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Racconti Buonisti
Racconti Buonisti

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Racconti Buonisti

Язык: Итальянский
Год издания: 2019
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“Sì, scambiamoci i vestiti: mi sentirò più a mio agio. Comunque ti assicuro che io non ho fatto niente. Mi sono solo trovato lì, al tuo posto.”

“Spero solo di non perdere la maglia da titolare, dopo quanto hai combinato.”

Raul si spogliò e si fece una rapida doccia. Anche Riccardo decise di fare lo stesso. “Puoi usare il mio shampoo e la mia roba, se vuoi”, gli disse Raul.

Si rivestirono tornando ognuno nei propri abiti civili. Quelli di Raul erano notevolmente più eleganti.

“Ti lascio il mio numero di cellulare per qualunque evenienza”, gli disse Raul estraendo dal suo portafoglio un biglietto da visita. “Non lo dare a nessuno, è il mio numero super privato. E soprattutto mi raccomando: non fare parola di quanto è successo, soprattutto con la stampa. Altrimenti potresti rovinarmi la carriera.” Tirò fuori anche due banconote di grosso taglio: “Queste sono per il disturbo, e per la visita medica. Buona fortuna.” Raul gli strinse la mano per salutarlo, e se ne stava andando.

“Aspetta: chi ci assicura che non succederà di nuovo?” obiettò Riccardo.

Raul si fermò a riflettere. “Hai ragione. Potrebbe succedere ancora. Forse è meglio che restiamo insieme per un po’. Però cerchiamo di non farci notare.”

Col bavero alzato per nascondersi il più possibile, Raul fece strada a Riccardo, imbacuccato nella sua sciarpa biancorossa ritrovata arrotolata nella tasca del cappotto, e sgattaiolarono fuori dallo stadio evitando qualunque possibile incontro. Una volta al sicuro da tifosi e giornalisti, Raul chiamò un taxi col cellulare.

“Andiamo in centro: è meglio rimanere lontano da qui per almeno un paio d’ore. Anzi, ho un’idea migliore.”

Chiamò qualcuno della squadra, forse l’allenatore. Con un accento portoghese più marcato - che evidentemente faceva parte della sua immagine pubblica, ma che volendo poteva attenuare – riferì qualcosa di un suo cugino che era venuto a Roma, e avvertì che sarebbe tornato in sede con mezzi propri.

“Davvero ti è venuto a trovare un tuo parente?”, chiese Riccardo al termine della telefonata.

“Sì: sei tu il mio cugino di cui parlavo. Sei molto credibile in questo ruolo, non è vero? Scherzi a parte, tutti i miei parenti sono in Brasile. E’ più di un anno che vivo da solo in Italia; ma questo paese mi piace molto.”

“E ti mancano il tuo papà e la tua mamma?”

“Sì, abbastanza; e anche i miei fratelli e le mie sorelle, cinque in tutto. Ma non mi dimentico di loro. Ogni mese gli mando un po’ di soldi. Qui io guadagno bene, ed in Brasile si sopravvive con poco. Ecco un taxi, deve essere il nostro.”

Si sbracciarono per farsi vedere.

“C’è un bell’albergo in cui mi fermo sempre quando vengo qui. Potremmo andarci, se vuoi”, propose Raul.

“Ti va invece il cinema? Ho da poco dato un esame, e questo fine settimana volevo distrarmi un po’. E’ per questo che sono venuto allo stadio, anche se a dire il vero non mi sono tanto rilassato.”

Risero tutti e due.

“Va bene. Scegli pure tu il film ed il cinema, meglio se un po’ lontano da qui. E’ un’ottima idea, così staremo al buio e non daremo nell’occhio.”

Salirono sul taxi, che nel frattempo era arrivato, e Riccardo diede indicazione al conducente.

Uscirono dal cinema che era buio. Il film era stato bello.

“Hai detto che hai appena passato un esame?”, chiese Raul.

Riccardo assentì.

“E’ curioso. Proprio l’altra notte ho sognato che davo un esame. E’ stato quasi un incubo per me che ho fatto solo qualche anno di elementari. Quando mi sono svegliato avevo la testa che mi scoppiava.”

Riccardo ripensò al suo strano sogno di qualche giorno prima, quando si era svegliato con le gambe doloranti.

“Ma è stato un incubo peggiore”, proseguì Raul, “ritrovarmi in curva tra tifosi che lanciavano accidenti e maledizioni di ogni genere contro di te; anzi, contro di me. E’ stato proprio avvilente. Spero che quelli non fossero tuoi amici, e che tu non sia come loro.”

“Alcuni li conosco un po’. Ma stai tranquillo: io non sono come loro. Anzi, sono un tuo grande ammiratore. Chissà, forse è per questo che è successo quello che è successo. A proposito: ho un’idea. Vieni un attimo a casa mia: ti faccio vedere alcune cose interessanti.”

L’abitazione di Riccardo era lì vicino. Suo padre era in casa e quando li vide chiese sbigottito: "Chi di voi due è mio figlio?"

"Sono io, papà", rispose Riccardo. "Oggi allo stadio c'era un concorso per il miglior sosia di Raul Francisco. E' per questo che i miei amici mi ci hanno portato. Io e lui siamo risultati vincitori a pari merito, con un premio di duecento euro ciascuno", aggiunse Riccardo quasi meravigliandosi di come gli riusciva bene inventare frottole, pur non avendolo mai fatto.

"Bene, bene. Fanno sempre comodo. Con quello che costano i tuoi libri!"; quindi, rivolgendosi a Raul: "Sei dei nostri per la cena?"

"Volentieri", gli rispose col suo miglior accento portoghese.

Riccardo fece entrare Raul in camera sua. Tirò fuori da un cassetto alcuni fogli piegati, e cominciò ad aprirli adagiandoli sul suo letto.

“Questo sei tu”, gli disse mano a mano che dispiegava i suoi poster, “e anche questo, e pure quest’altro. Ti riconosci?”

“E come hai fatto a procurarteli? Neanche mia mamma a casa sua possiede così tante foto di me.”

“Me li hanno dati per lo più i miei amici - alcuni li hai visti oggi allo stadio - per farmi vedere quanto ci somigliamo. E poi ho tutti questi articoli di giornali e riviste che parlano di te. Ma per lo più dicono sciocchezze, secondo me; cose poco importanti e forse neanche vere.”

Raul incuriosito ne lesse qualcuno in silenzio, ogni tanto emettendo qualche breve ed espressivo commento. Ma a un tratto smise di leggere e poggiò tutto.

"Alla tua collezione penso che dovresti aggiungere un altro pezzo importante." Aprì il suo borsone e ne tirò fuori la maglietta da gioco biancoverde, ancora puzzolente di sudore. "L'hai portata un po' anche tu, quindi te la meriti in pieno. E potrai dire che è originale, non una copia come tante."

Riccardo fu d'accordo. Cominciò a frugare tra i suoi cassetti. "Devo avere un pennarello indelebile da qualche parte. Così mi ci puoi fare l'autografo e magari anche una dedica, se non ti dispiace."

"Va bene", rispose Raul. Prese una penna dal caos della scrivania e iniziò a firmare i poster. "Però, se vuoi il mio parere, questa maglietta devi lavarla e cominciare a usarla un po' più spesso. Per giocarci a pallone, naturalmente: ho visto che hai davvero molto da imparare. E se il mio autografo si scolorisce me lo fai sapere: la prossima volta che passo di qua te lo rifaccio."

"Mi piacerebbe che fossi tu a insegnarmi a giocare", rispose Riccardo.

"Temo che non sia possibile. I miei impegni sono molto lontani da qui. Già domani pomeriggio devo essere con la squadra per la visita medica e gli allenamenti."

Terminato con gli autografi, Raul cominciò affascinato a curiosare nella stanza tra i tanti e disordinati libri di Riccardo.

"Sono tutti tuoi questi libri?"

"Si, naturalmente."

"E li hai letti tutti?"

"Tutti. Qualcuno più che letto l'ho studiato. Qualcuno a dire il vero lo devo ancora studiare."

"Deve essere bello come passatempo. A casa mia di libri non ce n'erano. Solo quelli per imparare a leggere e scrivere, che ci siamo passati l'uno all'altro." Mentre parlava, evidentemente a suo agio, riaffiorava leggermente il suo simpatico accento portoghese. "Ora i più piccoli possono studiare di più, anche grazie alla mia fortuna. Ma la mia fortuna è dovuta anche a questo: a casa non c'era quasi posto neanche per noi, ed erano tutti contenti che noi andassimo a giocare fuori. E io giocavo a pallone tutto il giorno, ovunque: tornavo a casa solo per dormire e mangiare. Mi divertivo, ed ero anche bravo, come puoi immaginare."

"Hai detto che hai fatto solo le elementari?"

"Neanche tutte. Forse due o tre anni. Mi piacerebbe mandare un po' di soldi anche alla mia vecchia scuola. Adesso sto studiando l'italiano, e mi riesce abbastanza bene. Ma le altre materie no, non sono portato. Mi ero iscritto a una di quelle scuole per gli adulti, e ho mollato subito."

"Io ho sempre avuto bisogno di leggere. Di storie nuove, di fantasia, più che altro. Forse perché da piccolo mi leggevano sempre le favole prima di dormire."

"Anche a me mi raccontavano le favole. Mia mamma, o anche le mie sorelle. Ma le sapevano tutte a memoria, o forse le inventavano. D'altronde mia mamma tuttora non sa leggere. Ma qui in Italia vado spesso al cinema. E' bello, mi piace."

"Come hai detto che ti chiami?"

"Tutti gli amici mi chiamano Raul. Potete chiamarmi così anche voi, se volete", rispose l'ospite ai genitori di Riccardo.

La cena era andata via tranquilla, con Raul di poche parole, ma cortese ed educato. Quando gli fu chiesto da dove venisse, si ricordò di una serata di beneficenza in un quartiere periferico e popolare di Palermo e disse di venire da lì. Sembrava quasi che parlasse della povertà del suo Brasile.

"E stasera dove dormi? Vuoi dormire da noi? C'è posto, se vuoi."

"No grazie. Ho dei conoscenti qui a Roma." Poi, terminato l'ultimo boccone del dessert: "Complimenti, signora: è tutto davvero molto buono."

"Oh, non esagerare. Proprio niente di particolare. Se avessi saputo prima che ti fermavi a mangiare ti avrei fatto trovare qualcosa di meglio."

"Riccardo, vuoi venire anche tu con me in discoteca questa sera? Conosco un locale davvero carino." Riccardo esitò alla proposta del suo amico. Le discoteche in genere non erano davvero la sua passione; però gli dispiaceva che quella giornata così straordinaria finisse in maniera banale, ed era tentato di seguire il suo idolo per quanto possibile.

"Visto l'esito dell'esame te lo meriti davvero di concederti una serata di svago", commentò suo padre.

"Va bene, mi avete convinto: stasera vado a ballare. Datemi solo il tempo di vestirmi in maniera un po' più adatta."

"A casa tua sono stato tuo ospite, qui tu sei ospite mio", insistette Raul che per tutta la serata non gli lasciò mettere mano al portafoglio. Lo portò in un posticino davvero molto bello. Musica, tanta gente danzante e consumazioni a volontà. Ma dopo neanche mezz'ora Riccardo si era già stufato di ballare. Si mise seduto, su una specie di poltrona in un angolino, ad osservare quello che succedeva nell'ampio locale illuminato a intermittenza da luci colorate e roteanti. Raul ballava senza sosta; quando si fermava, si metteva a chiacchierare con chi gli capitava. Nessuno sembrava riconoscerlo.

"Dai, vieni a ballare anche tu!", gli disse cercando di toglierlo da quella poltrona. "No, non posso, con questa caviglia", rispose Riccardo. Ma non era per quello. Non ne aveva voglia, e forse era troppo impegnato a rimuginare su quanto accaduto quel giorno. Era stata la sua invidia a provocare quel curioso scambio di corpi o di anime? Magari c'era una predisposizione dovuta alla loro somiglianza; o era stata una stregoneria di qualche tifoso? Raul sembrava proprio un bravo ragazzo, più semplice di quanto lo dipingessero i giornali, ma davvero ricco. Però quasi analfabeta, e lontano dalla sua famiglia. Gli dispiaceva davvero, anche se involontariamente ed inspiegabilmente, avergli causato dei problemi.

"E' molto bello qui, non trovi?", gli chiese Raul in un altro suo momento di pausa. Riccardo fece con la testa un cenno che poteva essere anche interpretato come un si, ma sicuramente non lasciava trasparire nessun entusiasmo.

"Sto pensando di comprare una parte del locale, e diventarne socio; e magari quando mi ritiro dal calcio vengo qui a fare il gestore. O anche solo il barman, mi piacerebbe. Tu che ne dici?"

Riccardo non aveva certo questo tipo di aspirazioni. "Ma non hai intenzione di tornare in Brasile quando avrai finito come calciatore?"

"Non lo so. Bisogna vedere. Se sposo una ragazza italiana è probabile che mi fermo. E poi dicono che non è facile riadattarsi a tornare indietro quando ci si è abituati ad un certo tenore di vita. Ma vedrai che finirò per fare come tanti calciatori: l'allenatore o il commentatore o giornalista sportivo."

"Per scrivere degli altri calciatori come adesso scrivono di te?"

"Ti riferisci a quegli articoli che mi hai fatto leggere? No, quello è gossip, non giornalismo sportivo."

E Raul tornò a ballare lasciando Riccardo sulla sua poltrona, intorpidito e appesantito dal sonno. Più tardi Raul venne verso di lui in compagnia di due belle ragazze. Riccardo non capiva quello che si stessero dicendo: pensava che parlassero tra di loro in portoghese. Ma poi fu evidente che si stavano rivolgendo a lui, domandandogli qualcosa che lui non riusciva a capire.

"Mi dispiace, non parlo portoghese", si scusò Riccardo.

"Dai su, Riccardo, svegliati. Diciamo a te. Vuoi starci a sentire?"

Solo allora si destò e capì di essersi appisolato e di aver sognato, anche se non gli fu chiaro da quanto. "Noi stiamo per andare in un'altra discoteca che apre tra poco. Ti proporrei di venire, siamo in buona compagnia; ma vedo che sei molto stanco. Forse è meglio che ti riaccompagni a casa."

"Si, si, hai ragione", fu d'accordo Riccardo, anche se proprio in quel momento si rese conto che le due ragazze da sogno vicino a lui erano vere.

Il giorno dopo era quasi mezzogiorno quando la mamma lo venne a svegliare dicendogli che c'era una telefonata per lui. Era Raul.

"Ho preso il primo volo questa mattina, direttamente dalla discoteca, e sono già arrivato. Sono venuto subito al campo a fare due palleggi. E' tutto a posto. Voglio dire: io sono io, tu sei rimasto lì. Insomma il mondo è impazzito una volta sola, a quanto pare. Volevo ringraziarti per la compagnia, e sapere della tua caviglia."

"La mia caviglia? Ah, si. Ora che mi ci fai pensare: se non la muovo non mi da fastidio, e neanche a camminarci." La mosse un po', per sentire in che stato era. "Solo se la sforzo. Ma starò attento a non correrci e saltarci per un po'. Non è difficile, per me".

Così è terminata, o quasi, questa incredibile storia. Devo solo aggiungere che Raul fu davvero carino con Riccardo e, proprio come a ognuno dei suoi fratelli, alla fine del mese gli mandò una piccola somma di denaro. E questo regalo mensile divenne una bella consuetudine che, nonostante il trasferimento di Raul ad una grande squadra spagnola all'inizio della stagione successiva, andò avanti fino alla laurea di Riccardo.

L'allontanamento di Raul dall'Italia, pur molto positivo per la carriera del giocatore brasiliano, rese davvero complicato realizzare il loro progetto di incontrarsi nuovamente. Nonostante tutto ci riuscirono, in occasione della laurea di Riccardo che ci teneva moltissimo a che Raul fosse presente alla sua festa. Lo avvisò con molto anticipo, concordarono la data e Raul non solo prese parte alla festa, ma gliela offrì mettendogli a disposizione quel locale di cui nel frattempo era diventato socio. Fu una festa bellissima, come nessun amico o collega di Riccardo poteva immaginare, a cui parteciparono anche personaggi famosi del mondo del calcio e dello spettacolo; una di quelle feste di cui si parla nelle cronache mondane. Riccardo ne fu felicissimo. E continuarono a vivere come cugini.

TOMMASO ASPIRANTE CUOCO

Tommaso era un ragazzone come tanti. Buono d’animo, ma molto pigro e con pochi interessi. Non poteva certamente essere definito brillante né eccelleva in nulla.

L’unica attività in cui non era certamente pigro era il mangiare: un po’ per goloseria, un po’ perché si ritrovava sempre con un appetito quasi insaziabile, che poi divenne quasi un’abitudine.

La sua passione per il cibo finì per influenzare in maniera determinante la sua adolescenza: il suo aspetto fisico, dato che divenne un ragazzone grosso ed anche eccessivamente corpulento; e la scelta di cosa fare nella vita. Gli era stato consigliato di imparare a cucinare, e lui, che non aveva altri grandi interessi, lo aveva trovato un consiglio ragionevole e lo aveva seguito.

Fresco di diploma, conseguito all’alberghiero con poco più del minimo dei voti, aveva cercato un lavoro nel mondo della ristorazione, e dopo lunghe ricerche era stato assunto come inserviente in una mensa aziendale. Non era un gran lavoro, e nonostante ciò, non essendoci abituato, almeno le prime volte si stancava molto. E poi più o meno sempre le stesse cose, riempire i piatti di persone estranee che al di là del banco parlavano tra loro con interesse di cose a lui del tutto sconosciute e incomprensibili.

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Tommaso era in fila col suo vassoio davanti al bancone delle vivande. Quel giorno doveva essere un’occasione particolare, o il cuoco doveva essersi sbizzarrito, dato che c’era una varietà di cibi preparati mai vista prima. Tommaso cominciò a riempirsi il vassoio con un primo; ma poi, vedendo che c’erano anche le lasagne ed i cannelloni, aggiunse un secondo piatto.

Vuole anche un supplì e dei fritti misti?”, gli chiese gentilmente l’inserviente. Lo guardò, ed il suo aspetto gli sembrò familiare. Un suo sosia, avrebbe detto. Sembrava proprio lui, Tommaso. Anzi, forse era lui, dato che anche la sua voce risuonava identica.

Grazie, volentieri”.

Scorrendo con la fila davanti alle vivande, il vassoio si era rapidamente riempito, eppure riusciva a farci stare sempre qualcosina in più. Doveva essere un vassoio più grande del normale, a pensarci bene.

Queste le ho fatte con tanto amore e con tanto formaggio, come piacciono a te: prendine un piatto abbondante!”. Dall’altra parte del bancone Tommaso riconobbe diverse altre facce a lui conosciute, oltre a sua madre in camice bianco che gli stava porgendo una porzione maestosa di melanzane alla parmigiana. Ad esempio c'era Francesco, suo ex compagno di banco a scuola; il pasticcere sotto casa; ed in cucina gli parve addirittura di intravvedere, per quanto non fosse possibile, la sua cara vecchia nonna. Ecco il perché di tutta quella scelta di portate, pensò Tommaso.

Il bancone gli era sembrato più lungo del solito (ma in fondo lui era abituato a stare dall’altra parte), ma alla fine arrivò alla cassa.

Va bene se prendo tutta questa roba, o è troppa?”, chiese timidamente indicando al cassiere, che somigliava molto a quel signore che lo aveva assunto, i suoi due vassoi pieni.

No, no, prendi pure. Però dovrai pagare un piccolo supplemento.”

Batté lo scontrino e glielo porse.

Tommaso lo lesse e sbiancò. “Ma io non ho tutti questi soldi!”

Stai tranquillo, nessun problema. Te li possiamo trattenere dai prossimi stipendi.”

Tommaso si risvegliò tutto sudato e col cuore che gli batteva forte forte. Era domenica mattina, ed era soltanto da una settimana che aveva iniziato a lavorare!

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La seconda settimana di lavoro, Tommaso cominciò a conoscere un pochino meglio i suoi colleghi e a prenderci un poco di dimestichezza, Adesso perlomeno non confondeva più i loro nomi: il cuoco si chiamava Gianni, la cassiera Fernanda, e poi c’erano Alberto, la signora Luisa, Vittorio e Maria.

Gianni, ti vogliono con urgenza al telefono”. Una persona elegante era scesa apposta dal piano di sopra per far avere al cuoco questo messaggio.

Sono nel clou della cottura. Devono aspettare un po’.”

Mi hanno detto che è molto urgente. Si tratta di tua sorella. Trova qualcuno che ti sostituisca.”

Gianni, sentendo nominare la sorella, era uscito di fretta dimenticandosi di indicare espressamente un suo provvisorio sostituto.

Ma non va nessuno al suo posto ai fornelli?”, chiese Tommaso ad Alberto. “Io certamente no, non è il mio compito”, gli rispose Alberto, “e rischierei di combinare un disastro. Se vuoi andare tu, se te la senti, ti copro io finché non apriamo e c’è poca gente”.

Tommaso, fresco di pratica scolastica ed un po’ anche desideroso di vedere e provare qualcosa di nuovo, non se lo fece ripetere. Entrò in cucina, controllò la cottura della pasta e del sugo. Ma dopo aver assaggiato il condimento pensò che ci sarebbe stato bene anche un pizzico di quella spezia orientale che andava tanto di moda, la curcuma, chissà se riusciva a trovarne. Aprì tutti gli sportelli esplorandone il contenuto. Non tante cose ma in grandi quantità, a dire il vero, ma niente curcuma. Ma un’altra spezia che poteva andarci bene la trovò, e la utilizzò. E al momento giusto fece senza problemi tutto quel che andava fatto: spegnere i fornelli, scolare, mescolare …. Poi fece suonare il campanello e la collega venne a prendere il pentolone pronto.

Appena in tempo: fra due minuti dobbiamo aprire. E con l’altro primo siamo indietro, immagino … ”, gli disse la collega.

Già. Su un altro fuoco c’era il riso. “Cosa è scritto sul menu? Riso fatto come?”

Riso ai funghi”, le rispose lei prima di uscire.

Sul riso Tommaso fece tutto da solo, e si divertì. E nel frattempo doveva controllare i contorni, appena abbozzati, e riscaldare i secondi.

Quando chiamò perché il riso era pronto, si affacciò Gianni, che era tornato a riprendere il suo posto e volle assaggiarlo.

Troppo buono, Tommaso, questo riso. Non abituarli troppo bene i nostri commensali, altrimenti poi rimarranno scontenti quando cucino io.”

Mi ero reso conto di aver sognato tutto ciò, un'altra domenica mattina; eppure un giorno al lavoro chissà perché me ne uscii quasi sovrappensiero chiedendo a Gianni come stesse sua sorella.

“Mia sorella? Ma io non ho sorelle, mai avute”, mi rispose lui sorpreso.

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Ero in cucina che mi cimentavo in alcune nuove ricette di mia invenzione insieme a Gianni, che mi stava dando una mano nelle cose più semplici, quando si affacciò il solito signore elegante del piano di sopra.

Scusatemi, lo so che per voi non cambierà nulla, ma volevo avvisarvi che oggi verranno a pranzo anche il braccio destro dell’Amministratore Delegato insieme ad un membro dell’Organo Ispettivo di controllo. E vedo che al banco manca qualcuno”.

Stai tranquillo, vado io”, mi anticipò Gianni dandomi una pacca sulla spalla.

Io proseguii in cucina. Il tempo sembrava non passare mai tra quegli effluvi ed il calore dei fornelli, e in grossi tegami affidavo in continuazione a Maria i cibi da me cucinati come per sfamare un esercito, quasi che i fornelli fossero magici e così pure la dispensa, in cui trovavo in sufficiente quantità tutti gli ingredienti, anche i più strani, che mi veniva in mente di utilizzare.

A un certo punto guardai in sala mensa e mi presi una piccola pausa vedendo che, pur essendoci in fila ancora un consistente numero di persone da servire, , la situazione delle vivande era tranquilla ed abbondante anche più del necessario. Là in un tavolo vidi alcuni signori che stavano chiacchierando e, vedendomi, mi parve che dicessero qualcosa su di me. Non so da cosa avessi intuito che tra di loro c’erano il braccio destro dell’Amministratore Delegato ed un membro dell’Organo Ispettivo, ma ad un tratto uno di quel gruppo si alzò da tavola e si diresse verso di me.

Fui preso dal panico. Da un lato volevo tornare in cucina per non farmi vedere inattivo; dall’altro era sempre più evidente che quell’uomo veniva da me, e sarebbe sembrato scortese allontanarmi.

Mi scusi, è lei il cuoco, vero?”

Se intende dire chi ha cucinato oggi tutto questo allora sì, sono io.”

Quel signore là in fondo desidererebbe parlare un attimo con lei.”

Mi pulii meglio le mani e mi sistemai il grembiule, dovendo presentarmi a gente vestita in modo davvero elegante; ma continuai a rimanere nel panico, nel timore di quello che avrebbero potuto dirmi.

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