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Dipendenza comportamentale. L’illusione della libertà

Dipendenza comportamentale
L’illusione della libertà
Anastasija Egorova
– Credo che tu debba consultare un medico, hai una dipendenza dal computer.
– Cara, non è una dipendenza, è il mio lavoro!
Da una storia vera
Translator Anastasija Egorova
Proofreader Sergej Kim
Editor Marina Tjulkina
Дизайнер Klavdija Šil'denko
© Anastasija Egorova, 2025
© Anastasija Egorova, translation, 2025
ISBN 978-5-0067-8303-4
Created with Ridero smart publishing system
Introduzione
Vi propongo un esperimento.
Prima di leggere questo libro, mettete da parte il telefono, il laptop e osservate quanto riuscite a resistere vivendo senza dispositivi mobili e Internet.
Se siete riusciti a stare più di 24 ore senza smartphone e senza navigare in rete, senza sentire il bisogno di controllare i social network e i messaggi, allora va tutto bene.
Se vi è capitato di pensare al telefono e ai social un paio di volte, forse avete una certa dipendenza da Internet, ma potete ancora superarla da soli.
Se, dopo aver messo via il telefono, avete provato irritazione, aggressività e avete cercato di compensare con alcol, droghe, sport o cibo spazzatura, allora siete dipendenti e avete bisogno di un aiuto professionale.
Se non riuscite proprio a staccarvi dallo smartphone e siete convinti che senza Internet la vita non esista o sia grigia e noiosa, mi spiace dirlo: avete un serio problema di dipendenza comportamentale e dovete agire, perché da soli non ne uscirete.
Uno degli aspetti più paradossali delle dipendenze comportamentali è che spesso vengono percepite come un’espressione di libertà personale. La persona crede di scegliere autonomamente quanto tempo passare al computer, cosa comprare o quanto lavorare. In realtà, però, queste azioni diventano compulsive e incontrollabili, portando alla perdita della vera libertà di scelta.
Inoltre, le dipendenze comportamentali possono creare un falso senso di controllo sulla vita. Ad esempio, una persona affetta da shopping compulsivo potrebbe credere che acquistare un nuovo oggetto la aiuti a gestire lo stress o a migliorare l’umore. In realtà, si tratta solo di un sollievo temporaneo, dopodiché il problema ritorna con rinnovata intensità.
Le dipendenze comportamentali rappresentano una grave minaccia per la salute mentale e fisica dell’individuo. Generano un’illusione di libertà che, in verità, è una forma di schiavitù. Per superare questo problema sono necessarie misure complesse, che includano sia un lavoro individuale con psicologi sia cambiamenti nell’ambiente sociale. Solo così è possibile restituire alla persona la vera libertà e il controllo sulla propria esistenza.
Il concetto di dipendenza comportamentale rappresenta uno dei temi più urgenti nella psicologia e sociologia contemporanee. Nel contesto dello sviluppo tecnologico accelerato e dell’ambiente digitale, le dipendenze comportamentali stanno diventando fenomeni sempre più diffusi.
Lo scopo di questo libro è analizzare il fenomeno delle dipendenze comportamentali moderne. La dipendenza non chimica, così come quella da sostanze psicoattive, è legata alla perdita di autocontrollo. La dipendenza nasce dall’irresistibilità dei desideri e dalla motivazione a provare emozioni positive intense. E chi di noi non ama le emozioni positive?
L’essere umano dipende da molte cose che gli appaiono naturali: adoriamo perderci tra immagini e video divertenti sui dispositivi, chattare nei messaggi, fare sport per piacere, mangiare dolci o arance, guardare una serie TV per più puntate di fila. All’uomo moderno risulta difficile rinunciare a varie abitudini, più o meno dannose. Ogni dipendenza persegue l’obiettivo di ottenere un piacere immediato, una ricompensa a breve termine. Ma sappiamo bene che, in cambio di questa gratificazione momentanea, la persona finisce per pagare un prezzo a lungo termine, con esiti negativi.
La dipendenza è un comportamento distruttivo che si forma quando un individuo cerca di fuggire dalla realtà, evitando situazioni spiacevoli o periodi difficili della vita alterando il proprio stato mentale.
Lo psichiatra russo A. O. Bukhanovskij definisce il comportamento dipendente come un disturbo mentale cronico, che rappresenta una deformazione patologica della personalità. Bukhanovskij sottolinea inoltre che le motivazioni alla base delle azioni compulsive non sono razionalmente analizzabili nel momento stesso in cui si manifestano, e spesso causano sofferenza sia alla persona dipendente che alla sua famiglia. I danni derivanti dalla dipendenza possono assumere varie forme: mediche, psicologiche, materiali e persino legali.
V. D. Mendelevič, autore di studi nel campo della psicologia clinica e della psichiatria, ritiene che alla base della narcologia classica russa vi sia un paradigma errato di patologizzazione dei disturbi narcologici. Tuttavia, la definizione di “attrazione/addiction compulsiva” rimane scientificamente valida sia per le dipendenze chimiche che per quelle non chimiche.
Mendelevič evidenzia che il principale criterio diagnostico per qualsiasi dipendenza è la presenza di uno stato alterato di coscienza. Se nelle dipendenze chimiche tale stato è indotto dall’uso di sostanze psicoattive, nelle dipendenze non chimiche esso deriva da specifici modelli comportamentali – stereotipi d’azione che compromettono la qualità della vita. Nonostante in Russia le dipendenze non chimiche non rientrino tra le priorità di psichiatri e narcologi, esse non solo sono teorizzate nei manuali, ma vengono regolarmente riscontrate nella pratica clinica psicologica.
Sebbene le dipendenze non chimiche possano avere un impatto meno grave sulla salute fisica, a livello finanziario, sociale e psicologico possono provocare danni considerevoli. Questa forma di dipendenza si sviluppa spesso all’interno delle dinamiche familiari. La famiglia rappresenta infatti uno dei principali fattori scatenanti, ragion per cui la psicoterapia familiare costituisce l’approccio terapeutico più appropriato.
Nel 2015, T. Robins e L. Clark, nel loro studio, hanno evidenziato che le dipendenze chimiche e non chimiche condividono meccanismi biologici comuni. Questa scoperta implica che alcune forme di dipendenza comportamentale possano rispondere agli stessi approcci terapeutici utilizzati per le tossicodipendenze. La dipendenza non chimica si caratterizza per una ricompensa immediata, costi fisici a lungo termine e rischi multidimensionali. Prendiamo il caso di chi utilizza contenuti video per alleviare stati d’ansia o malinconia, ottenendo un’effimera euforia: alla base di queste condotte troviamo spesso un deficit nella regolazione emotiva, capacità che normalmente consentirebbe di indirizzare il comportamento verso azioni più funzionali. Chi soffre di ludopatia, shopping compulsivo o disturbi alimentari sperimenta progressivamente una riduzione delle emozioni positive. La ripetizione degli stessi comportamenti ricercati porta inevitabilmente all’assuefazione, con la scomparsa dell’effetto novità.
Questo fenomeno spiega perché la persona dipendente, di fronte al calo d’intensita emotiva, non solo persiste nelle stesse condotte ma incrementa progressivamente l’impegno per ottenere lo stesso effetto iniziale. Gli uomini che sviluppano dipendenze da contenuti video, ad esempio, si trovano costretti a cercare materiali sempre più estremi quando quelli usuali perdono il loro potere gratificante. L’assenza di risposta positiva innesca così un circolo vizioso di ricerca compulsiva, che può portare a contenuti socialmente inaccettabili. In questo contesto, come possiamo distinguere tra comportamento normale e patologico?
Immaginate di osservare una colonia di pinguini imperatori: tutti grandi, slanciati, neri e maestosi, con delle piume gialle sopra gli occhi che, se fossero umani, definireste ‘sopracciglia glamour’. Tra questo gruppo omogeneo, l’attenzione cade su un pinguino albino, piccolo, completamente bianco e goffo, e vi ritrovate a pensare: “Questo non dovrebbe esistere. È inaccettabile secondo gli standard di bellezza dei pinguini imperatori!”
Ebbene, la norma odierna è uno standard accettato dalla maggioranza, dall’intera società. La dipendenza dal porno, ad esempio, non è ancora considerata pienamente ‘normale’ nel contesto attuale. Esistono numerose altre forme di dipendenza non chimica, ma il problema della pornodipendenza continua a ricevere scarsa attenzione. Gli uomini affetti da questa dipendenza comportamentale, nel tentativo di liberarsi dalla visione sistematica di materiale pornografico, riferiscono durante la psicoterapia che un approccio radicale (‘smetto bruscamente e non guarderò mai più quei video’) porta a uno stato paragonabile all’astinenza da sostanze psicoattive. Tuttavia, questa forma di astinenza non comporta conseguenze mediche gravi.
Nella sindrome d’astinenza da dipendenze non chimiche mancano completamente sintomi come la crisi ipertensiva e, in generale, non si riscontrano alterazioni fisiologiche significative. Tuttavia, quando si decide improvvisamente di abbandonare videogiochi, navigazione ossessiva online o l’uso compulsivo dei dispositivi, la persona sperimenta non solo umore depresso, ma anche aggressività, rabbia e irritazione – emozioni difficili da controllare.
Nella formazione di qualsiasi dipendenza sono coinvolti i sistemi neurotrasmettitoriali del nostro organismo. Ne parlerò brevemente, per non stancare il lettore. Protagonisti di questo processo sono: la serotonina, responsabile dell’inibizione comportamentale, e la dopamina, che regola il sistema di ricompensa, la motivazione, l’apprendimento e la valutazione degli stimoli. Il sistema dopaminergico risulta fondamentale nello sviluppo delle dipendenze non chimiche.
Le ricerche neurobiologiche hanno evidenziato alterazioni funzionali nella corteccia prefrontale dei soggetti predisposti a dipendenze, sia chimiche che comportamentali. Quest’area cerebrale controlla l’impulsività e l’inibizione delle azioni. Oltre alla corteccia prefrontale, durante attività come il gioco d’azzardo, l’acquisto di biglietti della lotteria, la navigazione online o i videogiochi, si attivano l’amigdala e il sistema mesocorticolimbico. L’attivazione persistente di queste aree, combinata con una ridotta efficienza della corteccia prefrontale, consolida i modelli comportamentali tipici della dipendenza, favorendone così l’insorgenza.
L’uso di sostanze psicoattive o il coinvolgimento in dipendenze non chimiche possono originare dallo stesso processo scatenante. Conflitti familiari persistenti, litigi, problemi lavorativi e situazioni di stress cronico, combinati con una carenza di capacità di autoregolazione e di resistenza allo stress, creano infatti un terreno fertile sia per l’alcolismo e la tossicodipendenza, sia per le dipendenze comportamentali.
Anche i fattori ereditari svolgono un ruolo determinante: se un genitore ha sofferto di dipendenze da droghe o alcol, i figli, in particolari circostanze, potrebbero sviluppare tendenze analoghe o cadere in dipendenze come il gioco d’azzardo, la cleptomania, l’uso compulsivo di internet o la pornodipendenza.
V. D. Mendelevič include nel comportamento dipendente anche il fanatismo religioso, politico o sportivo, evidenziando come qualsiasi aspetto della vita, se vissuto con eccessivo coinvolgimento, finisca per danneggiare sia l’individuo che i suoi affetti.
Attualmente i ricercatori hanno elaborato diverse classificazioni delle dipendenze non chimiche. Di seguito presentiamo quella proposta da A. V. Kotlyarov, che include le seguenti forme di addiction:
– dipendenza dall’aspetto fisico: ossessione per trattamenti estetici, ricerca compulsiva di un ideale di bellezza imposto dai trend social;
– dipendenza da ideologie: fanatismo religioso, adesione a sette, pratiche astrologiche ed esoteriche;
– dipendenza esistenziale: ricerca ossessiva del senso della vita, tendenza a filosofeggiare in modo estremo a discapito di altri ambiti (es. abuso di psicoterapia con ‘intossicazione metafisica’);
– dipendenza sessuale: promiscuità, ninfomania, consumo compulsivo di materiale pornografico, dipendenza dall’innamoramento;
– dipendenza dalla solitudine: bisogno patologico di isolamento con ripercussioni negative sulla qualità della vita;
– relazioni codipendenti;
– dipendenze digitali: gaming compulsivo, navigazione ossessiva in rete, attrazione per attività di hacking illecite;
– dipendenza dai media: consumo smodato di televisione, pubblicità, contenuti social e serie TV;
– dipendenza economica: ossessione per il denaro, lo status materiale e le gerarchie sociali basate sulla ricchezza;
– gioco d’azzardo patologico (gambling disorder);
– workaholism: approccio ossessivo al lavoro;
– shopping compulsivo: acquisti incontrollati su e-commerce e piattaforme digitali;
– dipendenza da dispositivi: abuso di smartphone e tecnologie digitali;
– dipendenza vittimistica: comportamenti masochistici, sindrome di Stoccolma, condotte aggressive (sadismo, ricatto sistematico).
Altre forme includono: grafomania, urgenza cronica (‘sindrome della mancanza di tempo’), binge reading, guida spericolata e ossessione per l’attività fisica.
In questo libro non sono elencate tutte le dipendenze non chimiche, ma alcune di esse rientrano nella classificazione multiassiale dei disturbi mentali e possono accompagnare patologie più gravi come la schizofrenia.
La formazione di una dipendenza non chimica è influenzata da una serie specifica di fattori: non solo l’educazione familiare e l’ambiente sociale, ma anche il contesto culturale-nazionale nel suo complesso, nonché la mentalità dell’individuo e del gruppo sociale di appartenenza.
I dati teorici ed empirici che chiariscono l’essenza delle dipendenze non chimiche rimangono oggi limitati, circostanza che ostacola l’inclusione di tutte le forme di dipendenza comportamentale nei moderni sistemi di classificazione psichiatrica. La carenza di ricerche approfondite alimenta un acceso dibattito in ambito medico, biologico e psicologico: è realmente appropriato considerare la dipendenza comportamentale un disturbo piuttosto che una scelta di vita personale?
La questione del supporto medico nel trattamento delle dipendenze non chimiche purtroppo rimane irrisolta nella psichiatria contemporanea, principalmente a causa della limitata comprensione del fenomeno. Particolarmente preoccupante è la crescente diffusione di tali dipendenze tra bambini e adolescenti. Gli strumenti che possono condurre a queste forme di dipendenza sono ampiamente disponibili: dai dispositivi tecnologici ai messaggi istantanei, dai videogiochi alla navigazione compulsiva in Internet.
L’analisi degli studi sul comportamento di adolescenti e bambini nell’ambito della pratica psicoterapeutica e psicologia clinica evidenzia il ruolo predominante dei videogiochi come attività principale per i soggetti in età scolare. Durante lo sviluppo, attività fondamentali come lo studio, gli hobby, le relazioni sociali, la lettura o semplici attività all’aria aperta vengono gradualmente e impercettibilmente sostituite dai giochi digitali.
Un adolescente totalmente assorbito dal mondo digitale dei videogiochi mostra tipicamente un elevato grado di immaturità emotiva e psicologica. Questa condizione di infantilismo si traduce in una marcata dipendenza nelle situazioni quotidiane, relazioni amicali fragili nel mondo reale e una tendenza all’isolamento domestico.
Le tecnologie digitali avanzano inarrestabilmente, e la società moderna non può eliminarle completamente dalla propria vita. Restrizioni rigide e comportamenti manipolatori da parte degli adulti (“Se non fai i compiti, ti tolgo il cellulare”) si rivelano inefficaci.
Le tecnologie dell’informazione svolgono un ruolo cruciale nella nostra esistenza, essendosi radicate saldamente negli ambiti commerciale, comunicativo, produttivo e culturale.
Attraverso l’immersione nel mondo tecnologico, sportivo o lavorativo, le persone cercano di sfuggire alle proprie difficoltà. Per un adolescente moderno, timido e fragile, incapace di affermarsi tra amici e compagni di classe, e che soffre della mancanza di attenzione familiare, il rifugio nei videogiochi o nella visione di contenuti online diventa un modo per attenuare le emozioni negative e le frustrazioni della vita reale. La scelta di un personaggio virtuale ‘potenziato’ e competente può rappresentare una compensazione al rifiuto che l’adolescente prova verso se stesso.
Anche il sistema di ricompense dei videogiochi agisce in modo subdolo: ciò che il ragazzo non riesce a ottenere nella realtà – come successo nello studio, nelle relazioni o in altri ambiti – lo acquisisce nel gioco. È un modo per sentirsi importante, un supereroe. Se per i giovani il rifugio in un mondo virtuale può compensare carenze significative, per gli adulti l’immersione in una dipendenza non chimica diventa anche un modo per evitare le responsabilità della vita reale.
La maggior parte dei giochi online moderni offre l’illusione della competitività. L. O. Perezhogin e N. V. Vostroknutov ipotizzano che il gaming rappresenti tra gli adolescenti la forma più diffusa di dipendenza non chimica contemporanea.
M.G. Chukhrova osserva che la prevalenza di queste dipendenze varia geograficamente: in Italia, la dipendenza da Internet interessa lo 0,8% della popolazione, mentre a Hong Kong raggiunge il 26,7%. Lo sviluppo della dipendenza non dipende esclusivamente da fattori demografici, socioeconomici o dal contesto sociale, bensì anche da una predisposizione genetica. Tuttavia, non è possibile attribuire tutto ai soli fattori genetici. Sia le dipendenze chimiche che quelle comportamentali sono influenzate non soltanto da ‘vulnerabilità genetiche’, ma anche da processi fisiopatologici e da comorbilità, presenti sia in età evolutiva che in quella adulta.
Nella contemporaneità, lo shopping compulsivo, l’eccessivo coinvolgimento nei videogiochi e nei social media, il workaholism, l’ossessione per l’esercizio fisico, i disturbi alimentari, la promiscuità sessuale e altre forme di comportamento dipendente producono ripercussioni sociali negative. Questi fenomeni presentano una natura paradossale: alcuni, come il workaholism o le dipendenze sportive, godono addirittura di una certa accettabilità sociale.
Il dibattito scientifico tra psichiatri, psicologi clinici, neuroscienziati e terapeuti comportamentali rimane acceso: le dipendenze non chimiche devono essere equiparate a veri e propri disturbi o possono essere considerate semplicemente come espressioni estreme del repertorio comportamentale?
Le Dipendenze nel Mondo Animale
Le dipendenze non affliggono solo gli esseri umani. Comportamenti analoghi sono osservabili anche nel regno animale. In ambito sperimentale, ricercatori di tutto il mondo studiano l’insorgere di vari stati di dipendenza nei nostri ‘fratelli minori’
Ad esempio, non solo gli animali domestici a contatto con l’uomo assumono alcol o sostanze psicoattive. In alcuni casi, è lo stesso essere umano a dare il cattivo esempio, offrendo alcolici ai propri compagni animali. Tuttavia, anche in natura si riscontra il consumo di etanolo presente nella frutta, che costituisce parte della dieta di uccelli, mammiferi e insetti.
Nel 2014, il neuroscienziato C. Olson dell’Università dell’Oregon, insieme ai suoi colleghi, ha analizzato i canti di diamanti mandarini (uccelli canori) “ubriachi”. I ricercatori hanno somministrato agli uccelli un succo contenente il 6,5% di alcol. Gli autori dello studio sottolineano che questi uccelli, tipicamente canori, apprendono i loro canti unici in modo simile all’acquisizione del linguaggio negli umani. Durante l’esperimento, è emerso che i diamanti mandarini non solo consumano volentieri alcol, ma dopo l’assunzione modificano la struttura del canto, iniziando letteralmente a “borbottare” ritmi e melodie indistinti in alcune parti delle loro performance. Con un elevato tasso di etanolo nel sangue, i canti diventano più silenziosi e con un’acustica alterata. I ricercatori hanno osservato non solo una riduzione dell’ampiezza delle note, ma anche un aumento dell’incertezza ritmica, dovuta alla compromissione del mantenimento del ritmo sotto l’effetto dell’alcol.
È interessante notare come nell’esecuzione dei canti siano state riscontrate modifiche negli uccelli, mentre nel comportamento generale non siano emerse alterazioni coordinative. I parametri comportamentali dei diamanti mandarini (zebre finch) dopo l’assunzione di alcol non hanno mostrato variazioni significative. Paradossalmente, pur cantando “da ubriachi”, mantenevano un comportamento sobrio. Questa ricerca innovativa ha permesso di chiarire meglio l’impatto dell’alcol sui circuiti neurali consolidati nel cervello aviario. Un ulteriore dato peculiare riguarda la differenza individuale: alcuni esemplari sotto effetto alcolico tentavano di articolare le sillabe con precisione accentuata, mentre altri presentavano evidenti confusioni ritmiche e melodiche.
In genere, gli scienziati studiano gli effetti dell’alcol sui ratti da laboratorio, gli animali domestici e i primati. Tuttavia, esiste una fondamentale differenza: mentre primati e ratti non possiedono un apparato vocale paragonabile a quello umano, negli uccelli e nell’uomo il controllo neurale e le complesse reazioni comportamentali legate alla vocalizzazione mostrano sorprendenti analogie.
I pulcini di diamante mandarino acquisiscono i loro complessi trilli vocali dai padri (i maschi infatti sviluppano un repertorio più articolato rispetto alle femmine), in un processo che ricorda l’apprendimento del linguaggio nei bambini. Questo studio sul canto degli uccelli in stato di alterazione alcolica potrebbe illuminare i meccanismi neurali alla base del nostro linguaggio. Se nell’uomo il consumo cronico di alcol provoca devastanti conseguenze, quali effetti produce invece su animali e insetti?
I biologi F. Vince, A. Zitmann, M.A. Lachance e R. Spanagel hanno documentato il comportamento dei toporagni selvatici nelle foreste pluviali della Malesia occidentale, rilevando che alcuni esemplari di questi piccoli insettivori consumano abitualmente il nettare fermentato delle gemme floreali della palma bertam locale.
Questo mammifero, lungo 5—8 cm e con un peso di 4—16 grammi, presenta un muso allungato simile a una minuscola proboscide. I toporagni malesi rappresentano gli impollinatori naturali della palma bertam.
Appartenenti alla famiglia dei Soricidi, i toporagni sono generalmente utili all’ecosistema. Sebbene possano occasionalmente diventare turbolenti – penetrando negli alveari per predare api – le circa 70 specie esistenti presentano abitudini diverse: alcune si nutrono di insetti, altre di vermi, altre ancora scavano gallerie. I toporagni malesi si distinguono però per il consumo regolare di nettare fermentato (fino al 3,8% di alcol) dalle gemme della palma bertam, la più alta concentrazione alcolica riscontrata in fonti alimentari naturali.
Il segreto risiede nei lieviti che colonizzano le gemme floreali della palma, responsabili della produzione di alcol. Nonostante ciò, i toporagni che visitano regolarmente i fiori non mostrano segni evidenti di intossicazione. Questi animali hanno sviluppato un’elevata tolleranza all’alcol, frutto di un lungo adattamento evolutivo tra la specie e la palma di bertam.
L’analisi del pelo dei toporagni ha rivelato che la concentrazione di alcol nel loro organismo è significativamente più alta rispetto a quella di un essere umano con un consumo equivalente.
I ricercatori ipotizzano che un consumo da moderato a elevato di alcol fosse già presente nei toporagni nelle prime fasi evolutive. Resta però da chiarire in che misura l’alcol apporti benefici a questi animali e come riescano a mitigare i rischi legati all’elevata concentrazione alcolica ematica
A differenza dei toporagni malesi e dei diamanti mandarini, che appaiono “sobri” anche sotto l’effetto dell’alcol senza mostrare segni di ebbrezza, un altro animale – la tupaia dalla coda piumata – consuma anch’esso il nettare della palma di bertam comportandosi in modo impeccabile. Tuttavia, questa tupaia è la più accanita frequentatrice del “bar delle palme”, consumando nettare alcolico in quantità maggiori rispetto ad altri visitatori. Possiamo solo ipotizzare che l’alcol eserciti un effetto psicologico positivo su questi animali, ma non esistono prove sostanziali a supporto.