
Полная версия
Della scienza militare
La strategia che forma i piani di campagna e dá i metodi delle grandi operazioni della guerra, la tattica che decide delle battaglie che compiono i movimenti strategici, e l'attacco e la difesa delle piazze che hanno per oggetto di difendere il proprio suolo o di solidamente stabilirsi su quello del nemico, costituiscono la parte alta della scienza militare.
Far conoscere brevemente le pratiche di quei tempi su questi tre oggetti è il mezzo piú accurato a nostro credere per risolvere compiutamente il problema che ci siamo proposti.
La strategia non è se non le leggi della guerra: ed applichiamo la definizione del Montesquieu, che considera le leggi come i rapporti tra le cose, vale a dire naturali, eterni, che l'uomo non crea, che può scovrire con la scienza, sconoscerli quando n'è privo, ma anche in questo caso averne l'istinto ed il presentimento.
E tal era a nostro credere il caso della strategia nell'epoca di cui discorriamo, mentre l'antichitá militare era male studiata e non bastava a risolvere tutte le quistioni che le nuove armi facevano nascere e per teorica e per pratica. In sostegno di questa opinione citeremo quella di un sapiente italiano che ha corredata la bella edizione di Montecuccoli da lui data di note sagacissime, il signor Foscolo, il quale cosí si esprime sul proposito dello stato teorico della scienza col periodo che seguí la scoperta della polvere. – «Ma le divisioni provinciali, il sistema feudale d'Europa e le cattedre della letteratura usurpate da gente senza amor di patria e senza cuore allontanarono dalle guerre del secolo decimosesto le grandi teorie degli antichi. Molte furono le battaglie, poche le risultanze: si operò sempre e non si meditò mai. E mentre la fortuna e le passioni governavano la guerra, innumerevoli traduttori e interpetri desunsero esattamente le istituzioni e i metodi della Grecia prima inventrice della disciplina militare, e di Roma conquistatrice del mondo; ma si tradusse col lessico e si commentò colla grammatica. Raro la filosofia e rarissimo l'esperienza concorrevano negli studi eruditi. Si ammirava l'antica milizia, si notomizzavano ad una ad una le imprese; ma chi mai dalle scuole di Giusto Lipsio e di Giovanni Meursio poteva risalire alle ragioni universali delle vittorie greche e romane? Cosí i guerrieri abbandonavano i maestri di guerra agli antiquari. Questi per fastidio delle cose contemporanee, quelli per poca stima dell'antichitá, credeano che la diversitá originata dalle armi, dalle artiglierie e dalle fortificazioni non ammettesse piú omai né paragone né imitazione tra gli eserciti antichi e i moderni».
Questo passaggio sí sublime fa chiaramente conoscere la veritá della nostra assertiva, cioè che la strategia era nell'infanzia e le sue leggi eterne ignote ai guerrieri ed ai sapienti. Il Machiavelli stesso che il suo ingegno distingue dagli altri eruditi pel carattere positivo e chiaro che prendevano le scienze da esso trattate, si attiene anch'egli troppo alla stretta imitazione delle marcie e degli accampamenti dei romani, che non erano del tutto applicabili e lo divenivano ogni giorno meno. Ma bisogna osservare che come filosofo politico volea ottenere questi successi per l'ordinamento di eserciti nazionali, per le istituzioni e per le discipline che ha sí ben osservate ed esposte ne' suoi Discorsi su Livio; per lo che intendeva egli, per rilevare la grandezza italica, ad opporre anziché metodi puramente guerrieri, la forza morale degli eserciti al tristo spettacolo che i conduttori gli presentavano. Ci resta ora ad esaminare se nell'ignoranza della scienza vi fosse in alcuni capitani l'istinto ed il presentimento. Noi rispondiamo affermativamente a questa dimanda.
L'invasione di Carlo ottavo in Italia, la lega che si gli formò contro per chiuderlo in essa, la sua ritirata troncata strategicamente dall'Alviano general veneziano, la difesa della Calabria fatta da Aubigny, la fine della battaglia di Fornuovo che aprí la strada all'esercito francese, rassomigliano di molto alle operazioni che precedettero la battaglia della Trebbia nel 1799, al passaggio della Beresina nel 1812, alla battaglia di Hanau nel 1813, e dimostrano che i capitani di quel tempo avevano l'istinto delle grandi operazioni di guerra, mentre veggiamo che cercarono con le marcie di prevenire il nemico in un punto geografico importante e di giugnere allo stesso scopo che a' nostri tempi cercan di conseguire generali istruiti e che la scienza ridotta a regole chiare indica e facilita. Se vi aggiungiamo il merito militare di Marcantonio e Prospero Colonna, che seguivano ed ingrandivano le strategiche combinazioni le quali noi segnalammo nel precedente discorso non essere ignote ai piú illustri condottieri del decimoquarto e decimoquinto secolo, troviamo la serie di queste regole non interrotta. La campagna del gran capitano Gonsalvo sul Garigliano, quelle di tutta la scuola dei capitani spagnuoli sotto Carlo quinto, le sue imprese di Affrica, ove era indispensabile la cooperazione della marina militare che si personificava in Andrea Doria, tutto pruova il progresso in cui erano le combinazioni militari, giacché uno de' suoi segni piú evidenti è quello della combinazione degli eserciti con le armate di mare. Le guerre di Solimano e quelle dei capitani francesi del tempo sono pruove novelle che vengono ad avvalorare la nostra assertiva. Maurizio elettore di Sassonia era un generale pieno del vigoroso istinto della gran guerra, di cui vediamo indicato il carattere in tutti gli Stati belligeranti di allora. Ciò doveva essere, mentre il combattimento si era ingrandito, le guerre civili della feudalitá finite, le nazioni combattevano tra esse per mezzo di eserciti permanenti, con vasti spazi da percorrere, da conquistare, da difendere, e le campagne dovevano avere una durata corrispondente allo scopo della guerra. Tutte queste circostanze forzavano l'ingegno umano a svilupparsi nella direzione delle sue necessitá, per la qual cosa, come dicemmo, la strategia fu sentita, presentita e praticata, benché non composta ed elevata a grado di scienza. Queste istesse circostanze resero indispensabile un sistema di amministrazione militare, essendo divenuti gli eserciti colonie operanti. Ma l'imperfezione dell'amministrazione degli Stati faceva sentirsi nell'esercito, per cui la guerra era funesta alle contrade che n'erano il teatro; e basta la presa di Roma del contestabile Borbone, cosí per la cagione come per gli effetti, a far comprendere che cosa fosse l'amministrazione di un esercito del piú potente sovrano di que' tempi. Può dirsi per la tattica che le stesse enunciate circostanze che aveano fatto giungere gli spiriti elevati alle combinazioni della parte trascendente dell'arte, dovevano produrre lo stesso risultamento per muovere le masse che si urtavano tra esse, per ordinarne e sottometterne a calcolo i movimenti ed i loro effetti. Ma benché sembri piú naturale e piú ragionevole che la tattica, meno sublime nei suoi metodi, dovesse progredire prima della strategia, pur nondimeno il contrario è provato dall'istoria militare. Ed acuta quanto profonda troviamo l'osservazione di un uffiziale sapiente, vogliam dire del general Pelet, cioè non essere anche oggidí la tattica in armonia con la strategia, anzi dover fare assai progressi per livellarsi con quelli da questa fatti.
Con estrema diffidenza osiam proporre una spiegazione di questo fenomeno, e diremo, se cosí possiamo esprimerci, che la strategia, come tutto ciò ch'è generale nello scibile, si rivela piú facilmente al genio, qualunque sia lo stato della societá, mentre che la tattica, piú metodica e piú artistica, ha bisogno di piú condizioni prese nello stato generale della societá per fissarsi. Osiam ancor dire che in un'epoca poco inoltrata in civiltá si ritrovano uomini superiori che giungono con la forza del loro genio a penetrare le grandi leggi della natura, ma non a ridurle a metodo. I filosofi sono piú antichi della filosofia, i gran poeti della poetica ed i legislatori dei giureconsulti, come i capitani degl'ispettori. Del resto abbiamo veduto dall'incertezza degli ordini che produceva quella delle armi, che tattica non ve n'era, e non ostante accurate ricerche, noi non possiamo citare nelle battaglie di quell'epoca nessuna di quelle finezze dell'arte che restano modelli in tutt'i tempi per gl'imitatori illuminati3, come osservammo per le operazioni generali tra le quali citammo la guerra del gran capitano Gonsalvo di Cordova sulle rive del Garigliano.
Per la fortificazione e la guerra di assedio noi facemmo notare nel precedente discorso che l'Italia, essendo molto innanzi nella civiltá e coltivando tutte le scienze esatte, base della civile architettura e dell'idraulica, doveva naturalmente essere la prima ad applicarla all'arte militare. Infatti il Tartaglia di Brescia, il Lanteri, il Zanca, il Cataneo ed il Castrioto, e tutta la scuola celebre d'ingegneri militari che si riassume nel De Marchi, avevano esposto in teoriche chiare e positive la scienza della fortificazione e ne praticavano l'arte da per tutto, con Solimano come con Carlo quinto. Gli assedi di Rodi, di Malta, d'Algieri e di Granata confermano questo nostro detto, giacché si trovano ingegneri italiani che ne diriggono l'attacco o la difesa. Non solo a quei tempi alle torri venivano sostituiti i bastioni, ma Pietro di Navarra inventava la guerra sotterranea in Napoli e ne faceva la prima pruova; ed il Darçon osserva che la difesa esterna da lui e dal Carnot tanto raccomandata ai nostri tempi, era in quell'epoca praticata talmente che all'assedio di Granata di Ferdinando il cattolico vi fu un'opera esterna presa e ripresa trentasei volte.
Ora ci resta per seguire il nostro ragionamento a determinare l'ultima parte del problema, cioè lo stato delle scienze e della societá, per metterlo in comparazione di quello dell'arte militare che abbiamo giá esposto ed indicarne gli storici risultamenti.
La tendenza del secolo che abbiamo fatto osservare era doppia: aveva per oggetto di ristabilire la civiltá degli antichi e di entrare in quella che corrispondeva agli elementi ed ai destini delle moderne societá. Una combinazione comune legava queste due disposizioni, cioè quella di combattere il medio evo nelle sue massime e nelle sue istituzioni. Ma queste, forti del loro dominio e della loro durata, reagivano contra tutte le contrarie tendenze. Nello stato dello scibile si vede chiaramente questa lotta ed i suoi caratteri. L'amore dei classici dell'antichitá spinto fino alla superstizione faceva entrare la filosofia antica, la giurisprudenza ed il dritto romano negli studi dell'epoca, i quali dovevano combattere la filosofia scolastica ed il dritto canonico, che si difendevano e si amalgamavano a vicenda con questi nuovi elementi. La letteratura e le lingue della classica antichitá si trovavano nella stessa posizione in presenza delle nuove lingue europee e della letteratura che ne derivava nelle diverse nazioni formate sulla rovina dell'impero romano. Le scienze esatte contavano giá egregi cultori come Regio Montano, Liva Poggioli, Lucio di Borgo celebre nel calcolo algebraico, e Copernico che aveva applicato le matematiche ed il calcolo all'astronomia. La bussola ritrovata nel decimoquarto secolo, i nomi di Gioia, di Lullo e di Musa, l'invenzione della stampa circa il 1440, tutte sono pruove del progresso delle scienze in quel periodo. Le naturali non potevano fare gran passi, giacché le esatte non erano giunte ad un grado da renderne l'applicazione compiuta. Ma il carattere generale della coltura può riassumersi dicendo che la scienza era piú considerata come una serie di veritá la cui cognizione doveva soddisfare la intelligenza umana, che come una utile applicazione ai bisogni generali della societá; disposizione naturale a tutte l'epoche di creazione e di risorgimento, mentre vi sono degli sforzi che l'uomo fa per l'amore del bello e del vero piú che non farebbe per quello dell'utile.
Da quanto dicemmo possiamo dedurre che la separazione degli eruditi dagli uomini pratici, come delle scienze dalla loro utilitá pratica, fece sí che l'arte militare non trovasse in esse quei mezzi e quei metodi che corrispondevano al loro stato; il che aggiunge veritá al citato passo del Foscolo.
Ed invero non si vedono ancora né collegi militari né grandi arsenali di fabbricazione di armi, nel mentre che le universitá eran in gran progresso e le istituzioni di questa natura si stabilivano per le altre carriere pubbliche, quali la medicina ed il fòro.
Indicando brevemente lo stato dell'Europa al principio di questo discorso, abbiamo dato le idee preliminari che necessarie erano per far ben concepire lo stato sociale del periodo che ci occupa.
La prima considerazione che dee aversi presente per ben giudicare dello stato sociale nel decimoquinto secolo l'abbiamo indicata nel nostro secondo discorso, ove comparando e mostrando le differenze dell'arte militare delle nazioni antiche da quelle delle moderne, facemmo osservare che ciò che caratterizzava le nazioni antiche si era la loro differenza tra esse, la loro intiera ed originale individualitá; l'opposto di ciò che vedesi tra i moderni, presso i quali le differenze sono le eccezioni e le somiglianze la regola. Questo principio sussiste tanto per lo stato scientifico quanto per lo sociale. Ciò premesso, possiamo dire che ciò che caratterizza questi secoli si è che le nazioni cominciavano a ricreare l'unitá nazionale; la feudalitá decaduta dal grado di assoluta dominatrice pare aver servito d'istrumento a questa metempsicosi politica, che aveva trasformato in nuova vita le moderne nazioni dopo averle decomposte negli ultimi loro elementi. Ma la feudalitá era rimasta un elemento forte il quale aveva piú pretensioni che forze, piú forze però di quelle che dee avere chi fa parte dello Stato senza rappresentarlo solo. Debole come governo era formidabile come opposizione.
Le comuni al contrario erano deboli: incapaci di aver forza preponderante dovevano essere protette dal poter centrale contra il poter feudale, e secondo che questo decadeva, il poter centrale sentiva meno il bisogno di proteggerle e considerava i loro privilegi come ostacoli all'azione amministrativa e non come mezzi di aiuto. La Chiesa combatteva da un lato per lo limite del potere spirituale con le sovranitá e dall'altro pei suoi dritti spirituali e per le sue dottrine con gli eresiarchi che si succedevano in questo periodo da Viccleffo fino a Lutero. Tutti i poteri aveano pretensioni esclusive, ma mancavano di forze preponderanti per effettuare le pretensioni e ridurle a realitá. Ecco perché vi erano urti continui e poi transazioni, le quali tutte cedono alle circostanze cercando di salvare il principio per farlo valere a miglior tempo. Epoca di tregua e non di pace, ma che mentre non impediva il progresso della societá e la lenta migliorazione delle condizioni delle ultime classi, rilevava l'importanza delle medie, le quali entravano nelle politiche riunioni in Francia, in Inghilterra, in Germania ed in Ispagna. Quando si paragona questa combinazione di monarchia in avanzamento, di aristocrazia in insensibile decadimento e dei comuni che progrediscono con eguale lentezza, se ne trova il compiuto nesso negli eserciti, i quali erano formati di gendarmeria nobile che rappresenta la feudalitá combattente, composta ed armata come nel medio evo; delle truppe leggiere, cerne delle comuni armate con le armi da trarre, le quali debbono predominare nell'avvenire dell'arte, ma che nel momento non rappresentano che un'arma ausiliaria; della fanteria mercenaria che rappresenta con la sua organizzazione il potere centrale reso sempre piú dominante; delle artiglierie e degli attrezzi di guerra che sono il mezzo piú naturale e al tempo stesso la dimostrazione della vittoria indistruttibile riportata sulla federazione feudale e della unitá della forza pubblica nello Stato. Ecco come questo periodo di fatica, ove nello scibile e nella societá si vede riunirsi, coesistere e combattersi elementi diversi, trova il suo compiuto simbolo nello stato dell'arte militare dai suoi elementi fino alla sua parte trascendentale. I politici e morali effetti delle guerre di questo periodo e quindi dei progressi dell'arte militare possono ridursi alla distruzione dell'impero greco e all'occupazione di quelle contrade dai turchi, che creavano in Europa un interesse comune in politica, ed al sistema di equilibrio che era il prodotto naturale dei rapporti che le nazioni acquistavano tra esse per operare con interessi comuni al di fuori del loro territorio. In conseguenza l'adoperare dei negozianti e delle negoziazioni, vale a dire la creazione della diplomazia, faceva presentire che la giurisprudenza sarebbe stata applicata alle quistioni tra le nazioni; il che doveva produrre la scienza del dritto pubblico, ch'è la misura del progresso della civiltá e ch'era ignota alla colta antichitá, l'abbassamento degli Stati repubblicani e quindi dell'Italia, contro la quale si rivolgevano le grandi scoperte di quell'epoca, cioè quelle dell'America e del passaggio pel capo di Buona speranza.
Конец ознакомительного фрагмента.
Текст предоставлен ООО «ЛитРес».
Прочитайте эту книгу целиком, купив полную легальную версию на ЛитРес.
Безопасно оплатить книгу можно банковской картой Visa, MasterCard, Maestro, со счета мобильного телефона, с платежного терминала, в салоне МТС или Связной, через PayPal, WebMoney, Яндекс.Деньги, QIWI Кошелек, бонусными картами или другим удобным Вам способом.
1
Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, libro III, capitolo XXXVI.
2
Questa nostra opinione può esser impugnata coll'appoggio dell'opinione di chiari uomini i quali sostengono ch'era un vero progresso il sistema d'attacco dell'Oriente, cioè quello seguito da san Luigi di portare la guerra in Egitto per farne sua base contro la Terra santa. Ammettendo anche questa idea, ci permettiamo di far osservare quanto siegue:
1. Che la conquista dell'Egitto, benché desse il vantaggio innegabile di evitare la strada di terra ch'era cosí lunga, pur nondimeno rendeva necessario il risalire fino ad una certa altezza la valle del Nilo, per assicurare il fianco dritto della linea di operazione contro tutto ciò che naturalmente si riuniva nell'alto Egitto, a fin di riprendere l'offensiva nel momento che il resto dell'esercito europeo operasse nella Siria; il che è confermato storicamente dalla spedizione di Napoleone nel 1799 in quelle contrade.
2. Che ciò supponeva una quantitá di forze, di numero e di disciplina che mancava ai crociati.
3. Che il deserto che separa l'Asia dall'Africa era un grande ostacolo come linea d'operazione avanzando in ritirata nelle disfatte.
3
In effetto tutte le battaglie si riducevano piú o meno ad un urto in ordine parallelo; la vittoria, il piú sovente riportata sopra un'ala, dava per risultamento il disordine che il vincitore subiva egli stesso per abbandonarsi ad inseguire il nemico: da ciò risultava che l'ala di questo che si era conservata piú intatta ne profittava per piombare sopra i suoi avversari rimasti cosí isolati, e colui che si credea vincitore al primo periodo si trovava vinto nel secondo. Allora come anche oggidí la vittoria restava a chi conservava le ultime truppe ordinate; con la differenza che ciò che allora il caso operava, oggidí costituisce l'arte dell'impiego delle riserve, che è il punto culminante della gran tattica e che caratterizza i generali di battaglia.