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First Italian Readings
Fu portata a casa delle due sorelle, le quali fecero ogni sforzo possibile per far entrare il piede in quella scarpa: ma non ci fu modo.
Cenerentola, che stava a guardarle e che aveva riconosciuta la scarpina, disse loro:
–Voglio vedere anch'io se mi va bene!—
Le sorelle si misero a ridere e a canzonarla.
Il gentiluomo incaricato di far la prova della scarpa, avendo posato gli occhi addosso a Cenerentola e parendogli molto bella, disse che era giustissimo, e che egli aveva l'ordine di provar la scarpa a tutte le fanciulle.
Fece sedere Cenerentola, e avvicinando la scarpa al suo piedino, vide che c'entrava senz'ombra di fatica e che calzava proprio come un guanto.
Lo stupore delle due sorelle fu grande, ma crebbe del doppio, quando Cenerentola cavò fuori di tasca l'altra scarpina e se la infilò in quell'altro piede.
In codesto punto arrivò la Comare, la quale, dato un colpo di bacchetta ai vestiti di Cenerentola, li fece diventare assai più sfarzosi, che non50 fossero stati mai.
Allora le due sorelle riconobbero in essa la bella signora veduta al ballo; e si gettarono ai suoi piedi per chiederle perdono dei mali trattamenti che le avevano fatto patire.
Cenerentola le fece alzare, e disse, abbracciandole, che perdonava loro di cuore, e che le pregava ad amarla sempre e dimolto.
Vestita com'era, fu condotta dal Principe, al quale parve più bella di tutte le altre volte, e dopo pochi giorni la sposò.
Cenerentola, buona figliuola quanto bella, fece dare un quartiere alle sue sorelle, e le maritò il giorno stesso a due gentiluomini della corte.
CHARLES PERRAULT.Voltato in italiano da C. Collodi.
III.
IL PICCOLO PATRIOTTA PADOVANO
UN piroscafo francese partì da Barcellona, città della Spagna, per Genova; e c'erano a bordo francesi, italiani, spagnuoli, svizzeri. C'era, fra gli altri, un ragazzo di undici anni, mal vestito, solo, che se ne stava sempre in disparte, come un animale selvatico, guardando tutti con l'occhio torvo. E aveva ben ragione di guardare tutti con l'occhio torvo. Due anni prima, suo padre e sua madre, contadini nei dintorni di Padova, l'avevano venduto al capo d'una compagnia di saltimbanchi; il quale, dopo avergli insegnato a fare i giochi a furia di pugni, di calci e di digiuni, se l'era portato a traverso alla Francia e alla Spagna, picchiandolo sempre e non sfamandolo mai. Arrivato a Barcellona, non potendo più reggere alle percosse e alla fame, ridotto in uno stato da far pietà, era fuggito dal suo aguzzino, e corso a chieder protezione al Console d'Italia; il quale, impietosito, l'aveva imbarcato su quel piroscafo, dandogli una lettera per il Questore di Genova, che doveva rimandarlo ai suoi parenti; ai parenti che l'avevan venduto come una bestia.
Il povero ragazzo era lacero e malaticcio. Gli avevan dato una cabina nella seconda classe. Tutti lo guardavano; qualcuno lo interrogava: ma egli non rispondeva, e pareva che odiasse e disprezzasse tutti, tanto l'avevano inasprito e intristito le privazioni e le busse. Tre viaggiatori, non di meno, a forza d'insistere con le domande, riuscirono a fargli snodare la lingua, e in poche parole rozze, miste di veneto, di spagnuolo e di francese, egli raccontò la sua storia. Non erano italiani quei tre viaggiatori; ma capirono, e un poco per compassione, un poco perchè eccitati dal vino, gli diedero dei soldi, celiando e stuzzicandolo perchè raccontasse altre cose; ed essendo entrate nella sala, in quel momento, alcune signore, tutti e tre, per farsi vedere,51 gli diedero ancora del denaro, gridando:—Piglia questo!—Piglia quest'altro!—e facendo sonar le monete sulla tavola. Il ragazzo intascò ogni cosa, ringraziando a mezza voce, col suo fare burbero, ma con uno sguardo per la prima volta sorridente e affettuoso. Poi s'arrampicò nella sua cabina, tirò la tenda, e stette queto, pensando ai fatti suoi. Con quei danari poteva assaggiare qualche buon boccone a bordo, dopo due anni che stentava il pane; poteva comprarsi una giacchetta, appena sbarcato a Genova, dopo due anni che andava vestito di cenci: e poteva anche, portandoli a casa, farsi accogliere da suo padre e da sua madre un poco più umanamente che non l'avrebbero accolto se fosse arrivato con le tasche vuote. Erano una piccola fortuna per lui quei denari. E a questo egli pensava, racconsolato, dietro la tenda della sua cabina, mentre i tre viaggiatori discorrevano, seduti alla tavola da pranzo, in mezzo alla sala della seconda classe. Bevevano e discorrevano dei loro viaggi e dei paesi che avevan veduti, e di discorso in discorso,52 vennero a ragionare dell'Italia. Cominciò uno a lagnarsi degli alberghi, un altro delle strade ferrate, e poi tutti insieme, infervorandosi, presero a dir male d'ogni cosa. Uno avrebbe preferito di viaggiare in Lapponia; un altro diceva di non aver trovato in Italia che truffatori e briganti; il terzo, che gl'impiegati italiani non sanno leggere.—Un popolo ignorante,—ripetè il primo.—Sudicio,—aggiunse il secondo.—La…—esclamò il terzo: e voleva dir ladro, ma non potè finir la parola: una tempesta di soldi e di mezze lire si rovesciò sulle loro teste e sulle loro spalle, e saltellò sul tavolo e sull'impiantito con un fracasso d'inferno.53 Tutti e tre s'alzarono furiosi, guardando all'in su, e ricevettero ancora una manata di soldi sulla faccia.—Ripigliatevi i vostri soldi,—disse con disprezzo il ragazzo, affacciato fuor della tenda della cabina;—io non accetto l'elemosina da chi insulta il mio paese.
EDMONDO DE AMICIS.IV.
LA PICCOLA VEDETTA LOMBARDA
NEL 1859, durante la guerra per la liberazione della Lombardia, pochi giorni dopo la battaglia di Solferino e San Martino,54 vinta dai Francesi e dagli Italiani contro gli Austriaci, in una bella mattinata del mese di giugno, un piccolo drappello di cavalleggieri di Saluzzo55 andava di lento passo, per un sentiero solitario, verso il nemico, esplorando attentamente la campagna. Guidavano il drappello un ufficiale e un sergente, e tutti guardavano lontano, davanti a sè, con occhio fisso, muti, preparati a veder da un momento all'altro biancheggiare fra gli alberi le divise degli avamposti nemici. Arrivarono così a una casetta rustica, circondata di frassini, davanti alla quale se ne stava tutto solo un ragazzo d'una dozzina d'anni, che scortecciava un piccolo ramo con un coltello, per farsene un bastoncino: da una finestra della casa spenzolava una larga bandiera tricolore: dentro non c'era nessuno: i contadini, messa fuori la bandiera, erano scappati, per paura degli Austriaci. Appena visti i cavalleggieri, il ragazzo buttò via il bastone e si levò il berretto. Era un bel ragazzo, di viso ardito, con gli occhi grandi e celesti, coi capelli biondi e lunghi: era in maniche di camicia, e mostrava il petto nudo.
–Che fai qui?—gli domandò l'ufficiale, fermando il cavallo.—Perchè non sei fuggito con la tua famiglia?
–Io non ho famiglia,—rispose il ragazzo.—Sono un trovatello. Lavoro un po' per tutti. Son rimasto qui per veder la guerra.
–Hai visto passar degli Austriaci?
–No, da tre giorni.
L'ufficiale stette un poco pensando; poi saltò giù da cavallo, e lasciati i soldati lì, rivolti verso il nemico, entrò nella casa e salì sul tetto.... La casa era bassa; dal tetto non si vedeva che un piccolo tratto di campagna.—Bisogna salir sugli alberi,—disse l'ufficiale, e discese. Proprio davanti all'aia si drizzava un frassino altissimo e sottile, che dondolava la vetta nell'azzurro. L'ufficiale rimase un po' sopra pensiero, guardando ora l'albero ora i soldati; poi tutt'a un tratto domandò al ragazzo:
–Hai buona vista, tu, monello?
–Io?—rispose il ragazzo.—Io vedo un passerotto lontano un miglio.
–Saresti buono a salire in cima a quell'albero?
–In cima a quell'albero? io? In mezzo minuto ci salgo.
–E sapresti dirmi quello che vedi di lassù, se c'è soldati austriaci da quella parte, nuvoli di polvere, fucili che luccicano, cavalli?
–Sicuro che saprei.
–Che cosa vuoi per farmi questo servizio?
–Che cosa voglio?—disse il ragazzo sorridendo.—Niente. Bella cosa!56 E poi… se fosse per i tedeschi, a nessun patto; ma per i nostri! Io sono lombardo.
–Bene. Va su dunque.
–Un momento, che mi levi le scarpe.
Si levò le scarpe, si strinse la cinghia dei calzoni, buttò nell'erba il berretto e abbracciò il tronco del frassino.
–Ma bada…—esclamò l'uffiziale, facendo l'atto di trattenerlo, come preso da un timore improvviso.
Il ragazzo si voltò a guardarlo, coi suoi begli occhi celesti, in atto interrogativo.
–Niente,—disse l'uffiziale;—va su.
Il ragazzo andò su, come un gatto.
–Guardate davanti a voi,—gridò l'uffiziale ai soldati.
In pochi momenti il ragazzo fu sulla cima dell'albero, avviticchiato al fusto, con le gambe fra le foglie, ma col busto scoperto, e il sole gli batteva sul capo biondo, che pareva d'oro. L'uffiziale lo vedeva appena, tanto era piccino lassù.
–Guarda dritto e lontano,—gridò l'uffiziale.
Il ragazzo, per veder meglio, staccò la mano destra dall'albero e se la mise alla fronte.
–Che cosa vedi?—domandò l'uffiziale.
Il ragazzo chinò il viso verso di lui, e facendosi portavoce della mano, rispose:—Due uomini a cavallo, sulla strada bianca.
–A che distanza di qui?
–Mezzo miglio.
–Movono?
–Son fermi.
–Che altro vedi?—domandò l'uffiziale, dopo un momento di silenzio.—Guarda a destra.
Il ragazzo guardò a destra.
Poi disse:—Vicino al cimitero, tra gli alberi, c'è qualche cosa che luccica. Paiono baionette.
–Vedi gente?
–No. Saran57 nascosti nel grano.
In quel momento un fischio di palla acutissimo passò alto per l'aria e andò a morire lontano dietro alla casa.
–Scendi, ragazzo!—gridò l'ufficiale.—T'han visto. Non voglio altro. Vien giù.
–Io non ho paura,—rispose il ragazzo.
–Scendi…—ripetè l'uffiziale,—che altro vedi, a sinistra?
–A sinistra?
–Sì, a sinistra.
Il ragazzo sporse il capo a sinistra: in quel punto un altro fischio più acuto e più basso del primo tagliò l'aria.—Il ragazzo si riscosse tutto.—Accidenti!—esclamò.—L'hanno proprio con me!58—La palla gli era passata poco lontano.
–A basso!—gridò l'uffiziale, imperioso e irritato.
–Scendo subito,—rispose il ragazzo.—Ma l'albero mi ripara, non dubiti.59 A sinistra, vuole sapere?
–A sinistra,—rispose l'uffiziale;—ma scendi.
–A sinistra,—gridò il ragazzo, sporgendo il busto da quella parte,—dove c'è una cappella mi par di veder....
Un terzo fischio rabbioso passò in alto, e quasi ad un punto60 si vide il ragazzo venir giù, trattenendosi per un tratto al fusto ed ai rami, e poi precipitando a capo fitto colle braccia aperte.
–Maledizione!—gridò l'uffiziale, accorrendo.
Il ragazzo battè della schiena per terra e restò disteso con le braccia larghe, supino; un rigagnolo di sangue gli sgorgava dal petto, a sinistra. Il sergente e due soldati saltaron giù da cavallo; l'uffiziale si chinò e gli aprì la camicia: la palla gli era entrata nel polmone sinistro.—È morto!—esclamò l'uffiziale.—No, vive!—rispose il sergente.—Ah! povero ragazzo! bravo ragazzo!—gridò l'uffiziale;—coraggio! coraggio!—Ma mentre gli diceva coraggio e gli premeva il fazzoletto sulla ferita, il ragazzo stralunò gli occhi e abbandonò il capo; era morto. L'uffiziale impallidì, e lo guardò fisso un momento;—poi lo adagiò col capo sull'erba;—s'alzò, e stette a guardarlo;—anche il sergente e i due soldati, immobili, lo guardavano:—gli altri stavan rivolti verso il nemico.
–Povero ragazzo!—ripetè tristamente l'uffiziale.—Povero e bravo ragazzo!
Poi s'avvicinò alla casa, levò dalla finestra la bandiera tricolore, e la distese come un drappo funebre sul piccolo morto, lasciandogli il viso scoperto. Il sergente raccolse a fianco del morto le scarpe, il berretto, il bastoncino e il coltello.
Stettero ancora un momento silenziosi; poi l'ufficiale si rivolse al sergente e gli disse:—Lo manderemo a pigliare61 dall'ambulanza: è morto da soldato; lo seppelliranno i soldati.—Detto questo mandò un bacio al morto con un atto della mano e gridò:—A cavallo.—Tutti balzarono in sella, il drappello si riunì e riprese il suo cammino.
E poche ore dopo il piccolo morto ebbe i suoi onori di guerra.
Al tramontare del sole, tutta la linea degli avamposti italiani s'avanzava verso il nemico, e per lo stesso cammino stato percorso62 la mattina dal drappello di cavalleria, procedeva su due file un grosso battaglione di bersaglieri, il quale, pochi giorni innanzi, aveva valorosamente rigato di sangue il colle di San Martino. La notizia della morte del ragazzo era già corsa fra quei soldati prima che lasciassero gli accampamenti. Il sentiero, fiancheggiato da un rigagnolo, passava a pochi passi di distanza dalla casa. Quando i primi uffiziali del battaglione videro il piccolo cadavere disteso ai piedi del frassino e coperto dalla bandiera tricolore, lo salutarono con la sciabola; e uno di essi si chinò sopra la sponda del rigagnolo, ch'era tutta fiorita, strappò due fiori e glieli gettò. Allora tutti i bersaglieri, via via che passavano, strapparono dei fiori e li gettarono al morto. In pochi minuti il ragazzo fu coperto di fiori, e uffiziali e soldati gli mandavan tutti un saluto passando:—Bravo, piccolo lombardo!—Addio, ragazzo!—A te, biondino!—Evviva!—Gloria!—Addio!—Un uffiziale gli gettò la sua medaglia al valore, un altro andò a baciargli la fronte. E i fiori continuavano a piovergli sui piedi nudi, sul petto insanguinato, sul capo biondo. Ed egli se ne dormiva là nell'erba, ravvolto nella sua bandiera, col viso bianco e quasi sorridente, povero ragazzo, come se sentisse quei saluti, e fosse contento d'aver dato la vita per la sua Lombardia.
EDMONDO DE AMICIS.V.
SOTTO L'OMBRELLO
MANCAVANO ancora più di tre chilometri per arrivare alla villa quando cominciò a piovere.
La signora Susanna guardò in alto, allungò il braccio e ricevette le prime goccie sul dorso della mano e sulla faccia. Poi disse a suo nipote ch'era un ragazzo tra i quattordici e i quindici anni:—Ferruccio, va in due salti laggiù dalla63 vecchia Marta; ella avrà forse da prestarci un ombrello. Tu, Cecilia, resta qui.... Non faresti che inzaccherarti tutta.
In pari tempo la signora Susanna aperse il suo ombrellino e disse alla figliuola:—Finchè torna Ferruccio, vieni sotto anche tu. Non sarà un gran riparo, ma a qualche cosa servirà pure.—Però Cecilia rispose:—No, mamma, è inutile, in due non ci si sta.64
Ferruccio non tardò a ricomparire, seguito a pochi passi di distanza da una donna trafelata che teneva sotto il braccio un grande ombrellone rosso.
–Non sarebbe meglio che s'accomodassero da me per un quarto d'ora?—disse officiosamente la nuova arrivata.—Già questo tempaccio tanto non può durare.... Creda, signora, sarebbe meglio.... Se poi non vuole, eccole un ombrello.... Un ombrello da povera gente, ma non ho che questo.
–Grazie, Marta,—replicò con affabilità la signora Susanna.—Verrei da voi volontieri; ma è già tardi e il desinare ci aspetta. Accetto il vostro ombrello che vi farò avere più tardi. E grazie di nuovo.
Ferruccio e Cecilia ridevano fra di loro contemplando quell'ombrellone da curato che pareva dover proteggere sotto le sue ali un'intera famiglia.
–Tutti e tre a braccetto, tutti e tre a braccetto,—esclamò la ragazza battendo le mani.
–Nemmen per sogno,65 bimba che sei,—riprese la madre.—A te il mio parasole, Ferruccio terrà l'ombrellone e farà da cavaliere a me.
Queste disposizioni piacquero poco a' due cugini le cui facce si allungarono di alcuni centimetri. Ma la signora Susanna non se ne accorse, perchè in quel momento ella s'era voltata al rumore di una carrozza che si avvicinava.
Era la timonella del dottor Lonzi.
–Signora Mellini,—gridò il dottore fermando il cavallo e sporgendo la testa fuori del mantice alzato a metà,—vuol salire in timonella? Ho un posto disponibile.
–In verità,—rispose la signora Susanna,—se non credessi di farla deviare dal suo cammino, accetterei.
–Si figuri.... Passo anzi davanti alla sua villa. E in ogni caso.... Mi dispiace piuttosto di non potere offrire ospitalità a que' due signorini.
–I due signorini vanno a piedi,—disse Cecilia tutta contenta.
E restituendo alla madre l'ombrellino si ricoverò sotto l'ombrello rosso.
–Quella lì resterà una bimba sino all'estrema vecchiezza,—osservò la signora Susanna mentre, aiutata dal dottore, saliva in timonella. E continuò, rivolgendosi ai due ragazzi:—Mi raccomando di non far pazzie e di andar subito a casa. Ferruccio, tu sei il più giovine, ma sei anche il più savio. Abbi tu giudizio per tua cugina. Te l'affido.
Il dottore Lonzi scosse le redini sul collo al cavallo che si mise al trotto.
–Ha sentito?—disse con aria d'importanza Ferruccio.—È affidata a me. Dunque rispetto e soggezione.
–Oh!—esclamò Cecilia.—Che cavaliere formidabile! Con un buffetto lo getterei in fosso.
–Questa vorrei vederla,—replicò Ferruccio piccato.
–To', mi negheresti d'esser tre buone dita più basso di me?
–È una calunnia. Ci siamo forse misurati quest'autunno?
–Quest'autunno no, ma l'autunno passato.
–Qui sta il busillis.... In un anno io son cresciuto e tu no… almeno in altezza.
Quest'allusione alle curve nascenti di sua cugina parve a Ferruccio un'audacia immensa, ond'egli arrossi e chinò gli occhi a terra.
La ragazza rimase un momento in forse se doveva ridere o arrabbiarsi, e si contentò di borbottare fra i denti:—Sguaiato!
–Un altr'anno poi ce la conteremo,—soggiunse Ferruccio, lieto d'averla passata liscia.66
–A proposito di che ce la conteremo?
–Oh bella! A proposito della mia statura.
–Sicuro… diventerai il gigante Golia.... Ma andiamo, grullo, lo sai tenere o no quel famoso ombrello?
È innegabile che Ferruccio lo teneva piuttosto male, costretto com'era a camminare in punta di piedi per non parer meno alto della cugina. Per peggio tirava vento, e ogni tanto una raffica faceva piegare l'asta ora da una parte, ora dall'altra.
–Io faccio la doccia dal lato destro,—osservò Cecilia.
–E io dal lato sinistro.
–Vuoi lasciar provare a me?—disse la giovinetta.
–Lasciarti l'ombrello?
–Sì, per cinque minuti.
–Ma nemmen per sogno.
–Via, sii compiacente.
–Ti dico di no.
Ma Cecilia, ostinatella per indole, non voleva smettere e tentava di conquistare con la forza ciò ch'ella non poteva ottener colle buone.67 Tira di qua, tira di là, l'ombrello che non aveva le molle ben salde si chiuse a un tratto pigliando come in una trappola le teste dei due contendenti.
Quando poterono riaprirlo, Ferruccio aveva il cappello a sghimbescio e Cecilia era tutta arruffata; grondavano poi tutti e due come se fossero usciti allora da un bagno.
–Colpa tua,—gridò la ragazza.—Sgarbataccio!
–Ah colpa mia! Fosti tu che....
A questo punto però l'ilarità prese il sopravvento e i due cugini si guardarono in viso ridendo a più non posso.68
–Fu una bella capata.
–Eh, lo credo io. Debbo aver un bernoccolo sulla fronte.
–E anch'io qui....
–Povera cuginetta!—esclamò Ferruccio.
–Non rider così forte,—disse Cecilia fingendo un comico sgomento.—Se scuoti troppo l'ombrello, esso ne fa ancora una delle sue69 e torna a chiudersi.
–La gran disgrazia! Non si stava punto male lì sotto.
Anche questa volta Ferruccio credette d'essersi lasciata sfuggire una frase arrischiata anzichenò, e divenne rosso.
Cecilia gli lanciò un'occhiatina in cui c'era un fondo d'inconscia civetteria; poi, atteggiandosi a donna di proposito:—Orsù,—disse,—facciamo da gente soda il resto del cammino.
Ella passò di nuovo il braccio sotto a quello del suo cavaliere e gli si strinse addosso quanto più era possibile.—Così sarò al coperto con tutta la persona,—ella disse.
Ferruccio si sentiva intorno una specie d'inquietudine, un malessere non provato ancora; un malessere però così delizioso che in quel momento egli non l'avrebbe cambiato con nessuna cosa al mondo.
E Cecilia intanto, chinando verso di lui la leggiadra testina, gli parlava come non gli aveva parlato mai sino a quel giorno, come si parla, non già a un fanciullo che si prende per compagno di chiassi, ma a un giovinetto che può essere il confidente, l'amico.
A vedersi finalmente trattato da pari a pari da una ragazza che aveva quasi quindici anni e mezzo e ch'era bellina davvero, Ferruccio non capiva in sè dalla contentezza. Sulle prime era confuso, si impappinava, ma a poco a poco gli si sciolse lo scilinguagnolo e cominciò anch'egli a discorrere con un calore, con un'enfasi insolita.
Quante cose si dissero i due cugini sotto a quell'ombrello! Ricorsero i tempi dell'infanzia allorchè vivevano nella stessa città e passavano insieme molte ore della giornata, bisticciandosi spesso, tirandosi anche di tanto in tanto per i capelli, ma non potendo mai star divisi. Più tardi le famiglie erano andate ad abitar paesi diversi, e Cecilia e Ferruccio si rammentavano d'aver pianto dirottamente il giorno della separazione. Sì, certo, avevano pianto, avevano giurato di scriversi, ma poichè sapevano fare appena le aste, non c'era stato caso di mantener la promessa. Però Ferruccio era venuto sin da quell'autunno a passar le vacanze presso gli zii, e così negli autunni successivi. Era quella anche per Cecilia la più lieta stagione dell'anno. È vero, c'era stato un po' di raffreddamento quando Cecilia pareva voler diventare un campanile e Ferruccio invece non si decideva mai a crescere. Allora ella lo guardava proprio dall'alto al basso.70 Basta; ormai questa umiliazione era finita, e Cecilia riconosceva lealmente che Ferruccio non faceva punto una cattiva figura al suo fianco. Ma! Che peccato di non poter andar a braccetto tutto l'anno! Che peccato di non poter sempre confidarsi i pensieri intimi, i desiderii segreti, le piccole contrarietà della vita!
I due cugini sdrucciolavano nel patetico. Chi sa che cosa riserbava loro l'avvenire? Una serie di disinganni, una morte precoce forse… brr… l'idea sola faceva gelare il sangue.
–Non dirlo nemmeno, Cecilia,—esclamò Ferruccio.
–Ti dispiacerebbe davvero se io morissi?
–Oh che discorsi!—egli replicò fissandola con occhi umidi.
Ella, per risposta, gli premette dolcemente il braccio.
Questo dialogo sentimentale fu interrotto da una voce.
–Ehi, ragazzi, volete spicciarvi?
Era la signora Susanna la quale aspettava la figliuola presso la cancellata della villa ov' essi erano giunti senz'accorgersene.
–E adesso,—continuò la signora Susanna,—mi farete la grazia di spiegarmi perchè tenevate l'ombrello aperto? Son più di venti minuti che ha smesso di piovere.
–Ha smesso di piovere!—gridarono Cecilia e Ferruccio pieni di maraviglia.
–Ma sì.... Eravate nelle nuvole? Di Cecilia non mi stupisco; ella non sa mai dov' abbia la testa; ma tu, Ferruccio, vergogna! E in che stato siete! Col fango fin sopra i capelli! Su, presto, andate a mutarvi vestito, e poi subito a tavola. Tu, Ferruccio, consegna l'ombrello a Menico che lo riporti alla vecchia Marta. Già per quello che vi ha servito, si poteva fare a meno di prenderlo.71
–No, mamma, credilo, sotto quell'ombrello si stava benissimo,—disse Cecilia avviandosi a casa.
–Birichina!—le susurrò all'orecchio Ferruccio mettendosele al fianco.
ENRICO CASTELNUOVO.VI.
IL GIURATO
L'ISTITUZIONE dei giurati è un mistero come un altro. Più si studia e72 meno si arriva a capirlo.
Difatti, a che serve fare un corso intero di giurisprudenza, subire esami, addottorarsi, avvocatarsi e, cominciando dal primo gradino del pretore, salire su su fino a giudice o presidente della Corte, quando un bottegaio, un farmacista, un negoziante d' olio, un venditore di fiammiferi all'ingrosso, vengono in Tribunale a pigliare il posto del vero giudice, e il loro verdetto, quale e' si sia,73 decide sommariamente della sorte dell'imputato?
Mistero!…
Perchè si crede e si deve credere che dodici o quindici persone, sprovviste per il solito d' ogni studio legale e d' ogni pratica forense, debbano essere più competenti, in un dibattimento grave e spesso complicatissimo, a emettere un giudizio retto e spassionato, di quello che potrebbero esserlo gli stessi magistrati, largamente forniti di studi, di criteri e d' esperienza?
Mistero!…
E perchè, per la medesima ragione, dovendo giudicare della gravità di un caso chirurgico, invece di chiamare un professore dello Spedale o un altro valente operatore, non si chiama il lattaio, il calzolaio o il tappezziere di casa?