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Scherzi Da Adulti
Ci pensai un attimo, poi mi venne di dire: “Alberto, l'uomo esperto.”
“Bravo Alberto. Stavo giusto pensando che mi servirebbe qualcuno che mi sistemasse la serranda, per evitare che i vicini mi guardino dentro casa; e anche il rubinetto del bagno, che perde. Quel gocciolio continuo … proprio non mi fa dormire!”
“E' per questo che non dormi? Stai scherzando, spero! Io stavo giusto pensando che potrei fare un salto da te … magari per provare a sistemarti il rubinetto.”
“Ehi! Piano, piano. Chi mi dice che possa fidarmi di te, e farti entrare in casa. Non ci conosciamo neanche. Dimmi: sei un bravo ragazzo?”
“Un po' si e un po' no. Che cosa intendi di preciso?”
“Intendo: non è che hai una moglie, una fidanzata o una ragazza che poi le dici che di notte frequenti un'altra donna, si ingelosisce e mi concia per le feste? Perché l'ultima cosa che vorrei è far del male a una povera ragazza innocente.”
“Saresti tu la povera ragazza innocente? E dei poveri ragazzi indifesi non ti importa niente? Beh, decidi tu. In fondo sei la donna gatta, dovresti anche sapere come difenderti. Ma un modo per conoscerci meglio penso che dovremmo trovarlo. Ho detto che sono un bravo ragazzo si e no perché una ragazza ce l'ho, ma nel mondo di giorno. Il mio mondo notturno è totalmente un'altra faccenda, è completamente separato. Il mio io di giorno è del tutto distinto da quello di notte, che invece è da solo come un cane. Un po' come dottor Jekyll …”. “No, questo era meglio se non lo dicevo”, riflettei ad alta voce.
”Ecco, appunto. Te lo ricordi quel signore come si trasformava di notte? Comunque apprezzo la tua sincerità. E non mi dispiace neanche il fatto che non sia troppo un bravo ragazzo. Penso che potresti venire, se ti va.”
Sorrisi, soddisfatto. “Devo portare qualche altra cosa, oltre alla chiave inglese e agli attrezzi da idraulico? Voglio dire: se volessimo farci due spaghetti aglio e olio sei attrezzata?”
“Piuttosto se hai qualche gioco di società portalo. Qualcuno ce l'ho anch'io, ma così per cambiare. Abbiamo ancora un po' di ore davanti, prima che sorga il sole”, disse con una voce distorta, che faceva pensare a vampiri, lupi mannari, al dottor Jekyll e mister Hyde.
Mi diede le indicazioni per raggiungere il suo appartamento, e ci salutammo.
Appena chiusa la conversazione mi cadde l'occhio giù nella chiostrina. Con una certa sorpresa, notai che sul terrazzo del primo piano c'era ancora una cosetta chiara che sembrava proprio il mio foglio di carta appallottolato.
Misi in un sacchetto un mazzo di carte e la scatola di una specie di vecchio gioco dell'oca. Ci infilai anche il vasetto col peperoncino, per gli spaghetti; e anche perché dicono che sia afrodisiaco. In fondo stavo andando in piena notte a casa di una donna, forse sola, a giocare a fare l'idraulico, e si sa la fama che hanno gli idraulici. Ci avevo pensato infilando nel mio sacchetto una spugnetta e una chiave inglese, non perché la sapessi usare ma più per riderci su, e un po' come portafortuna, così come per scaramanzia mi infilai nella tasca il famoso preservativo regalatomi per burla da un amico due compleanni prima.
Mi vestii da giorno e uscii di casa. Che cosa strana! Non mi era mai successo di farlo, così in piena notte, e di avventurarmi per il mondo addormentato e silenzioso. Confesso che avevo quasi un po' paura, e che nonostante il tragitto fosse breve mi sentii sollevato quando, in risposta all'aver suonato al citofono da lei indicatomi, il portone si aprì.
Anche maggior sollievo ebbi quando mi venne ad aprire la porta, liberandola da diverse mandate di chiavi.
“Ciao”, le dissi sorridendo, “che piacere!”
“Accomodati”.
“Ma non sei affatto racchia come dicevi!”
“Non ti azzardare a darmi della racchia. Nessuno può chiamarmi in quel modo, a parte me naturalmente. Comunque … racchia no, ma nanerottola si.”
La osservai con attenzione dal di dietro, e lo trovai decisamente un bel guardare, mentre la sua piccola persona, in una vestaglia beige stretta solo alla vita, mi faceva strada nel piccolo appartamento.
“Ma allora perché racchia90?”, non potei fare a meno di chiederle.
“Quelli delle chat, soprattutto di notte, tendono a lasciarsi andare nel linguaggio a maialate insopportabili, da maniaci sessuali, intendo dire. In questo modo sono molto scoraggiati: più che se mi faccio passassi per maschio, ho fatto caso.”
”E il novanta sarebbe la tua data di nascita?”
“Naturalmente no. E' una delle mie misure. perché? Dall'aspetto ti sembro per caso maggiorenne?”
Si, mi sembrava, seppur molto giovane e giovanile; ma non glielo dissi temendo che ci potesse rimanere male. Strano, pensai. In genere le minorenni cercano di farsi credere più grandi. Rimasi un po' turbato ricordandomi di alcuni personaggi importanti che avevano passato guai per aver avuto relazioni con minorenni, anche consenzienti, pensandole adulte.
“E tu abiti qui da sola?”, le chiesi.
“Si, tutta sola.”
“Strano che una bambina abiti da sola. Ma in tal caso, voglio dire se veramente sei minorenne, credo che per me sarebbe meglio togliere il disturbo.”
“Stavo scherzando, sulla mia età. Volevo solo vedere che faccia facevi. E avresti dovuto vederla anche tu, ne valeva la pena. Comunque te la sei cavata discretamente.”
“Però adesso me lo devi dimostrare che sei maggiorenne, altrimenti vado via”, le dissi. E fui irremovibile nella mia posizione tanto che lei, anche se un po' seccata, alla fine mi fece vedere un suo documento. Ne fui doppiamente contento: per la sua età, ma soprattutto perché era chiaro che ci teneva che restassi.
“Allora, cosa vogliamo fare?”, mi chiese.
“Chiacchieriamo un po'. La notte è lunga, e non sappiamo ancora quasi nulla l'uno dell'altro”, le dissi. Anche se in realtà avrei preferito trastullarmi con lei in altro modo, non mi andava che mi scambiasse per uno di quei quasi maniaci sessuali delle chat. Ma forse in fondo non ero molto diverso da loro; solo che ora avevo buone e concrete possibilità di successo, e assolutamente non le volevo sprecare in modo banale.
“Ma davvero non dormi per colpa di un rubinetto che gocciola?”, le chiesi incuriosito.
“Ma no. Non dormo perché non dormo, anche se il rubinetto qualche problema ce l'ha: dicevo per scherzare. Ma ormai è tantissimo che non dormo.”
“Allora questa potevo non portarla”. Le feci vedere la chiave inglese, e lei si mise a ridere.
“Non dormi niente niente niente?”, continuai. “ A me ogni tanto capita di mettermi seduto in poltrona, chiudere gli occhi e di riuscire a schiacciare un pisolino. Un quarto d'ora, magari una mezz'oretta. Ci hai provato?”
“No. Non ho sonno e non mi va di chiudere gli occhi. Mi sembra di buttare il tempo inutilmente, anche se in realtà non ho niente di importante da fare.”
“Ma ne hai parlato con uno specialista?”
“No, perché? Diciamo che non lo sento un fastidio, una malattia per cui farmi visitare apposta spendendo un sacco di soldi. Ho sempre dormito pochissimo, ormai ci sono abituata. Quando è capitato ne ho parlato col mio medico che mi ha indicato dei rimedi stupidi: naturali, come dice lui, ma inefficaci. Solo una perdita di tempo e soldi. Ne ho provati un paio, poi mi sono stufata.”
“Hai provato con l'attività sportiva? Magari una bella doccia o un bel bagno ogni sera, molto caldo o molto freddo.”
Mentre parlavo fui fortemente distratto da alcuni suoi movimenti e dalle loro conseguenze. Allentandosi la cinta della vestaglia, e dandosi una scrollatina alle spalle, dalla scollatura fecero capolino e bella mostra di sé il suo reggiseno e le ampie e morbide forme che esso conteneva. Rimasi quasi senza fiato, doppiamente sorpreso: dalla scarica ormonale che ne subii e dal fatto che, mi era sembrato evidente, questa manovra non era stata affatto casuale. Mi fu veramente difficile mantenere il filo del discorso.
“Una sauna, un bagno turco” riuscii a continuare. “Alle volte uno stress termico o fisico può funzionare.”, le suggerii.
“Qualche volta mi è successo. Lo stress, come dici tu, mi porta stanchezza e sonnolenza, ma a quel punto sto peggio del solito.”
“Con me hanno un certo effetto anche …”, lo dissi con un certo imbarazzo, “ … i film pornografici.”
“Ah, si. Qualche volta è capitato anche a me di vederli. Veramente noiosi. Peggio ancora le corse delle moto o delle macchine. Ma non sono mai riuscita a non cambiare canale.”
“Beh, da un punto di vista economico dovresti approfittarne di questa tua insonnia. Non so che cosa fai nella vita, ma le attività svolte di notte, oltre ad essere sempre molto richieste, vengono normalmente pagate molto di più delle stesse svolte di giorno. Dico per esempio rispondere al telefono, oppure … ”
Nel frattempo lei sembrava essere diventata irrequieta. Non riusciva quasi a stare ferma sulla sedia di fianco alla mia.
“Mamma mia, ma che chiacchierone che sei”, mi disse. “Ma non la smetti mai di parlare? Vediamo un po' se riesco a trovare il modo per farti stare un po' zitto.”
Mi allungò il braccio attorno al collo, avvicinando la mia testa alla sua e tappandomi la bocca con un bacio che sembrava volermi impedire anche di respirare. Io dapprima rimasi quasi paralizzato, poi mi rilassai e mi lasciai andare.
“Finalmente”, mi disse. “Sapevo che non tutti sono affamati come quelli delle mie chat, ma tu mi stavi facendo venire il dubbio che fossi dell'altra sponda.” Si sistemò sopra le mie ginocchia sulla mia stessa sedia, e di nuovo mi richiuse la bocca con la sua, dopo avermi lasciato il tempo solo per un respiro profondo.
Ci baciammo a lungo. Io provai la strana sensazione di perdere il contatto col mio cervello, con la testa che si svuotava di qualunque pensiero.
“Vogliamo metterci più comodi? Che ne dici se ci spostiamo sulla poltrona?”, mi propose.
In effetti, appena terminato l'effetto drogante e anestetico dei suoi baci e del suo corpo tra le mie mani, mi resi conto che avevo le ossa un po' ammaccate e doloranti per il suo peso e per la scomoda posizione.
Mi fece alzare prendendomi per il colletto e mi spinse sulla poltrona che però, avendo i braccioli ed essendo ingombra di non so cosa, non si preannunciava neanch'essa il massimo della comodità per due persone.
“Ma un letto in questa casa non ce l'hai?”, feci in tempo a chiedere prima che, ricominciando coi suoi meravigliosi baci, potesse nuovamente farmi perdere l'uso della ragione.
“Si, giusto. Un letto ce l'avrei, anche se non lo uso mai. Potrebbe essere ingombro di pupazzi ed altre cianfrusaglie, ma dovrebbe essere più comodo. Un attimo e vado a sistemarlo.”
Feci per seguirla, ma lei si fermò un attimo a raccogliere le idee, e mi fermò.
“Aspetta qui un momento, bambolotto”, mi disse. “Dammi qualche minuto per indossare la biancheria intima e la camicia da notte più sexy che ho. Sono sicuro che la troverai una buona idea”, aggiunse facendomi l'occhiolino
Fece per andare nell'altra camera, ma fu bloccata da un altro pensiero. “Dimenticavo”, disse ancora.
Andò verso la porta di casa e la chiuse con un paio di mandate, facendomi vedere che si portava dietro la chiave. “Non si sa mai che ti venissero in mente strane idee”, aggiunse. “Ti do una voce io quando sono pronta”.
“Va bene, ma non ce n'era bisogno: ho tutt'altre intenzioni che scappare. Nel frattempo vado un momento in bagno, se non ti dispiace”.
Quando ne uscii, cercai di sbirciare dalla porta socchiusa della sua stanza, ma non osai affacciarmici. Tornai ad aspettare sulla poltrona, fiducioso sull'inevitabilità di quanto stava per accadere. Ma l'attesa, in sala d'aspetto, si protrasse più di quanto avevo immaginato, e conoscendo il suo senso dell'umorismo e la sua voglia di scherzare cominciai ad avere qualche timore.
“Novanta”, la chiamai, poiché mi sfuggiva il suo vero nome ma non osavo utilizzare il suo pseudonimo completo che conteneva la parola racchia.
“Novanta sessanta novanta, ci sei?”, la chiamai scherzosamente.
Aprii leggermente la porta della sua stanza.
Per terra e su una sedia pupazzi quaderni e vestiti disordinatamente. Lei sdraiata sul letto in camicia da notte di seta, in parte semi trasparente. Era bellissima, a dir poco.
Era bellissima soprattutto così, serenamente addormentata. Mi fece pensare alle principesse delle favole. Alla bella addormentata nel bosco, innanzitutto, e a Biancaneve, tanto era bella e avevo voglia di baciarla. Ma al contrario del Principe Azzurro non lo feci, temendo che avrei potuto svegliarla e magari farle perdere la sua bellezza; e soprattutto considerando da quanto tempo non dormiva.
Peccato, una fantastica occasione sprecata. Ma ero comunque felice pensando che, se ora stava dormendo, forse era in parte merito mio. Mi ero fatto l'idea che la sua insonnia fosse dovuta ala mancanza totale di anche solo un briciolo di vero amore – o, forse, chissà: sarebbe stato sufficiente che si sdraiasse prima.
La chiamai di nuovo, ma a bassa voce, nel caso mi stesse facendo uno scherzo; ma il suo respiro era pesante, per poco non russava, e la bocca semiaperta. No, non stava fingendo.
Cercai la chiave di casa per uscire, e la trovai quasi subito. Più difficile fu trovare un foglio bianco ed una penna che scrivesse.
“Grazie per la bellissima serata, davvero. Sei meravigliosa, non solo quando baci ma anche quando dormi. E complimenti per la tua tenuta sexy. Di certo non potrò fare a meno di pensarti anche quando si farà giorno.
Hai il mio numero, se ti va ci vediamo un'altra volta.”
Rientrando, con le ossa ancora dolenti, chissà perché un'associazione di idee mi fece venire in mente anche la favola della principessa sul pisello; ma soprattutto considerai che i miei amuleti - la chiave inglese, il preservativo ed il peperoncino – avevano funzionato perfettamente facendomi passare una bellissima serata, anche se qualcuno al posto mio avrebbe potuto non pensarla allo stesso modo.
LA ROSCIA
La Roscia lavorava al reparto Contabilità, al piano di sopra. Era una di quelle ragazze che non passano inosservate, non solo per il colore dei capelli ma anche per l’abbigliamento, sempre elegante ma sportivo, in perfetto accordo con la sua linea sottile; per i suoi movimenti veloci e la giovanilità del suo sorriso, distribuito a tutti con abbondanza.
Poiché la sua fama arrivava prima di lei, i neo-assunti erano sempre molto curiosi di conoscerla, ed in genere non ne rimanevano delusi. Si diceva che avesse sacrificato la famiglia alla carriera. Non che avesse famiglia, anzi. Aveva rinunciato a farsi una famiglia per amore dell’azienda, o meglio dei dipendenti dell’azienda, uno dopo l’altro, a turno. Preferibilmente di livello alto, anche se talvolta si veniva a sapere di qualche “miracolato” di gerarchia inferiore, il che la rendeva ancora più umana e desiderabile, alimentando le speranze di tutti.
Io la conoscevo (e apprezzavo) solo di fama e di vista, come del resto la maggior parte di noi. Poi successe che nel suo stesso reparto fu assunta anche Giuditta, che dopo non molto tempo divenne prima la mia fidanzata e poi mia moglie.
Accadde in ufficio, tra una baraonda di colleghi ciascuno moralmente obbligato a porgere un breve augurio ai festeggiati, durante il rinfresco che organizzammo per il matrimonio. Ricordo il momento in cui la Roscia mi si avvicinò. Passò sicuramente inosservato a mia moglie, che non mi fece mai alcun accenno a quel bacio dato con un po’ troppa passione rispetto a quanto si conviene a un bacio dato a un giovane in procinto di sposarsi con un’altra. (O forse Giuditta lo considerò come un’ultima licenza da scapolo, tipo “addio al celibato”). Notarono l’episodio alcuni colleghi, che mi riempirono poi di battutine allusive e piene di malcelata invidia; ma le parole che lo precedettero penso che non le abbia sentite nessuno fuorché io.
“Sembri il tipo che una volta sposato diventa un marito fedele per sempre. Peccato non esserci conosciuti prima, visto che dopo tutto sei anche un bel ragazzo: ma stai sicuro che da parte mia farò di tutto per rimediare.”
In quel momento mi sentivo quasi d’accordo con lei, che era un vero peccato non averla conosciuta prima.
La vita matrimoniale era molto bella e diversa da quella da scapolo. Tante nuove soddisfazioni e meno problemi, nuovi anch’essi.
Uno di questi poteva essere la Roscia. Continuai ad intravvederla di rado per i corridoi così come accadeva prima, ma stavolta, invece di seguirla con gli occhi, cercavo di evitare il suo sguardo sempre ammiccante e malizioso. Solo quando la incontravo insieme a mia moglie, la qual cosa stranamente succedeva ormai sempre più spesso, non potevo fare a meno di salutarla.
Poi un giorno non riuscii a schivare un incontro a tu per tu con lei, da soli in ascensore. Entrò proprio mentre le porte si stavano chiudendo, così all’improvviso che non potei scappare. Quando le porte furono chiuse, iniziò sorridente:
“Eccolo qua un marito modello, a quel che dicono. Io sono fermamente convinta che tu saresti anche il padre ideale che qualunque donna vorrebbe avere per i suoi figli.”
Mi chiedevo dove volesse arrivare.
L’ascensore sembrava impiegare più tempo del previsto. Avevo già maturato la sensazione che la Roscia fosse una specie di strega, per cui mi sembrava possibile che fosse anche riuscita a fermare il tempo.
“Però bisogna essere più aperti nei confronti degli altri. In fondo oggigiorno avere un’amante non è più un fatto così disdicevole.”
Accompagnò il suo “Ti consiglio di farci un pensierino” con un occhiolino ammiccante e con un gesto con cui faceva scivolare la spallina in modo alquanto sexy.
Solo allora realizzai che con l’altra mano stava ancora tenendo schiacciato il tasto di blocco dell’ascensore. Reagii bruscamente e con decisione, forse più al raggiro che alla provocazione, puntando alla pulsantiera. “Se questo ascensore non riparte subito e se non la finisci con le tue ciance, dovrò suonare l’allarme.”
Lei intimorita si risistemò e tornò seria, facendo riaprire la porta dell’ascensore a destinazione.
Io uscii deciso, facendomi largo sul pianerottolo tra altri colleghi in attesa, che mi parvero sorpresi.
Cominciai a preoccuparmi della familiarità che Giuditta stava prendendo con la Roscia. Pensavo che questa fosse un’altra subdola astuzia di strega per arrivare a me e rovinarmi il matrimonio.
“Tu sai che nomea si è fatta la Roscia in ufficio per attività extra-lavorative, vero? Io ho paura che frequentarla troppo potrebbe farti prendere qualche brutta abitudine, o potrebbe nuocere alla nostra reputazione”, dissi a mia moglie.
Lei mi rassicurò con un bacio affettuoso. “Non temere, non prenderò nessuna delle brutte abitudini a cui alludi. Di me ti puoi fidare, stai tranquillo.”
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