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Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II
Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II

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Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II

Язык: Итальянский
Год издания: 2017
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88

Mœurs et Coutumes de l'Algérie, par le général Daumas, Paris 1853, p. 148, 166, seg.; 191, seg.

89

Ibn-Khaldûn, sì veggente in filosofia storica e sì accurato compilator degli annali dei Berberi, fa una distinzione tra i Berberi nomadi e gli agricoltori, dei quali i primi taglieggiavano i secondi e si teneano più nobili di loro, Storia dei Berberi, versione francese di M. De Slane, tomo I, p. 167, seg. Par che i nomadi non solamente esercitassero quella maggioranza, come più forti, sopra gli agricoltori, ma anco inclinassero all'aristocrazia nello ordinamento interiore di loro tribù. Quanto alla democrazia, ancorchè Ibn-Khaldûn non ne parli, trasparisce dai fatti che io andrò accennando; e fors'anco quello storico si accorse della diversità del reggimento politico, quando notò che i Berberi lontani dalle grandi città e però non soggetti alla dominazione romana, vandala o bizantina, “avean le forze, ordini, numero di genti, re, capi, reggitori (akiâl plurale di kâil) e comandanti che lor piacessero;” poichè la diversità di cotesti governanti, scrivendo lo autore in arabico e non in berbero, mostra differenza non di mero titolo, ma ancora di autorità e natura del magistrato. Veggasi il testo arabico, vol. I, p. 132; e la versione, vol. I, p. 207, che non è litterale.

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Il califo fatemita Mo'ezz-li-din-Allah, verso il 908, apprestandosi al conquisto di Egitto, volea porre governatori suoi e riscuotere le decime legali nel paese della tribù di Kotâma. Rifiutaronli. Chiamati a corte alcuni sceikhi della tribù, Mo'ezz, non li potendo intimidare, lor disse che l'avea fatto per prova, e che si rallegrava di avere a' suoi servigi uomini di sì alti spiriti. Veggasi Makrizi, citato da M. Quatremère, Vie du Khalife fatimite Moezz-li-din-Allah, p. 30, 31.

91

Queste due tribù sendo state in guerra contro il principe zeirita d'Affrica, Mo'ezz-ibn-Badis, gli mandarono il 1026 loro sceikhi a trattare uno accordo con esso lui: Ibn-al-Athîr, MS. C, tomo V, fog. 59 recto, anno 417. Le milizie di Kotâma, stanziate al Cairo al principio del regno di Hâkein-bi-Amr-Allah (966), non vollero che si ingerisse nelle faccende loro altri che un proprio loro sceikh. Veggasi Iahîa-ibn-Sa'îd, Continuazione degli annali d'Eutichio, MS. di Parigi, Ancien Fonds, 131 A, p. 62.

92

Veggasi il Libro II, cap. X, p. 424; e cap. XI, p. 440 del primo volume. Secondo Ibn-el-Athîr, e il Baiân, la cacciata dei Musulmani da Amantea e Santa Severina seguì il 272 (17 giugno 885 a' 6 giugno 886), la qual data si riscontra con quella degli annali bizantini. La prima guerra civile tra Arabi e Berberi in Sicilia scoppiò tra l'autunno dell'886 e la primavera dell'887, secondo la testimonianza della Cronica di Cambridge, combinata con quella del Baiân.

93

Veggasi il Libro II, cap. X, p. 429, seg., del primo volume.

94

Citato da Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, traduzione di M. Des Vergers, p. 139. Nel testo si legge in caratteri arabici Mâlankhûnîa (Μελανχολία). Forse attinse alla stessa sorgente l'autore del Baiân, tomo I, p. 126, il quale, in luogo di trascrivere la denominazione della malattia, la traduce: “bile negra.”

95

Litteralmente “la materia onde cresce il re, sono i rai'a.” Questa voce arabica, come ognun sa, vuol dir gregge; ed è passata in termine tecnico per designare il popol minuto delle città e campagne.

96

Nowairi, Storia d'Affrica, MSS. di Parigi, Ancien Fonds, 702, e 702 A, fog. 23 recto del primo, e 54 del secondo. Mi allontano alquanto dalle versioni non precise che han dato di questo passo M. Des Vergers, e M. De Slane, il primo in nota a Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, p. 139, e l'altro in appendice a Ibn-Khaldûn stesso, Histoire des Berbères, tomo I, p. 435.

97

Ibn-Abbâr, MS. della Società Asiatica di Parigi, fog. 32 verso. L'autore allega in esempio il distico d'Ibrahim:

“Astri siam noi, figli degli astri; avol nostro la luna del cielo, Abu-Nogiûm-Tamîm;

“Avola nostra il Sole. Or chi s'agguaglia a noi, discesi di due sì nobili schiatte?”

A chi non conosce l'arabico è da avvertire che in quella lingua la luna è di genere maschile, il sole femminino, e Abu-Nogiûm significa “padre delle stelle.”

Conde, Dominacion de los Arabes en España, parte IIª, cap. LXXV, riferisce, senza citare sorgente, un aneddoto anacreontico, seguito forse nella prima gioventù di Ibrahim. Certo poeta, per domandargli non so che grazia, scrivea due versi in un pelizzino, e il nascondea, come noi facciamo nei confetti, entro una rosa, presentata a Ibrahim mentre sedeva in un giardino tra le sue donne. Una lesse e cantò i versi; e Ibrahim donò al poeta cento monete d'oro.

98

Confrontinsi: Ibn-el-Athîr, MS. A, tomo II, fog. 92 recto; e MS. C, tomo IV, fog. 246 verso, anno 261; Baiân, tomo I, p. 110, seg.; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, traduz. di M. Des Vergers, p. 126, seg.; Nowairi, in appendice a Ibn-Khaldûn, Histoire des Berbères, traduz. di M. De Slane, tomo I, p. 424, seg.

99

Veggansi le autorità citate nella nota precedente; e vi si aggiungano: Bekri, Descrizione dell'Affrica nelle Notices et extraits des MSS., tomo XII, p. 470; Tigiani, Rehela nel Journal Asiatique, série IV, tomo XX (agosto 1852), p. 99; e tomo XXI (febbraio 1853), p. 133; Ibn-Wuedrân, MS. arabo, § 6; e versione di M. Cherbonneau, nella Revue de l'Orient, decembre 1853, p. 428. Il primo parla soltanto della Moschea di Kairewân; l'ultimo di quella di Tunis, e del serbatoio d'acqua.

100

Theophanes continuatus, lib. IV, cap. XXXV, p. 197; Constantinus Porphyrogenitus, De Cerimoniis aulæ Byzantinæ, appendice al Iº libro, p. 492; Symeon Magister, De Michæle et Theodora, cap. XLVI, p. 681. I posti in tutto erano nove, compreso quello di Costantinopoli. Il numero diverso dei fuochi indicava diversi casi, come: assalto dei Musulmani, battaglia, incendio, etc. Leone, arcivescovo di Tessalonica e professore alla Magnaura, al dire di Symeon Magister, avea perfezionato questo sistema telegrafico, ponendo a Tarso ed a Costantinopoli due orologi che si supponeano isocroni (ὲξ ἴσου κάμνοντα). L'imperator Michele l'ubbriaco fece sopprimere i segnali a vista della capitale, perchè i sinistri avvisi non lo venissero a sturbare tra i giochi dell'ippodromo.

101

Questa conghiettura è fondata su gli indizii seguenti. Primo, che i fuochi di segnali usati in Sicilia fino agli ultimi anni del secolo passato per dare avviso dei corsali barbareschi che si avvistassero, si chiamavan fáni, appunto la stessa voce φάνος, che troviamo nei citati scrittori bizantini. Da ciò par che l'usanza risalga ai tempi in cui il linguaggio oficiale in Sicilia era il greco. Secondo, che la montagna ove sorgea l'antica Solunto, alla estremità orientale del golfo di Palermo, si addimanda tuttavia Catalfano, voce scorciata da Calatalfano e composta dall'arabico kala't (rocca) e da φάνος; il che prova che vi fosse stata una torre da segnali al tempo della dominazione musulmana, o anche prima. Terzo, che i segnali con fuochi furono tentati nell'847 durante lo assedio di Lentini, come già narrammo nel Libro II, cap. VI, p. 317 del primo volume.

102

Confrontinsi: il Baiân, tomo I, p. 215; Nowairi, in appendice alla Histoire des Berbères par Ibn-Khaldoun, versione di M. De Slane, tomo I, p. 424; Bekri, Descrizione d'Affrica nelle Notices et Extraits des MSS., tomo XII, p. 476, 477; Ibn-Wuedrân, MS. arabo, § 6º. I due ultimi scrittori riferiscono la fondazione di Rakkâda agli anni 273 e 274. Il nome nacque, secondo alcuni, dall'amenità del sito che inebbriasse di voluttà e sforzasse al sonno; secondo altri, da un gran mucchio di cadaveri che vi si trovarono a dormir l'ultimo sonno.

103

Si pronunziino le ultime due lettere ciascuna col proprio suono, non unite con quello della th inglese. Il nome vuol dir “Padre della vittoria.”

104

M. De Slane, op. cit., p. 425, ha tradotto queste parole del Nowairi “un certain nombre d'entr'eux parvint à se réfugier en Sicile.” Ma il testo dice chiaramente “rilegare,” e così lo ha interpretato M. Des Vergers in nota a Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, p. 127.

105

Ciò è notato da Nowairi, op. cit., p. 425, e 427. Veggansi per cotesti fatti: Nowairi, l. c.; e il Baiân, tomo I, p. 110.

106

Tomo I, p. 126.

107

Baiân, tomo I, p. 114. Quivi si fa menzione di due diverse emissioni di moneta. L'una fu di dirhem sihâh, ossiano “schietti,” come li chiamava il principe. Così ei soppresse le ritaglie d'oro senza conio, con che si soleano pagare le frazioni di valori, per lo scrupolo religioso di non cambiar metallo con metallo; onde si tenea biasimevole pagando, per esempio, una merce del valore di mezzo dinâr, dar al venditore un dinâr e riceverne mezzo dinâr in altra moneta. Per questa ragione nei paesi musulmani i cambiatori, sirâfi, come li dicono, erano per lo più giudei. Non sappiamo se desse luogo al malcontento quello scrupolo di coscienza, ovvero la cattiva lega dei dirhem. Represso il tumulto, aggiunge il Baiân, rimasero abolite per sempre in Affrica, non solo le ritaglie (kitâ'), ma anche i nokûd, che significa buona moneta in generale, e qui parmi si debba intendere di quella dei califi, che avea corso in tutti i paesi. Venne dopo ciò la coniazione dei dirhem e dinâr detti 'asceri, ossia decimali. La numismatica ci permette di aggiugnere che Ibrahim coniasse altresì quarte di dinâr in oro; che ve n'ha pubblicate parecchie, e una ne ho veduto nel Cabinet des Medailles di Parigi, uscita probabilmente dalla Zecca di Sicilia l'anno 268, e del peso di un grammo e cinque centesimi, che valea da tre lire e sessanta centesimi pria della attuale perturbazione nel pregio dell'oro.

108

Baiân, tomo I, p. 125. Quivi è usato il vocabolo kabâlât, al singolare kabâla o gabâla, poichè la prima lettera partecipa del suon della g. Indi è agevole a riconoscervi la nostra voce gábella. Etimologicamente significa promessa, offerta, prestazione.

109

Baiân, l. c. Il testo porta che nel 289 Ibrahim, riformando parecchi abusi del proprio governo “prese le decime in frumento e rilasciò il kharâg di un anno ai possessori delle dhiâ'.” Le varie significazioni di queste voci, di che abbiamo discorso nel capitolo precedente, lascian dubbio se le decime fossero zekât, ovvero tributo fondiario su i grani, e il kharâg rilasciato, questo medesimo tributo, ovvero censo; e in fine se si tratti di dhiâ', poderi demaniali, ovvero beneficii militari.

110

Baiân, tomo I, p. 117, anno 280 (893-894).

111

Nowairi, in appendice all'Histoire des Berbères, par Ibn-Khaldoun, versione di M. De Slane, tomo I, p. 426; Ibn-Khaldûn stesso, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, versione di M. Des Vergers, p. 128. Secondo Ibn-Khaldûn, ebbe infino a 3,000 schiavi stanziali; secondo il Baiân a 5,000, e Nowairi dice 100,000, forse il numero totale dello esercito.

112

Il Principe, cap. XVIII.

113

Baiân, tomo I, p. 116; Nowairi nell'opera citata, p. 427, il quale registra questo fatto due anni prima del Baiân, cioè nel 278.

114

Questa riflessione si legge nel Baiân, l. c.

115

Nowairi, op. cit., p. 498. Veggasi ciò che notai a questo proposito nel Libro II, cap. X, p. 429 e 430 del primo volume.

116

Confrontinsi: il Baiân, tomo I, p. 117, 123; Nowairi, op. cit., p. 428, 429; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, versione di M. Des Vergers, p. 130 a 132. – Il Baiân, dal quale tenghiamo la narrazione degli onori resi a Meimûn, dice donategli tre sorte di vesti di seta: 1º kherz, o diremmo noi filosella, seta grossolana dei bozzoli forati dal baco; 2º wesci, credo drappo intessuto d'oro; e 3º dibâg, drappo operato e di varii colori. È trascrizione dal persiano dibâh, preso alla sua volta dal greco δίβαφος.

117

Nowairi, op. cit., p. 427.

118

Baiân, tomo I, p. 116.

119

Confrontinsi: il Baiân, l. c.; e Nowairi, op. cit., p. 427.

120

Ibn-Abbâr, MS. della Società Asiat. di Parigi, fog. 33 recto.

121

Confrontinsi: il Baiân, tomo I, p. 116; Nowairi, op. cit., p. 436; e Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, traduz. di M. Des Vergers, p. 139.

122

Baiân, tomo I, pag. 127; Nowairi, op. cit., p. 437.

123

Veggasi il Libro II, cap. XII, p. 476.

124

Riadh-en-nofûs, MS. fog. 55 verso.

125

Libro II, cap. XII, p. 511.

126

Baiân, tomo I, p. 116. Su questa maniera di supplicio, usata nei paesi musulmani almeno fino al XVI secolo, si veggano Sacy, Chrestomathie arabe, tomo I, p. 468; Quatremère, arsione dell'opera di Makrizi, Histoire des Sultans Mamlouks, tomo I, pag. 72 e 182; De Freméry, nel Journal Asiatique, série IV, tomo III (gennaio 1844), p. 124.

127

Mi discosto in questo passo dalla versione di M. De Slane.

128

Op. cit., pag. 430.

129

Baiân, tomo I, p. 124. Ho seguíto piuttosto la cronologia di questa compilazione che del Nowairi, il quale reca il fatto nel 281 (894-895).

130

Confrontinsi: Ibn-Abbâr, MS. della Società Asiatica di Parigi, fog. 35 recto; Baiân, tomo I, p. 281; Nowairi, op. cit., p. 430.

131

Confrontinsi: il Baiân, tomo I, p. 115 a 127; Ibn-Abbâr, l. c; Nowairi, op. cit., p. 428, 436, 437; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, fog. 139, il quale accenna appena le crudeltà del tiranno.

Ibn-el-Athîr, risoluto a lodarlo come principe forte e sostegno dell'islamismo, salta a piè pari tatti quei misfatti, e narra solo i principii del regno e la morte di Ibrahim; pur si lascia sfuggir dalla penna che l'eroe Abu-l-Abbas vivea in continuo terrore della “maligna indole del padre.” MS. A, tomo II, fog. 92 e 172; MS. C, tomo IV, fog. 246 verso, e 279 recto, anni 261 e 289.

132

Veggasi in questo medesimo Libro II cap. IV.

133

Baiân, tomo I, p. 115. Aggiugne il cronista che Ibrahim trovò con maraviglia il cuore confuso (leggo nel testo fânian) col fegato, e irsuto di peli. In Sicilia si dice d'uom tristo e vendicativo ch'abbia il cuor peloso; il quale pregiudizio o la frase può ben venire dagli Arabi. Quanto ai movimenti convulsivi che si narrano di Ibn-Semsâma, non mi sembrano più meravigliosi di quei che la storia ricorda di tanti altri decapitati; nè parmi strano che vi concorra il proponimento fermatosi in mente da un uomo nell'atto di ricevere il colpo mortale.

134

Confrontinsi il Baiân, tomo I, p. 126 e 127, e Nowairi, op. cit., pag. 436 seg. Entrambi citano Ibn-Rakîk, cronista affricano del X secolo, e il Baiân aggiugne aver trovato cotesti fatti anche in altri autori. Ibn-Abbâr, MS. citato della Società Asiatica di Parigi, fog. 35 recto, solo narra il fatto delle donne incinte sparate per cavarne il feto, dicendo che seguì l'anno 283 (896-897) e conchiudendo con la esclamazione: “enorme peccato contro Iddio, ch'ei sia esaltato.” Immediatamente appresso cita Ibn-Rakîk per uno aneddoto relativo alla deposizione di Ibrahim. In generale per la vita di questo tiranno si veggano i tre scrittori or citati e Ibn-el Athîr, Ibn-Kaldûn, e gli altri compilatori che più o meno ripetono gli stessi fatti. La più parte del racconto di Nowairi era stata tradotta, prima di M. De Slane, da M. Des Vergers, nelle note a Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, pag. 138, seg.

135

Martirio di San Procopio vescovo di Taormina, cavato dalla Traslazione del corpo di San Severino alla città di Napoli, presso Gaetani, Vitæ Sanctorum Siculorum, tomo II, p. 60, seg.; e presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo I, parte II, p. 269. L'autore è lo stesso della cronica dei Vescovi di Napoli, come lo prova il Muratori nel tomo citato del Rerum Italicarum, pag. 287, seg. L'altra narrazione alla quale alludo è il martirio dei fratelli siracusani, presso Gaetani, op. cit., tomo II, p. 59.

136

Confrontinsi: il Baiân, tomo I, p. 124, anno 285 (27 gennaio 898 a 15 gennaio 899), e il Chronicon Cantabrigiense, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 43, anno 6406 (1º settembre 897 a 31 agosto 898). Supponendo precise quelle due date, l'avvenimento si ristringe ai sette mesi che corsero dalla fin di gennaio a quella d'agosto 898. Si noti che il Baiân non spiega chi fosse il capo dei Berberi, e chi degli Arabi. Ma vi supplisce il nome di Hadhrami; poichè l'Hadramaut è regione a levante del Iemen. Se tuttavia rimanesse dubbio, lo toglie la Cronica di Cambridge dicendo che i Berberi, dopo assalito il giund, consegnarono agli Affricani Abu-Hosein e i suoi figliuoli. Quegli era dunque il lor capo. Ho corretto secondo la Cronica di Cambridge il soprannome di costui, che nel Baiân si legge Abu-Hasan.

137

Veggasi il Libro II, cap. IX, p. 390 del 1º vol., nota 4. Ho scritto il nome come si trova in Ibn-el-Athîr, anno 287, MS. A, tomo II, fog. 167 recto; e MS. di Bibars, fog. 123 recto. Il Nowairi, Storia di Sicilia, presso di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 11, dà il nome di Abu-Malek-Ahmed-ibn-Iakûb-ibn-Omar-ibn-Abd-Allah-ibn-Ibrahim-ibn-Aghlab. Questo compilatore, che in tutto merita minor fede, dice che Ahmed governò la Sicilia per ventisei anni (correggasi 28), dal 259 al 287 (872 a 900); dimenticando che nella Storia d'Affrica egli stesso avea nominato in quello spazio di tempo due altri emiri di Sicilia. Perciò suppongo che Ahmed fosse stato scambiato una prima volta, e rieletto, dopo molti anni, verso il 287.

138

Chronicon Cantabrigiense, presso di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 43. La versione stampata porta: Anno 6407 commissum est prælium in Franco Forth. Le due parole del testo, nelle quali parve di ravvisare questo nome geografico, sono sbagliate nelle edizioni di Caruso e Di Gregorio; poichè nel MS. originale, secondo la collazione che me ne ha fatto il cortese signor Power bibliotecario dell'università di Cambridge, si legge chiaramente la seconda voce mofâreka; e la prima, mancante di punti diacritici, si compone delle seguenti lettere: 1º f, ovvero k; 2º r; 3º b, t, th, ovvero i, n; 4º h, g, ovvero kh; 5º a. Badando alle sole radicali, non esito a dire che siano f, r, g con che si scrive il verbo fereg, “scindere, fendere;” e son certo che questa parola mal copiata o piuttosto male scritta in arabico dall'autore, greco di Sicilia, sia il plurale irregolare di un vocabolo che significasse “scissura;” proprio il greco σχῖσμα. Non lascia luogo a interpretarla altrimenti la voce precedente mofâreka, che si accorda grammaticalmente con questa, e che è l'aggettivo feminino cavato dalla terza forma del verbo ferek, “separare, disgregare.” Si corregga dunque la versione: “L'anno 6407 varie fazioni guerreggiaron tra loro.”

Occorre di aggiugnere che il nome di Francoforte o altro simile non poteva esistere in Sicilia avanti i Normanni; e che non v'ha in oggi, nè v'è mai stato. Il comune attuale di Francofonte, e non Francoforte, fu fondato nel XIV secolo.

139

Ibn-el-Athîr, anno 287, MS. A, tomo II, fog. 167; MS. di Bibars, fog. 123 recto. Il Nowairi, nella Storia di Sicilia presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 11, senza fare menzione delle guerre che seguirono, dice Abd-Allah eletto emir di Sicilia il 287; e nella Storia d'Affrica data da M. De Slane in appendice a Ibn-Khaldûn, Histoire des Berbères, p. 431, lo fa andare in Sicilia il 284, sbarcare nel mese di giumadi primo (giugno 897), espugnare Palermo, e accordare poi l'amân. Da ciò si conferma la incertezza delle sue compilazioni.

140

La Cronica di Cambridge dice che Abd-Allah “passò” di Affrica a Mazara il 24 luglio; Ibn-el-Athîr che “arrivò” in Sicilia il primo di scia'bân, che risponde al primo agosto.

141

Questi è Ibn-Khaldûn, nella Histoire de l'Afrique et de la Sicile, p. 57 del testo, e 134 della versione di M. Des Vergers. Non so donde abbia cavato tal particolare l'autore, che nel resto del racconto compendia Ibn-el-Athîr.

142

Nei due MSS. di Ibn-el-Athîr si trova il secondo nome senza punti diacritici. Credo vada letto Bâgi. Questo, a detta del Lobb-el-Lobbâb di Sojuti, edizione del Veth, può esser nome di famiglia persiana, o nome etnico derivato da Bâgia, chè così addimandavasi una città della penisola spagnuola (Beja in Portogallo); un villaggio in Affrica (Bedja nell'odierno reame di Tunis, città dentro terra a poca distanza da Tabarca); e un villaggio presso Ispahan in Persia.

143

Traduco “vespro” la voce 'asr che indica una delle ore della preghiera, e risponde a ventun'ora, secondo l'antico modo italiano, cioè nei primi di settembre, e in Palermo, alle tre e mezza dopo mezzodì. Veggansi le tavole delle ore delle preghiere musulmane alla latitudine del Cairo, presso Lane, Modern Egyptians, tomo I, p. 302.

144

Il Baiân dice combattuta la giornata “alle porte della città;” il che si deve intendere fuori i sobborghi, poichè Ibn-el-Athîr dice occupati questi dopo la vittoria. È da ricordarsi che la strada da Trapani a Palermo infino alla metà del XII secolo, e forse più oltre, passava per Carini, come il mostrano gli itinerarii di Edrisi. Però dovea correre per una delle valli che fiancheggiano Monte Cuocio, e uscire alla pianura, sia tra Bocca di Falco e Baida, sia tra questa e la montagna di Petrazzi, lungo la linea della nuova strada da ruota di Torretta.

145

Riscontrinsi: Ibn-el-Athîr, anno 287, MS. A, tomo II, fog. 167, seg.; e MS. di Bibars, fog. 123 recto, seg.; Baiân, tomo I, p. 125; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, p. 132, seg.; Chronicon Cantabrigiense, p. 43; Giovanni Diacono di Napoli, Traslazione del corpo di San Severino, presso Gaetani, Vitæ Sanctorum Siculorum, tomo II, p. 60, ripubblicato da Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo I, parte IIª, p. 269. È maraviglioso lo accordo di Giovanni Diacono coi cronisti musulmani intorno la importanza dei fatti; e della Cronica di Cambridge, di origine greca, con Ibn-el-Athîr, su la data della battaglia di Palermo, che l'uno porta il 10 di ramadhân, e l'altro l'otto di settembre, che è appunto il riscontro del calendario cristiano col musulmano.

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