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La plebe, parte II
La plebe, parte II

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La plebe, parte II

Язык: Итальянский
Год издания: 2017
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– La ringrazio: disse il marito di Paolina con accento in cui più della riconoscenza avreste potuto notarvi il dubbio; la ringrazio Lei e la signora sua madre; ma dica pure a suo padre che ha fatto male a non concedermi questa grazia, ha fatto molto male.

Paolina prontamente s'intromise.

– Il signor Benda non ha potuto credere così di subito che tu fossi tornato l'Andrea d'una volta. Quando tu gli avrai provato che così è veramente, egli non ti respingerà più, egli che un tempo ti voleva bene.

– Oh sì, sì: soggiunse Maria: sperate. Intanto Paolina, voi che siete alquanto indisposta, mettetevi a letto ed abbiatevi cura. Vedete come le vostre mani vi tremano ancora!.. Non avete che questo giaciglio per letto?.. Dio buono! Non c'è nemmanco da coprirvi! Manderò qui da Bastiano alcune coperte e lenzuoli; ma intanto coricatevi subito… Scommetto che ci avete la febbre. Non ci è alcun medico che venga a visitarvi?

– No signora: rispose Andrea. Non abbiamo denari da pagarne veruno; e quello della parrocchia, è venuto due o tre volte, e poi ha detto che non c'era nulla da fare e non tornò più.

– Ve ne farò venire uno io: riprese la pietosa giovane; manderò a cercare di quello della nostra famiglia.

Si volse a Bastiano:

– Avete inteso, Bastiano! Adesso ch'io discenda, riconducendomi a casa, farete passare la carrozza innanzi l'abitazione del dottore e salirete su a pregarlo a mio nome di venir qui.

– Sì, signora Maria.

Paolina avrebbe voluto ringraziare ancora per questo nuovo tratto di carità; ma non aveva più la forza di farlo, non aveva più la forza nemmeno di reggersi, onde abbandonatasi del tutto su quello strammazzo presso cui si trovava, giacque lunga e distesa e chiuse gli occhi che pareva di nuovo svenuta. Il marito ne racconciò il corpo sul giaciglio: Maria ordinò a Bastiano che mescesse in un bicchiere un dito di quel vino che avevano recato e lo fece bere a piccoli sorsi alla giacente che ne parve riconfortata; poi, siccome toccandone le guancie e le mani la generosa fanciulla sentì sempre più ghiaccie le carni di quella povera donna, per un moto quasi irriflessivo, ella si tolse il suo scialle di lana caldo e soffice e lo pose accuratamente sopra le membra della povera Paolina.

Questa non ringraziò che con uno sguardo, poichè colla voce non lo poteva, ma quello sguardo era pieno di riconoscenza. In quella all'uscio della miserabile soffitta ecco suonare una voce di donna armoniosa e soavissima:

– Si può entrare?

– Avanti: disse la voce rauca ed aspra di Andrea.

L'uscio si aprì e comparve nel vano della porta, spiccando in chiaro sopra lo scuro del corridoio la splendida bellezza della nobile signora damigella Virginia di Castelletto.

Era vestita di scuro a le sue carni bianchissime e le sue chiome color d'oro parevano mandare attorno l'aureola d'una mitissima luce. Dietro di lei veniva una vecchia governante, e nell'ombra del corridoio vedevasi il cappello gallonato d'un domestico in piccola livrea. Stette ella un istante sulla soglia, guardando intorno co' suoi occhi splendidi, smaglianti, in cui avreste detto in quel momento esservi tutto il riflesso del più bel sereno di cielo in un purissimo lago, mentre un sorriso pietoso e pieno di dignità appariva sulle labbra con fiera eleganza disegnate; poi s'inoltrò con passo leggiero e spedito, che pareva sorvolare sullo spazzo con mossa di persona di naturalissima leggiadria, e si accostò alla donna giacente. Maria si tirò indietro d'alcuni passi per lasciarle luogo, e Virginia, entrandole innanzi le fece col capo un saluto cortesissimo, però senza mostrare che ella l'avesse altrimenti riconosciuta. Andrea stava colà dritto, quasi attonito, senza sapere che fare nè che dirsi; e i bambini medesimi tenevano aperto tanto di bocca e tanto d'occhi a guardare meravigliati quella giovanile ed elegante bellezza che attraversava come una splendida visione la squallida atmosfera della loro miseria.

Quando fu presso alla inferma, la nobile visitatrice, fece suonare quella sua voce piena di soavissimo incanto.

– Povera Paolina! Voi state poco bene?

La moglie d'Andrea, confusa e commossa balbettò:

– Oh signora marchesina… Lei qui… in questo miserabile buco… Lei venire fino quassù… Che degnazione!

E volle fare uno sforzo per levarsi su colla persona a seder sul giaciglio.

Ma Virginia le pose amorevolmente la sua piccola mano inguantata sopra una spalla e la impedì di muoversi.

– State lì, buona donna: disse: non vi muovete. Appena ebbi inteso che voi eravate venuta a cercare di me e con tanta fervorosa sollecitudine, amaramente mi dolse che non vi avessero introdotta, ed avvisando che forse premuroso sarebbe stato il motivo della vostra venuta, pensai miglior consiglio non aspettare che tornaste, ma venire io stessa a vedervi… Ed eccomi.

Queste cose erano dette con sì dignitosa semplicità e con tanto avvenente soavità di voce che chiunque le udisse doveva dar loro un pregio e provarne un effetto che è impossibile esprimere.

Virginia aveva diffatti un cuore generoso e nobilissimo, di tal natura da essere non solo facilmente accessibile ad ogni istinto di pietà, ad ogni sentimento di carità, ma ancora da sapere ogni atto misericordioso accompagnare con quelle forme e quei modi che maggior prezzo e nuovo merito accrescono all'atto medesimo.

Di siffatta natura era stata l'ispirazione che subitamente erale nata quella mattina udendo come la Paolina, con aspetto di tanto dolore e di tanta passione, fosse venuta cercando di lei; l'ispirazione voglio dire di recarsi ella stessa nella soffitta della povera donna, di cui ben conosceva l'indirizzo, affine di vedere cogli occhi proprii e più sollecitamente quali fossero i bisogni della disgraziata famiglia. Ben sapeva ella che un soccorso portato in persona, una buona parola detta a viva voce dal ricco e dal potente producono assai più bene al povero; e in quel punto ella sentivasi maggiore del solito nella bell'anima l'impulso di fare, a chi soffrisse, il maggior bene ch'ella potesse.

Il perchè di questa sua maggior tendenza alla benefica pietà, ella non avrebbe saputo pur dirlo dove altri ne l'avesse interrogata; ma in vero proveniva da ciò che il suo cuore fosse allora oppresso da non lieve angustia, a scemar la quale, come alle anime veramente gentili avviene, sentiva non esservi mezzo migliore che recar soccorso alle angustie altrui.

Cagione della sua angustia era il duello ch'ella non dubitava punto sarebbe intravvenuto fra suo cugino il giovane marchese di Baldissero e l'avvocato Benda, del qual duello ella, benchè involontaria affatto, era pur tuttavia la causa, o, per meglio dire, il pretesto.

Il pensiero che per lei due uomini stanno ponendo a cimento la vita è pur sempre doloroso ad ogni mite animo di donna; ma è tale tanto più allora quando di questi due uomini uno è legato a lei per vincoli di sangue, e verso l'altro inchina il suo cuore per profonda simpatia. Con Virginia il marchesino di Baldissero erasi allevato come fratello; il padre e la madre di lui – il padre soprattutto – avevano tenuto e tenevano luogo di genitori ad essa orfana e sola. Se una disgrazia fosse accaduta a quel giovane – il primogenito di quella famiglia supremamente aristocratica – qual dolore non sarebbe egli stato quello della marchesa, e a mille doppi più, benchè di più contenuto certamente, quello del vecchio marchese! E d'altra parte, se non al marchesino, ma al suo avversario fosse stata nemica la sorte? A tal pensiero, Virginia sentiva una stretta nell'animo tanto forte che non sapeva darsene una spiegazione. Era assai più dell'interesse cui suscita in un'anima cristiana il pericolo d'un indifferente; era lo sgomento che ci coglie, quando vediamo minacciata un'esistenza la quale per mille tenacissimi legami s'attiene alla nostra. Codesta fu come una rivelazione a Virginia medesima. Quel giovane non erale nulla di nulla, eppure perchè, palpitava cotanto il suo cuore al sol pensiero d'una disgrazia che potesse sovraccoglierlo? Secondo le strette regole delle usanze mondane potevasi dire ch'ella appena se lo conoscesse; egli non apparteneva alla casta di lei; nella sfera sociale in cui essa era nata e viveva, appena se quel giovane potesse comparire alla sfuggita, per tolleranza, per suo diritto mai; e tuttavia ella sentiva che della sorte di lui era troppo più sollecito il suo cuore che non di quella d'ogni altro. Ricordava ad un punto come lo avesse conosciuto, ed ogni occasione in cui l'avesse visto.

La prima volta che la esistenza di quel giovane si fosse a lei manifestata, era per mezzo d'una graziosa romanza piena di soavità e di affetto, ch'ella si piacque a suonare più d'ogni altro pezzo di musica sul suo gravicembalo ed a cantare colla sua voce d'argento. Era intitolata Crepuscolo, e con vera e piacevole commozione in quella stagione autunnale in cui si trovava, Virginia si accresceva coll'esecuzione di quella ispirata romanza la soave mestizia delle ore vespertine. Quella musica le diceva di tante cose, le accarezzava sì dolcemente l'anima vibrante! Dopo averla fatta risuonare pel mite ambiente delle prime ombrie, ella appoggiava il suo gomito sui tasti d'avorio, reclinava sulla mano la sua bella fronte, e pensava, o, per dir meglio fantasiava di così vaghe ed ineffabili immagini, e il venticello della sera che per la finestra aperta veniva ad agitarle i ricci graziosamente scomposti della sua capigliatura color d'oro, parevale che ancora sommessamente le ripetesse la graziosa melodia. Volle che il mercante di musica le provvedesse tutte le composizioni che vi fossero del medesimo autore, e in tutte trovò qualche cosa che le parlava all'anima. Alla persona di codesto autore che tanto sapeva scuotere le intime fibre dell'esser suo, ella non aveva pensato neppur mai. Che fosse vicino o lontano, di queste o di quelle sembianze, dell'una o dell'altra età; non erale venuto in mente nemmanco che ciò la potesse interessare. Non nascondeva a nessuno la sua preferenza per quelle musicali composizioni, e dopo i grandi maestri, di cui ella era tanto buona esecutrice da intendere e sapere interpretare i concetti, a sè medesima la non regalava altre suonate più che quelle dello sconosciuto Francesco Benda.

Questo nome non erale nuovo pur tuttavia, perchè nel Sacro cuore, ov'ella era stata allevata, una ragazza di famiglia borghese di tal nome aveva passato alcun tempo: ma fra le due fanciulle, separate dal rango sociale, non eravi stata molta accontagione, e in quei pochi mesi durante cui Maria era rimasta nel collegio, appena se si erano conosciute di vista se avevano scambiata qualche rara parola. Virginia si ricordava tanto poco di questa sua compagna, di cui da oltre a due anni non aveva inteso più nulla, che mai non le venne pure in capo il pensiero che quel suo prediletto autore di composizioni musicali avesse alcuna attinenza colla giovinetta, la quale per alcun tempo ella aveva visto correre e saltare pei viali del giardino del convento.

Un giorno, quando rientrata in città dalla campagna, di tardo autunno, Virginia trovavasi al corso delle carrozze che allora soleva farsi dall'una alle tre pomeridiane sul viale dei platani, detto viale del re. La bella giornata, lo splendido sole che attiepidiva la temperatura avevano chiamato alla passeggiata tutto quanto contava allora Torino di più elegante: carrozze di lusso con dame in assettature di sfarzo, damerini colle spalline o col soprabito alla moda, a cavallo, formavano un fiume smagliante di colori che scorreva lentamente nello stradone di mezzo, mentre nei viali laterali, sotto i rami già assecchiti dei platani, brulicava la folla della gente a piedi che ammirava curiosa quegli sfoggi contesi alla mediocrità ed anco all'assenza delle sue fortune.

Virginia era nella carrozza scoperta e in compagnia di una sua amica di convento, la quale, maggiore di lei di alcuni anni, già erasi maritata. Una frotta di giovani eleganti a cavallo passò rasente il legno: alcuno di essi salutò e tutti salutarono.

– Hai tu visto, disse l'amica a Virginia, l'autore della bella romanza il Crepuscolo?

– No: rispose la giovane; non lo conosco punto. E soggiunse con qualche interesse: È egli passato?

– Sì, fra quei cavalieri.

Virginia staccò le spalle dai cuscini con un moto non privo di vivacità.

– Qual è di essi?

– Quell'alto, dai baffetti biondi, che cavalca quel bel morello così pien di fuoco.

Virginia si volse indietro non senza premurosa curiosità. La carrozza andava lentamente e i cavalieri camminavan di passo; a pochi metri distante ella vide il giovane additatole, rattenute le briglie del cavallo, volto verso la carrozza in cui ella era, lanciando su di lei uno sguardo che era più e meglio che di ammirazione. Gli occhi de' giovani s'incontrarono: quelli di lui furono corsi da un baleno, le pupille di lei si chinarono ratte, ed essa volse tostamente il capo, mentre un lieve rossore le saliva alle guancie.

Non era stato che un attimo: ma pur tuttavia la fanciulla aveva potuto scorgere la bellezza dei lineamenti di quel viso franco e giovanile, la bellezza dell'espressione di quello sguardo sincero, di quella fisionomia aperta; aveva scorto la grazia della persona, la destrezza del corpo nel cavalcare, tutto un acconcio complesso in cui si contemperavano leggiadria e forza di forme; e questa è tal veduta che non può dispiacere ad occhio nessuno di donna.

Ma v'era anche di più. Quell'avvenenza maschile non era la prima volta che le si presentava dinanzi: l'adorazione di quello sguardo profondo già più fiate ella se l'era trovata dinanzi, e senza volerlo n'era stata alquanto preoccupata la sua mente. Superbia o indifferenza, o riserbo che fosse, ella non s'era mai curata sino allora di sapere chi fosse quel discreto che fin dall'inverno precedente in ogni pubblico ritrovo, da lontano volgeva alla bellezza di lei un muto, modesto, ma pure appassionato omaggio di sguardi. Ora, ad un tratto, ecco ch'e' le veniva innanzi con un nome avvantaggiato d'una certa simpatica notorietà, col merito d'un talento, a cui ella doveva tante dolci emozioni.

– Un bel giovane, non è vero? Disse a Virginia la sua amica.

Virginia mostrò non avere udito e parve tutta intenta a contemplare l'abbigliamento d'una signora che passava.

Non se ne parlò dell'altro ed avreste detto che la nobile fanciulla non pensava più menomamente a codesto. Ma così non era. Quando la carrozza si incontrò nuovamente nella cavalcata dei giovani fra cui si trovava e davvero spiccava primo per leggiadria Francesco, Virginia vide da lontano la faccia simpatica e lo sguardo adorativo di lui, ma volse altrove senz'affettazione il suo volto e credette di potere lasciar trapassare l'elegante cavaliere, senza favorirlo altrimenti d'una occhiata; ma quando egli fu proprio all'altezza della carrozza in cui ella si trovava, fece corvettare il suo cavallo che parve inalberarsi e imbizzarrire. La compagna di Virginia mandò una lieve esclamazione; la giovane non ci potè reggere e si volse a guardare. Gli occhi loro s'incontrarono nuovamente: poi egli raccolse le briglie, eccitò cogli sproni il destriero che si slanciò avanti e passò. Fu un lampo; ma la prima impressione ricevutane senza che Virginia punto se ne accorgesse, era in lei ribadita.

– Quasi mi ha fatto paura: disse l'amica di Virginia sorridendo; ed ho avuto torto, perchè il sig. Benda è uno dei più abili cavalieri della nostra città.

Virginia non disse parola, ma dopo un momento di silenzio, domandò con indifferenza quasi sbadata:

– Tu lo conosci di molto?

– Chi? Il signor Benda?

La ragazza fece col capo un cenno affermativo.

– Mio marito lo tratta con una certa famigliarità. Egli viene qualche volta a casa nostra. Mi porta tutte le nuove composizioni che fa, e me le suona egli stesso. Se tu le udissi eseguite da lui, quelle coserelle acquistano ancora maggior valore. Sa dare loro un'espressione, un sentimento!.. È un buonissimo musico, ti assicuro… To, un giorno o l'altro, se ti piace, te lo voglio far sentire.

– Mi farai piacere; rispose tranquillamente Virginia.

Quel giorno medesimo, venuto il vespro, la nobile ragazza, rinchiusasi nel suo salottino, dove stava il gravicembalo su cui soleva studiare e da cui cercare il diletto di qualche ora della sua giornata, suonava con nuovo e maggior sentimento la romanza il Crepuscolo. La notte era mezzo caduta, e Virginia non aveva voluto alcuna luce. Regnava in quella stanza lo scuriccio d'una sera quasi invernale. Le bianche mani della ragazza correvano con tutta agevolezza sui tasti a suscitarne quella melodia ch'ella sapeva a memoria, ed una languida dolcezza, maggiore d'ogni altra volta, pareva col suono di quelle note invadere l'anima e la fantasia della leggiadra suonatrice. In mezzo alle varie e vaghe immagini che, come di solito, venivano ad aleggiare intorno a lei, una le si presentava nuova, e più precisa e più spiccata: quella d'un aitante cavaliero di aggraziate forme e sembianze, del quale parevale scorgere in quel buio la fiamma dello sguardo.

L'amica di Virginia mantenne la sua parola; ed un giorno fece in modo che nel suo salotto la nipote del marchese di Baldissero si trovò insieme col figliuolo dell'industriale Benda. Questi fu modesto, di tratti forbiti, non timido ma riserbato, e nelle indifferenti parole che scambiò con Virginia, seppe essere gentile senza volgarità nessuna. Suonò eccellentemente: poche delle sue composizioni, alcune dei grandi maestri, alle quali seppe dare sì acconcia espressione che più d'una volta Virginia sentì batterle più vivamente il cuore e inumidirsele gli occhi. Quando e' fu partito, la stessa orgogliosissima marchesa di Baldissero confessò che l'avvocato Benda era un giovane degno du meilleur monde; però soggiunse con quell'altezzoso cipiglio che le era naturale:

– Ma gli è figlio d'un petit bourgeois, un bottegaio, un fabbricante o qualche cosa di simile.

Virginia si sentì arrossire, si chinò sul pianoforte presso cui si trovava e da cui il giovane s'era alzato poco stante, e si diede a sfogliare un quaderno di musica.

– Io lo ricevo come un artista di buone maniere: disse la padrona di casa, quasi volendo scusare la presenza di quell'intruso nel suo salotto.

Una certa conoscenza si stabilì fra l'avvocato artista e la famiglia Baldissero, non tanta che permettesse al giovane di presentarsi come visitatore nelle sale del palazzo del marchese, ma tale da poter salutare le signore quando le trovasse per istrada, da parlar con esse allorchè s'incontravano in qualche pubblico convegno, da visitarle in palchetto a teatro.

Virginia e Francesco avevano parlato rare volte insieme e sempre di cose le più indifferenti; ma pure nei loro colloquii avevano avvertita una certa corrente di simpatia che li assembrava, per cui spesse volte le idee dell'uno erano quelle dell'altra, e la fanciulla soprattutto non aveva potuto a meno di notare una certa contenuta emozione che vibrava nella voce del giovane quando a lei dirigeva la parola. Francesco da canto suo non aveva potuto osservar nulla in lei che valesse a dargli l'incoraggiamento d'una menoma speranza a quella passione che oramai lo possedeva tutto e che non poteva più nascondere; ma tuttavia la gentilezza con cui la nobile donzella lo accoglieva, parevagli talvolta alquanto maggiore e più cordiale di quella ch'essa soleva usare con tutti. L'incidente intravvenuto al ballo dell'Accademia filarmonica, mercè il turbamento che le pose nell'animo, apprese alla titolata ragazza che quel giovane borghese erale più caro di quanto ella si sarebbe pensato, di quanto avrebbe voluto.

Virginia, tornata a casa, non potè trovare il menomo riposo. Alla mente non le soccorreva alcun mezzo da poter impedire il duello imminente; e lasciarlo compirsi le sembrava una gran colpa. Sapeva che, avesse anche tutto confidato allo zio, questi, colle sue idee delicatissime in punto ad onore, si sarebbe guardato bene dal muovere pure un dito per distogliere suo figlio da uno scontro stabilito, foss'egli il provocatore o il provocato. Accolse persino un momento la matta idea di scrivere essa a Francesco, pregandolo a non dar seguito alla sfida: ma poi capiva che quest'atto imprudentissimo e non conveniente in lei non avrebbe nulla rimediato, perchè il giovane non l'avrebbe di sicuro obbedita, e quando avesse ottemperato alla sua preghiera, ella sentiva che glie ne avrebbe diminuita la stima. L'oltraggio era veramente tale che un uomo non lo deve a niun modo tollerare: la si sdegnava, a questo pensiero, contro suo cugino, il quale aveva commesso atto sì villano: e si diceva che, secondo le regole di buona giustizia, a lui in un giudizio di Dio, qual era il duello, avrebbe dovuta toccare la punizione: poi tosto inorridiva di questo suo pensiero e se ne accusava come di un gravissimo fallo.

Quando, suonato perchè a lei venisse la cameriera, questa venne a dirle come e con quali parole ed aspetto Paolina erasi presentata al palazzo a domandare di lei, Virginia, secondo quello che ho già detto, sentì un impulso vivissimo a recar subito e di persona conforto a quella misera; chiamò a sè la governante che soleva accompagnarla ogni qual volta ella desiderasse uscire senza la zia (e in ciò le si lasciava una certa libertà) fece attelare la carrozza e venne, come abbiam visto, alla soffitta del proletario Andrea.

– Oh ch'Ella sia benedetta! Dicevale Paolina, prendendo fra le sue la mano inguantata della marchesina e baciandola con fervore di riconoscenza. Sì che la sua visita mi fa bene all'anima ed anco alla salute.

Poi tosto la povera donna sentì che quest'entusiasmo di gratitudine verso colei che in quell'occasione non aveva ancora fattole altro benefizio che di mostrare in mezzo a quella squallidezza lo splendore della sua avvenenza, poteva sembrare un immeritato oblio, un manco verso quella pietosa che già avevala più efficacemente soccorsa; laonde facendo scorrere il suo sguardo verso Maria, la quale si teneva in disparte, ammirando sinceramente la bellezza della sua antica compagna di collegio, Paolina soggiunse:

– Ah! ce n'è ancora di anime d'oro sulla terra; e la Provvidenza ha voluto, nell'eccesso della nostra miseria, mandarcene due.

– Sì: proruppe in quella Andrea colla sua voce rauca e commossa: due angioli.

Virginia si volse vivacemente verso la sorella di Francesco.

– E il merito è tutto di chi venne per primo: diss'ella con infinita grazia, facendo un passo verso Maria.

Quest'essa, quasi abbacinata da quell'aspetto, chinò gli occhi, arrossì e non seppe rispondere che con una riverenza.

Virginia fermò il suo sguardo limpido ed espressivo sulle graziose sembianze di Maria. Riconobbe che esse non erano nuove per lei, e ad un tratto ricordò dove le avesse viste e qual nome portasse chi le aveva. Di botto ella non ebbe più il menomo dubbio che a quel giovane, per la cui sorte in quel momento ella era in pena, fosse congiunta la fanciulla che le stava dinanzi. Per moto irriflessivo, fece vivamente alcuni passi verso Maria, e disse con accento vibrato, come impresso di subita emozione:

– Ma noi ci conosciamo, s'io non m'inganno. Non fu ella nel Sacro Cuore?

– Sì: rispose Maria a cui questo riconoscimento con voce ed espressione così cordiali della marchesina produceva un aggradevol sentimento, quasi di gratitudine.

– Madamigella Benda, non è vero?

– Per l'appunto.

Gli occhi di Virginia balenarono d'un lampo di vero affetto; le sue mani si tesero tuttedue verso Maria che si affrettò a stringerle con affettuosa effusione.

– Con quanto piacere la rivedo! Ogni qual volta mi avviene di trovare alcuna compagna di quel tempo è per me una festa.

Maria non si domandò neppure come avvenisse che essa, a cui nel convento la marchesina non aveva badato più che tanto ed appena era se avesse parlato due o tre volte, ora destasse sì viva emozione nell'aristocratica donzella; ma, buona ed innocente com'ella era, si commosse per quell'accoglienza, e partecipò di vero cuore a quel sentimento quasi di tenerezza che si adombrava nelle parole e nel contegno della sua antica compagna.

– Anche per me: disse Maria un po' confusa; gli è un piacere… Io veramente sono stata così poco tempo in quel collegio… Ero d'altronde così bambina ancora!.. Ho avuto pochi rapporti con Lei; ma tuttavia ricordo che fra le grandi Ella era una delle più graziose verso noi piccole, e mi ricordo sopratutto che la ammiravo già come prima e migliore di tutte in tutto.

Virginia sorrise con modestia.

– Ella mi vuole insuperbire.

– Oh no: proruppe Maria con quella sua schietta e irriflessiva vivacità; no, perchè a me non piacciono i superbi.

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