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La plebe, parte IV
Codesto intrattabile ed accanitissimo nemico di ogni liberalismo odiava più ancora degli altri quei nobili che accennavano piegare alle idee moderne. A lui parevano codestoro come apostati e traditori; onde immaginatevi voi quali non dovessero essere il suo dispiacere e la sua collera, quando gli parve scorgere che suo figlio, il suo unico figlio medesimo si intingesse di questa pece.
Era da parecchi mesi a Torino un giovane signor milanese: Maurilio Valpetrosa. Era bello, geniale, elegante, pieno di brio e di piacevolezza nella parola, di grazia e di avvenenza nei modi, di buon gusto nel vestire e in ogni diportamento; ardito e destro ad ogni esercizio corporeo, cavalcare, schermeggiare, al nuoto, alla danza, al pallamaglio, allora di moda; generosissimo nello spendere; non inferiore a nessuno, facilmente superiore ai più in ogni cosa onde possa comporsi eletta educazione signorile, Venuto nella capitale del Piemonte con autorevoli ed efficaci commendatizie era stato fin dalle prime intromesso nella più scelta e titolata società e non aveva tardato a diventare assiduo frequentatore di quel gruppo di giovani ufficiali, letterati ed artisti che si raccoglievano nel palazzo Carignano intorno al giovane principe che doveva fare ammenda del fallo al Trocadero.
L'aristocrazia torinese, difficilissima e assai cauta in quel tempo ad ammetter ne' suoi salotti in condizioni di famigliarità e d'uguaglianza chi fra i suoi concittadini non contasse il numero voluto dei quarti, era assai più larga e benigna verso i forestieri; e quando uno venuto di fuori avesse maniere acconcie, ricchezze all'avvenante, lo accettava come invitato alle sue feste, e visitatore nelle sue conversazioni, senza domandargli di più. Codesto non poteva aver tratto di conseguenza; il forestiero sarebbe partito, recando seco la memoria della forbitezza di quella società, che quando voleva, sapeva essere veramente squisita, ed ecco tutto.
Maurilio Valpetrosa venne accolto di questo modo e per queste ragioni. I denari gli colavano di mano come ad un milionario, aveva una figura da principe di conte de fées, nel suo nome c'era anche un certo profumo, direi quasi, d'aristocrazia, un titolo non disdiceva nè stonava con quella sonora riunione di lettere d'alfabeto; s'avvezzarono a chiamarlo di Valpetrosa, e gli uomini per mangiare le sue cene, fumare i suoi sigari, averlo allegro compagno nelle loro pazzie, le donne per sorridere alla maschia di lui bellezza, per lasciarsi incantare dalle seduttrici parole dette con ispirito dalla sua voce insinuante, non gli domandarono se potesse provare che i suoi maggiori erano stati alle crociate.
Con costui il padre di Ettore Baldissero aveva stretto una più intima attinenza, che quasi poteva dirsi amicizia. Si erano conosciuti precisamente nelle sale del Palazzo Carignano, e dapprincipio e per alcuni mesi fra di loro non fu altra attinenza che quella di persone ammodo fra cui non v'è ragione alcuna di intrinsichezza. Ma ad un tratto il giovane milanese si pose con tanta insistenza e con tanta gentilezza a voler acquistare l'affetto e la confidenza del marchese di Baldissero che impossibile resistergli. E' diventarono gli Oreste e Pilade di quella nobile società torinese, e i maligni non tardarono a scoprire e susurrare la causa di questo premuroso zelo d'amicizia nell'elegante e leggiadro forestiero, quella cioè di accostarsi così vieppiù alla signorina Aurora di Baldissero, della quale cupidamente bramasse la beltà eccezionale e la dote vistosamente ricca.
Per quest'ultima parte si calunniava quel giovane, il quale in realtà era una delle più generose e valenti anime d'uomo che esser possano; ma quanto all'affetto che in lui avevano acceso la beltà, le grazie, l'ingegno della nobile fanciulla ch'egli aveva avuto campo di conoscere e di apprezzare in molti di quei salotti a cui era ammesso; quanto all'amore che egli ad Aurora aveva consecrato, caldo, insuperabile, eterno, tutto quello che diceva la gente, e parevano già cose esagerate, era un nulla appetto al vero.
Valpetrosa amò Aurora con tutto l'impeto di quella sua natura vivace ed ardentissima; l'amò di quell'amore che, come si esprime Dante: «a nullo amato amar perdona,» di quell'amore così assoluto, così vasto, così dominante che di esso non può a meno qualunque donna che assuperbirsi; e la natura gli aveva concesso, oltre il valore dell'interno, anche quei fisici pregi esteriori per cui cotale affetto si può a meraviglia esprimere, eloquentemente significare e con efficacia comunicare. Egli non aveva ancora parlato alla fanciulla che delle più indifferenti cose onde si possa occupare il discorso di due che conversino colle stampite delle cerimonie, e già la giovane sapeva d'essere amata con infinito ardore, e già quel leggiadro garzone amava ancor essa, senza averlo voluto, come spintavi da una forza superiore.
Il male si fu che di codesto ebbero ben presto ad accorgersene, come dissi, anche gli altri. Gli uomini non erano disposti a perdonare che questo intruso venisse loro a portar via il cuore della più bella fanciulla del loro ceto e della città; le donne perdonavano anche meno, che l'adorato loro vincitore abbandonasse il campo della galanteria, dove si piacevano assai affrontare le audaci di lui aggressioni e rimanerne vittime. Prima d'allora, passando egli da avventura in avventura, da questo a quell'intrighetto, messa in giuoco la vanità, non occupato il cuore, aveva saputo così bene governarsi con quei capricciosi esseri che sono le donne civette, da sciogliere ed annodare intime relazioni coll'una e coll'altra, senza offenderne veruna mai, senza farsi una nemica dell'oggi dell'amante di ieri; ma ora la passione vera e soverchia non gli lasciava più agio e prudenza da ciò. Abbandonò i sentieri fioriti della galanteria, dove prodigava madrigali e dichiarazioni piene di brio ad ogni incontro, lasciò vedere che tutto il resto gli era diventato indifferente e che chi non voleva accomodarsi a questa poco lusinghiera condizione a riguardo di lui, gli diventava uggioso.
Ora le donne di quello stampo perdonano assai poco altrui che le abbiano per indifferenti, meno ancora che le si trovino uggiose. Gli amori di Valpetrosa e di Aurora ebbero quindi intorno una schiera di nemici congiurati a loro danno.
Un bel giorno il vecchio marchese ricevette in mezzo agli scherzi agrodolci d'una leggiadra signora la rivelazione delle pretese sopra la figliuola dei Baldissero di quel forestiere che non si sapeva come fosse nato e che sentiva orribilmente di liberale le mille miglia lontano. Il marchese era amico dei mezzi spicci ed assolutisti, ordinò che Aurora non sarebbe uscita più in quelle occasioni nè andata in quei luoghi, dove e quando ci era probabilità potesse incontrare quel cotale: ebbe a sè suo figlio e senza scendere a spiegargliene il motivo, gli comandò rompesse ogni attinenza con quel Valpetrosa e sopratutto si guardasse bene dall'accoglierlo ancora una volta in casa. Il figliuolo rispettosamente volle opporre a questo comando, non resistenza, sibbene qualche considerazione soltanto; ma a' suoi cenni il vecchio marchese non ammetteva pure un indugio nell'ubbidienza: e siccome gli parve che il figliuolo non avesse troncato secondo suo ordine ogni relazione con colui e continuasse eziandio a frequentare quel circolo di liberali che a lui erano cari come il fumo negli occhi, domandò al re ed ottenne che l'erede del suo nome e del suo titolo fosse mandato sollecitamente a Madrid, come addetto a quell'ambascieria.
Il fratello d'Aurora partì e sventuratamente, senza aver nulla appreso nè nulla scoperto del reciproco amore di Valpetrosa e di sua sorella; e intanto fra questi, come sempre avviene, gli ostacoli frapposti ne accrescevano l'impeto e la fiamma della passione. Col denaro che il giovane milanese spendeva così liberalmente, gli fu facile acquistare degli alleati, dei complici nella casa stessa del marchese di Baldissero, intorno alla fanciulla da lui amata, e questi furono una cameriera specialmente addetta al servizio della marchesina Aurora e lo stesso intendente che aveva tutta la fiducia del marchese, il signor Nariccia. Questi non aveva tanto preso il suo tempo dagli affari della nobil casa che lo pagava, da non poter pensare tuttavia a mandare innanzi per suo conto certi traffichi con cui preludiava a quella sua condotta d'usuraio ch'egli impudentemente chiamava professione di banchiere. Valpetrosa che era venuto a Torino con molte lettere di credito per somme assai vistose, aveva pensato accorto partito il rivolgersi a questo cotale per lo sconto e la conversione in denari di quegli effetti, e Nariccia il quale aveva visto in ciò un buon guadagno, vi si era prestato con una certa premura, con una facilità, con uno zelo, che pel forestiero riescirono come una fiorita gentilezza ed avviarono fra di loro una certa fiduciosa attinenza che ben poteva dirsi amichevole.
Nariccia era diventato proprio il banchiere di Valpetrosa; egli teneva di costui in deposito le somme tutte in conto corrente, e veniva rifornendolo tratto tratto di denaro, mentr'egli per le tratte stategli rimesse era al di là di guarentito lucrandovi ancora interessi e sconto e diritto di commissione, e va dicendo.
Di questa guisa era capitato che al giovane venisse un giorno la infelice idea di confidare il suo amore a quest'uomo e cercare da lui consiglio ed aiuto. Nariccia per sapere il segreto di Valpetrosa, non aveva bisogno di questa confidenza, perchè era troppo accorto osservatore egli stesso e la cosa erasi fatta troppo oramai palese a troppi perchè la ignorasse, ma fece tuttavia come se la gli giungesse la più nuova del mondo. Al giovane, il quale, credendolo molto addentro nelle grazie e nei segreti del marchese, lo interrogava se dovesse mai avventurarsi a fare al marchese la domanda della mano di Aurora, egli rispose, ciò che era pure la giustissima verità, come il vecchio, superbissimo nobile, non avrebbe altrimenti accolto che quale un oltraggio siffatta richiesta da chi non potesse vantare tutti i voluti quarti di nobiltà, pensasse che direbbe a Valpetrosa quando questi avesse dovuto confessare di essere figliuolo d'un fabbricante di pannilana! Il giovane amante d'Aurora che era di umore vivacissimo e di spiriti più che audaci, decise in conseguenza non esporsi alla superba ripulsa, a cui non egli sarebbe stato capace di rispondere con calma, e giurò pur tuttavia che la fanciulla, a dispetto di tutto e di tutti, gli avrebbe appartenuto.
Nariccia medesimo, divenuto suo confidente e consigliere, fu quello che lo aiutò ad entrare in intimi rapporti con Modestina Luponi, la cameriera di Aurora, e seppe in questo modo tutto quello che avvenne fra i due giovani amanti. Tre mesi dopo la partenza del fratello di Aurora per la Spagna, la nobile figliuola dei Baldissero, posseduta da una irrifrenabile passione, aveva fatto padrone di sè, del suo avvenire, dell'onor suo il seducente giovane, il quale coll'intensità e la sincerità dell'amor suo meritava pure un tanto di lei sacrifizio.
La rivoluzione intanto era prossima a scoppiare. Valpetrosa doveva, secondo gli accordi presi coi congiurati, recarsi alla sua città natale e spingerla ad insorgere contro lo straniero per concorrere alla gran causa della libertà e dell'indipendenza della patria. Per lui separarsi da Aurora, e per quest'essa l'essere lontana dal suo amante era insopportabile pure al solo pensiero: egli parlò di fuga; la fanciulla resistette alcun tempo, esitò di molto, ma cedè finalmente. Stava per diventar madre, e questa sua condizione non poteva più celarsi a lungo oramai. La vergogna, il timore della tremenda collera paterna, la mancanza assoluta di persone affezionate in cui confidare e da cui prendere consiglio non le lasciarono campo a pure veder possibili altri partiti, acconsentì, ed una notte usciva ella furtivamente dal palazzo di Baldissero colla Modestina sua cameriera, complice e mezzana, e salita in una carrozza ferma ad una cantonata vicina, nella quale Valpetrosa stava aspettandola, partivasi con lui alla volta di Milano.
Ella dalla casa paterna non recava con sè nulla, nè gioielli, nè denari (ed era stato il suo amante eziandio a voler così), fuor quelle poche robe che vestiva ed alcuni oggetti suoi particolari che le erano preziosi, fra cui un rosario d'agata, memoria di sua madre morta.
Prima cura di Valpetrosa, appena furono i fuggitivi fuori di ogni pericolo di venir raggiunti, innanzi di condurre Aurora in presenza di sua madre, fu quella di sposar la sua amante, di far consecrare dalla benedizione del sacerdote, ai piedi dell'altare di Dio, quell'unione che tra di loro già avevano giurato eterna; così che entrando nella casa della genitrice potesse dire a quest'essa senza punto menzogna:
– Ecco mia moglie. Abbila qual figliuola.
La madre di Valpetrosa era donna di senno, di prudente carattere, d'indole un po' asciutta, cui le molte traversie della vita che aveva dovuto sopportare avevano resa taciturna, cupa anzi che no, aspra talvolta eziandio. Amava ella immensamente suo figlio senza fallo; e inoltre in lui riconosceva il capo della famiglia, il proprietario delle domestiche sostanze, e il padrone di soddisfare come gli piacesse i suoi onesti desiderii; ma quest'autorità del suo Maurilio ella per prudenza e per affetto voleva temperata da' suoi richiami, dalle sue obbiezioni; e siccome il giovane, di carattere alquanto svagato e leggero, non soleva dare alle parole di lei tutto il rilievo che ella avrebbe voluto e che si meritavano, soleva la madre punirnelo con un broncio che si dileguava poi, ad ogni momento che il figliuolo volesse, sotto le carezze e le dolci parole di lui.
E sarebbe stato invero un gran bene per tutti che sul giovane la madre avesse avuto più impero ed autorevolezza da impedirgli col positivo cenno e non soltanto coi consigli, ascoltati scherzando il più sovente e dimenticati poi tosto, lo sciupio delle famigliari fortune. Ma questa autorità la buona madre non credeva d'averla, non seppe e non pensava neppure poterla acquistare. Le condizioni in cui era quando il matrimonio col padre di Maurilio la fece entrare in quella casa; le condizioni cioè d'una povera operaia che non aveva di ricchezze che la sua avvenenza e la sua virtù, congiunte alla sua indole un po' timida, un po' permalosa, l'avevano fin da principio messa in un certo stato di sommessione e di dipendenza riguardo al marito, uomo operoso e procacciante, volontà ferma ed imperiosa, natura audace e piuttosto inchinevole a piegare e guidare e dirigere a suo senno le individualità altrui, che più deboli lo avvicinassero. La moglie di fatti, di lui, delle cose e degli interessi domestici seppe quello soltanto che a lui piaceva comunicarle, ed egli aveva sempre trovato superfluo il comunicarle gran che. La fabbricazione e il commercio dei pannilana da lui esercitati parevano prosperare il meglio possibile e mercè i grossi guadagni venir formando alla famiglia un enorme patrimonio. Era credenza comune in tutta Milano; ed era anco quella della madre di Maurilio che non vedeva, non pensava, non prendeva manco la fatica di immaginare diverso e più in là.
Si viveva da milionarii; non già essa, la moglie del fabbricante, la quale allevata fra le privazioni in una povera famiglia, non aveva disposizioni nessune, nè gusto nemmanco a comparire e scialarla da gran signora; viveva essa modestissima, rinchiusa fra le eleganti pareti del suo suntuosissimo quartiere, non vedendo alcuno mai; ma il marito non si rifiutava nulla di quanto potesse la ricchezza procacciare di sfarzo e di spassi, e l'unico loro figliuolo adoratissimo era tenuto ed allevato come l'erede di principesche fortune.
Ma, sventuratamente, ad un tratto il padre mancò. Dovendo venir appurata l'eredità del figliuolo, ancora in età minore, ne venne a risultare che cospicuo era bensì l'attivo della medesima, molti però eziandio i carichi e le passività in tal grado da ridurre di più che metà le rendite patrimoniali, quando mancassero quell'operoso spirito industriale, quell'intelligente intraprendenza che valevano al defunto fabbricante sì vistosi guadagni de' suoi capitali. Un'accorta amministrazione di quel patrimonio in mezzo a tutti quei viluppi ed imbrogli avrebbe saputo salvare all'erede una ricchezza più che considerevole; ma la vedova di Valpetrosa, donna di timidi spiriti, vissuta sempre ritratta, senza la menoma idea, senza la menoma disposizione per nessuna sorta di affari, non ne capiva nulla, non n'ebbe altra impressione che d'una gran confusione nella testa e d'un grande sgomento nell'animo. Di una cosa sola ella scongiurò gli onesti uomini che presero cura degl'interessi di lei e del pupillo, che cioè si sceverasse da ogni debito, da ogni traffico, da ogni complicazione quel tanto di più che si potesse delle fortune del marito, lo s'investisse in sicuri impieghi di capitale, da averne un reddito certo, fisso, immanchevole, in cui misurare le sue spese e la condotta e l'educazione del figliuolo.
La fabbrica fu venduta, fu ceduta ogni ragione che il defunto aveva sul principalissimo fondaco di panni che allora esistesse in Milano, e pagato ogni creditore, si ebbe tuttavia il risultamento d'un patrimonio di duecento e più mila lire austriache, cui la madre (suo marito essendo morto senza testamento) volle investire nel nome del figliuolo, come unico ed assoluto proprietario.
Questa buona e savia donna, cresciuta in mezzo agli stenti, anco fra le grandigie nel tempo della prosperità del marito, alle quali ella così poco aveva voluto partecipare, aveva sempre conservato spirito ed abitudini parsimoniose. Ora, spaventata da quel crollo che avevano subitamente sofferto le fortune dei Valpetrosa; crollo che da principio sembrava anche maggiore, e le aveva fatto temere poco meno che d'essere ridotti alla miseria, quelle sue tendenze a scemare le spese, a restringerle nel necessario, si aumentarono grandemente, ed esagerandosi benanco andarono fino alla grettezza ed all'avarizia.
Maurilio, per disgrazia, era perfettamente d'umore e di tendenze opposti. Il gusto dello scialo, l'amor dello spendere, l'ambizione dello sfarzo, e' doveva averlo recato seco fin dalla nascita; glie l'avevano radicato ed accresciuto i modi ed abitudini di vita della sua famiglia, vivente il padre; così bene che i diportamenti e le delicature dell'esistenza signorile eransi fatti per esso quasi una necessità. Un ridurlo a più modesti costumi, accompagnato da validi ragionamenti che gli ponessero in chiaro le sue condizioni, avrebbegli certo giovato e sarebbe riuscito a modificarne le propensioni; ma la madre esagerando e privandolo del tutto d'ogni suo precedente diletto, recando in tutto ciò che a lei sembrava superfluo una falce così spietata che a pochissimo invero trovavasi ridotto quel necessario che gli era concesso, ottenne anzi l'effetto contrario, suscitò quel sentimento di riazione che sta in ogni spirito umano contro ciò che gli si vuole imporre, destò più vivi ed irritò quei desiderii di godimento che acquistavano ancora, oltre tutte le altre, la seduzione del frutto proibito. La madre gli aveva pariate di povertà, ed egli era pure stato in caso di apprendere che una certa parte delle fortune paterne era salva: ignaro del vero valore del denaro, parevagli che duecento mila lire austriache fossero un gran che; si persuase quindi agevolmente che le continue ammonizioni di non ispendere, i continui lamenti sull'eccessività dei costi della roba, i continui consigli di risparmiare fossero esagerazioni cagionate da una specie di mania di sua madre, cui non bisognava contraddire, ma a cui si poteva e si doveva non dar retta. La gente in mezzo a cui soleva passare il suo tempo, non era acconcia a fargli nascere altra persuasione, nè ad inculcargli la virtù del risparmio. Mentre sua madre con infiniti risparmi riusciva in capo d'ogni anno ad aumentare d'una piccola somma il capitale, Maurilio coi debiti, che di soppiatto veniva facendo, lo intaccava senza misericordia, così che ne avrebbe dovuto fondere una gran parte quel dì che, arrivando alla maggior età, egli sarebbe stato costretto a pagare.
Quando quest'epoca dell'età maggiore del figlio fu arrivata, la madre si spogliò senza indugio dell'amministrazione del patrimonio che era proprietà assoluta di Maurilio, e cui pure ella mercè l'economia ed i risparmi aveva di qualche poco accresciuto; e il giovane trovatosi di poter disporre di una somma che a lui in quei primi momenti pareva inesauribile, la diede per mezzo ai dispendi, senza che servissero di valevol freno gli ammonimenti prima, e poi, visto inutile ogni parola, i bronci della madre. Di siffatta guisa non andò gran tempo che Valpetrosa ebbe consumata una gran parte di quelle sostanze salvate alla liquidazione dell'avere paterno. Ardente di carattere, generoso dell'animo, aperto e inchinevole ad ogni nobile impulso, Maurilio era entrato nella congiura dei patrioti che volevano francare dallo straniero l'Italia e sognavano nella monarchia, nell'esercito e nel popolo piemontesi un aiuto alla santa difficilissima impresa.
Trattandosi di fermare più stretti gli accordi fra i congiurati dell'una e dell'altra parie del Ticino, si pensò mandare in Piemonte uno dei lombardi che seguisse attentamente lo svolgersi dei fatti, si mettesse in giorno d'ogni processo della congiura, e di là comunicasse notizie, cenni, istruzioni; e niuno fu pensato poter meglio adempire questo ufficio di Maurilio Valpetrosa di scelte maniere, di vivacissimo ingegno, di simpatiche sembianze e di animo sicurissimamente incrollabile. Da ciò quelle tante ed efficaci lettere di favore dell'aristocrazia milanese che l'avevano introdotto nell'intimità della superba aristocrazia di Torino; per ciò quelle sue lettere di credito per somme vistose, di cui egli usava così largamente, cui egli aveva ritenute assolutamente indispensabili alla riuscita del suo compito e per ottenere le quali egli aveva impegnato tutto o quasi tutto il restante suo patrimonio.
Le cose gli erano andate perfettamente a seconda. Aveva egli mandato innanzi con uguale buon esito e di pari passo gl'interessi della patria causa e quelli del suo amore; aveva udito dalla bocca di Carlo Alberto parole che erano più d'una speranza, che potevano dirsi promesse; coi capi della cospirazione mezzo civile, mezzo militare, che si rannodava intorno al palazzo Carignano, aveva inteso i modi d'esecuzione del vasto disegno; aveva ottenuto da Aurora le massime prove d'amore. Ogni causa di suo soggiorno a Torino era cessata; partì come vedemmo e rapì alla sua famiglia la sedotta figliuola del marchese di Baldissero.
La madre di Valpetrosa non accolse Aurora come una figlia, sibbene con e una straniera intrusa nel loro domestico affetto. La sua timidità, l'amore misto ad una soggezione che aveva per suo figlio, non le lasciarono manifestare in modi aperti e positivi questo suo sentimento verso la nuora; ma esso apparve continuatamente nella freddezza poco meno che ostile, nell'impaccioso silenzio, nella costante musoneria che teneva con Aurora. Dopo alcun tempo, venutole un maggiore coraggio, si mostrò eziandio in certe indirette rampogne, in velate lamentazioni che ella faceva ad alta voce seco stessa in presenza della nuora, senza volgere a lei la parola, ma perchè andassero a ferirla. Aurora non aveva mezzo alcuno, nè credeva manco sua dignità, di rispondere; curvava il capo e taceva, come se quello non fosse fatto suo; ma sentiva intanto invaderla un'immensa amarezza.
Per la nobile figliuola dei Baldissero già cominciava la crudele epoca delle delusioni; dalle serene regioni dell'ideale dove s'inebriava di vaghe chimere l'anima sua, veniva ella precipitando nell'aspro mondo della realtà, e per affarsi a questo nuovo ambiente ond'era avvolta conveniva le si strappassero dintorno le antiche abitudini, dalla mente le antiche idee e le si venissero facendo a poco a poco, quasi direi, una nuova carne, un nuovo spirito. Bene l'aveva il suo amante chiarita dapprima delle proprie condizioni, ed adombratole il destino ch'egli poteva offrirle; ma come avrebbe potuto dipingerle con esatti colori la verità, mentre egli medesimo non era tuttavia ben conscio di questa stessa verità? Inoltre cosiffatti discorsi tenuti di fuggita in ratti colloquii, fra due proteste d'amore, usciti dall'appassionato labbro dell'uomo che vi ama, come potrebbero agli occhi d'una innamorata fanciulla, inesperta del mondo, vestire le giuste sembianze della realtà? Aurora, dietro i detti di Valpetrosa, aveva si pensato ad un'esistenza modesta, ritirata, anche povera; ma rallegrata pur sempre dalla divina luce di quel loro amore, ma vista traverso quell'immenso desiderio comune di unire le loro sorti, codesta esistenza si lumeggiava di certe poetiche tinte, si ornava del pregio d'un sacrifizio nobilmente sostenuto, onde si compiacevano lo spirito romanzesco e il generoso istinto di quella eletta e leggiadra creatura. Ella non aveva menomamente pensato, perchè non poteva in nessun modo supporle, alle piccole volgari contrarietà d'una vita domestica in ristrette condizioni, alle fastidiose tribolazioni d'una lotta intestina, alle punture di spillo d'una suocera inasprita; e quando la si trovò in mezzo a tutto ciò, ebbe in fondo all'anima una pena ed uno scoraggiamento, cui, volendo nascondere, sentì più forti, e che, se non furono un pentimento, s'accostarono di molto ad un rimorso.