
Полная версия
Novelle
Due o tre giorni passarono dopo quella, non so s'io dica con Alda innocente gita, o con Giacometto dannevole scorreria per il mondo, senza che in quel mondo della Badia succedesse cosa degna di memoria, o che turbasse la pace solita del monistero, o quella anche più solita de' poveri abituri. Ma una sera, come cadeva il sole chiarissimo dietro il Monginevra e il giogo dell'Altaretta, s'udì un certo tocco di campana, che era la chiamata a concistoro delle principali dignità del cenobio. E perchè non era il giorno nè l'ora solita a ciò, meravigliandosene i villanelli, incominciarono a sbucar fuori ognuno dalle loro casucce, ed a mirar prima al campanile, e poi chi qua, chi là in aria e in terra; come se mirando, avessero a scoprire che cosa fosse quella che avea data occasione alla straordinaria chiamata. E sì che delle cento volte, novantanove avrebbero potuto mirare da mattina a sera, senza per ciò indovinare, nè dai moti della campana nè da nessun altro segno visibile, quale o quanto fosse il soggetto delle importanti deliberazioni di quel consesso. Ma questa volta fu l'una delle cento che potè essere satisfatta lor curiosità. Perchè tutti quelli che mirarono in aria non iscoprirono nulla, nulla quelli che mirarono in terra verso a ponente, nulla a settentrione, nulla a levante; ma coloro che a caso rivolser gli occhi a mezzogiorno verso il pendio più lene da quella parte, e la via più larga che dalla Sacra scende a Giaveno, questi, dico, credettero prima vedere, e poi certo videro e chiaramente distinsero venir su per la via una fila, che chi diceva di dugento, chi di cinquecento ed anche più, ma in vero erano da sessanta cavalli francesi, con innanzi il trombettiere che di tempo in tempo s'udiva far risonare le valli, ed alla testa il capitano, le armi di cui più brillanti si vedevano luccicare a' raggi orizzontali del sol cadente, e in ultimo la bandiera vivamente sventolata dall'aria notturna che sorgeva. «Che sarà? Che vengono egli a fare? Che succederà?» Siffatte questioni generali, e sminuzzate in cento altre parziali ed incidenti, colle loro rispettive risposte, agitavansi a un tempo dentro e fuori il sacro recinto senza conclusione; finchè a un tratto ed or vicinissima s'udì la tromba intonare come un ingresso trionfale, e si vide la schiera alla sfilata passar tra le casucce, e seguita da tutti i loro abitanti, arrivare alla porta grande del monistero. La quale aprendosi, compariva addentro un'altra schiera più numerosa, che trattandosi di resistenza avrebbe potuto farne una gloriosissima; se non che era schiera di pace, e tutt'altro che militarmente, addobbata a processione; tanti monaci, due a due, co' visi bassi, le mani dentro alle larghe maniche, e l'abate innanzi a tutti in rocchetto, il volto tra umile e maestoso, una barba lunga e bianca più del bianchissimo abito, ed accanto un fraticello che gli portava l'acqua benedetta. Veduti i quali dal capitano, che giovane e di gentil apparenza era subitamente sceso da cavallo, e rispettosamente inchinato, prese dell'acqua benedetta, e in lingua francese molto ben intesa dall'abate, dissegli poi: come essendo giù nella valle gran carestia di fieni e d'altre vettovaglie, ed anche essendosi udito di certe mosse de' nemici del Re di Francia e del Duca per le parti di que' monti, i capitani superiori suoi aveano pensato mandar alcune truppe a stanziare al monistero per difenderlo; ed egli per divozione al santo Arcangelo, e per aver cura che la sua gente non facesse cosa men grata ai reverendi monaci o al reverendissimo padre abate, avea voluto egli stesso condur la schiera, e dimorar con essa finchè fosse d'uopo. L'abate rispondeva nella medesima lingua: che quantunque piacevole fosse a lui personalmente l'aver ad esercitar l'ospitalità verso un gentil cavaliero, e compiacere al signor Duca, o al Re di Francia; tuttavia come abate di quel santo privilegiato monistero, era dover suo principalissimo serbarne illese le immunità, nè concedere che, lui vivente, contro l'esempio degli antecessori, a danno di tutti i successori s'infrangessero quelle. Così dicendo faceva un cenno, ed avanzavansi due monaci, probabilemente l'archivista e il segretario, con una dozzina di rotoli di pergamena, i gran suggelli pendenti; e mentre l'uno teneva il fascio, l'altro incominciava a srotolare, e leggeva dal Noi per la Dio grazia re o imperadore, fino alla firma, senza perdonarne parola. Finito il primo diploma, afferrava il secondo, e s'apparechiava a darne, non meno che de' dieci altri, distesa lettura. Ma il giovane francese, seccato di quelle lungaggini, soverchiatore come ogni conquistatore, e in particolare come quell'altro Francese o Gallo, forse antenato suo, che mentre si stava pesando o disputando l'oro a lui pattuito, buttò la spada di soprappiù al contrappeso su la bilancia; il giovane, dico, ch'avea altrettanta furia, ma pur un po' più di cortesia, avanzata la mano, impedì dolcemente che si srotolasse la seconda pergamena, diè per conceduto e riconobbe qualunque privilegio avesse o potesse avere il monistero, e ne allegò egli all'incontro uno solo; il privilegio della guerra, e della necessità che dovea scusare chi gli avea dato quel comando. Perchè, quanto a lui non gli abbisognava nemmeno quella scusa, bastandogli l'ordine ricevuto, che ei doveva e farebbe eseguire. Molte altre parole passarono poi in questo negoziato. Il quale, come tutti quelli dove sta da una parte tutto il diritto e dall'altra tutta la forza, incominciò con proposizioni differentissime, anzi contrarie; ma la parte giusta già sapendo di dover cedere, ogni suo sforzo suol essere di cedere il meno possibile, onde quando si crede a tal punto, ella s'affretta a conchiudere per paura di riperdere quello che ha pur salvato. E in somma tra il vecchio padre e il giovane capitano e' si conchiuse: che non potendo quegli acconsentire a niuna diminuzione di privilegi, ma non avendo forze da difenderli, nè concedeva nè impediva che i soldati si alloggiassero fuor delle mura del monistero, come potessero. Ma fu poi tacitamente, e quasi articolo segreto, stipulato che al mattino appresso ne ripartirebbero la metà, e il capitano, non come capitano, ma come ospite e divoto del Santo, con quattro o cinque de' suoi, fin da quella notte albergherebbe entro il sacro recinto. Fatto l'accordo, i frati a un cenno dell'abate, i soldati al comando del capitano, fecero ognuno dalla lor parte un dietro fronte, spargendosi quelli nelle lor celle, questi nelle casupole de' contadini: mentre i due alti contrattanti se ne furono insieme amichevolmente a più lauta cena nelle camere dell'abate; e fu poi il capitano condotto alle sue, nella ben apparecchiata foresteria.
Il mattino appresso all'alzarsi del cavaliero, mentre stava a comporsi non senza arte la bionda chioma e la barbetta ricciuta, e vestire il sottabito di pelle di camoscio, e cinger la spada, abbigliamento solito de' cavalieri, quando non essendo in marcia nè in battaglia non vestivano a ferro; entrò in camera a lui uno de' suoi uomini d'arme, una tal figura che non sapresti dire se le sue fattezze fossero scolpite a ritrar più grossezza o più astutezza, più rozzezza o più corruzione. Eravi ogni cosa insieme, ma l'astutezza pareva essere soverchiata da ciò che il furfante aveva in animo o stava per dire. «Son partiti i nostri uomini, Uberto?» incominciò il cavaliero vedendolo entrare. «Signor sì» rispose colui. «Il vostro esercito è ridotto a metà. Grande imprudenza, se m'è lecito dire, a un capitano che abbia a difendere questi luoghi dai nemici di sua Altezza il Re di Francia e de' suoi alleati. Trenta cavalli soli…» «Uberto, lascia tue celie, che sei cattivo giullare, il sai nè t'ho menato qui, nè ti pago per ciò; trenta cavalli sono anche troppi per l'impresa che siam venuti. A tali cacce basta e soverchia un solo bracco come tu. Hai tu tracciato nulla?» «Signore! signor mio,» riprese lo scaltro che voleva innalzar i proprii meriti, «per carità, signor mio, com'è possibile? Giunti ieri notte, stanchi, senz'albergo; mentre vossignoria stava qui a cenar grassamente da monsignor l'abate, noi fuori a far gli alloggi, governar i cavalli, veder ognuno che si potesse avere per un po' di cena da questi villani. E in verità che pare ci sia passato tutto l'oste col banno e l'arrier banno di Francia, tanto son rasi e tosi, e fra due giorni se non ci fa provveder la signoria vostra, e' sarà forza disalloggiar tutti. E' si sta troppo male; e per quanto dicessi io, i soldati incominciano a mormorare.» «Bene bene, si provvederà, e si manderà via l'altra metà; ma io qui solo senza pretesto non vi potevo venire; e se tu non fossi un poltronaccio, e m'avessi scoperto alcun che, come dovresti, invece di dormire…» «Così tardi come vossignoria, eh! Ma la mi perdoni, io non ho detto di non aver fatto niente; ho detto che era difficile; pareva impossibile. Tuttavia…» «Tuttavia, tuttavia, vuoi tu finirla, sguajato, e non farmi anelar così. L'hai tu trovata o non trovata? C'è o non c'è? S'avrà o non s'avrà?» «Eh, eh, signor mio, che fretta! ma poichè ella mi fa l'onore di paragonarmi a un can bracco, ella rimane il cacciatore, e mi scusi se le dico che ad ogni caccia ei ci vuol flemma; e a questa poi credo ce ne vorrà più del solito. In somma è scoperta, è qui presso la fanciulla; ogni cosa bene, se non fosse d'un innamorato indemoniato, quello stesso che l'altro giorno ci fece mancar la starnotta, e me la tolse come di gola. Benchè jeri sera il buon uomo m'ha pur fatto servizio. Pensi vossignoria che gli uomini erano già tutti alloggiati; io solo no, perchè non avendola veduta svolazzare, sperava pure che qualche caso m'avesse a far iscoprire il nido; ed ecco a notte già quasi buia tornar cogli armenti lo scioccone, le braccia pendenti, e l'aria smemorata; finchè veduto su una porta uno de' nostri soldati, fermavasi innanzi tutto stupidito, apriva gli occhi e più la bocca a mirare, riscuotevasi, lasciava andar vacche e buoi, ed entrava precipitando per quella porta. Io l'aveva adocchiato già, e senz'altro, qui è, diss'io; e fui là, ed entrai, e vidi la fanciulla, e il gonzo appresso, con un'aria fra truce e sbigottita, che si faceva raccontar il gran caso del nostro arrivo, e voleva dar nelle smanie, e non s'ardiva, che era uno smascellarsi dalle risa.» «Bene» disse il cavaliero, «hai tu subito mandato via il soldato, ed alloggiatovi tu?» «Mai no; la mi perdoni; avrei fatt'io mai siffatto errore? Disalloggiar quello? ficcarmi io a luogo suo? che maniera di metter sospetto nella casa, e fuori in tutta la compagnia? Massimamente, che sapendosi da tutti oramai la fiducia di cui m'onora la signoria vostra, e la fiducia de' superiori essendo sempre invidiata…» «In somma diraimi tu a che ne siamo?» «A ciò: che il soldato fu naturalmente questa mattina di quelli ordinati per partire; ed io che apposta non avea preso alloggio stanotte, ed ero stato a dormire con un altro, gli sono sottentrato stamattina; e sto là fermo e stabilito, come sarebbe appunto un cane coricato alla bocca del covile ad aspettar il coniglio, o una serpe nel nido; benchè la serpe, licenza parlando, è vossignoria, che s'ha a mangiar ella l'uccelletto.» «Bene, finisci l'impertinenze, ed ecco il primo degli scudi d'oro promessi.»
Forza è talvolta a qualunque narratore accenare certe cose brutte e sconce, necessarie a sapersi per la storia. Ma io non sono di quelli che vi si dilettano, e se hanno a spiegarti qualche squisita scelleratezza, e' non te ne sanno perdonare la menoma particolarità. E benchè il parer intendersene, e giudicar gli uomini severamente, dicendo: così son tutti, così insegna la sperienza, io pur credetti a lor virtù, or non più no, e simili cose; dia ad uno storico una certa apparenza d'ingegno e maestria oltre il comune; ed all'incontro sembri cosa volgare e dabbenaggine il sovente ammirare e compiacersi della bontà altrui; tuttavia lo confesso, io non narro con amore, e non mi piace dire i particolari se non delle amorevoli e buone passioni degli uomini. E ricordomi che essendo a Roma, e tra per l'occasione di veder tanti bei monumenti, e per una certa natural disposizione che credo avrei avuta alla professione d'antiquario, avendo preso a studiare il Winkelmann delle arti degli antichi, fui lietissimo di trovarci fin da principio questo bellissimo precetto troppo mal seguitato dalla maggior parte de' così detti conoscitori, professori o dilettanti; che incominciando a giudicare dalle pitture e scolture, e' si vuol cercare di scoprire, conoscere e studiar le bellezze che sono in esse, prima di cercare e studiare i difetti. Ed è il vero che ammirando e contemplando le bellezze, gli occhi e l'animo si fanno ad esse, e diventano capaci di riprodurne altre simili; dove avendoli sempre fermi sulla brutezza, benchè si faccia con pensiero di fuggirla, sovente per forza d'abito ci si intoppa. Quando anche poi tu ne fossi fatto capace di fuggir la brutezza, nol sei di produrre la bellezza. Ondechè l'uno è studio attivo e creatore, l'altro passivo e solamente correttore. E così credo sia de' costumi degli uomini; che chi cerca, studia e contempla i dolci e buoni, addolcisca e migliori i suoi proprii naturalmente; dove chi s'avezza a contemplar sempre i costumi cattivi e feroci, non può a meno di non oscurare ed abbruttire i suoi. Nè è questa poi, ben sollo anch'io, tutta scelta propria; e pur troppo e' sono certi infelici che o in una parte della loro vita, od anche in tutta sembrano per destino collocati sì fattamente da non iscorgere mai dappresso nulla di veramente bello o buono o grande. Ma so pure che questo è caso più rado che non si pensa; e il maggior numero degli uomini hanno la scelta con uguale o con poco diversa facilità, di mirare alla faccia chiara e bella, ovvero alla scura e brutta della umana natura. Le mie narrazioni sono dirette a' primi, o de' secondi a chi abbia buona intenzione di passare, come gli sia possibile, tra' primi.
Del resto giustizia vuole io dica, che quantunque cattiva impressione il leggitore abbia dal riferito colloquio potuta prendere del cavaliero; questi tuttavia non era, nè uomo interamente corrotto, e, come se ne trovano, vecchio peccatore in giovane età; nè nemmeno un ragazzaccio senza parenti, nè educazione o scappato di casa. Era di nascita ed educazione gentili, avea padre e madre tenerissimi di lui, ed una sorella pura come una colomba sgusciata ieri; ed erasi un anno innanzi partito da lei candido quasi come ella stessa. Nè era poi stato mandato all'oste solo, e senza altra cura dei genitori, come fanno taluni che finchè hanno i figliuoli in casa li tengano attaccati alle gonne della mamma o della balia; e il dì che li rilasciano, non ne prendono più pensiero. Questi avean raccomandato il figliuolo a un vecchio servitore di casa, e poi a un vecchio amico che era de' principali signori della corte del Re di Francia. Ma il servitore era rimasto per via mezzo infermo, mezzo disgustato, ed era a lui sottentrato nella fiducia del giovane quello scellerato d'Uberto. Il vecchio amico non avea potuto fare che il giovane non istesse più volentieri co' giovani che con lui, e non prendesse loro modi e pensieri e costumi. I quali costumi poi erano cattivi non solamente come di giovani e di guerrieri, ma come di conquistatori e d'invasori. Perchè cotesta qualità di conquistatori e d'invasori è di natura sua così perfida e maligna, da guastare anche gli uomini che sarebbero buoni per natura sua. Onde Toniotto, quell'amico mio che servì in Francia, mi soleva dire, che noi i quali non abbiamo veduti i Francesi se non in Italia e vestiti di quella qualità, nè possiamo dire averli conosciuti in generale, nè immaginare quanto diversi e senza comparazione migliori sieno a casa loro. Così è, diceva egli, che quella facilità che hanno, e ci par incomoda talvolta, di stabilirsi senza complimenti a casa altrui, li fa al lor paese aprir le proprie case ed esser ospitali, con una grazia che non è di nessun'altra gente. Così quello sprecar e buttar via i quattrini per vanità e spensieratezza che li fa rimaner senza, e prendere, forza è pur confessarlo, senza grande scrupolo gli altrui quando possono, li fa, quando sono a casa propria, facili, generosi ed ingegnosi spenditori; onde non è gente meno avara, ma che sappia meglio farsi onore con la metà di quello che ci vorrebbe ad ogni altro. Così quell'arroganza impertinente a casa d'altri di dirsi il primo popolo del mondo, si riduce a casa loro, dove non hanno occasioni di odiose comparazioni, ad una tal qual giusta alterezza ed una fiducia di sè stessi, che non istà male agli uomini, nè uno ad uno, nè come nazione. Finalmente quel loro stesso peccato capitale, di che fanno conquistando sì grande scandalo, non comparisce di gran lunga tanto a casa loro, e quasi direbbesi che ne sieno rei meno che nessuno. E si vuol anzi confessare che non è forse paese dove si trovino tante coppie di buoni mariti e mogli; e famiglie di parenti e figliuoli e fratelli che vivano bene insieme, e donne bene occupate de' maneggi di casa e della buona educazione de' figliuoli. E perchè le lingue e principalmente le parole e le frasi che si trovano in una e non nell'altra, sempre mi parvero indizio non disprezzabile de' costumi delle nazioni; io osservava poi che i Francesi sono i soli che abbiano la parola ménage, che comprende tutta la famiglia vivente insieme al medesimo desco, anzi tutta la servitù, e quasi anche la materialità della casa e de' mobili, e d'ogni cosa in somma che è sotto al tetto domestico. Bella parola, da cui derivano due belli e dolcissimi modi di dire, bon ménage e bonne ménagère. Voci anche queste che non suonano se non in Francia, e di cui la realità vi si trova, al dir di Toniotto, più frequente che altrove. Nè potrei dire io poi quanto mi satisfacessero questi discorsi dell'amico. Perchè da una parte il divino precetto di amar il prossimo qualunque sia, e la mia propria natura amorevole o forse molle, mi portavano ad amar tutti gli uomini e a trovar in tutte le nazioni da me conosciute, insieme con alcuni vizi o difetti proprii, molte qualità e virtù non meno proprie loro. Dall'altra poi non solamente gli esempi degli antichi che davano un solo senso e promiscuamente usavano quelle tre parole di straniero, e barbaro, e nimico, ma più poi gli esempi nuovi veduti e provati da noi stessi mi additavano in ogni straniero, con qualunque nome d'amico o d'alleato si chiamasse egli, un nimico da combattersi per tutti i miei concittadini secolari, e per me almeno da fuggirsi. Ma fattami da Toniotto, e conceputa da me quella distinzione degli stranieri a casa nostra o a casa loro, mi si aprirono per così dire subitamente gli occhi, e intesi come quei due sensi d'amore e di nimicizia possano amendue esser giusti e stare insieme. D'allora in poi, satisfatto del mio cuore, senza ritegno e senza scrupolo mi abbandonai ad amare e contemplar le virtù particolari d'ogni nazione straniera, finch'ella se ne sta a casa sua; e senza scrupolo anche tener per nimico e spoglio di virtù, e carico di vizii ogni straniero rivestito di quella corruttrice qualità di conquistatore.
Ora, fatte le mie scuse agli uditori di questa infilzatura di digressioni che fuggirò alla prima volta che avrò a ridir la storia, torno ad Alda la bella, e Giacometto l'innamorato, e Uberto il tentatore, e il Francese giovane e fragile alla tentazione. Era pensiero di questi due ultimi, venuto al primo, e approvato dal secondo, ora che Uberto s'era ficcato in casa alla povera famigliuola, studiarne bene gli andamenti, e come, ed a che ora, e per dove uscisse la fanciulla; e adocchiatala sola, come speravano, a trar le vacche a qualche deserto pascolo, o a far legne a qualche deserto bosco, od a qualunque faccenda in qualche simile solitario luogo, tendervi un agguato; e tra Uberto ed un suo fidato compagno rapir la fanciulla imbavagliata, e nasconderla fino a notte, e poi portarla giù in una cascina deserta già apparecchiata a ciò nel piano di Sant'Ambrogio. Ivi allora l'avrebbe raggiunta il cavaliero; il quale essendosi già con false nuove di mosse nemiche procacciato da' superiori l'ordine di venir alla Sacra, ora dicendo essersi trovati vani que' rumori, avrebbe così levato il momentaneo presidio. Ma siffatto disegno andò loro in parte fallito per l'amorosa gelosia di Giacometto. Il quale non solo trovò modo di far sottentrare alcuno de' suoi compagni nella cura de' pascoli, ed egli rimanersi alla stalla del monistero; ma lasciando pressochè del tutto stalla e monistero ed ogni altra faccenda ed ogni altro luogo, quasi intero il dì e la notte era o dentro o fuori la casa di Alda, o guardavala con quell'ansietà che fa un avaro intorno al segreto luogo dov'abbia seppellito il tesoro; che non ardisce starvi troppo appresso per paura di svelarlo, ma non ha cuore di perderlo d'occhio; e va e viene e lascia, e mira da lontano e torna, e di tempo in tempo trova qualche pretesto di seder sopra al sacrato terreno, ed allora solamente è appieno tranquillo. Che la bella Alda uscisse poi mai fuori della porta, ei nol soffriva nemmeno in idea; e faceva egli tutte le faccende fuori di casa; consentendo i parenti di lei, ed ella stessa, che, se era alquanto leggera e vana, era poi virtuosissima fanciulla: e benchè rozza ed inesperta, e benchè non ne dicesse nulla a persona, s'era pur accorta di qualche scellerata intenzione di Uberto. Perchè questi, vedendosi andar fallito il primo pensiero di coglier la fanciulla fuor di casa, e, come diceva egli, al volo, si rivolse a quello di adescarla a poco a poco, ed impacciarla nelle sue reti; e forse con intenzione di riuscir a due colpi in un tratto, provò a farle intorno l'innamorato. Ma quand'anche la fanciulla non fosse stata virtuosa, ella era troppo altiera da dover dare orecchio a costui non giovane, non bello, non tenero la metà come Giacometto. E così è, che pressato dal capitano a cui mancavano oramai i pretesti di prolungare sua dimora, finalmente si ridusse ad usar la forza aperta contro la meschinella. Aveva osservato che ogni sera, all'imbrunire, Giacometto a malgrado della sua gelosia era sforzato di lasciar la guardia de' posti interni ed esterni della casa di Alda, per ire al monistero quando si raccoglievano gli armenti e si disponeano per la nottata. In seguito della quale osservazione lo scellerato dispose l'insidia sua.
Cadeva la ottava o nona sera dall'arrivo de' Francesi là su. Erano tranquilli nella capanna, la vecchia madre a filar in un angolo del camino; il padre dall'altro lato a bere insieme con Uberto il vino d'Asti che questi avea recato; Alda ad apparecchiare la cena, epperciò ora affaccendata in questa, ora in quella parte della cameruccia, ora rannicchiata presso al fuoco, il cui lume faceva or più or meno chiara quella scena domestica. A notte chiusa incominciossi a udir presso alla porta un susurrare e disputare insieme come di due o tre soldati, ed Uberto a sclamar più volte: «Ubbriaconi! è questa l'ora di star fuori e turbar la pace della buona gente? A' vostri alloggi; che se lo risà il signor capitano… Agli alloggi, agli alloggi; o sì ch'io…» Ma lo sgridare era nulla, e continuavan gli altri, e in breve ecco uno strido: «Son morto, aiuto, aiuto;» e spalancarsi la porta; e precipitarsi addentro due soldati, facendo chiasso come di quattro e sei; ed Uberto ad alzarsi, ed alzandosi dare una spinta alla pentola e scompigliar il fuoco; e in quella mezza luce, e quella confusione, uno de' soldati afferrar la fanciulla e imbavagliarla, e l'altro a levarsela in braccio, e portarla via; ed ella gettando un grido, ed i parenti accorgendosi in parte che fosse e domandando aiuto, Uberto a tirar la spada e far lo spaccamonte; e gridando «Bricconi, scellerati», a tener loro dietro come per inseguirli. Ogni cosa era ita loro a talento. I due rapitori non avean dato tempo ad esser conosciuti; Uberto avevo fatto sembiante non che d'innocente, ma di soccorritore; e i contadini credendola una baruffa di soldati, non che impacciarsene, si chiudevan nelle case. Così la meschinella era portata già fuori dell'abitato forse un cento passi, quando dibattendosi ella, che giovane e forte era, e stancando perciò colui che la portava, egli la mise un momento in terra per legarla, o meglio prendersela e portarla in due. Ma ella, come fu su' suoi piè, valendosi dell'istante, fuggì loro di mano, e di tutta corsa si diè a saltare e volare su per que' dirupi, scegliendo a posta i più scoscesi e pericolosi conosciuti da lei, non da' soldati, che men destri la seguivano a mala pena. Ma intanto Uberto aveva raggiunto i compagni, e senza fermarsi a rampogne, o a più infingersi, aiutava ad inseguirla, e chiuderle i passi. Così è che ella non volendo mettersi nella campagna più che mai deserta a quell'ora, si sforzava nella sua fuga non allontanarsi dall'abitato e vi girava intorno e s'accostava al monistero, dove sapeva essere gente, e Giacometto. Ma essendole chiuso il passo alla facciata e alla porta grande, a poco a poco veniva incontro alla parte opposta della cinta e si metteva per un ciglione scosceso, interrotto, e stretto e di poco più di un piè tra le altissime mura sovrapposte e il precipizio più alto e non meno a dirupo che sta di sotto. Quivi innoltrandosi con pericolo, a malgrado della sua destrezza, grandissimo, la inseguita fanciulla sperava ingannar gl'inseguitori; appunto come il camoscio di quelle alpi spinto da' cacciatori si slancia di rôcca in rôcca e si addentra più e più tra' precipizii, finchè vedendo rimasto sull'orlo opposto il cacciatore, si ferma egli e lo guata, e si crede pienamente sicuro. Stolto! che allora si è appunto, quando il cacciatore gli pone sopra a bell'agio gli occhi e lo schioppo, e lo fa morto precipitare nella frapposta valle. Così la meschina Alda giunta molto innanzi a quegli scellerati per lo ciglione a un luogo dove questo non che interrompersi finisce, e il muro sopra, e la rôcca sotto non fanno più che una sola superficie diritta a piombo, fermavasi quatta quatta e senza gridar nè fiatare, sperando non essere in quello spaventoso luogo seguita. Ma quale orrore, qual brivido di morte fu il suo quando le parve vedere, o vide le ombre nere di quegli arditi scellerati tentennanti avanzarsi per lo orrido sentiero, e già non esser più d'un trar d'arco da lei distanti! Diè allora in altissime strida per chiamare aiuto; ma era tardi oramai; niuno umano aiuto, quand'anche fosse udita, poteva impedire che quelli non la raggiugnessero ed afferrassero, e la portasser poi via, o la precipitassero. Meglio precipitar sè stessa; e mirava in giù se scorgesse luogo meno diroccato, o rovo o ginepro che la potesse trattenere; ma se v'era, non li poteva vedere. Meglio fidarsi alla providenza, al sommo Iddio che poteva mandare i suoi angeli a sorreggerla, al santo Arcangelo proteggitore speciale di quella popolazione, proteggitor dell'innocenza, combattitor de' mali spiriti, de' mali uomini. Sentissi a un tratto compresa di sovraumana fede e fiducia, guatò, fissò gli scellerati; e «Fermatevi», disse, «o ad ogni modo non m'avrete;» e non fermandosi quelli, e già essendo a dieci passi vicini ad essa, già a sei, già a quattro, dato un altro grido ed un altro sguardo alle mura, e non veduto anima; già sentendoseli incontro, già sendone come tocca, nomò San Michele, incominciò: «Nelle tue mani, o Signore…» e finì in aria la preghiera dell'ultime speranze.