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La plebe, parte I
Andrea si passò la mano sulla fronte che incominciava a diventar calva, e stette così un poco, come per raccogliere le sue sparse e confuse idee.
– I miei figliuoli hanno fame: ripetè egli poi con accento doloroso, come se quelle tremende parole avessero avuto potenza di farlo rientrare in sè.
Marcaccio si mise a canterellare sull'aria d'una sconcia canzone de' trivii.
– La la le ralà! Ci siamo colla solita storia… Hanno fame? Vadano a letto. Chi dorme mangia, dice il proverbio… E ci lascino tranquilli.
Queste ciniche parole, però, non parvero andare compiutamente a' versi ad Andrea, per quanto ebbro egli fosse.
– I miei figli! Balbettò esso. I miei poveri figli!
– Sì, i tuoi figli: riprese Marcaccio. Ecco lì il bel gusto di caricarsi d'una famiglia. Si ha una frotta di marmocchi che vi strillano alle orecchie e una donna che vi tien dietro e vi sta addosso come una mignatta… Che cosa hai tu da fare pei tuoi figli? Hai tu denaro in tasca da recar loro?
Andrea scosse dolorosamente la testa.
– Non ne hai: continuava Marcaccio. Ti ho trovato che ti aggiravi come una mosca senza capo, per la città, disperato e senza saper che cosa fare di te, pronto a dar la pelle per un quattrino in aria… Non avevi trovato lavoro da nessuna parte, non avevi la croce d'un maledetto centesimo, e la pelle del ventre ti toccava l'osso della schiena. Che cosa ti ho detto io eh? Andrea sono un amico o non sono un amico, corpo di cento boja!.. Vieni qui all'osteria di Pelone che una frittata alle cipolle ed un fiasco di vino, ce ne ho sempre da offrirteli a tua disposizione. Si chiama parlar bene codesto o no, per le carezze di mastro Impicca? Sei venuto, abbiamo fatto ballare de' bei boccali; puoi tu lamentarti di qualche cosa? Saresti stato più allegro andando a casa ad udire strillare i bambini e borbottare la moglie? Bella musica! Le rampogne d'una donna con accompagnamento di guaìti fanciulleschi. Sì, sì, va ora con lei. Gli è quel bell'accoglimento che ti prepara a casa. Mi par già di sentirla. «Bel modo di regolarti! E che hai tu fatto qui? E che hai tu fatto là?» Il fastidio dei rimproveri e l'umiliazione di dover render conto dei fatti tuoi alla moglie.
Andrea fece un atto vivace di ripugnanza.
– No: esclamò egli, non voglio rimproveri, non li vo' tollerare giurabacco!.. Un uomo non lo deve!
– Bene. Disse la donna frenando con tutte le forze che le restavano la collera onde sentiva l'anima commossa verso Marcaccio. Sta certo. Non te ne farò neppur uno di rimproveri, ma vieni a casa.
– Sì, proruppe beffardamente Marcaccio, vacci, bamboccio, e vedrai che valore hanno le promesse delle donne.
Paolina non ci resse più.
– Tacete, Marcaccio: gridò volgendoglisi sdegnosamente. Non vi basta ancora tutto il male che ci avete già fatto? Voi siete il diavolo tentatore del mio pover'uomo.
– E voi non sapete quello che vi dite. Se questo buon uomo passa ancora qualche momento d'allegria, lo deve a me; e se ascoltasse i miei suggerimenti vivrebbe un poco meglio di quanto ora gli tocca.
– I vostri suggerimenti? Santa Vergine Maria! So di che genere sono; e se mai Andrea li seguisse tutti e davvero avrebbe cessato di essere un onest'uomo.
– Ohei! Che modo di parlare è codesto? Gridò Marcaccio battendo un forte pugno sulla tavola. Sapete voi che queste parole non le soffrirei da nessun uomo al mondo, fosse il più forte di tutti? E pensate voi voglia lasciarmele sputare in faccia da una miseruzza di donnicciuola come voi?
Il suo aspetto di scellerato era tale veramente da incuter timore, ma la donna è un essere che quando è posseduto da una giusta indignazione ha un coraggio cui null'altro uguaglia.
– Credete voi d'impormene, Marcaccio? Riprese Paolina. I brutti musi non mi fanno paura. E poichè vi trovo e mi ci avete incitata, vi dirò una buona volta il fatto vostro. Siete voi che avete recato il disordine e la miseria nella nostra famiglia. Siete voi che avete tolto a me ed a' miei figli l'animo di Andrea. Sia maledetto il momento in cui avete posto il piede in casa nostra, e siate maledetto voi stesso!.. Ma per l'anima mia, vi dico che nella mia povera soffitta, là dove sono i miei bambini, non vi lascierò entrar più o che mi caschi piuttosto la testa.
Marcaccio mandò una violenta imprecazione, poi afferrato il braccio di Andrea lo scosse rozzamente.
– Odi tu le belle cose che dice tua moglie? Va là che sai fartene proprio rispettare! Gli è lei che manda via di casa chi le pare e piace; e se tu vuoi avere un amico hai da domandarle licenza, e devi fare ciò ch'ella vuole, e levarti i calzoni e darglieli addirittura a lei.
L'ubbriaco pareva dagli occhi infiammati del compagno attingere la collera ancor egli.
– Levarmi i calzoni, diceva lo sciagurato non più conscio menomamente di sè: darglieli a lei!.. No giuraddio!
– Gli è che sei un bamboccio, gli gridava Marcaccio sotto il muso, che ti sei lasciato mettere i piedi sul collo e ti lasci menare pel naso.
– No, no, mille volte no, sacramento! Urlava l'ubbriaco.
– Non dar retta a questo tristo: supplicava Paolina con tutta amorevolezza. Vieni a casa meco, te ne prego.
– Non seccarmi la gloria! Faccio quel che mi pare e piace.
– Bravo! Esclamò Marcaccio.
– Non voglio andare a casa, e non ci vado… e non ci vo!
E come per paura che lo venissero a strappar di là, si attaccò con tutte due le mani al desco.
– Bravissimo! Tornò ad esclamare Marcaccio. E dille che i tuoi amici sei in caso da sapertegli scegliere da te stesso e che in casa tua sei padrone tu.
– Sì, sono padrone io…
– E che le donne non hanno da alzare il becco…
– Non hanno da alzare il becco… Diceva Andrea come un eco.
– Altrimenti…
E il tristo arnese faceva un cenno troppo chiaro di minaccia.
– Altrimenti… Ripeteva ancor esso l'ubbriaco, dominato per l'affatto dalla volontà del compagno.
– Che? Prorompeva la donna vieppiù indignata. Minacci tua moglie tu? Sei tu ancora il mio Andrea? Oh che cosa mai hanno fatto di te!.. Andrea, ti scongiuro, vieni a casa… Vieni a vedere i tuoi figli…
E voleva cingerlo colle braccia; ma egli rigettandola:
– Lasciami ti dico; vacci tu a casa e non seccarmi dell'altro.
– No, non ti lascio: insisteva essa tornando a volerlo abbracciare; voglio che tu venga meco…
– Ah! Quanto sei babbeo a lasciarti piantar di queste grane: diceva Marcaccio. Se foss'io, a quest'ora l'avrei già ridotta alla ragione.
– Va via: urlò l'ubbriaco serrando i pugni.
– Non vado: rispose animosamente Paolina. Sono venuta a prenderti per condurti presso i tuoi figli; non esco se tu non vieni meco.
E siccome ella era sul punto di gettargli le braccia intorno al collo, il disgraziato la respingeva allungando innanzi a sè il braccio col pugno serrato, il quale colpiva violentemente a mezzo il petto la povera donna.
Paolina gettava un grido e cadeva alla rovescia mentre una schiuma sanguigna le veniva alle labbra.
– Bene! Ben fatto! Così la si mette a posto: diceva quello scellerato di Marcaccio, mentre Maurilio in un salto era presso la donna e sollevatala la adagiava sopra una panca vicina su cui quelli che v'eran seduti s'affrettavano a farle posto.
Visto cader così sua moglie, un profondo e subito rimutamento si fece in Andrea. Parve per un istante da lui dileguata ogni ebbrezza. Sorse di scatto e fu presso alla misera donna, turbato, commosso, pentito.
– Paolina! Diss'egli con accento pieno d'affetto, di rincrescimento, quasi di pianto, Paolina!
E parve volesse dire mille cose, ma che, l'intelligenza non soccorrendogli, non sapesse in altro modo esprimerle che ripetendo il nome di lei:
– Paolina! Paolina!
Maurilio intanto interrogava con molto interesse la donna.
– Vi sentite male? Se prendeste qualche sorso di brodo caldo? O meglio se veniste alla più vicina farmacia a farvi dare un cordiale?
Paolina si asciugava colle mani medesime, in mancanza di pezzuola, la schiuma sanguigna che le era venuta alle labbra, si sforzava ad abbozzare un sorriso, e rispondeva colla voce affannosa:
– Non è nulla… Grazie… Non è nulla… Da un pezzo di tempo sono così debole, che il dito d'un ragazzo mi getterebbe in terra… Soffro sempre tanto qui…
E si premeva il petto con tutte due le mani.
– Paolina! Diceva ancora Andrea venutole presso, volendo prenderle la destra.
– Lasciatela stare: proruppe vivacemente Maurilio indignato. Non avete vergogna? Trattar così una donna, ed una donna ammalata!
Andrea curvò il capo tutto mortificato. Ma Paolina, dando al marito quella mano che egli cercava, disse benignamente:
– Oh il mio Andrea è buono. Non è lui che ne abbia colpa. È il vino che ha in corpo ed i consigli di certa gente… Va, te, ti perdono, Andrea… So che mi vuoi ancora bene.
E l'uomo commosso:
– Sì che te ne voglio di bene… tutto il mio bene…
Ed esaltandosi, come in ogni cosa agli ebbri suole avvenire, si cacciò le mani negli arruffati capelli e stracciandoseli a ciocche, piangendo ed esclamando soggiunse:
– Ma sono uno scellerato, un miserabile che merito le mazzate… sì, sì le merito… Mia moglie! I miei figli! Uh! uh! uh!.. Sono io che li ho messi sulla paglia… Ah dovrei andarmi ad affogare, che sarebbe meglio per tutti.
Paolina, già un po' riavutasi, gettògli le braccia al collo con ispavento e con infinito amore.
– No, non dirle queste brutte cose. Andrea, ti prego… Calmati, via, non piangere… Io ti perdono… I tuoi figli ti perdonano… Purchè tu lo voglia, la nostra sorte può cambiare e ridiventar quella di prima. Tu sarai di nuovo un buon operaio com'eri un tempo e guadagnerai come allora, io guarirò; e torneremo a vivere quei giorni felici che abbiamo già vissuto.
– Sono uno scellerato! Ripeteva colla sua ostinazione da ebbro il povero Andrea.
– Sei sempre il mio uomo, sei sempre il padre de' miei figli. Vieni presso di loro… E' t'aspettano. E' piangono per non vederti.
– Piangono!.. Piango anch'io che sono un miserabile…
Marcaccio non s'era mosso di posto, e guardava ed ascoltava tutto codesto con un sorriso di scherno e crollando le spalle.
– E quello è un uomo? Diceva egli così da poter esser udito da Andrea. Che pan bagnato!
– Io! pan bagnato? Esclamava l'ubbriaco cambiando espressione, e volgendosi a Marcaccio. Pan bagnato un corno!..
– Non dargli retta! Supplicava Paolina, tirando Andrea per i panni affine di volgerlo dalla sua parte.
Maurilio le venne in soccorso; si mise innanzi ad Andrea, fra lui e Marcaccio, e ponendo in testa allo ubbriaco il berretto che gli era caduto in terra e il giovane aveva raccolto, disse alla donna:
– Avviatevi, e traetelo con voi, senza lasciarlo più parlare con quest'altro.
Poi, dirigendosi ad Andrea, con quel tono autorevole che egli sapeva assumere e che abbiamo visto produrre effetto persino su Gian-Luigi avvezzo a comandare, soggiunse:
– Andate a casa vostra, e ringraziate il cielo che vi ha dato una tal donna.
L'ubbriaco balbettò, parve un istante voler ribellarsi all'autorità con cui quello sconosciuto si arrogava di parlargli, ma incontrato lo sguardo potente di lui, dovette chinare il suo a terra. La moglie lo tirò seco facendogli carezze e dicendogli dolci parole; ed Andrea finì per cedere ed uscire di là borbottando ma con riluttanza leggiera e facilmente superabile.
Marcaccio guardava di traverso il giovane che si era intromesso in aiuto di Paolina.
– Tant'è: diceva egli fra sè; questo cotale mi va a sangue come un bicchiere di vin cercone. Poichè il medichino lo conosce non sarà una spia… Ma gli è qualche cosa da non dirsela coi nostri noi… Per questa volta, in grazia al medichino, la passi liscia; ma se ancora gli avverrà di trovarmisi fra le gambe, il suo muso s'accorgerà com'è fatto il pugno di Marcaccio… Quanto ad Andrea, e' non mi scappa più. Può tardare di qualche giorno, ma ci cascherà. Abbiamo bisogno di lui, e sarà nostro.
CAPITOLO IX
Maurilio intanto aveva svegliato il bambino.
– Su, piccino, andiamo a casa tua adesso.
Il ragazzo s'era fregato gli occhi, s'era stirato le piccole membra ed aveva risposto sbadigliando:
– Andiamo pure.
Venendo fuori dell'osteria, il piccino indicò la direzione del cammino da farsi verso la parte più sporca e più brutta di quel bruttissimo e sporchissimo quartiere.
Giunsero, dopo un po' di strada, ad una porta ad arco, ma bassa e schiacciata, sotto la quale un lampioncino ad olio, di cui poteva dirsi col poeta, che pareva spento, tramandava attraverso ai vetri affumicati, tanto di luce tremolante e rossigna da poter scorgere che in quei muri, su quello spazzo l'umidità e le sozzure ci stavano trionfalmente in permanenza. Passarono un cortiluccio che di poco si discostava da una fogna; giunsero ad una scala stretta, non illuminata, a corte branche, a scalini alti.
– Se tu non mi dài mano: disse Maurilio al suo piccolo compagno, io non verrò a capo di andar su per queste tenebre senza rompermi il naso.
Il bambino pose la sua manuccia destra in quella sinistra del giovane, e questi scorrendo ancora coll'altra mano che gli restava libera lungo la parete trasudante un umor freddo e viscoso, scalpitando ad ogni posar di piede sempre nuove immondezze, pervennero ambedue alla fine della scala, sotto alla travata del tetto, in un corridoio basso, angusto, soffocato, tenebroso, che dava adito alle soffitte.
Fatti pochi passi per questo corridoio, il piccino si fermò innanzi ad un uscio serrato per di dentro, dalle fessure del quale trapelava un filo di luce del lume acceso all'interno, e vi picchiò col suo piccolo pugno.
– Chi va là? Chiamò di dentro a quell'uscio una voce aspra, rauca, stizzosa, che mal avreste saputo giudicare se era d'uomo o di donna.
– Son io: rispose il bambino. Allora s'udì un moversi di persona a rilento, uno strascico di pianelle e un brontolio di parole inintelligibili venir verso l'uscio.
– Sei proprio tu, Gognino? Domandò ancora la medesima voce.
– Sì, nonna.
L'uscio s'aprì e comparve fra i battenti una vecchia vestita a bardosso d'un subisso di panni che non avevan forma nè colore, la quale, senza badar più in là, per primo saluto allungò la mano, ghermì il polpastrello dell'orecchio al bimbo, e si pose a tirare.
Il tristanzuolo si diede a strillare come se lo pelassero.
– Biricchino! Gridava la nonna frattanto. È l'ora di tornarne questa qui? Le nove sono già ribattute alla campana della città.
Maurilio fece un passo innanzi; la vecchia lo udì, si volse, lo vide e lasciò il fanciullo che andò a finire il suo lamento e il suo pianto presso al misero focolare, dove s'accoccolò quasi sopra le braci mezzo spente.
La vecchia e Maurilio si guardarono l'un l'altra, come avviene fra due che si trovano a fronte e non si sono mai visti.
Di quella poteva dirsi col Boccaccio «una vecchia che pareva pur santa Verdiana che dà beccare alle serpi,» tanto la era strema, vizza, sporca, brutta e scontrosa. L'occhio avea rimesso e maligno, la bocca asciutta, tirata e sottile, il naso adunco, il mento aguzzo e volgente all'insù con sopravi radi ma lunghi peli di barba grigia: un aspetto di tristo e d'abbietto, di maltalento temperato dall'impotenza.
Maurilio provò un senso di profonda ripugnanza, quasi di malessere innanzi a quella figura. E' non si scoprì la faccia e stette lì, com'era per istrada, col cappello fin sugli occhi e il mantello fin sopra la bocca.
– Chi è Lei? Domandò la vecchia colla sua voce squarrata. Gli è di me che cerca? Che cosa vuole?
L'uomo si appoggiò ad un desco zoppo che stava contro al muro presso l'entrata, e rispose:
– Son venuto a portarvi dieci soldi, perchè non vogliate battere quel vostro bimbo là.
La vecchia volse un suo sguardo invelenito sul fanciullo, il quale s'interrompeva dal piangere di quando in quando, per soffiare a pieni polmoni sulle braci, a cui cercava scaldare le sue mani intirizzite e gonfie dai geloni.
– Che cosa gli ha contato quel bugiardello di Gognino? Che sì che gli mostro io!
E la minaccia si sarebbe certamente risolta in fatti, se la vecchia non avesse visto lo sconosciuto porre nel taschino del panciotto il pollice e l'indice della sua mano sinistra; allora ella, interrompendosi tosto nel discorso, tese la destra e stette ad aspettare.
Maurilio trasse fuori un pizzico di monete, le fece scorrere sulla palma della mano, e siccome, oltre poche di rame da cinque centesimi, non ce ne aveva che di argento, ne prese una da un franco e la porse alla vecchia, la quale fu lesta a farla ingoiare da un tascone della sua gonnella, dove, sonando cupamente, diede segno di essersi andata ad affratellare con il buon numero di soldacci grossi di rame. Poi ella sogguardò così di sbieco il donatore e con un cotale accento di timore, di peritanza, di rincrescimento, impossibile ad esprimersi, gli domandò:
– Ho da tornarle indietro il soprappiù?
Un sorriso ed un moto di spalle fatti dall'uomo, ella s'affrettò ad interpretare per una negativa, diede un colpetto colla mano alla sua saccoccia, come per chiuderla, e riprese con tono più umano e dolciato:
– Che Dio la benedica, signor mio, per questa carità.
Si volse verso il piccino che seguitava ad infrignare:
– Vuoi smetterla, Gognino, o che io vengo a levarti il ruzzo collo staffile?
Maurilio volle parlare, ma la vecchia non gliene lasciò tempo, e riprendendo a discorrergli come prima, soggiungeva:
– Per Lei, vorrò dire la terza parte del rosario, a favore dell'anima dei suoi morti.
La faccia di Maurilio si contrasse leggermente, ma ella nol vide.
– E sentirò domattina la messa alla Madonna del Carmine. Io sono sempre lì sulla porta della chiesa che vendo abitini, rosarii e candelette. Se mai avesse bisogno di me per alcuna cosa, la mi ci troverebbe. E se vuole, domani accenderò le candelette per lei all'altare delle indulgenze.
– No: interruppe Maurilio. Ciò ch'io vorrei si è che non batteste più quel povero bimbo.
– Ah! rispose la vecchia. Lei crede ch'io gli faccia del male a quel piccino. Si sbaglia, sa! Io non fo che per suo bene. È dura cosa alla mia età allevarsi su un figliuolo di quella fatta. Io sono tutt'altro che cattiva. Ne potrebbe domandare a chiunque, e se le si dirà che la Gattona è una senza cuore, voglio sprofondare. (Da un buon pezzo di tempo mi chiamano la Gattona; ma il mio vero nome è Modestina… Modestina Luponi… Ma, sa bene, tra noi povera gente si comincia, tanto per ridere, ad affibbiare ad uno un sopranome, lo si ripete una volta ed altra, e buona sera, gli è come se gliel'avesse dato il prete coll'acqua santa.) Dunque le dico che quel ghiottoncello là, di certe ore, tirerebbe le botte di mano ad un san Giobbe. Sono una povera vecchia io che il lavoro non può più darmi nessun guadagno. Vivo della carità della gente io, e deve sapere anche Lei, se la carità della gente la è tanto larga. Oh stia là, che a me quel biricchino gli è un grave peso a portare!
– Siete sua nonna, voi?
– Signor sì. Ma vorrei ben essere piuttosto… Dio mi perdoni, che quasi ne direi qualcuna di grossa. È il figlio d'una mia figliuola, la quale dopo avermi dato i mille dispiaceri e perduto a me il rispetto, a sè l'onore, morì tra la miseria, lasciandomi sulle braccia quel coso. La ne aveva fatte di ogni razza quella disgraziata ed era proprio caduta al più basso.
– E voi, sua madre, come non avete potuto avviarla al bene?
– Eh sì! Che cosa vuole ch'io facessi? Bisognava ben lavorare per vivere… Un tempo, me la ricavavo bene… Sono stata in casa di signori… e di certi signori… Basta… Venne un dì che la mia ragazza dovette andare in giornata da una parte ed io dall'altra. Sa come succedono queste cose. Cominciò per innamorarsi d'uno che la piantò. Poi diede retta alle offerte d'un ricco che la fece scialare per bene durante un po' di tempo. Quindi da questo a quello, che vuol ch'io le dica? Patatrach nella miseria e nell'abbiezione… E fu allora, noti che provvidenza maligna! che le nacque codesto marmocchio della malora. Io avrei creduto che lo gittasse all'ospizio. Niente affatto. Quella creatura, che era stata senza cuore per sua madre e per tutti, volle tenersi il figliuolo, e per esso sostenne ogni sacrifizio ed ogni privazione.
– Ciò prova che vi era del buono in lei.
– E codesto la fece morire tisica all'ospedale a vent'ott'anni. Sono intorno a nove anni fa; me ne ricordo sempre; la mi fece chiamare al suo letto dove rantolava che faceva spavento, e mi disse con quel poco di voce che le restava e serrandomi la mano colle sue che bruciavano come carboni accesi: – Mamma, tu mi hai da promettere di non abbandonare mio figlio e di allevarlo su un onesto uomo. Che cosa vuole ch'io facessi? Promisi tutto quello ch'ella volle.
– Ed avete fatto bene.
– Oh! me ne ho dovuto pentire più d'una volta, glie lo dico io… Avrei fatto meglio a dar retta al consiglio di alcune amiche, che era di piantarlo là e lasciar pensare a lui quella provvidenza che l'ha fatto nascere.
Maurilio sentì un profondo ribrezzo, ma stimò inutile il mostrarlo, e dopo un momento domandò:
– E suo padre?
– Chi? Il padre di quel bastardo? Chi l'ha mai visto o saputo chi fosse? Se l'avessi conosciuto, glie ne avrei portato bravamente e dettogli: – Mantenetevi voi la vostra carne ed il vostro peccato, ch'io, che cosa ci ho da entrare io?
– Però voi da questo piccino tirate alcun profitto.
– Santa Madonna della Consolata! A che cosa può giovare di buono un bardassotto di quella guisa? Gli vo comperando qualche dozzina di mazzi di fiammiferi, perchè li rivenda e venga così raspando qualche solduccio: chè adesso che si vuol far tutto in nuovo, hanno proibito anche l'elemosina… pena il Ricovero. S'e' volesse avere testa a partito, potrebbe pure guadagnarmi qualche cosuccia di questo modo; ma sì, egli è più vizioso di quanto si voglia credere, e non è ancora fuor di casa che con altri sbarazzini di sua risma, ei non sa far altro che giuocare alle biglie, o alla trottola, alle castelline e sciupare il tempo e i denari, e va apparando non altro che difettacci.
– Questo è vero. E voi non mantenete così la promessa fatta al letto di morte di vostra figlia; di allevarlo un onest'uomo.
– Oh sante piaghe! Che cosa ho da farne? Ei non vuol saperne di nulla delle cose da bene. Padre Bonaventura, un buon reverendo dei Padri Gesuiti lì del Carmine, mi aveva detto di mandarglielo in sacristia a far qualche piccolo servizio che gli avrebbero mostrato a servir la messa, e dato qualche elemosina di tanto in tanto, ed inculcatogli quanto meno il santo timor di Dio… Eh sì! Gognino… (lo chiamano Gognino, ma il suo vero nome è Luca)… Gognino è sempre scappato come il diavolo dall'acquasantino.
– Perchè non lo acconciate con qualcuna di quelle scuole infantili che ora si sono fondate?
– Scuole? Tutte baie!.. Padre Bonaventura dice che non vi si tiran su che dei miscredenti… E poi chi mi compenserebbe i dieci soldi che me ne fo portare?
– Ah!
Maurilio parve riflettere un poco. Diede una nuova e più minuta sguardata intorno a sè, si inoltrò nella soffitta ed esaminò meglio il ragazzo, il quale, tutto rannicchiato al focolare, aveva cessato di piangere, e teneva fisso sulla nonna e sullo sconosciuto gli occhioni larghi ed attenti. Poscia Maurilio si volse di nuovo alla vecchia e le disse:
– A quel bambino, di leggere e scrivere, voi non glie ne avete neppur parlato?
– Madonna santissima! E perchè mai? E che vuole ch'ei ne faccia? A che cosa giovano elleno queste cose per noi, povera gente, per quel disgraziato che gli toccherà sbrandellarsi la pelle se vorrà mangiar pane?
Maurilio non credette opportuno entrare in discussione colla vecchia sull'utilità del saper leggere e scrivere. Si rivolse al bambino e gli disse:
– Vieni un po' qui tu.
Gognino lo guardò con occhio ancora più largo, ma non si mosse.
– Hai sentito. Luca? Gridò la Gattona. Vien qui dal signore. E così, tristerello, vuoi obbedire o no? Subito, ti dico; chè se vado io a pigliarti…
Fece un passo. Gognino tosto fu dritto e s'accostò adagio, mostrando nel muovere delle spalle e nel frusciarsi i panni addosso tutta la sua malavoglia.
– Luca, domandogli Maurilio, sai tu che cosa sia leggere e scrivere?
Gli occhi del fanciullo diedero un leggiero lampo d'intelligenza.
– Sì: rispose. Vedo bene che quando appiccan qualche cartello alle cantonate tutti ci si fermano.
– E di saperlo ne avresti voglia?
– Sicuro. L'altro giorno che hanno menato a morire quel bel giovane, e che io sono andato a vedere, e che tutto il mondo correva, che dicevano avesse ammazzato il suo padrone… Ebbene avrei voluto poter leggere anch'io la sentenza su pei muri, come faceva l'altra gente.