bannerbanner
Racconti Buonisti
Racconti Buonisti

Полная версия

Racconti Buonisti

Язык: Итальянский
Год издания: 2019
Добавлена:
Настройки чтения
Размер шрифта
Высота строк
Поля
На страницу:
4 из 5

Ed invece si presentarono con cordialità, alzandosi in piedi e stringendomi la mano.

Ci tenevamo a farle i nostri complimenti. Perché, almeno a me, in tutta la mia carriera lavorativa non mi era mai capitato di mangiare così bene in una mensa aziendale. Anzi, se proprio devo essere sincero, in vita mia ricordo di aver mangiato così squisitamente ben poche volte, da contarsi forse sulle dita di una mano, e solo in qualche ristorante di altissimo livello.”

Tommaso si risvegliò di buon umore ed un po’ eccitato, e con un certo languorino allo stomaco.

--------------------------------

Col passare del tempo, sebbene non fosse una persona di carattere particolarmente espansivo né portato a confidarsi con gli sconosciuti, Tommaso cominciò dapprima ad assuefarsi ai volti ed alle voci di molti dei commensali abituali, e poi anche a scambiare con alcuni di loro battute di scarso interesse e significato, ed a volte anche qualche sorriso. E imparò anche qualche metodo efficace per tenere e mosche lontano dai piatti.

Come una mosca fastidiosa, una persona con una telecamerina tra le mani si aggirava senza sosta attorno a lui, osservandone con impertinenza dettagli anche insignificanti ed a volte soffermandosi più a lungo, senza nessuna ragione apparente, su alcuni di essi.

Nel suo grembiule bianco, in compagnia del suo aiutante Gianni, Tommaso si trovava nello studio televisivo per la registrazione di una puntata di “Ricette d’Italia”. Erano la squadra della melanzana, e si apprestavano a sfidare la squadra della carota, composta da un noto chef di fama internazionale in compagnia di un’avvenente brunetta tutto pepe. Al centro, la bellissima presentatrice Donna Hally, che parlava di fronte ad una grande e strana macchina da presa posizionata al centro dell’ampio locale. Lei iniziò con la sua voce dolce e suadente:

Conoscete le regole: avete a disposizione esattamente gli stessi ingredienti, che stamattina ho comprato io stessa al supermercato del nostro sponsor “Superspesa”. Avete due ore di tempo a disposizione per le vostre magie. Ci rivedremo qui all’ora di pranzo con i nostri ospiti e giudici, con cui ci intratterremo in queste due ore su diversi importanti argomenti di attualità. Pranzeremo, e mi ci metto anch’io, coi piatti da voi cucinati. Ogni giudice assaggerà sei portate, tre di una squadra e tre di un’altra, ignorando completamente chi le abbia preparate e dando a ciascuna un voto. E adesso via, e che vinca il migliore!”

Tommaso, fin lì emozionato ed anche un po’ agitato per la vicinanza della bellissima presentatrice, si sentì più rilassato rimanendo in compagnia soltanto dei suoi ingredienti, delle sue padelle, dei suoi fornelli e del suo fidato Gianni. E a quel punto iniziò la parte più bella del suo sogno.

Si tirò su le maniche, si sistemò il grembiule ed il cappello da cuoco con cui era stato equipaggiato e predispose opportunamente il ripiano di lavoro. A portata di mano coltelli, cucchiai e forchette di varie fogge e dimensioni, olio aceto sale e pepe; per tutto il resto una rapida occhiata per capire dove trovarli all’evenienza. Gli sembrava ci fosse tutto, una cucina davvero da professionista.

Aprì l’ampio e ben fornito frigorifero, e ne estrasse di volta in volta, a seconda di quello che richiedevano le preparazioni, innumerevoli tesori della cucina italiana: scaglie di parmigiano, bresaola, rughetta, lardo di colonnata, pasta fatta in casa, fontina e burrata. E poi pesci di varie forme e dimensioni, gamberi, un’aragosta e pesino un’anguilla. E dalla dispensa funghi porcini, noce moscata, peperoncino in pezzi e in polvere, e tutte le verdure e le spezie occorrenti di volta in volta alla bisogna. E cominciò a preparare con fantasia, a partire dai soffritti e dagli intingoli, e ad assaggiare ora qua ed ora là come il famoso cuoco pasticcione della canzoncina, e dopo essersi leccato le dita proseguiva aggiungendo un altro ingrediente, oppure passando il tutto al fidato Gianni per impiattare.

Si sentiva beato in mezzo a quel buon cibo, tenendo d’occhio pentole borbottanti e padelle sfrigolanti, sorvegliando con occhio vigile la cottura su più fuochi, assaggiando ed annusando qua e là mentre le inebrianti esalazioni saturavano il locale e riempivano l’animo di desiderio e di voluttuoso appetito. In sottofondo scorrevano le chiacchiere degli ospiti, in cui non di rado riconosceva qualche suo amico o conoscente, e la bellissima voce di Donna Hally.

Quanto durò quella apparentemente interminabile beatitudine culinaria Tommaso non avrebbe saputo dirlo, ma evidentemente furono solo due ore, perché così asserì la bella Donna quando venne di persona a chiudere i giochi ed a spegnere i fornelli.

Adesso dobbiamo spegnere e lasciare tutto, è finito il tempo”.

Ma questi devono ultimare la cottura”, obiettò dispiaciuto ed imbarazzato Tommaso.

Hai fatto, come il tuo concorrente, un lavoro sicuramente egregio, perché tutte le portate hanno ricevuto ottimi voti. Adesso bisogna solo aspettare tutti insieme il verdetto del totalizzatore”, aggiunse la Hally col suo sorriso sempre radioso.

Si portarono al centro dello studio, proprio davanti alla grande telecamera, e dandosi le mani formarono una specie di piccola catena umana, come i pugili e l’arbitro al centro del ring in attesa del verdetto. Tommaso stringeva la mano di Gianni da una parte, e della Hally dall’altra.

E il vincitore è … Tommaso!”

Tommaso fu inondato di luce, mentre la Hally gli sollevava il braccio.

E bravo il nostro Tommaso, cuoco fatto da solo e venuto dal nulla. Pensate che lavora in una mensa aziendale. Complimenti!”

Gli diede due baci sulle guance, e poi … anche uno sulla bocca!

E Tommaso, per la grande emozione, si svegliò.

--------------------------------

Insomma, Tommaso col nuovo lavoro cominciava ad ambientarsi e non si trovava poi così male. Però sentiva una insoddisfazione di fondo, perché pensava che stare ai fornelli gli sarebbe piaciuto di più, e meditò che appena possibile si sarebbe messo di nuovo alla ricerca di un altro posto di lavoro, stavolta come cuoco.

“Buonasera a tutti, signore e signori. Sono Donna Hally e stasera sono qui con voi in compagnia di Tommaso, il vincitore dell'ultima edizione di “Ricette d'Italia”. Competizione di cui, per inciso, Tommaso è stato anche il più giovane concorrente. Come ti senti, dopo questa vittoria?”

“Sono contento, molto contento”, rispose lui un po' impacciato anche per una luce calda ed accecante che gli venne sparata sul viso, ed a cui a poco a poco riuscì ad adattarsi.

“Ma dimmi, come mai hai scelto di fare della cucina l'amore della tua vita?”

Tommaso non voleva rispondere con la banale verità: me lo hanno consigliato, mi piace mangiare bene, mio padre sosteneva che non avrei saputo far bene niente altro nella mia vita. Allora gli tornarono in mente alcune frasi che aveva studiato a scuola e che gli erano rimaste impresse, e cominciò a sciorinarle come se fossero idee sue [1] :

“Perché il piacere di mangiare è il solo che, se non si esagera, non stanca mai, a nessuna età, in ogni tempo e condizione. E tante volte riesce a consolarci della mancanza di tanti altri piaceri. E poi tutti abbiamo la fortuna di provare questa piacevole necessità anche più volte al giorno per tutta la vita. Quale altra attività potrebbe eguagliarla?”

“Bene, bravo. Bellissime parole”, rispose lei. E Tommaso provò la stessa orgogliosa soddisfazione di quell'unica volta in cui a scuola aveva preso un bel voto all'interrogazione.

“E pensate che questo ragazzo non fa neanche il cuoco di professione, ma lavora come inserviente in una mensa aziendale. E adesso ci farà vedere di cosa è capace, e ci svelerà alcuni dei suoi trucchi e segreti, giusto? Fra un attimo, dopo la pubblicità.”

Le luci si attenuarono, lei gli si accostò e con tutt'altro tono aggiunse, mentre con infinita dolcezza gli regalava il sorriso e gli occhi più belli e teneri del mondo: “Vero che lo farai? Lo farai per me, solo per me, biscottino mio?”

E a suggello della richiesta gli diede anche un bacio sulla bocca, facendolo arrossire e innamorare perdutamente di lei più di quanto egli già non fosse.

Il bacio durò moltissimo; ma siccome nei sogni non è possibile misurare il tempo, non potrei dirvi minimamente quanto. So solo che a un certo punto finì, le luci si ravvivarono e lei tornò più seria e distaccata. I due, a cui senza che Tommaso se ne fosse accorto avevano posto addosso un grembiule da cucina e cambiato la scenografia circostante, si trovavano ora davanti al piano cottura di una cucina professionale.

“E adesso la scena è tutta tua”, le disse la bella presentatrice.

Tommaso ebbe solo un attimo di panico. Ma poi cominciò a prendere e a mescolare alcuni ingredienti quasi a caso, tagliuzzandoli ora a striscioline, ora a pezzettoni, versandoli e disponendoli con gesti sapienti, mescolandoli, aggiungendovi spezie ed aromi e condimenti scelti come capitava, ma disponendo sempre ogni cosa nei piatti e nei recipienti con ordine e gusto estetico.

"La scoperta d'un nuovo cibo è più vantaggiosa alla felicità del genere umano della scoperta d'una stella, come disse una volta il grande Napoleone", si giustificò Tommaso a cui era tornata in mente questa bella citazione in associazione, chissà perché, al grande generale francese [2] .

“E tu come Napoleone mi stai conquistando.” Vicino a lui la bella Hally andava continuamente assaggiando, intingendo il dito e poi leccandolo voluttuosamente, ed approvando con gemiti di piacere.

Tommaso, intanto, dei suoi fantasiosi miscugli alcuni li cuoceva in padella ed altri in tegami, quali a fuoco vivo e quali a fuoco lento; e una volta impegnati tutti i fornelli ricorse anche al forno per una teglia maestosa e dall'aspetto appetitoso. Anche lui come la sua amica, che continuava senza ritegno a spizzicare con mugolii di approvazione e frasi di encomio, assaggiava in abbondanza. E là dove il fuoco non permetteva l'uso delle mani, si avventuravano cauti ma decisi con forchette e mestolini.

“Non posso che capitolare di fronte a tanta delizia e bontà. Mi stai letteralmente prendendo il cuore e l'anima, insieme al palato”, gli disse lei.

“Questo lo dobbiamo spegnere”, fece lui assaggiando da una padella. E sentendo una specie di trillo del forno:

“Anche quello che è nel forno dovrebbe essere pronto. Ti dispiace farmi da aiutante e pensarci tu, carissima?”

“Volentieri. Così intanto assaggio e sento come è venuto. Magari te ne lascio un pochino, se vuoi.”

Un altro suono, e Tommaso istintivamente assaggiò il contenuto di un altro pentolino.

“Per questo manca ancora un poco. Amore mio, cosa abbiamo nel forno?”, chiese Tommaso sentendo di nuovo il suono del timer.

“Niente, mio caro. Il forno è vuoto.”

“Ma l'hai spento? Perché se non lo spegni, anche se è vuoto, il timer continua a suonare.”

“Certo. Guarda tu stesso.”

Tommaso analizzò bene il forno, che era dello stesso modello di casa sua. “Hai ragione, è proprio spento. Ma deve essere rotto, perché continua a suonare.”

“Io ho paura invece che ci stiano chiamando dalla regìa perché dobbiamo interrompere la trasmissione. Anche perché questo mi sembra tanto il suono della tua sveglia, o sbaglio?”

“La mia sveglia? No, non può essere. E cosa c'entra con il forno?”

Tommaso si concentrò un attimo. Sì, quello era proprio il suono della sua sveglia. La trasmissione di cui era stato ospite d'onore stava per finire, e lui doveva alzarsi per prepararsi ad affrontare una nuova, anonima giornata di lavoro.

[1] “Fisiologia del gusto”, di Brillat-Savarin

[2] “Fisiologia del gusto”, di Brillat-Savarin

L'EREDITA' AUSTRALIANA

"Signora Willingstone. Signora Willingstone" chiamò a gran voce il signor Tobias. Facendogli cenno di spegnere il motore diede un'altra moneta al ragazzo che aveva acconsentito a dargli un passaggio con il trattore.

"Signora Willingstone", ripeté dopo essersi allisciato i suoi baffi bianco lucenti. Stavolta, senza quel frastuono di fondo, la signora Willingstone si affacciò alla porta della villa.

"Ah, sei tu, signor Tobias. Vieni, vieni, caro notaio, che ci prendiamo un tè insieme."

"Un tè a casa tua? Questa è proprio bella".

Il trattore aveva ripreso il suo fastidioso rumore mentre si allontanava per la stradina melmosa. Il signor Tobias, cercando di non sporcarsi, fece quegli ultimi passi fino alla veranda sulla punta dei piedi, come un trampoliere. "Dovresti far sistemare questa stradina: è tutto un pantano."

"Meglio. Così tiene lontano le persone indesiderate. Gli amici come te, invece, in qualche modo riescono sempre a raggiungermi. Qual buon vento ti porta? Immagino che sia in vacanza: come ogni anno, puntuale di questa stagione, giorno più giorno meno. Oserei dire che ti stavo aspettando. Entra pure."

"Eh, ormai direi che questa potrebbe essere la mia ultima vacanza."

"L'ultima vacanza? Cosa vuoi dire con ciò? Ti ha preso qualche malanno? O, peggio, non verrai più a trovarmi?"

"Oh, no, tutt'altro. Anzi, forse ci vedremo più spesso. E' che mi ritiro dall'attività. Vado in pensione. Da adesso comincia per me una lunga, unica vacanza."

"Allora abbiamo un motivo in più per festeggiare. Su, siediti che guardo se ho un po' di tè."

Le sedie del salone di casa Willingstone, di legno rustico e senza la minima traccia di imbottitura, erano quanto di più scomodo si potesse immaginare per sedersi, parola di notaio.

"Lascia stare il tè, tanto so che non ce l'hai. Tira fuori direttamente i bicchierini da liquore, e fammi sentire qualche specialità fatta in casa con le tue mani."

"Bravo. Sono d'accordo. Perché io sono un po' bisbetica ma molto ospitale, non è vero?"

A dire il vero un bicchierino ed una bottiglia mezza vuota erano già sul tavolo. La signora Willingstone portò un altro bicchierino ed un campionario di altre bottiglie di vario genere, che sistemò su un vassoio.

"Questa, però", disse vuotandosi un altro bicchiere da una senza etichetta "è la mia preferita. Oserei dire che è unica al mondo: un distillato di noci e ghiande. E la trovi solo qui. Ma dimmi un po', cos'è questa storia della pensione?"

Di fronte ad un bicchierino i modi di fare della signora Willingstone cambiavano sensibilmente, e questo il notaio lo sapeva benissimo. Già normalmente intrattabile ed ostile con l'universo intero, diventava ancora più acuta e pungente nella sua cattiveria; ma al tempo stesso, solo con chi beveva insieme a lei, benevola ed estremamente confidenziale.

Forse questo cambiamento, di personalità più che di umore, era ciò che aveva reso possibile il nascere tra loro di quella strana amicizia, ancora solida a distanza di tanto tempo. Dopo la prima casuale bevuta insieme - tanti anni prima nell'unico pub di quello stesso paesino - a torto o a ragione il compìto notaio, da poco rimasto vedovo, aveva creduto di riconoscere, dietro la grande franchezza e confidenza di lei, i segni inconfondibili dell'amicizia; un'amicizia che, già appena nata, sembrava di lunga data.

"Ormai ho una certa età, che poi è all'incirca la stessa tua, se non sbaglio. Ho deciso: lascio la mia attività, lo studio e tutto il resto a mio figlio. Continuerò a dargli una mano saltuariamente, così per passatempo, se e quando mi pare."

"Tutto sommato, se credi, fai bene a farlo, tu che puoi."

"Ah, si, certo. Ma potresti farlo anche tu, se volessi."

"Io? Ma stai scherzando! Come pensi che potrei mettermi a riposo? Non ho nessuno. Non ho nemmeno una pensione, tra l'altro. Chi mi manterrebbe? Chi porterebbe avanti i miei maiali?"

"Lasciami spiegare; e non dire che parlo per i miei interessi. Deformazione professionale quella si; ma tornaconto personale no di certo. Dunque. Hai una vaga idea, un domani che tu - corna facendo - lasciassi questo porco mondaccio, a chi andrebbero i tuoi beni?"

"Immagino che qui non vedano l'ora che io tiri le cuoia per prendersi la mia roba, e al tempo stesso liberarsi di una scocciatrice come me."

"E qui entra il discorso del testamento. Si, certo: ti dico che tu dovresti proprio fare testamento."

"Testamento? Ma sai benissimo che non ho nessuno. Nessun parente e nessuno che mi sopporta. Non andavo d'accordo neanche con mia madre. Figuriamoci se qualcuno poteva sposarmi, con questo mio caratteraccio. No, non c'è proprio nessuno a cui eventualmente lasciare un domani queste quattro mura e questo pezzo di terra. Se potessi li lascerei ai miei maiali. Magari ad un collegio, visto che ci ho passato qualche brutto anno della mia vita; o a qualche altro istituto del genere, tipo un orfanotrofio." Poi, con l'aria furba di chi ha capito tutto: "Non è che stai cercando di chiedermi di sposarti, per caso?"

"Che? Fossi matto. Non ci penso nemmeno! Credi di essere bella, da giustificare una simile pazzia da parte mia? No, no. E poi perché? No, io non pensavo ad un matrimonio; piuttosto ad una specie di adozione. Adesso ti spiego meglio: …"

La signora Willingstone reggeva bene in vista un cartello con su scritto il suo cognome. Era lì, lungo il corridoio "arrivo passeggeri" del piccolo aeroporto, da oltre mezz'ora, cioè all'incirca due o tre arrivi. Resisteva ormai da più tempo degli altri nell'avvicendarsi di sconosciuti che cercavano di farsi vedere dai loro cari.

Nessuno, guardandola, aveva cambiato espressione, manifestando in qualche modo interesse o curiosità verso di lei; neanche un piccolo numero di suoi compaesani che, notandola, avevano sì provato sorpresa, ma si erano ben sforzati di non darlo a vedere, ricambiando il disinteresse di lei nei loro confronti.

Finché in coda a un altro gruppetto, impacciato e sbilanciato da un bagaglio troppo voluminoso e instabile sulle rotelle, un ragazzo lesse il cartello e venne verso di lei.

"Salve. Sono io il signor Willingston. Ma senza la "e" finale."

"Bene, giovanotto. Benvenuto", e dopo una frettolosa stretta di mano: "Venga con me, giovanotto."

Nonostante l'età e le gambe ossute, il passo della signora Willingstone era rapido e deciso. Il ragazzo, col suo bagaglio, stentava a starle dietro e perse rapidamente terreno.

"Le dispiacerebbe aspettarmi?", le chiese in prossimità dell'uscita, temendo, una volta all'aperto, di poterla perdere di vista.

Lei si voltò contrariata, con l'espressione di chi ha molta fretta e non vuole sprecare tempo.

"Giovanotto: lo sa che io ho quasi tre volte la sua età? A momenti potrei essere sua nonna!"

Si era fermata, ma non aveva smesso di bofonchiare, parlando tra se a voce bassa ma in modo chiaramente udibile: "Che razza di uomini. Aveva ragione il signor Tobias; non aspettarti chissà cosa. La pasta di un uomo la si riconosce subito. Scommetto che non ha neanche fatto il militare."

"Senta", le disse il ragazzo perdendo la pazienza: "se ha avuto l'incarico di venirmi a prendere, non credo che lo stia portando avanti nel modo giusto; e non è certo un compito difficile. Ma se proprio non ci riesce, mi arrangerò da solo."

Per un attimo si pentì di quello che aveva detto: arrangiarsi da solo poteva essere troppo difficile e costoso. Smise perciò di lamentarsi, ma non certo di rimuginare tra sé sull'accaduto.

"Guarda se uno deve fare migliaia di chilometri per essere accolto da una vecchia rimbecillita arteriosclerotica. Farò le mie rimostranze a chi di dovere, al momento opportuno".

"Avanti, da questa parte" disse la signora Willingstone. E i due, ingrugniti e ciascuno imprecando tra sé, proseguirono nel parcheggio.

La macchina della signora Willingstone era molto vecchia e ancor più sporca, per cui sarebbe stato difficile dirne con precisione il colore originale. Probabilmente nocciola, o color fango, come spesso diceva scherzosamente il signor Tobias alludendo ad alcune chiazze più scure nella parte bassa della carrozzeria. Era uno di quei vecchi modelli americani, tutto metallo e smisurata.

La signora Willingstone aprì il bagagliaio. Quasi sadicamente, godendosi la scena che avrebbe dovuto confermare le sue opinioni, rimase a guardare senza muovere un dito mentre il ragazzo vi infilava faticosamente il suo borsone a rotelle.

"Guardi che sta comodo anche davanti. O forse pensa di essere troppo grasso?" Lei si irritò nuovamente, per il fatto che il ragazzo aveva preso posto sul sedile posteriore. "O crede che questo sia un taxi?"

Ma lui ignorò queste provocazioni. "Potrei sapere dove stiamo andando?"

"Ma naturalmente! Stiamo andando a casa mia, a parlare con il signor Tobias."

"A parlare col signor Tobias a casa sua?"

"Certo! Non è per questo che lei è venuto?"

"Si. Ma voglio dire: lei non sarà mica la signora Tobias?"

"No, naturalmente. Il signor Tobias è vedovo. Io sono la signora Willingstone, con la "e" finale."

"Willingstone come la signora dell'eredità? Pensavo che non avesse più parenti qui in Australia. Lei l'ha conosciuta?"

"Si, direi di si."

"E lei è parente della signora Willinstone?"

"In un certo senso si, in un certo senso no. Dal mio punto di vista, l'unica signora Willingstone di una certa importanza sono io, capisce? Ma adesso non mi faccia più domande. Le farà più tardi al signor Tobias. Lui è più bravo a parlare e a spiegarsi. Io potrei dirle qualcosa di sbagliato, o non spiegarmi a dovere. Gli avevo chiesto di venire con me all'aeroporto, ma non ha voluto saperne. Avrà avuto i suoi buoni motivi."

Arrivarono al paese dopo oltre un'ora di viaggio, durante il quale il giovane Alex Willingston, che pure aveva osservato con interesse ed attenzione il paesaggio circostante, non era riuscito a contare più di una dozzina di abitazioni in tutto.

"Una volta, quando non esisteva ancora l'aeroporto, questo era un paese molto più grande; ma resta a tutt'oggi il più importante centro della zona, perché c'è la stazione della ferrovia", spiegò lei. "Ormai siamo arrivati".

Ed infatti, di lì a poco: "Vede quella villa in fondo alla strada? Quella è casa mia. Che cosa ne dice: le piace?"

"Oh, bella è molto bella. E' il contesto che secondo me è infelice. Gli spazi sono così grandi. Qui è così fuori dal mondo, così … non so. Personalmente non credo che riuscirei a vivere in tanta solitudine. Io sono abituato a una grande città. A proposito: lei crede che in paese ci sia un posto per dormire? Un albergo o qualcosa di simile, per questa notte?"

"Per il dormire non si deve preoccupare: il signor Tobias ha detto che lei sarà mio ospite per tutto il tempo che vorrà. D'altronde a casa mia di camere ce ne sono in abbondanza: basterà sistemarne una, e magari darci una riscaldatina."

“Ah, eccovi arrivati. Come va? Avete fatto buon viaggio?”

Il signor Tobias, dalla veranda, diede loro il benvenuto mentre il giovane straniero si barcamenava, stavolta brillantemente, col suo pesante bagaglio.

“Un po’ lungo, ma non male. Sono Alex Willingston, piacere.”

“Io sono il signor Tobias.” Vigorosa stretta di mano. “Immagino che abbiate già avuto modo di conoscervi.”

“In un certo senso…”, fu la risposta di Alex, accompagnata da un’espressione poco entusiasta, sua e della signora Willingstone.

“Bene. Ora penso che sia il caso di farle visitare la villa. Vedrà, la troverà molto bella. Lasci pure qui la sua borsa.”

Iniziò una breve visita guidata attraverso le varie stanze della casa. Dopo il pianterreno, per la maggior parte caldo ed accogliente, si passò ai locali gelidi ed impolverati del primo e del secondo piano, quest’ultimo dal soffitto basso e insidioso. Il signor Tobias sembrava però non vedere né la polvere né gli altri evidenti segni di abbandono e trascuratezza, ma si soffermava a descrivere diversi dettagli dell’arredamento e dell’architettura, illustrando aneddoti, storia o curiosità legati a ciascuno di essi.

На страницу:
4 из 5