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La plebe, parte II
– Ed ha perfettamente ragione: disse graziosamente la marchesina.
Tacque un istante, e parve cercare una transizione affine di passare a dir cosa che le importava e per cui non sapeva troppo come cominciare; poi decisasi ad un tratto, disse sollecitamente, non senza arrossire un pochino:
– Ella è parente, s'io non erro, del sig. Benda, che scrive così graziose composizioni musicali?
– È mio fratello: rispose Maria con ingenuo orgoglio.
– Ah!..
Virginia esitò un momentino; poi con leggerezza d'accento che un osservatore avrebbe conosciuta un po' forzata:
– L'ho veduto questa notte al ballo della Filarmonica… che fu in verità uno stupendo ballo… Suo fratello le avrà detto quanta folla ci fosse…
– Mio fratello non mi ha dello nulla: interruppe Maria sorridendo: perchè quando sono uscita di casa egli dormiva ancora della grossa.
La marchesina mandò un'esclamazione quasi di gioia, e prese vivamente la destra di Maria.
– Dormiva? Davvero! Ella è certa che suo fratello non fosse uscito di casa?
La sorella di Francesco guardò tutto stupita in volto alla sua antica compagna.
– Altro che certa; rispose. La mamma mi fece parlare e camminar piano tutta la mattina, per non disturbare sor Francesco.
Virginia mandò un sospiro che pareva la manifestazione d'un sollievo sopravvenuto all'anima oppressa, e i suoi occhi lampeggiarono lietamente.
Ma Bastiano che aveva udito il colloquio, si fece avanti in quella con aria tra impacciata e tra inquieta e disse:
– Scusi, madamigella, mi rincresce contraddirla; ma il fatto gli è che sor Francesco è uscito quando era appena l'alba… e mi aveva un aspetto diverso dal solito che mi diede molto da pensare.
Virginia lasciò andare la mano di Maria e divenne pallida; Maria si volse vivacemente verso il portinaio:
– Francesco è uscito all'alba?
– Sì signora. Vennero due giovani a prenderlo, e partì con essi nella carrozza di uno di quei signori.
– Ah mio Dio! Esclamò la marchesina, impalliditasi ancora di più.
– Che vuol dir ciò? Chiese Maria, la quale si accorse del turbamento di Virginia. Qualche pericolo minaccia forse mio fratello?.. Ed Ella lo sa!.. Oh per amor del cielo mi dica tutto.
– No, non so nulla: incominciò per rispondere la marchesina: ma poi non essendo ella affatto capace di mentire, inoltre avvisando essere assai miglior consiglio il prevenire quella famiglia d'una disgrazia che poteva colpirla, che a quel momento forse l'aveva già colpita, soggiunse subitamente con voce affrettata: ebbene sì, il caso ha voluto ch'io apprendessi una cosa che riguarda suo fratello. Se egli è uscito così per tempo di casa… molto probabilmente… gli è per andare a battersi.
Maria gettò un grido di spavento e divenne pallida a sua volta come un cencio.
– Battersi! Povero Francesco! Povera mamma!.. O mio Dio! Ma come è ciò possibile?
– Ah! Ben me n'ero accorto che c'era qualche cosa di sospetto: esclamò Bastiano.
– Che cosa fare? Diceva Maria fuor di sè, tutto tremante. Come impedirlo? Dove andare?..
Virginia voleva tranquillare alquanto lo sgomento della giovanetta, ma era troppo turbata ancor essa per valerci a ritrovare ragioni che bastassero.
– Andiamo a casa: interruppe ad un tratto Maria: oh la mia povera mamma! Ch'io vada presso di lei…
La marchesina le prese di nuovo tuttedue le mani.
– Coraggio! Diss'ella con voce piena di emozione e d'affetto.
La sorella di Francesco, vinta dalla tenerezza, si lasciò andare sul seno e tra le braccia della nobile sua nuova amica scoppiando in pianto.
– Ah! se ci uccidono mio fratello, uccidono anche la mamma.
– Coraggio! Ripetè Virginia colla sua dolcissima voce; e stringendo fra le sue braccia la figliuola dell'industriale, ne baciò con affetto quasi protettore la fronte.
Il dolore e lo sgomento comuni avevano in quel punto distrutta ogni distanza che gli ordini o, per dir meglio, i pregiudizi sociali ponevano fra quelle due anime pietose ed elette.
Nel partire affrettata, Maria si fermò pur tuttavia innanzi al giaciglio di Paolina.
– Non vi dimenticherò nulla meno: diss'ella: e voi pregate per noi, pregate per Francesco…
Un singhiozzo le ruppe la parola.
– Ah madamigella! esclamò Paolina: con quanto fervore noi pregheremo per tutti loro!.. E non tema di male, no… Essi sono misericordiosi verso la povera gente, e il buon Gesù sarà misericordioso verso di loro.
– Dio vi ascolti! disse Maria asciugandosi gli occhi, e fatto un ultimo cenno di saluto a Virginia, sparì fuor della porta, seguìta da Bastiano.
Volò letteralmente giù delle scale, e salita in fretta nella carrozza che aspettava alla porta di strada, raccomandò a Bastiano con tronche parole che facesse dal cocchiere affrettare la corsa dei cavalli.
In dieci minuti la carrozza giungeva all'officina, e Maria correndo sopra nell'appartamento, trovava già la povera signora Teresa piena l'anima di sgomenti e di paure.
CAPITOLO VI
Più volte la signora Teresa era andata all'uscio della camera di suo figlio ad origliare; e poichè niun rumore le veniva fatto d'udire, pensando sempre ch'egli chetamente dormisse, erasi sempre allontanata senz'altro con ogni cura per ammorzare il suono dei suoi passi.
Ma la mattinata s'inoltrava e nella stanza di Francesco era sempre la medesima immobilità, il medesimo silenzio. Una qualche inquietudine incominciò ad entrare nell'animo della madre. Che il malessere onde Francesco s'era lamentato fosse cresciuto e fosse la causa di quel sì prolungato manco d'ogni segno di vita? che quello non fosse sonno, ma torpore o fors'anche svenimento? Ad un punto ella ebbe un bisogno insuperabile di vedere suo figlio. S'accostò di nuovo pian piano all'uscio della Camera di lui, e ne aprì con ogni cautela un battente. Nulla udì muoversi colà dentro. Guardò, ma le imposte delle finestre erano chiuse sopra le invetriate e la pallida luce di quel giorno invernale non poteva menomamente penetrare nella stanza. Teresa rimase un poco lì sulla soglia, l'animo ed il passo sospeso, ascoltando attentamente, e poichè nulla nulla non le venne fatto d'udire, nemmanco il suono del rifiato del giacente, chiamò con voce contenuta il figliuolo per nome. Nessuna risposta; ella ripetè la chiama e poi, continuando il medesimo silenzio, si inoltrò cautamente, colle mani tese innanzi, a tastone.
Giunse così presso il letto e ci pose sopra le mani. Sentì che era vuoto, che fredde n'erano le coltri nè anco disordinate dall'esservi giaciuto qualcheduno, e sotto la sua destra il contatto d'un'arma. Era la pistola, con cui Francesco s'era mirato nello specchio, e ch'egli aveva poi gettata sopra il letto.
Teresa mandò un grido, corse all'una, poi all'altra delle finestre, ne spalancò le imposte, e si volse a guardare. Il letto ancora rifatto mostrava che Francesco non s'era coricato; il lume sulla scrivania, alcuni fogli di carta disordinati lì presso, un bastone di cera lacca a metà consumato, di cui alcune goccie erano colate sul candeliere e sul tappeto verde, mostravano che Francesco aveva scritto; gli abiti gettati qua e là in un disordine che non gli era abituale, indicavano all'occhio chiaroveggente della madre un certo turbamento nell'animo del giovane: ma quella pistola sopratutto attraeva lo sguardo spaventato della signora Teresa, come un indizio manifesto di pericolo e di sventura.
La povera donna corse tutto sgomenta da suo marito e con affollate e confuse parole espresse il suo timore. Il signor Giacomo non trovò che quelli fossero indizi sufficienti per allarmarsi; volle recarsi ad esaminare la camera del figlio e trovò mille ragioni onde spiegare la sparizione di Francesco; ma in verità non credeva egli stesso a siffatte ragioni e si sentiva profondamente inquieto egli pure.
In quella ecco sopraggiungere Maria. La sua faccia pallida e sconvolta, i suoi occhi rossi e ancora pieni di lagrime dicevano troppo chiaro com'ella venisse annunziatrice di qualche trista novella. Teresa le fu incontro con impetuosa sollecitudine.
– Tu sai qualche cosa!.. Francesco?.. Che gli avvenne?.. Che fu?.. Dov'è?.. Parla, parla in nome di Dio.
La giovinetta sconcertata, posseduta dal maggiore sgomento ancor essa, non seppe rispondere altro che la verità da lei appresa poco prima.
Il colpo fu tremendo per quella povera madre. Divenne bianca come un cadavere, si premette con una mano il cuore, vacillò, si tenne ad un mobile per non cadere, parve le mancasse un momento il respiro sotto le strette dell'angoscia che le oppresse il cuore e la gola; ma non mandò un grido, non diede una lagrima.
– Disgraziato! Esclamò il padre, percotendosi coi pugni chiusi la fronte. Di questi dispiaceri ha da dare ai suoi genitori!
Teresa si rassettò con atto meccanico e colle mani febbrilmente agitate i panni che aveva indosso, come fa chi s'appresta ad uscire.
– Lesti, lesti: diss'ella. I cavalli sono bene ancora attaccati alla carrozza? Non si stacchino… Non bisogna perdere un momento… O Dio! Ogni minuto che passa può essere mortale per Francesco… Corriamo, corriamo.
E strinse nervosamente il braccio del marito per sollecitarlo a muoversi.
– E dove abbiamo da andare? Disse questi con ruvidezza dettata dal dolore. Chi sa mai dove si trovano quegli sciagurati!.. Se avessimo qualche indizio!..
Maria disse che Bastiano aveva visto ad uscire Francesco, e Bastiano fu fatto venire, e interrogato su tutti i particolari ch'egli conosceva. Le sue risposte non valsero a dare la menoma luce. Soltanto i genitori ne appresero che a prendere Francesco erano venuti due giovani, di cui uno era Giovanni Selva, ch'essi sapevano amicissimo del loro figliuolo.
Il signor Giacomo si disponeva a correre in casa di Selva per cercare di apprendere colà qualche cosa di positivo, quando una carrozza con un solo cavallo spinto al galoppo, giungeva alla fabbrica, ed entrava coll'impeto di un turbine sotto il portone della dimora dei Benda.
Giacomo, Teresa e Maria si precipitarono verso il vestibolo, e videro da quella carrozza uscire solleciti e venire alla lor volta due giovani di cui riconobbero Giovanni Selva che camminava primo.
Francesco non c'era.
La madre si gettò contro Giovanni con impeto che si sarebbe potuto chiamare quasi feroce.
– Mio figlio! Esclamò essa con voce arrangolata e convulsa. Mio figlio! Che avete fatto di mio figlio?..
Le forze le mancarono e piegandosi sulle ginocchia, sarebbe ella caduta, se Giovanni non fosse stato lesto a sostenerla. Non isvenne però, e mentre le labbra pallide come di morta non avevano più la capacità di pronunciare la parola, i suoi occhi ardenti, fissi sul volto del giovane che la sosteneva, seguitavano ad esprimere con ansia indicibile quella domanda.
– Si tranquilli: disse affrettatamente Giovanni. Suo figlio è sano e salvo, e sta bene… Glie lo giuro! soggiunse con forza, vedendo l'incredulità dipingersi sul volto di Teresa.
– Si è battuto? Domandò Giacomo con voce, di cui voleva sforzarsi ma non riesciva a dissimulare il tremito.
– No signore, non si è battuto.
– Dov'è? Perchè non è qui? Domandò la madre che aveva ritrovato le forze per parlare e per reggersi sulle proprie gambe.
– Tutto ciò: rispose affrettato Selva, glie lo spiegherà questo signore – il dottor Quercia che doveva essere l'altro testimonio di Francesco. Io, per salvare suo figlio, per salvare molti altri eziandio, ho da compiere una missione, e non bisogna che ci metta indugio di sorta.
Si volse verso il sig. Giacomo e senz'altro preambolo gli disse col tono d'un uomo a cui la pressa non concede di far frasi:
– Ella sa ch'io sono amico intimo e confidente di Francesco; occorre che in tutta fretta io faccia sparire delle carte e dei libri che sono nello scrittoio di suo figlio. Ne va della sua sorte e di quella d'altrui. Si fida ella di me, signor Benda?
– Vada: rispose Giacomo senza la menoma esitazione, come quello che conosceva le strette attinenze che passavano fra quel giovane e suo figlio ed aveva la maggiore stima del carattere di Selva. Questi corse nella camera di Francesco.
Il padre e la madre di quest'ultimo si volsero verso colui che loro era stato presentato col nome di dottor Quercia.
– Ella ci spiegherà…
– Tutto: disse Gian-Luigi affrettatamente; ma per prima cosa, dia ordine, signor Benda, che si chiuda il portone perchè nessuno possa entrare senza farsi sentire picchiando; poi riduciamoci in casa a discorrere.
Bastiano ebbe ordine di chiudere e di non aprire senza prima venire ad annunziare chi fosse: poscia il giovane fu condotto nella sala, e tutti tre, Giacomo, Teresa e Maria, stettero lì ad ascoltare, pendendo dalle labbra di lui, che così fecesi a dire:
– Suo figliuolo è arrestato.
I genitori di Francesco mandarono un grido.
– Arrestato! Ma perchè? Ma come?
– Il duello che doveva aver luogo ne fu il pretesto, la ragione è forse più grave.
– Più grave? O cielo! Si spieghi…
– L'avvocato Benda appartiene alla schiera della gioventù liberale; e la polizia odia assai tale schiera. Potrebbe darsi che questo arresto fosse soltanto uno sfogo della prepotenza di Barranchi, ma potrebbe anche essere che venisse come conseguenza di certi sospetti. Ad ogni modo ho consigliato io stesso al signor Selva di venire a far sparire ogni carta ed ogni libro compromettente che potesse avere il sig. Francesco, e così, se mai si venisse a fare una perquisizione, com'è assai probabile…
– Una perquisizione! A casa nostra?
– Eh! nulla è di più facile.
Giovanni Selva aprì l'uscio e, cacciando dentro la testa, disse:
– Ho finito. Andiamo pure.
Ma da un altr'uscio accorreva Bastiano tutto conturbato.
– Oh signor padrone! Un Commissario di polizia coi carabinieri domandano di lei.
– Di già! Disse Quercia tranquillamente, mentre tutti gli altri a queste parole impallidivano. E' non ha perduto tempo. Lei, signor Giacomo, vada a parlamentare con loro e li tenga almanco dieci minuti in novelle prima di aprire. Io starò qui colla signora Benda; e Lei, signorina, conduca il signor Selva per la strada più breve nelle officine e lo faccia uscire per una di quelle porte che mettono nella campagna. Se i carabinieri non hanno pensato a custodire tutte le uscite, noi siamo salvi.
– È vero, è vero: disse Selva affrettatamente. Venga, madamigella Maria, ad insegnarmi la strada.
La giovanotta prese Giovanni per mano, e, passando per la scaletta di servizio, attraversarono ambidue correndo il cortile, ed entrarono nei laboratoi, mentre il signor Giacomo, fattosi al finestruolo del portinaio, domandava ai quattro carabinieri e ad un uomo vestito da civile che li guidava:
– Che cosa c'è? che cosa mi si vuole?
Il borghese volse in su il capo e mostrò la faccia volpina di messer Barnaba.
– Servizio di S. M.! Diss'egli con accento imperioso. Apra, e sollecitamente, signor Benda, altrimenti saremo costretti a gettar giù la porta.
– Un momento! un momento! Posso ben chiedere la spiegazione di questo strano procedere: soggiunse il signor Giacomo.
– La spiegazione glie la darò quando saremo entrati.
– Io sono un suddito fedele di S. M.
– Non ne dubito, ed è perciò che le ordino di farmi aprir subito.
I dieci minuti erano passati. Giacomo ordinò a Bastiano di aprire, poi mosse egli stesso all'incontro dell'agente di polizia e dei carabinieri che entravano; si fece forza a mostrare una fisionomia calma e tranquilla, ma sulla fronte gli spuntava a goccioline il sudore.
Per ispiegare divisatamente i fatti che erano successi ed avevano condotto l'arresto di Francesco, bisogna che ci rifacciamo alla sera precedente, ed entriamo nel camerino della portinaia della casa in cui dimoravano Giovanni Selva e i suoi amici, entro il qual camerino abbiamo visto Barnaba introdursi, dopo aver seguitato cautamente Maurilio fino alla sua abitazione.
CAPITOLO VII
Il poliziotto, se vi ricorda, era vestito da povero operaio, ed aveva preso l'aria più timida e peritosa del mondo.
– Buona sera, madama: aveva egli detto con accento tutto rispettoso alla portinaia che per guardare attentamente chi le veniva innanzi, aveva fermate le sue mani nell'opera del far la maglia e stava colle punte dei suoi ferri da calza per aria.
Alle popolane torinesi, e massime a quelle dell'onorevole classe delle portinaie, il titolo di madama è un omaggio che si credono dovuto.
Monna Ghita sorrise graziosamente al nuovo venuto che si mostrava così civile, e rispose tutto garbata:
– Buona sera a Lei. In che cosa la posso servire? To', to': la è strana. Mi pare di conoscerla Lei, e non mi pare. Di certo la sua fisionomia l'ho già adocchiata.
– Può darsi: rispose Barnaba inchinandosi con un sorriso tutto piacenteria.
– Oh oh! io per ritenere le fisionomie non c'è la mia pari. Se mi avviene di vedere il muso di qualcheduno, passano anni ed anni e lo ravviso al primo rincontrarlo, come se non l'avessi visto che da ieri.
– Bella qualità! Disse con molta ammirazione il poliziotto.
– Si figuri che una volta avevo un cardellino, un miracolo di cardellino che era addomesticato così bene da parere un cristiano a cui mancasse soltanto la parola… E Lei saprà come sono difficili ad addomesticare i cardellini.
Barnaba fece un inchino per affermare che lo sapeva.
– Be', gli volevo bene, come ad una creatura ragionevole… e diffatti era tale più che certi bestioni d'uomini… Basta, lasciamola lì… Dunque un bel giorno, come fu, come non fu?.. Io già ho sempre creduto che sia stato quello zoticone del mi' uomo che è il più grossolano del mondo… Allora egli abitava ancora meco… che ora per fortuna di Dio sta lontano e d'un bel tratto… Fuori di città sui viali, nella casa del signor Benda, se lo conosce, quel gran fabbricante di ferro…
– Ah, ah! Esclamò il poliziotto che parve prestare alcuna attenzione a questa circostanza.
– Dunque un bel giorno gli si lascia aperto l'usciolo della gabbia (al cardellino), ed egli frrrt! se ne volò via per la finestra che vallo a vedere!..
– O diavolo! Esclamò Barnaba giungendo le mani con vivo interesse, e sedendo intanto sopra un trespolino ch'era lì presso, per ascoltare più divotamente la mirabile storia.
– Lo credevo perso senza più redenzione, quando la Marta – una mia amica e vicina che quella volta ne fece per miracolo una di bene, perchè è la più melensa e sragionata femmina che sia sotto la luna… e una lingua poi! oh quanto a lingua non dico altro che darebbe dei punti alle forbici del sarto – basta, la Marta venne ad avvisarmi in gran segreto che comare Polonia, la rivenditrice di pignatte e pentoloni che sta di faccia, aveva nelle sue gabbie… – la tiene delle gran gabbione tutte piene di ogni fatta uccelli che abbia creato Iddio – la aveva un uccello di più, e precisamente un cardellino. E la cosa era naturale. Il mio Fifì – lo chiamavo Fifì – era venuto per tornare a casa sua, s'era fermato sulle gabbie di Polonia, e quella sorniona lo aveva acchiappato e poi fatto mostra di niente… Dunque io corro da Polonia, e fra cinque o sei cardellini che la ci aveva – noti bene cinque o sei – riconosco subito alla fisionomia Fifì, e non c'è stato santi che tenessero, me lo feci restituire e la Polonia ci dovette stridere.
– Cospetto! L'ammiro di molto. E quel prezioso cardellino?
Sora Ghita prese l'aria dolorosa di colui a cui si riapre un'antica piaga dell'anima.
– Mi cascò un giorno nel beverino e mi si annegò.
Barnaba assunse un aspetto adatto alla circostanza.
– Che disgrazia!
– Or dunque, che cosa dicevo?.. Ah!.. Nel veder Lei, mi parve subito di riconoscere qualcheduno già visto altra volta. Di certo Lei abita da queste parti… To'! Badi se la indovino… Lei è il fumista e stufista che sta alla cantonata di via Santa Teresa.
Il poliziotto fece il suo sorriso più grazioso ed adulatore, per temperare la negativa con cui doveva rispondere.
– No, non sono il fumista.
– Per bacco! Avrei giurato… Si rassomigliano come le due chiappe d'una mela… Ma senza fallo Lei la deve abitare in questi quartieri.
Barnaba col medesimo sorriso rispose:
– Veramente no… Abito anzi piuttosto lontano… Però (s'affrettò a soggiungere) pratico frequente da queste parti.
– Ecco! Appunto! Gli è ciò. Volevo ben dire! E Lei dunque cerca di qualcheduno? Mi pare che abbia detto che cercava di qualcheduno.
– Sì. Mi fu supposto che in questa casa ci deve stare o ci deve venire alcune volte un medico, un bravo medico, giovane ed elegante, che si chiama… che si chiama… Ho lì il nome sulla punta della lingua… Non saprebb'ella aiutarmi, madama?
Ghita appoggiò al suo mento onorato d'una lanugine che quasi poteva chiamarsi barba, la punta di uno de' suoi ferri da calza, in atto di profonda meditazione.
– Un medico? Diss'ella. No, veramente qui non ce ne abita nessuno di medici… Ah sì… Al secondo piano c'è un dentista.
– No, non gli è ciò.
– Al primo c'è un notaio con sua moglie e sua madre… Liti del diavolo fra la suocera e la nuora. Un giovane di mercante che abita uscio ad uscio fa gli occhi dolci a quest'ultima… La Marta dice che li ha trovati insieme, lei e lui, una mattina in una strada scartata. Basta! Non facciamo giudizi temerarii come fa quella maldicente d'una Marta. Di sopra dunque c'è il dentista e un impiegato al Ministero, un brav'uomo che ha mezza dozzina di ragazzi. Al terzo piano abitano il calzolaio che ha bottega qui vicino al portone, il pizzicagnolo ed una di quelle donne che vanno ad impegnare per altrui la roba al Monte di Pietà. All'ultimo piano poi c'è una frotta di giovani…
Barnaba si accostò alla vecchia ciarliera con un interessamento che era più vero di quello manifestato fino allora.
– Giusto! Il medico che cerco sarà forse tra quelli, od almeno sarà loro conoscente, e verrà a vederli.
– No: disse la donna, tornando a riflettere. Di medici non ce n'è punto. C'è un pittore, che anzi è quello che ha preso a pigione tutto il quartiere.
– E si chiama? Domandò con aria innocente il poliziotto.
– Antonio Vanardi.
– Ah bene… L'ho sentito nominare… E con lui ci stanno parecchi…
– Tre… Anzi adesso quattro… Ma nessuno di loro è medico. Due devono essere avvocati… Ma di quegli avvocati di cui ce ne regge mille sopra un ramo… Credo che non abbiano mai visto l'ombra d'un cliente… Scrivono su per le gazzette e stampano libri o qualche cosa di simile… Spiantati, in una parola.
– E si chiamano? Tornò a domandar Barnaba colla medesima aria innocente.
– Uno, che ha l'aria d'essere un po' più innanzi degli altri negli anni, si chiama Romualdo, l'altro Giovanni Selva. Il terzo, che non è punto avvocato nè altro, ma fa lo scrivano pubblico e scrive suppliche e poesie, ha nome Maurilio Nulla: un originale a cui nessuno è capace di far dire quattro parole… È rientrato poco fa in casa, e l'ho visto passare attraverso il vetro del finestrino… Ma non c'è pericolo che mai e poi mai dica uno straccio di parola di saluto.
Barnaba si stampava tutti questi nomi nella memoria. Il giovane ch'egli aveva visto nella bettola di Pelone, poi sotto l'atrio del palazzo dell'Accademia Filarmonica, dove aveva fatto un cenno di meraviglia incontrandosi col dottor Quercia; quel giovane chiamavasi dunque Maurilio Nulla, era scrivano ed abitava insieme con due che alla polizia erano già noti da tempo come liberali e, secondo s'usava dire, patrioti rivoluzionarii.
– E ce n'è ancora un quarto? Soggiunse Barnaba per provocare la portinaia a parlare.
– Sicuro, da poco tempo… Saranno tre mesi tutt'al più… Questo è un forastiere… un italiano. Parla così bene che par sempre un libro stampato… È cantante e fa da secondo… com'è che si dice?.. secondo baritono al teatro Regio… Si chiama Medoro Bigonci… È venuto ad affittare una camera in casa del pittore, e non so davvero dove diavolo lo abbiano cacciato… Di medici fra tutti costoro non c'è nemmanco l'ombra. Forse gli è qui nella casa vicina che Lei dovrebbe andare. Ci sta un flebotomo che un tempo aveva anche la bottega da barbiere, ed ora s'intitola dottore. Un uomo grande e grosso, colla faccia color del vino…
– No, no, non è quello che cerco io: disse Barnaba. Io intendo anzi parlare d'un bel giovanotto che veste proprio coi fronzoli e porta due baffetti neri. Mi si diceva che qualche volta venisse a trovare quei giovani che abitano col pittore, e sopra tutto quel cotale che fa lo scrivano.
– Ah ah! Esclamò la portinaia come illuminata da una nuova idea. Sì che ci viene, ed anco di frequente, un giovane signore, ma signore per davvero e coi baffetti, ma questi baffi invece che neri sono biondi, e chi li porta non è medico altrimenti, ma avvocato ancor egli come il signor Selva e il signor Romualdo. E non è altri che il figliuolo del signor Benda il fabbricante presso cui è allogato il mi' uomo.