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Vivere La Vita
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Al letto per la seconda volta, scattavano sempre le sue misure di sorveglianza.

Non saprei dire se era perché mi dovevo arrendere per forza, oppure ad altro, ma ritornato al letto, ricordo le mie prime domande, dubbi, perplessità.

La mia domanda più grossa che e rimasta lì fresca e presente nella mia mente per tanto tempo era:

< Ma se non era con me nella cameretta, come fa a sapere se sono stato nel letto, il tempo giusto o di meno? >.

Arrivavano poi di corsa le altre domande, sorelle della prima:

< Come può se ho dormito oppure no? >

< Come può sapere se devo ancora dormire? >

Queste sono le mie prime domande di vita vissuta.

Le prime che ricordo.

Tutto capitava quando ero appena un po' più alto di uno sgabello di quelli attorno alla tavola della cucina, e tutto in casa era molto grande.

Cosi come grande mi sembrava mio padre.

Molto grande e molto forte, quasi un gigante.

Un gigante buono.

Quando mi prendeva tra le sue braccia, oppure veniva a giocare con me.

Mi piaceva moltissimo, ma ogni tanto, mi chiudevo un po', perché le sue mani forti e ruvide, mi facevano male sulla pelle.

Questo non diminuiva il mio desiderio di stare con lui.

Anzi, il desiderio era sempre più forte ogni volta, perché mi sentivo sicuro, protetto, ma soprattutto, con la certezza di avere un aiuto forte vicino a me.

Sempre pronto.

Un aiuto sempre pronto, come quando non riuscivo a salire sullo sgabello per sedermi a tavola in cucina, e per me sembrava lo sforzo più grande del mondo, ma la sua mano sul mio sederino, quando meno me lo aspettavo, mi dava una spinta così dolcemente forte che mi sembrava di volare.

Volevo stare sempre con lui.

In qualsiasi momento.

Come quando si faceva la barba e li restavo vicino nel bagno.

In piedi, sul coperchio del wc e dalla prima pennellata di schiuma che si metteva sulla faccia, e fino all'ultimo passaggio della macchinetta in qui metteva la lametta, non mi muovevo e non toglievo mai lo sguardo dal suo viso.

Osservavo con la più grande attenzione ed in silenzio assoluto, ogni movimento della sua mano.

Quasi non respiravo.

Sarei rimasto sempre con mio padre.

Non capivo perché non era possibile, non capivo perché ogni giorno ci lasciava ed andava via. Capivo ancora meno quando questo succedeva di sera e appena lui usciva di casa, noi tre, mia mamma, mio fratello ed io, andavamo a dormire.

Da soli.

Non comprendevo perché non restava a dormire con noi ed ancora meno, comprendevo quello che succedeva ogni volta, prima che lui andava via.

Eravamo tutti lì, nel’ ingresso, d'avanti alla porta di casa mentre si preparava, e prima di uscire, baciava me, poi mio fratello ed alla fine, mia mamma. Era una cosa tutta strana che non capivo.

Come un rito.

Ogni volta mi dava quattro baci.

In fronte, sulla bocca, su una guancia e poi sull'altra guancia.

In quei momenti, mi sembrava che fosse meno gigante del solito e non sapevo, non capivo il perché.

Ho capito poi, crescendo, che ogni volta usciva per andare a lavorare ed ogni volta ci baciava a tutti con il segno della croce.

Come se fosse per l'ultima volta che ci vedeva.

Infatti capitava molto spesso, troppo spesso che mariti e padri uscivano di casa per andare a lavorare e non tornavano mai più.

Era il prezzo che la miniera si faceva pagare.

Mi sono sempre sentito fortunato, privilegiato, perché il mio papà e sempre ritornato a casa, fino al giorno in qui non e più andato via.

Era arrivato il giorno della pensione.

Soltanto da quel giorno in poi, ho vissuto finalmente in totale tranquillità.

Quella tranquillità che ho sempre respirato in casa, come quando con le mie macchinine giocavo sui tappeti che coprivano il pavimento e passando indisturbato da una camera all'altra, facevo dei grandissimi viaggi conosciuti soltanto a me. Ricordo più di una volta le persone grandi della mia famiglia oppure ospiti, che per spostarsi all'interno della casa passavano con tanta attenzione sopra me, che in quel momento, mi trovavo sul loro cammino.

Nessuno mi ha mai disturbato.

Nessuno mi ha mai detto che stavo disturbando.

A viaggio finito, portavo sempre tutte le macchinine nel loro garage, al proprio posto.

Non erano tante.

Semplici, ma belle.

Il giusto di qui avevo bisogno per stare bene, e che non mi è mai mancato.

Il necessario non è mai mancato, e la convivenza nella famiglia andava avanti in modo molto naturale. Non si parlava tantissimo e sempre, ma quando si faceva, era in modo semplice ed essenziale.

Molto naturale.

Ci si capiva molto bene ed i risultati erano subito visibili.

Invece, erano molto più presenti e forse anche più importanti i gesti, gli esempi.

Da molto piccoli e semplici, ai più grandi che toccavano dal più profondo del proprio essere fino alla parte esterna. Ogni volta, subito dopo aver vissuto qualcuno di questi gesti, di questi esempi, mi sentivo più grande, più ricco ed anche più responsabile nei confronti dei miei famigliari.

Quasi tutto si faceva con i fatti, con tanti fatti.

Ogni volta, il risultato si vedeva subito, ed ognuno riusciva a trovare sempre il proprio posto, fare le sue cose e soprattutto rispettare gli altri in tutto e per tutto. Dai propri spazi nella vita vissuta in casa, alle cose materiali, facendo nascere e crescere sempre di più una convivenza molto equilibrata e pacifica.

Quei gesti mi hanno aiutato molto a non sentirmi fuori luogo, estraneo ed impacciato, nel giorno in qui ricordo la mia prima uscita, quando tenendo la mano di mia mamma, sono sceso di casa.

Uscendo dal portoncino d'ingresso del condominio ed appena varcata la soglia, ricordo che fuori c'era tantissima luce e che sul viso mi ha colpito dolcemente forte, un piacevole calore. Nelle orecchie ho sentito un boato molto forte, ma bello.

Erano le grida dei tantissimi bambini che giocavano.

In casa mi sembrava tutto molto grande, ma lì fuori era tutto gigantesco.

Sui due lati del marciapiede, subito prima dell'ingresso c'erano, una di fronte all'altra, due panchine di legno. Abbastanza lunghe, molto ampie e comode, verniciate di un bel colore verde.

Erano quasi piene tutte due di persone.

Più donne che uomini, e subito ero rimasto impressionato che tutti si avvicinavano a me. Volevano toccarmi, e quasi ognuno di loro mi stava chiedendo qualcosa. Non ho capito quasi nulla, ma mi chiedevo come facevano a conoscermi tutti.

Dietro le panchine, sui due lati e per tutta la lunghezza del condominio, c'erano dei giardini molto belli. La terra, tutta zappata era di un bel colore marrone scuro, con attorno una fascia di erba bassa, di un verde molto intenso.

Tutto era chiuso con una recinzione in ferro non alta e fatta di tante forme diverse tra di loro, colorata con dei colori vivi e molto belli.

L'interno dei giardini, era pieno di fiori ben ordinati, da molto piccoli e bassi, a più grossi ed abbastanza alti. Tutti fioriti ed i colori erano tanti e molto belli. Mi sembrava che qualcuno di quelli più alti e grossi, avevano anche un buon profumo.

L’ho sentito molto bene, quando con per mano mia mamma, abbiamo cominciato a passeggiare sul marciapiede vicino ai giardini ed in quei momenti, non sapevo a cosa fare più attenzione.

Dare più importanza.

Ai giardini da una parte, oppure a quello che vedevo da l'altra parte, perché la c'era una cosa impressionante. Una costruzione con tantissime finestre, che prendeva tutta la mia attenzione.

Un condominio gemello al nostro.

Sembrava vicino, ma era abbastanza lontano da poter lasciare lo spazio in mezzo, ad un campo che a me sembrava molto grosso. Su quel campo, in quel momento, in mezzo alla polvere sollevata da loro stessi, ed accompagnati da tantissime grida, un bel gruppo di ragazzi molto più grandi di me, correvano dietro ad un pallone.

Era il campo in terra rossa, dove poi crescendo, insieme ai miei amici del condominio, avrei giocato e vinto tante finali di "coppa del nostro mondo di calcio", contro le squadre di condomini vicini, o lontani nella città.

Mentre guardavo tutte queste cose, camminando insieme a mia mamma, con la mia mano nella sua mano, siamo arrivati alla fine del giardino. Li c'era una cosa ancora più bella di tutto quello che avevo visto prima. Un pezzo di terra, con l'erba alta, verde, piacevole, morbida e molto profumata. Lo so, perché appena arrivati, abbiamo lasciato il marciapiede e siamo entrati anche noi. La cosa ancora più bella e che nell'erba alta, c'erano non pochi bambini.

Tutti, della mia misura, della mia altezza.

Appena dentro, mia mamma, mi ha mollato la mano quasi spingendomi dolcemente verso quei bambini. Erano tutti insieme, radunati in un bel gruppetto, e sembrava che si conoscessero tra di loro.

Per me era la prima volta, oppure la prima volta che ricordo.

Molto bello, perché appena arrivato, non mi hanno respinto ed all'inizio, senza dire nulla, ma con dei gesti, mi hanno permesso di avvicinarmi e di stare con loro. Appena vicino, hanno cominciato anche a parlarmi, ma purtroppo lo facevano tutti insieme e non capivo nulla. Quello che ho capito molto bene e che erano di due categorie, perché c'erano quelli che in mano avevano una macchinina, oppure altri giochi che anch'io conoscevo, e c'erano quelli che avevano una specie di bambino molto, molto piccolo e morbido.

Era per la prima volta che vedevo delle cose così.

Quelli con il bambino morbido avevano anche i capelli più lungi.

Erano le femminucce, con le loro bamboline.

La cosa molto bella e che quasi ognuno di loro, maschietti e femminucce, mi voleva dare quello che aveva in mano, e mi sono subito sentito così bene insieme a loro, da non ricordare neanche più della presenza di mia madre.

Infatti, le persone grandi erano non molto lontane.

Vicine da poterci vedere bene, ma abbastanza lontane, per non fare parte di tutto quello che succedeva tra noi piccoli.

Noi piccoli, perché quella bella erba verde e profumata, mi arrivava quasi al petto.

È stato tutto bellissimo, e quando sempre con mia mamma per mano, siamo andati via per salire in casa, ero molto contento. Non vedevo l'ora di tornare di nuovo con la mia macchinina preferita, per farla vedere e toccare ai miei, ormai amici ed amiche.

Quello che sentivo era molto, molto bello e dentro il mio petto c'era un qualcosa che mi sembrava si muovesse.

Saltellava e forse era per via di quelle cose nuove e belle che vivevo.

Questa bella sensazione, mi faceva stare ancora meglio.

Mi capitava sempre più spesso ed un giorno, è stata così forte da avere quasi paura che veniva fuori dal petto.

Era il giorno in qui i miei genitori hanno detto che andavamo a trovare i nonni.

Ero felice, curioso ed impaziente.

Subito sono andato a prepararmi ed ero pronto per partire.

Mi hanno fermato, quasi bloccato i miei genitori, molto sorridenti e con dei modi molto tranquilli, divertenti e non riuscivo a capire niente, non riuscivo a capire il perché.

Mi chiedevo perché avevano già cambiato idea, se pochi attimi prima erano decisi di andare dai nonni.

I giorni dopo, ho visto che succedevano delle cose mai viste prima.

Cose comprate, depositate sui tavoli ed altri posti in casa. Roba da vestire che di solito stava negli armadi, appoggiata sui divani e sulle poltrone. Poi, quando non c'era più spazio per appoggiare niente, da nessuna parte, mio papà ha cominciato a mettere tutto in dei grossi contenitori abbastanza rigidi. Una volta pieni li chiudeva a chiave, e grazie ad una maniglia, li spostava per non essere di intralcio. Quando i tavoli, le poltrone ed i divani sono tornati puliti e liberi come erano di solito, mi è stato detto di prepararmi.

Stavamo partendo.

Scesi di casa, c'era mio padre che portava quei due grossi contenitori e mia madre con per mano me ed il mio fratello.

Abbiamo fatto poca strada.

Il marciapiede che affiancava i giardini del condominio ed il nostro bel pezzo di terra con l'erba tutta verde. Subito dopo, abbiamo attraversato il corso e ci siamo fermati sul marciapiede, da l'altra parte. Mio padre ha posato i due contenitori, e stavamo li fermi, insieme ad altre persone. Come ad un segnale, tutte le persone hanno cominciato a fremere e dopo pochi istanti, d'avanti a noi si è fermata una macchina molto grossa.

Siamo saliti tutti.

La macchina era tutta piena di gente.

C'era chi stava seduto e c'era chi, come noi, stava in piedi in mezzo a delle persone molto, molto più grandi di me. Tutte quelle cose nuove: la grossa macchina, le persone, il rumore del motore, le vibrazioni che si sentivano, il fatto che ogni tanto quella macchina si fermasse, e c'era chi scendeva e chi saliva, il tutto mi faceva sentire più rigido. La serenità che ho sempre vissuto dentro di me, la gioia perché si andava dai nonni, all'improvviso erano come scomparse e quello che sentivo era una cosa nuova.

Una cosa che mi toglieva la tranquillità e che non mi piaceva.

Quando mio papà mi ha preso in braccio, ho scoperto che quella grossa macchina, aveva finestre dappertutto intorno. Riuscivo a vedere fuori le case, i prati, le macchine e tutte le altre cose che andavano via.

Stavo già meglio.

Il mio respiro, che prima era molto corto, veloce, è ritornato ad essere quello che conoscevo.

Così tranquillo da non ricordarmi neanche che respiravo.

Purtroppo, dopo abbastanza poco tempo, la grossa macchina si è fermata, tutta la gente è scesa ed insieme alla gente anche noi.

Come quando siamo scesi di casa, mio padre ha preso i due grossi contenitori, mia madre ha preso per mano mio fratello e me e tutti insieme abbiamo cominciato a camminare. Dopo pochi passi, ci siamo trovati su un marciapiede molto stretto e con recinzioni molto alte sui due lati. Questo marciapiede sembrava diviso a metta, da una linea che non vedevo. Da una parte c'erano persone che come noi, andavano, e da l'altra parte c'erano persone che ci venivano incontro.

Era una cosa che non si fermava mai.

Persone che andavano e persone che venivano.

Molto ordinate, ma il tutto mi faceva sentire di nuovo come prima, non tranquillo. Dopo pochi passi, ho visto che il marciapiede dove stavamo camminando era molto, molto alto. Sotto, c'erano delle macchine molto più grosse e molto più lunghe di quella di prima, e si muovevano su e giù. Facevano tanto rumore e facevano tremare quel marciapiede dove stavamo camminando, ogni volta che una di quelle macchine passava sotto.

Tutti quei movimenti e tutti quei rumori, mi hanno fatto venire di nuovo quel respiro molto corto, molto veloce ed in quei momenti, per la prima volta, sentivo un'altra cosa che non avevo mai sentito prima in quel modo.

Un qualcosa che colpiva nel mio petto di dentro con tanta forza.

Lo faceva in un modo, ancora più veloce del mio respiro.

Erano come delle botte una dietro l'altra e non finivano mai. Abbastanza forti per poterle sentire, ma non mi facevano assolutamente nessun male. Dopo pochi attimi, ho cominciato a sentire le stesse cose anche nella testa. Ad ogni colpo, mi sembrava di sentire un rumore forte che veniva di dentro.

Più diventavano tanti e forti quei colpi, più l'unica cosa che desideravo, era di trovare di nuovo la pace che ho sempre vissuto prima.

Stavamo camminando già da un po', quando il marciapiede si è trasformato in una scala. Siamo scesi e ci siamo fermati su uno dei tanti marciapiedi che avevo già visto dall'alto. Messi molto ordinati uno di fronte all'altro.

Non ho fatto in tempo a vedere nulla, perché d'avanti a noi, mentre tremava la terra sotto i piedi, e facendo un rumore da non poter più sentire niente, si e fermata una macchina immensa. Aveva delle ruote di ferro molto grosse ed anche questa sul lato che vedevo, nella parte sopra, era tutta vetri.

La scala che mi sono trovato d'avanti era così alta che mio padre ha dovuto prendermi in braccio per farmi salire. Dentro c'era uno spazio molto ampio. Con tanti divanetti che potevano tenere due persone. Erano messi uno di fronte all'altro e di fianco, tra loro una grossa finestra. Nello stesso modo, da l'altra parte, dove c'era l'altra finestra. Due lunghe fila di divanetti messi ordinati, in coppia ed in mezzo, uno spazio, dove la gente andava avanti ed indietro.

Dopo il grande movimento all'inizio, tutte le persone hanno trovato un posto per sedersi.

Noi, ci eravamo seduti su due di quei bei divanetti morbidi e molto comodi. Su uno dei due di fronte a me, stava vicino alla finestra mio fratello e di fianco a lui, mia mamma. Mi sentivo molto protetto sul' altro, con mio papà.

Anche se attorno riuscivo a vedere non poche persone, il modo come eravamo seduti, mi dava un po' di intimità della nostra famiglia.

Mi faceva sentire sempre più tranquillo.

Questo ha fatto che quel qualcosa che mi stava saltellando nel petto ed il respiro molto veloce, sono andate via piano, piano, finché sono scomparse.

Quando sono ritornato a sentirmi come di solito, mio papà, ha cominciato a parlarmi, dicendomi che quella grossa macchina si chiama treno. Viaggia su una strada di ferro e l'unica cosa che ricordo ancora, è il buio totale.

Un silenzio assoluto.

Quando è ricomparsa la luce, di fronte al mio viso c'era la faccia di mia mamma. Provava a darmi un qualcosa che aveva in mano, dicendomi che è arrivata l'ora di mangiare. Ho subito guardato fuori dalla grande finestra e ho scoperto con curiosità che le montagne erano scomparse.

Era tutto piatto, e guardando in lontananza, sembrava senza fine.

Vedevo soltanto il sole molto grande che stava quasi toccando la terra, ma non riuscivo capire perché era più lontano di come era a casa nostra, e perché era tutto così piatto.

Con tutti questi grandi pensieri, con tutte queste domande senza risposte, mentre stavo ancora masticando, è sceso di nuovo il buio, e sono ritornato nel posto tranquillo, silenzioso e di pace assoluta, dove ero appena stato prima.

Quando per la via di rumori e movimenti che sentivo attorno, è ritornata di nuovo la luce, ho visto i miei famigliari già in piedi.

Appena il treno si fermava, saremmo scesi ed ero molto felice di farlo.

Non sono stato male, ma non vedevo l'ora di scendere, perché non mi sentivo libero, poi, pensando che incontravo per la prima volta i nonni, non vedevo l'ora di farlo subito.

Ero curioso se il mio nonno assomigliava a quello di Heidi.

Non vedevo l'ora che si fermava il treno.

Appena questo è successo, nel mio petto, nel posto dove alla partenza mi saltellava tutto, in quel momento è stato come se una grossa mano stringeva con molta forza.

Il mio nonno non c'era.

Appena scesi, mio padre con le valige e mia madre con noi due fratelli per mano, abbiamo cominciato a camminare. Dopo un pezzo molto corto, siamo arrivati in un posto dove c'era ancora più movimento e disordine di quelle della partenza. C'erano tanti autobus messi in ordine uno di fianco all'altro. Tanta gente che camminava, oppure correva da tutte le parti, in un modo disordinato, ma il punto di arrivo per tutti erano gli autobus.

Dopo un po' di tempo, ci siamo avvicinati anche noi ad uno.

C'era tanta gente e non finivo di guardare tutte quelle persone, perché mi incuriosivano molto. Tutte quelle persone, uomini e donne, erano completamente diverse da quelle che vedevo di solito.

Gli uomini sembravano meno giganti ed erano vestiti in un modo che non avevo mai visto prima.

Tutti avevano il capo coperto con dei capelli molto belli.

Anche le donne, portavano dei vestiti totalmente diversi di quelli che avevo sempre visto e mi sembravano non belle. Avevano gonne fino quasi a terra, e sopra, vestiti con maniche lunghe. Il capo coperto con dei fazzoletti molto colorati, anche se faceva caldo.

Sembravano tutti molto anziani.

Il loro modo di parlare era completamente diverso del nostro. Si capiva benissimo cosa dicevano, ma lo facevano in un modo che non avevo mai sentito prima.

Mi scappava da ridere sentirli.

Appena seduti tutti, l'autobus e partito e dopo aver fatto un pezzo in mezzo ai palazzi ed alle macchine, ci siamo trovati quasi all'improvviso che non c'era più nulla.

Eravamo usciti dalla città.

Da una parte e dall'altra della strada, c'erano soltanto delle colline. Non erano molto alte ed avevano delle forme molto belle.

Cosi rotonde e morbide che sembravano costruite da chi sapeva fare molto bene quel lavoro. Erano di un verde molto bello, così forte e così intenso, che nei punti dove erano vicinissime alla strada, faceva quasi male agli occhi guardarle con attenzione.

Mentre l'autobus continuava ad andare, nelle colline ho cominciato a vedere, prima ogni tanto poi molte di più, delle costruzioni piccole, basse, ma molto belle che fino in quel momento non avevo mai visto così tante.

Tutte insieme.

Mi e stato detto che erano le abitazioni dei contadini, e quando quelle case sono diventate molte di più e sempre più attaccate una all'altra, l'autobus si è fermato.

Dopo che un po' di gente è scesa ed un altro po' è salita, è ripartito.

Quasi subito le case sono diventate di nuovo sempre più lontane una dall'altra finché sono scomparse del tutto e le colline che vedevo erano ancora più belle. Si vedevano dei pezzi neri che sotto il sole luccicavano ed intorno altri pezzi colorati di verde. Non più come prima in modo unico, ma con tanti tipi di verde.

Uno più bello dell'altro.

La cosa più bella in assoluto, da perdersi dentro mentre si guardava, erano dei immensi pezzi di giallo, fresco e molto luminoso. Coprivano alcune colline del tutto e scendevano fino alla strada. Piante fini e molto delicate. Un po’ più alte dell'erba dove andavamo a giocare con i miei amichetti. Sii muoveva tutto insieme avanti ed indietro, senza mai fermarsi ed ogni volta, il giallo cambiava. Sembrava che il sole era sceso sulla terra, e non era ancora deciso da quale parte andare. Se avanti, oppure indietro, se su, oppure giù e nella sua indecisione, permetteva a me di vedere una delle cose più belle mai viste fino in quel momento.

Uno spettacolo unico.

Mi sentivo in pace.

Riposato, tranquillo, sfamato e dissetato.

Una sensazione nuova per me.

Meravigliosamente bella.

Per quanto stavo bene, sarei rimasto così per sempre, ma purtroppo il giallo è finito ed al suo posto, sono comparse altre case. Come prima, quando le case sono diventate sempre di più e sempre più vicine, l'autobus si è fermato.

Questa volta siamo scesi anche noi.

Appena sceso, mi è sembrato di essere arrivato in un altro mondo.

Quando l'autobus con il suo rumore è andato via, anche se attorno era pieno di case ed eravamo sulla strada, ho sentito un silenzio così forte, come mai prima.

Si sentiva soltanto il silenzio e niente altro.

Forte ed intenso.

Mi colpiva con tanta piacevole forza nelle orecchie quel silenzio ed ero molto impegnato nel ascoltarlo, capire qualcosa in più, ma il tutto è stato interrotto da una voce maschile che diceva:

< Fattemi vedere il mio nipote più piccolo >.

Il suono della voce, anche se normale, sembrava quasi che rimbombava in quel splendido silenzio.

Era il mio nonno.

Mentre si abbassava per baciarmi ed abbracciarmi, ho visto subito che non assomigliava al nonno di Heidi.

Anche lui, era vestito come gli uomini visti prima.

Su quello che vedevo d'avanti ai miei occhi per la prima volta, quella faccia di fronte alla mia, non saprei dire quasi nulla, a parte i suoi occhi molto blu e molto profondi e luminosi. Però, dentro il mio petto, quella cosa che all'inizio del viaggio saltellava affannata, poi si era sentita stretta da quella grossa mano, poi aveva sentito la pace, quella cosa lì, in quel momento era molto tranquilla e si sentiva molto protetta.

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