese Trembley.
Paul spostò il peso da un piede all’altro, imbarazzato.
“Andiamo, Paul,” tentò di convincerlo Jessie. “Sai perché siamo qui. E sai che quei pezzi grossi dello studio ci daranno la versione condivisa. Uno come te, con l’orecchio sempre attento, di sicuro conosce la vera storia.”
Paul, che fosse perché lusingato o perché incapace di contenersi, alla fine cedette.
“Ufficialmente ci sono stati dei problemi tecnici che volevano sistemare. Ufficiosamente, ho sentito che la signorina Weatherly si è arrabbiata con il suo co-protagonista, Terry Slauson. Ha detto che era troppo brusco con lei nella scena che stavano girando.”
“Ed era vero?” chiese Jessie.
Paul scrollò le spalle.
“Non ero lì, quindi non lo posso dire per certo. Ma a dire la verità – e non mi piace parlare male dei morti – la signorina Weatherly trovava sempre un motivo per prendersela con qualcuno. Mi ha urlato dietro proprio la scorsa settimana perché a quanto pare ho preso troppo veloce una curva con questo caddy. Mi ha chiamato fot… bip ciccione. Non importa. Diciamo solo che non tutte le sue lagnanze erano sempre giustificate.”
Trembley sembrava esterrefatto davanti alla descrizione dell’attrice fornita da Paul. Jessie cercò di tenere a bada la propria irritazione e si concentrò su Paul.
“Che mi dici di eventuali stalker? Venite avvisati se un attore o attrice viene minacciato? Ricevete foto o ingiunzioni restrittive?”
“Non automaticamente,” le disse. “Ma in genere qualcuno del gruppo dell’artista ci avvisa se c’è qualche problema. Di tanto in tanto capita che qualche pazzo cerchi di entrare negli Studios.”
“Il team di Corinne Weatherly, magari una guardia del corpo, vi ha mai riportato problemi che la riguardassero?”
Paul rise, ma poi riprese subito il suo contegno.
“Scusate. Una reazione sconsiderata. È solo che la signorina Weatherly non aveva un team con lei, e neppure una guardia del corpo. La produzione le ha assegnato un’assistente. Ma non si trovava realmente nella posizione di avere un team viaggiante, se capite quello che intendo dire. E poi, se c’era qualcuno che la importunava, vi assicuro che la signorina Weatherly lo avrebbe riportato personalmente alla nostra attenzione, e anche forte e chiaro.”
Jessie annuì. Trembley, con sua sorpresa, prese la parola.
“Quindi stai dicendo che non aveva una guardia del corpo. Se ne andava in giro da sola per gli Studios?”
“Certo,” disse Paul, un po’ sorpreso. “Questo è il motivo per cui le produzioni vengono a girare in lotti del genere. Cioè, in parte è per avere un ambiente di ripresa più controllato, dove avere a disposizione in maniera più accessibile tutto quello che serve. Ma è anche più sicuro. In teoria, chiunque si trovi qua dentro è autorizzato a starci. È un posto di lavoro, proprio come un lussuoso edificio pieno di uffici. Questo significa che la gente, anche quella super famosa, può generalmente andarsene in giro senza tante preoccupazioni. Ho visto mega-star in fila al bar per le alette di pollo, e grossi produttori portare personalmente scatoloni di copioni nelle loro auto. Dovrebbe essere un posto sicuro. In genere lo è. Purtroppo questa mattina abbiamo avuto qualche problema con i paparazzi che cercavano di saltare la recinzione in modo da poter rubare qualche scatto vicino allo studio. Ma siamo riusciti a cacciarli via tutti.
Jessie vide una donnina tra i trenta e i quarant’anni che camminava rapidamente verso di loro. La notò anche Trembley.
“Penso che sia la detective Bray,” mormorò sottovoce.
“Grazie Paul,” disse Jessie alla guardia. “Sei stato molto di aiuto. Prometto che tratteremo con la dovuta riservatezza le informazioni ufficiose che ci hai passato.”
Paul annuì, rimontò a bordo del suo caddy e partì proprio mentre la Bray arrivava. Da vicino Jessie notò che la donna aveva capelli biondi sottili e dall’aspetto sfibrato, occhi grigi molto stanchi e quelle che sembravano macchie di pennarello sulle punte delle dita. Anche la camicetta era macchiata e male abbottonata.
“Karen Bray, centrale di Hollywood,” disse, porgendo la mano. “Immagino che voi siate i detective dell’HSS?”
“Alan Trembley,” disse il collega, prendendo la mano della Bray e scuotendola vigorosamente. “Questa è la nostra profiler Jessie Hunt.”
“So chi sei,” disse la Bray. “Cavolo, sei più famosa della Weatherly in questa città. Probabilmente hai avuto più visibilità tu di lei nel corso dell’ultimo anno.”
“Non lo sarà più,” disse Trembley, rendendosi poi subito conto di quanto poco appropriato suonasse il suo commento. Entrambe le donne lo fissarono in silenzio per un momento, poi Jessie si ricompose.
“A dire il vero ho dato le dimissioni dalla polizia la scorsa settimana,” disse rapidamente, sperando di salvare Trembley in corner. “Sono qui solo in veste di consulente.”
“Sì, ho sentito anche questo,” confermò la Bray.
“Pare che tu sia al corrente di tutto, detective Bray,” rispose Jessie. “Non so se sarei così in campana dopo aver dormito praticamente niente e aver dato una mano con, cos’era? Un progetto di arte?”
La Bray la fissò incredula.
“Progetto di scienze di seconda elementare, a dire il vero,” disse lentamente. “Ci abbiamo lavorato fino a dopo mezzanotte e mi sono alzata alle cinque per finirlo. Come facevi a saperlo?”
“Che razza di profiler sarei se non fossi capace di tirare fuori un coniglio da un cappello di tanto in tanto?” disse Jessie, prima di chinarsi verso di lei e sussurrarle nell’orecchio in modo che Trembley non potesse sentire: “Immagino che poi sarebbe opportuno che facessi un salto in bagno. L’inchiostro che hai usato per il progetto ti ha macchiato la camicia, che è pure sbottonata.”
La Bray la fissò a bocca aperta e poi si concesse un leggero sorriso.
“Grazie. Le mamme, eh?” disse alla fine. “Ad ogni modo, mi spiace per Moses. So che eravate molto legati. Avevano tutti un enorme rispetto per quell’uomo. E mi spiace anche per il tuo compagno, Hernandez, giusto? Come sta?”
“Grazie. Difficile a dirsi. Alcuni giorni meglio di altri, se mi spiego.”
La Bray annuì, poi scrollò le spalle come a dire “Beh, che facciamo?” A quanto pareva la parte di conversazione dedicata ai convenevoli era conclusa.
“Sì, ecco, immagino vorrai sapere quello che abbiamo raccolto fino ad ora.”
“Sarebbe fantastico,” disse Trembley.
“Non esaltatevi troppo. Non è molto.”
CAPITOLO SETTE
Guardarono attentamente il video di sorveglianza.
Una videocamera posizionata in alto aveva colto l’aggressore a bordo inquadratura mentre Corinne Weatherly veniva trascinata nel reparto oggetti di scena.
“Dopo non succede niente per un po’, fino a quest’altro punto qua,” disse la Bray, mandando avanti velocemente il video della persona che se ne andava dal set ed entrava nell’area di New York Street.
“È tutto qua?” chiese Trembley.
La Bray annuì. Jessie si rese conto che la detective aveva detto giusto. Se quel breve video era l’unico filmato disponibile che avevano, non gli restava certo molto su cui lavorare.
E per di più, le immagini non erano particolarmente nitide. A peggiorare le cose, le videocamere erano montate a un’angolazione tale da rendere impossibile la valutazione di altezza, peso o corporatura generale del colpevole. Tutto quello che potevano dire era che l’assassino era completamente vestito di nero, con tanto di passamontagna.
“Quindi l’assassino è sparito subito dopo?” chiese Jessie alla Bray.
“Da quello che dicono le videocamere, sì. Il problema è che sono posizionate solo in aree molto frequentate. E dato che ce ne sono tante, è difficile monitorare tutti i video in tempo reale. A meno che una guardia in ufficio non guardi lo schermo giusto al momento giusto, è facile farsi sfuggire quello che succede. Quindi una persona che conosce bene il lotto e ha un’idea di come funzioni la sicurezza, soprattutto di notte, può passarla liscia molto facilmente.”
Trembley offrì un suggerimento.
“Magari questo significa che dovremmo sentire quelli che gestiscono la sicurezza,” disse. “Abbiamo un registro di chi era in servizio ieri notte?”
“Siamo molto più avanti, detective,” disse la Bray. “Non solo abbiamo un registro, ma ogni agente addetto alla sicurezza è dotato di radio con GPS, così che si possano costantemente monitorare i loro spostamenti. Devono fare un controllo con l’ufficio centrale ogni quindici minuti. Abbiamo controllato tutti gli agenti che hanno fatto il turno ieri notte, e nessuno di loro era nei pressi del set 32 o della roulotte della Weatherly nell’arco di tempo in cui si è verificato il delitto.”
“Neanche a farlo apposta,” suggerì Jessie. “Come hai detto, è come se l’assassino conoscesse l’orario più adatto per colpire.”
“È decisamente sospetto,” confermò la Bray.
“Com’è che non abbiamo una ripresa di quando è stata portata fuori dalla roulotte?” chiese Trembley.
“Permettete che vi faccia vedere,” disse la Bray accompagnandoli alla roulotte della Weatherly. “E comunque ci sono un po’ di cose che dovete vedere là dentro.”
Mentre passavano accanto a diversi membri dello staff, Jessie sentì un tizio con la voce piuttosto potente, vestito con jeans e maglietta, che brontolava che adesso almeno non avrebbero dovuto andare a fare una terapia di gruppo. Era tentata di fermarsi a chiedergli cosa intendesse dire, ma prima che potesse farlo, la Bray parlò.
“Eccoci qui,” disse.
Ignorando la folla di astanti, si abbassò sotto al nastro di delimitazione ed entrò all’interno della roulotte. Jessie e Trembley la seguirono. Si trovarono immediatamente catapultati in un altro mondo. L’immagine che Jessie aveva di una roulotte era di qualcosa di sudicio e temporaneo, con pareti interne rivestite di sughero e illuminazione al neon. Ma questo posto assomigliava a un appartamentino di lusso.
Era pieno zeppo di amenità che lei mai avrebbe immaginato nel suo vecchio appartamento, o in quello di Kat. L’area soggiorno aveva una bella poltroncina sistemata accanto a una parete, di fronte a un enorme televisore. Dietro, sul retro della roulotte, c’era un letto queen-size. Lungo l’altra parete era disposta una cucina, completa di grande frigorifero e congelatore, microonde, forno e fornello.
Subito davanti a lei c’era un bagno sorprendentemente spazioso, inclusa una doccia con una piccola seduta all’interno. Si voltò dall’altra parte per vedere la postazione per il trucco, completa di grande specchio con luci tutt’attorno. Sullo specchio era stata scritta una parola con quello che sembrava rossetto: Boatwright.
“Cos’è quello?” chiese Jessie.
“È una delle cose che dovete vedere,” rispose la detective Bray.
“È quello che penso?” chiese Trembley, avvicinandosi allo specchio.
“Dipende da cosa pensi,” gli rispose la Bray.
“Penso che sia un nome.”
“Il nome di chi?” chiese Jessie.
“Se dovessi indovinare… Miller Boatwright.”
Fece una pausa come se avesse risolto il caso e stesse aspettando una pacca sulla schiena.
“Non so chi sia,” gli disse Jessie con assoluta tranquillità.
Trembley guardò la detective Bray, che sembrava sorpresa quanto lui dal commento di Jessie.
“Wow,” disse il giovane detective stupefatto. “Non stavi scherzando quando dicevi che ti sei persa qualche anno in materia di cultura pop.”
“Sono stata un po’ impegnata, Trembley. Vuoi spiegarti o pensi di fare gli indovinelli per tutta la mattina?”
“Scusa. Miller Boatwright è un produttore di Hollywood, uno di quelli di maggior successo nel settore. Pensa a Jerry Bruckheimer o Brian Grazer. Di certo ne hai sentito parlare, no? Il suo nome è associato ad alcuni dei più grandi successi degli ultimi vent’anni.”
“Ok,” disse Jessie. “Quindi cosa significa? È il produttore di questo film?”
“Questo non lo so. Ma era il produttore di Petali e irascibilità, il primo grande successo di Corinne Weatherly. Le storie sul casting di quel film sono leggendarie. È stata scelta tra oltre duecento altre attrici, inclusi alcuni grossi nomi, per il ruolo di protagonista femminile. Boatwright è stato quello che si è battuto per lei, contro ad alcune attrici piuttosto note. Il film alla fine è stato un successone. Lei è anche stata nominata per un Golden Globe. Quella performance le ha fatto guadagnare il ruolo da protagonista nel film del Predone, che personalmente reputo essere uno dei migliori cinque horror di sempre.”
“È decisamente buono,” confermò la Bray.
“Dove vuoi arrivare, Trembley?” chiese Jessie, sempre più vicina all’esasperazione.
“Voglio dire che da diversi punti di vista Corinne Weatherly doveva la sua carriera a Miller Boatwright. E il fatto che il suo nome sia scritto sullo specchio nella roulotte dove è stata uccisa non mi sembra tanto una coincidenza. Non so se sia stata la Weatherly o l’assassino a scriverlo, o se Boatwright debba considerarsi un sospettato, ma penso che probabilmente dovremmo fare una chiacchierata con il tizio, soprattutto dato che il suo ufficio si trova proprio in questi Studios.”
“Come fai a saperlo?” gli chiese Jessie.
“Pensavo che avessimo già stabilito che sono un genio del cinema,” le disse, come se la cosa fosse ovvia.
“A me viene in mente un’altra parola per definirti,” ribatté lei.
“Mettila come ti pare, io sono sempre dell’idea che dovremmo parlarci.”
“Va bene,” acconsentì Jessie prima di rivolgersi alla Bray. “Hai detto che potevi mostrarci il motivo per cui non c’è una ripresa della Weatherly che viene portata fuori da qui.”
“Giusto,” disse la Bray annuendo. “Ecco qua.”
Si spostò in fondo alla roulotte e si inginocchiò ai piedi dell’ampio letto. Solo allora Jessie si accorse di un’incisione rettangolare sul pavimento.
Questa è l’uscita di sicurezza,” disse la Bray. “Ogni roulotte ne ha una, in caso la porta principale non sia accessibile. Si può aprire solo dall’interno. Non ti preoccupare. Abbiamo già controllato le eventuali impronte e il DNA.”
Premette un pulsante quasi invisibile sotto al letto e la botola si aprì, rimbalzando in su. La Bray la tolse e fece loro segno di guardare sotto. Jessie si chinò in avanti e capì subito cos’era successo.
Sotto alla roulotte c’era una scarpa da donna che immaginò fare coppia con quella che era stata trovata sul cadavere. C’erano pezzi di materiale – apparentemente stoffa strappata – sul pianale sottostante della roulotte, dove i vestiti dovevano essersi lacerati mentre il corpo veniva trascinato di peso sul terreno.
“Quindi è stata uccisa qui,” disse Jessie, “e poi trascinata sotto alla roulotte fino allo studio di registrazione, dove effettivamente non abbiamo alcun video, giusto?”
“Pare proprio così,” confermò la Bray.
“Perché non lasciarla qui?” si chiese Jessie. “Perché rischiare l’elaborata procedura di spostarla in un posto dove l’assassino poteva essere visto, o incorrere comunque in qualche intoppo?”
“Non so rispondere a questo. Ma quando vedrai il corpo, penso capirai che qualsiasi sia il motivo, per l’assassino era importante che la Weatherly venisse trovata in quel posto e nello stato in cui l’ha lasciata.”
Jessie e Trembley si scambiarono uno sguardo incuriosito.
“Fai strada, detective,” disse Trembley, più calmo di quanto Jessie avrebbe creduto possibile.
CAPITOLO OTTO
Avevano davanti il corpo di Corinne Weatherly.
Da morta era semplicemente un’altra persona. Qualsiasi aura di celebrità avesse avuto in vita, era stata spazzata via, sostituita da pelle fredda e occhi vuoti. Il corpo che si era chiaramente sforzata di mantenere atletico e in forma aveva iniziato a dissiparsi. La pelle aveva perduto la sua elasticità e gli arti erano rigidi.
Jessie cercò di orientarsi nel cavernoso spazio della sala per gli oggetti scenici. C’era qualcosa di strano nel trovare un corpo morto in un magazzino. Ovunque guardasse c’erano cadaveri finti e innumerevoli parti del corpo in plastica insanguinate che sembravano essere state strappate. Le ricordava un processo di trapianto di carne, solo che con finti umani. Un certo numero di busti femminili ‘morti’ erano stati disposti in cerchio attorno a Corinne al centro della stanza.
Il medico legale se ne stava in silenzio in disparte, pronto a raccogliere il cadavere e portarlo all’obitorio. Secondo la detective Bray, stava aspettando da un’ora, ma non aveva il permesso di spostare il corpo fino a che l’HSS non avesse potuto dare un’occhiata.
“Scusi,” disse Trembley, “non ci metteremo molto.”
Jessie gli fece segno di avvicinarsi.
“Non scusarti mai per il lavoro che devi fare,” mormorò sottovoce. “Siamo qui per risolvere un omicidio, non per accelerare il processo. Se abbiamo bisogno di studiare il corpo per due ore prima che lo portino via, allora ci prenderemo due maledette ore, ok?”
“Sì, ok,” disse Trembley arrossendo come un peperone. “Volevo solo essere gentile.”
“Sii gentile quando serve. Questa donna qui a terra merita i nostri migliori sforzi per avere giustizia, non le servono a niente le buone maniere.”
Jessie aveva la sensazione che stesse per scusarsi con lei, quindi lo anticipò e proseguì il discorso.
“Come lo interpretiamo questo?” chiese, accennando a quello che entrambi avevano immediatamente notato quando avevano visto il corpo.
Nella mano destra della Weatherly c’era una rosa bianca. Era stata chiaramente messa lì dopo la sua morte. Qualsiasi significato avesse, Jessie non ne aveva idea. Voltandosi a guardare Trembley, capì che per lui era diverso.
“È del film. Petali e irascibilità.”
“Ho visto il film,” disse Jessie. “Ma era tanto tempo fa. Penso fosse durante il college. Quindi non mi ricordo della rosa.”
Trembley guardò la detective Bray per vedere se lei volesse spiegare. La donna scrollò le spalle.
“Ricordo che il tipo gliene dava una nel film, ma mi fermo qui.”
Trembley, apparentemente stupefatto, rinfrescò loro la trama.
“Nel film faceva la parte di una donna di nome Rosie che è proprietaria di un piccolo negozio di fiori. Scocca la scintilla con un uomo affascinante che si chiama Dave che viene in negozio da lei. Ma salta fuori che lui è un ricco imprenditore che ha comprato l’edificio dall’altra parte della strada per trasformarlo in un grosso vivaio della sua catena. E da qui parte la loro storia odio-amore.”
“Ricordo quella parte, Trembley,” disse Jessie. “Era praticamente una copia di C’è posta per te, che a sua volta era ripreso da Scrivimi fermo posta.”
“Pensavo che non ti interessassi di film,” disse Trembley impressionato.
“Non sono cresciuta in un convento,” rispose Jessie. “Va’ avanti.”
“Beh, alla fine del film, lui si presenta da lei con il suo fiore preferito, una rosa bianca, e le chiede di sposarlo.”
“Mi suona familiare,” disse Jessie. “E pensi che chiunque l’abbia uccisa intendesse farci fare il collegamento con quella scena?”
“Mi sembra piuttosto ovvio,” disse Trembley.
“Forse troppo ovvio,” intervenne la detective Bray.
“Può darsi,” le concesse Trembley. “Ma ad ogni modo, mi pare chiaro che chiunque sia il colpevole, fosse al corrente del film e della storia di fondo. Magari un fan ossessivo. Magari qualcuno che aveva lavorato al film. Ma mi pare assodato che Petali e irascibilità è in qualche modo rilevante in tutta questa faccenda. Questo rinforza la mia sensazione che sia necessario parlare con Boatwright.”
“Non mi oppongo,” disse Jessie con tono vago mentre la sua attenzione veniva distratta da un ometto rosso in volto che stava venendo verso di loro a grandi passi. “Detective Bray, puoi farci sapere chi è il tizio arrabbiato che sta venendo verso di noi?”
La Bray si guardò alle spalle e il suo corpo si afflosciò visibilmente.
“Quello è Anton Zyskowski. È il regista. Non è un simpaticone. State all’occhio.”
Zyskowski si fermò davanti a loro e fissò Trembley in faccia, ignorando del tutto Jessie.
“Lei è il detective speciale?” chiese con tono invadente, fissando Trembley che, come Jessie, era di quindici centimetri più alto.
“Detective speciale?” ripeté.
“Quello che gestisce i casi speciali,” disse l’ometto con ovvia frustrazione. “Questa donna dice che non si può fare niente di film fino a che arriva detective speciale.”
“Mi sa che sono uno dei detective speciali,” gli concesse Trembley. “Siamo una squadra.”
“Squadra non vuol dire niente per me. Ho bisogno che persona responsabile chiude tutto, così io posso andare avanti con le riprese. Ogni ora senza girare è milioni di dollari spesi. Tempo è molto importante.”
Jessie si morse la lingua, aspettando di vedere come avrebbe reagito Trembley. Il giovane detective guardò l’ometto dall’alto in basso. Iniziò a bofonchiare qualcosa sulle procedure che Jessie non capì. Dubitava seriamente che il regista lo comprendesse.
Quando fu chiaro che Trembley era in difficoltà, si fece avanti lei. Zyskowski si voltò a guardarla un secondo, poi tornò con lo sguardo su Trembley.
“Anton, vero?” chiese Jessie educatamente.
“I miei amici dicono Anton,” le rispose lui, guardandola con sdegno. “Chiunque sia lei, può dire signor Zyskowski.”
Di lato, la detective Bray si irrigidì. Jessie le fece l’occhiolino. Poi mostrò il suo sorriso più finto e smagliante.
“Mi chiamo Jessie Hunt. E il fatto è questo, Anton,” disse, sottolineando con decisione il nome. “Il tempo sarà anche molto importante per te. Ma sai cosa conta di più per noi? Il cadavere sul pavimento a mezzo metro da te. E considerato il fatto che il cadavere è quello della donna che aveva il ruolo di protagonista nel tuo film, avrei pensato che fosse importante anche per te.”
“Certo che è importante,” ribatté lui, leggermente scioccato dall’affronto. “Non dico che non è importante. Ma io ho responsabilità di questo film. Più di trecento lavori dipendono da me. Non posso solo essere triste per Corinne. Devo pensare a lavoro degli altri. Devo pensare a investimenti di studio. Non è felice da dire, ma devo essere forte, così lavoro continua, anche dopo morte.”
“Bene, Anton,” disse Jessie, per niente scomposta. “Il lavoro dovrà aspettare fino a che saremo pronti a liberare la scena del crimine. Francamente, sono sorpresa che tu possa addirittura andare avanti senza di lei.”
Guardò mentre Anton cercava di contenersi, anche se il suo volto arrossiva, assumendo una colorazione molto vicina al viola.
“Scene di Corinne quasi finite,” spiegò. “Quelle che restano, possiamo usare controfigura. Usare anche immagini generate da computer se serve. Ma film ha altri 4 giorni di riprese senza di lei. Quelli posso fare senza problemi.”
“Temo che non girerai più niente su questo set fino a che la scena del crimine non sarà stata sbarazzata,” lo informò Jessie. “Diverse altre aree vanno controllate per raccogliere impronte digitali e altre potenziali prove. Potrebbero volerci molte ore. Ti consiglio di girare le scene che ti mancano da qualche altra parte.”