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Tranquilla Cittadina Di Provincia
«Perché quell'artefatto?» chiesi a Stefano. «Il pozzo non poteva essere ricompreso nel parco della villa?»
«Quello è il pozzo della discordia!» rispose Stefano, che ormai avevo capito fosse a conoscenza della storia e delle questioni sociali della sua città meglio di chiunque altro. «Questa villa, e il relativo parco, di cui faceva parte il pozzo, anni fa era in completo stato di abbandono. Proprietà dei Brandi da secoli, quando gli ultimi discendenti della famiglia si trasferirono a Roma, abbandonando l'abitazione, il Comune di Jesi l'acquisì ai beni comunali, con il progetto di restaurarla e farne un ostello. Parliamo dell'anno 1983, e ne è passato di tempo! Come al solito i fondi, resi disponibili, si persero in appalti fantasma, tangenti a politici locali, e via dicendo. In ogni caso il Comune ha sempre garantito la fruibilità al pubblico dell'acqua dell'antico pozzo, tanto che in un'ampia fetta di terreno, che sarebbe di pertinenza del parco della villa, alcuni cittadini hanno pensato bene di coltivare piccoli appezzamenti, considerati ormai per tradizione orti privati. Si dice che l'acqua del pozzo sia miracolosa, e non solo a fini irrigui. Sembra che, bevuta, abbia effetti diuretici, depurativi e antipiretici. Qualcuno afferma – ma non so sia verità o leggenda – che queste proprietà curative dell'acqua del pozzo siano dovute al fatto che in quel punto preciso, circa due millenni e mezzo fa, sia caduto un meteorite, che ha rilasciato nella falda acquifera sali minerali provenienti dallo spazio che fanno tuttora risentire i loro effetti benefici. Fatto sta che, nel 2003, il Comune mise di nuovo in vendita la proprietà, villa e 2.700 metri quadrati di parco, in quanto in venti anni l'amministrazione comunale non era riuscita a mettere in atto le opere di restauro e l'immobile era andato in ulteriore degrado. Questo fu acquistato dal nostro Roberto Gloriani, con la promessa che avrebbe riservato alcune stanze alla vecchia famiglia Brandi, la quale doveva essere ancora liquidata, e che pozzo e orti sarebbero rimasti all'esterno della recinzione della proprietà. Quando il Gloriani, forte della sua disponibilità economica, diede l'incarico all'impresa edile Spergolini di restaurare l'immobile e realizzare il progetto che vediamo avanti ai nostri occhi, l'intera area, a causa delle esigenze di sicurezza tipiche di un cantiere, dovette essere recintata. In quel frangente si sollevò una specie di sommossa popolare, nel timore che l'acqua del pozzo non potesse essere più utilizzata a scopo irriguo. Si arrivò addirittura a un attentato incendiario, e una notte, le impalcature che già avvolgevano la villa furono date alle fiamme, con il risultato di un notevole danno economico. Per fortuna i lavori erano iniziati da poco, ma ci volle un comunicato stampa ufficiale da parte del Sindaco e dell'Assessore all'urbanistica e all'ambiente per tranquillizzare l'opinione pubblica, aizzata dal consigliere comunale capogruppo di Rifondazione Comunista, al fine di assicurare che, al termine dei lavori, pozzo e appezzamenti di terreno ormai dedicati a orti sarebbero rimasti al di fuori della recinzione della proprietà. E questo è quanto.»
«Ho sentito dire anche che la villa sia stata abbandonata per decenni perché si pensava fosse infestata dai fantasmi, che era una delle mete preferite dove fare sedute spiritiche, che la famiglia Brandi se ne sia andata in via definitiva dopo un pauroso faccia a faccia con uno spirito malvagio. C'è anche la diceria che il pozzo sia comunicante, per mezzo di un condotto artificiale realizzato nell'antichità, con la cisterna romana di cui parlavi prima in auto. Che mi dici di tutto questo?»
«Oh, vedo che ti sei documentata! Mah, leggende, dicerie, favole. Nulla che abbia qualcosa di fondato su cui basarsi. Però, sul fatto che sia una villa di misteri, hai proprio ragione. E ora entriamo.»
In eleganti abiti da sera, Stefano e io eravamo una delle coppie più ammirate della serata. Stefano, nonostante le sue precedenti affermazioni si muoveva bene nell'ambiente, salutava chiunque gli si avvicinasse con strette di mano a volte calorose e cordiali, a volte ossequiose, a seconda del grado di conoscenza e di amicizia che aveva con l'interlocutore di turno. A volte si dilungava in qualche commento, a volte baciava la mano di qualche signora. Man mano mi presentava tutti coloro che lo salutavano, mettendomi al corrente di vita, morte e miracoli di ognuno.
«Niente male per essere un ambiente che non ti va a genio!» commentai a bassa voce, sorridendo.
«Beh, mi adeguo alla situazione, buon viso a cattiva sorte.»
Un cameriere si avvicinò a noi con un vassoio di calici pieni di champagne, mentre un altro ci porgeva dei piattini contenenti cocktail di scampi. Rispetto all'inaugurazione di casa Della Rosa su a Triora, qui era tutto molto più elegante, non esistevano piatti e bicchieri di carta e il rinfresco era di tutt'altro tenore rispetto a quello preparato dalla ditta di catering qualche mese prima. Non mi sentivo a mio agio in mezzo a quella gente, ma anch'io facevo buon viso a cattiva sorte, elargendo sorrisi a chiunque mi venisse presentato e offrendo la mano per insulsi quanto ipocriti baciamano.
A un certo punto, Stefano mi prese sotto braccio e mi condusse verso un gruppetto di cinque persone particolarmente distinte.
«Vieni, ti presento i padroni di casa. Purtroppo Roberto Gloriani non è riuscito a essere presente questa sera, dopo tutto quello che è successo l'altro giorno a Genova.»
«È ancora trincerato in albergo, assediato dai tifosi?»
«No, sembra che ieri in tarda serata la situazione si sia risolta, ma Roberto non ha fatto in tempo a prendere l'aereo per Ancona. O forse sì, ma magari non era nello spirito adatto per partecipare a questa festa, anche se è lui stesso che l'ha organizzata.»
In compenso, Stefano mi presentò Aldo, l'anziano padre di Roberto, un uomo alto, atletico nonostante l'età, settantatre anni, i capelli bianchi. Era il presidente, nonché finanziatore, di un'importante scuola di calcio per giovani della nostra città. Insieme a lui, il fratello Giulio, quindici anni più giovane, accompagnato dalla moglie Giada Spergolini, amministratrice unica dell'impresa edile che aveva provveduto a restaurare la villa.
Sento forte odore di appalti milionari, qui, pensai tra me e me. Questi due non stanno di certo insieme per amore. La Spergolini avrà a dir poco vent'anni meno del marito!
L'altra coppia di attempati signori era parte di quanto rimaneva della famiglia Brandi, Alfredo e Liana, ed erano due ottantenni in piena forma, gli unici del gruppo che reputai non essere attaccati al Dio denaro. I loro occhi luccicavano vedendo la casa riportata a un antico splendore, di cui loro forse erano stati testimoni solo in giovane età.
«Davvero incantato, Dottoressa Ruggeri. Se la sua intelligenza è pari alla sua bellezza, come mi hanno decantato, sono convinto che, come tutore dell'ordine pubblico, saprà proteggere a meraviglia questa cittadina!» esordì il Signor Alfredo.
«Oh, non esageriamo. Non sono mica uno sceriffo. Sono stata chiamata qui per dirigere la Sezione omicidi e persone scomparse, ma ancora, grazie a una splendida bimba che ho dato alla luce da poco, non ho preso servizio appieno.»
«Le voci corrono e so che su in Liguria ha risolto un caso molto complicato, dimostrando determinazione e sprezzo del pericolo!»
Abbassai lo sguardo, sentendomi lusingata, e cercai di cambiare discorso.
«Siete gli unici membri della famiglia Brandi?»
«Che verranno ad abitare in questa dimora, sì. Abbiamo una figlia, Maria Lucia, che da tempo si è allontanata da noi, per fare la bagnina e maestra di Yoga in una località della riviera del Conero. È la nostra disperazione, vorremmo tanto che ritornasse a vivere con noi, che mettesse la testa a posto, ma lei rifiuta qualsiasi tentativo di riavvicinamento.»
Mentre parlava, osservavo Alfredo e lo paragonavo un po' a un vampiro. Era una persona alta, magra, il naso aquilino, i canini pronunciati, la carnagione molto pallida e gli occhi cerchiati di rosso. Non da meno era la sua moglie, Liana, una donna magra, che cercava di coprire il pallore del suo viso con molto fard e un rossetto dal colore intenso. La sua capigliatura era folta e grigia, con una piega impeccabile, le sue mani avevano le dita ossute e affusolate.
«L'altro membro della famiglia di cui non abbiamo più notizie da quasi trent'anni, ventotto per l'esattezza, è il mio anziano genitore, Vladimiro», continuò Alfredo Brandi. «Nel 1983, versavamo in pessime condizioni economiche e l'unica via d'uscita era vendere questa dimora, almeno a mio avviso. Mia moglie era del mio stesso parere e trovammo buono l'accordo di esproprio proposto dall'amministrazione comunale del tempo. Ma mio padre era contrario a tale transazione e, dopo un furibondo litigio, se ne andò sbattendo la porta e non avemmo più notizie di lui. Allora aveva settantaquattro anni, ma era in perfetta salute. La nostra figlia al tempo quattordicenne, Maria Lucia, si schierò dalla parte del nonno, lo rincorse e di certo visse per un periodo insieme a lui. Per alcuni mesi, quasi un anno, non avemmo notizie di nessuno dei due. Nel frattempo avevamo ceduto la casa al Comune ed eravamo in procinto di trasferirci a Roma. Una domenica pomeriggio di inizio estate, Maria Lucia si ripresentò a casa, accompagnata da una specie di santone, a sua detta suo fidanzato e guida spirituale, con cui sarebbe partita per l'India, per un viaggio alla ricerca di sé. Provammo a chiederle che fine avesse fatto il nonno Vladimiro, se sapesse indicarci dove ritrovarlo per poterci riappacificare con lui, ma la ragazza non ci volle rivelare nulla. “Il nonno sta bene, ma non cercatelo più!” furono le uniche parole che Maria Lucia pronunciò sulla vicenda.»
Cominciavo a drizzare le antenne sulla questione dell'anziano scomparso. Sarebbe potuto essere pane per i miei denti, un caso irrisolto da decenni a cui dare un senso e una conclusione.
«Se fosse vivo, Vladimiro avrebbe ora oltre cento anni. Sarà sicuramente morto», intervenni. «Ma oggi noi della Polizia abbiamo dei buoni metodi per poter dare un nome a un cadavere, anche se ridotto a scheletro, e non parlo solo di esami del DNA. Lei mi è simpatico, signor Brandi, e le assicuro che farò quanto è in mio potere per poterle riconsegnare quanto meno la salma del suo caro per potergli offrire almeno una sepoltura. Avevate fatto denuncia della scomparsa dei due, all'epoca?»
«Certo, avevamo denunciato la fuga di mia figlia, che era minorenne. Allora, la polizia disse che un adulto come Vladimiro poteva allontanarsi di sua spontanea volontà dalla famiglia e che comunque, se la ragazzina era in effetti in compagnia del nonno, questi l'avrebbe di certo protetta. Così, non ci fu un grande impegno nelle ricerche da parte delle forze dell'ordine. E comunque, cara dottoressa, non venda la pelle dell'orso prima di averlo ucciso. Anche se ultracentenario, non è detto che mio padre sia morto. In famiglia siamo molto longevi, e più di un mio antenato ha superato il secolo di età. Bernardo Brandi, per volere del quale nel 1659 fu eretta questa sontuosa dimora al posto di un'antica roccaforte ormai in rovina, sembra sia vissuto in salute fino a centosette anni! È per questo che ho ancora fiducia che mio padre sia vivo e possa ancora chiedergli perdono. E fargli vedere la sua villa restituita ad antico splendore.»
«Vivo o morto, le prometto che mi darò da fare per ritrovarlo.» Conclusi la conversazione con un leggero inchino e porgendogli la mano per farmela baciare. Ero convinta di aver fatto un'ottima impressione su di lui e di sicuro, appena mi fosse stato possibile, avrei mantenuto la mia promessa, anche se ero più convinta di poter trovare un mucchietto di ossa piuttosto che Vladimiro Brandi vivo e vegeto. Chissà perché, quel nome richiamava alla mia mente il conte Dracula, Vlad Tsepesh, o Vlad l'impalatore. Forse ero suggestionata dall'aspetto di suo figlio e dal nome stesso, Vladimiro.
Tra assaggi di prelibati manicaretti e calici di champagne, il ricevimento andò avanti fino al momento in cui il Sindaco prese la parola per un discorso ufficiale di inaugurazione, rammaricandosi dell'assenza di Roberto Gloriani, colui che con tanta magnanimità aveva messo a disposizione i fondi per il magnifico restauro della villa. Calzò l'accento sul merito suo e dell'amministrazione comunale di aver fatto sì che parte del parco e il famoso pozzo fosse restato fruibile da tutta la cittadinanza, e concluse augurando alle famiglie Gloriani e Brandi una serena convivenza sotto lo stesso tetto.
«È campagna elettorale questa?» sussurrai a Stefano.
«Oh, i politici non perdono mai occasione per farsi belli e tirare acqua al loro mulino, cercando così di assicurarsi voti per le prossime elezioni.»
Tra le undici e mezzanotte, gli illustri ospiti, uno dopo l'altro, cominciarono a dileguarsi. Stefano si era attardato in una conversazione con la signora Giada Spergolini, nella quale aveva scoperto un'inaspettata amante della musica jazz, e che quindi, per lui, era un'ottima interlocutrice. Non senza una punta di gelosia, che peraltro ero riuscita subito a reprimere, mi ero allontanata dai due per dedicarmi a osservare alcuni dipinti appesi alle pareti e un'antica libreria dove erano conservati testi anche piuttosto datati e introvabili. Adocchiai in particolare un libro, con un'elegante sovraccoperta a colori raffigurante Piazza Colocci e il Palazzo della Signoria, dal titolo “Storia di Jesi”. L'edizione era datata 1969; sarebbe stato molto difficile trovarne una copia in libreria, e mi sarebbe piaciuto sfogliarla, ma le ante della scaffalatura erano chiuse a chiave e potevo ammirare il testo solo attraverso i vetri. Quando mi accorsi che erano rimasti solo pochissimi ospiti, oltre i padroni di casa, mi riavvicinai a Stefano.
«Andiamo. È davvero tardi, e abbiamo promesso alla baby-sitter che saremmo rincasati entro l'una», gli dissi. Non oppose resistenza, salutammo quanti erano ancora presenti e ci avviammo verso l'uscita. Uscimmo dall'ingresso principale, scendemmo la scalinata e ci avviammo sul vialetto che conduceva all'esterno della proprietà, verso il parcheggio dove avevamo lasciato l'auto.
La pressione avvertita dai miei timpani, dovuta a un improvviso spostamento d'aria, mi fece rendere conto della situazione di grave pericolo. Una frazione di secondo prima di sentire il boato dell'esplosione, d'istinto gettai un braccio intorno alle spalle di Stefano, che camminava al mio fianco, e mi buttai a terra trascinandomelo dietro. Non feci in tempo a toccare il terreno, la faccia rivolta in basso, che mi sentii investire da una pioggia di pezzi di intonaco, di mattoni e di vetri infranti. Quando fu finita, sollevai la testa con cautela, rivolgendomi nella direzione di Stefano, che si stava per rialzare.
«Fermo, aspettiamo qualche istante. A una prima esplosione ne potrebbero seguire altre, così per lo meno mi hanno insegnato al corso di addestramento. Meglio rimanere ancora fermi!»
Dopo sessanta interminabili secondi in cui non successe più nulla, decisi, anche se non ne potevo essere sicura, che ci si poteva alzare. Osservai Stefano ricoperto da una coltre di polvere bianca, lo scuro smoking aveva cambiato colore, mentre i capelli, da brizzolati, erano diventati del tutto bianchi. Mi resi conto che io ero conciata in condizioni simili se non peggiori.
«Ormai dovrei saperlo che vestire in abiti eleganti mi porta sfortuna!» pensai, girandomi verso la villa per cercare di capire cosa fosse successo. La facciata dell'abitazione era stata ferita da uno squarcio di almeno quattro o cinque metri di diametro, a lato dell'ingresso principale. Due finestre del salone, all'interno del quale stavamo conversando solo pochi minuti prima, erano state disintegrate e dalla voragine usciva del fumo nero e qualche lingua di fuoco. Mi guardai intorno e vidi che alcuni degli ospiti, che stavano percorrendo il vialetto come noi, si erano buttati a terra coprendosi la testa con le braccia, imitando forse quanto avevo fatto io. Una signora che era rimasta in piedi era stata colpita in fronte da un grosso frammento di mattone e aveva l'arcata sopraciliare che sanguinava.
Presi il palmare e chiamai il mio ufficio. Dopo un paio di squilli rispose Roberta.
«È un'emergenza, priorità assoluta. C'è stata un'esplosione, suppongo un attentato dinamitardo, qui a Villa Brandi. Occorrono i pompieri e delle ambulanze. Non so ancora dire con certezza quanti siano i feriti. Di sicuro ci sono vittime all'interno dell'abitazione.»
«Ricevuto. Provvedo subito a mandare i soccorsi e raduno la nostra squadra, è lavoro per noi. Ah, la prego, Dottoressa, ormai la conosco abbastanza da credere che entrerà in quell'abitazione semidistrutta prima di chiunque altro. Non le chiedo di desistere ma, per l'amor del cielo, faccia attenzione, non si metta in condizioni di pericolo anche lei!»
La sovrintendente mi aveva letto nel pensiero? Certo che sarei entrata, e subito! Se non altro per verificare se c'erano morti o feriti.
«È dotata di un estintore la tua auto?», chiesi a Stefano.
«Sì, certo. Piccolo, ma funzionante. Ehi, dico, non vorrai mica entrare lì dentro? Ora arriveranno i pompieri e ci penseranno loro!»
«Ogni istante può essere prezioso al fine di salvare delle vite umane. Portami l'estintore e poi vai a casa. Tu qui non puoi essere di nessuna utilità, e sapere che sei insieme ad Aurora mi renderà un po' più tranquilla.»
«Bene, vedo che il tuo congedo per maternità è finito in questo preciso istante. Hai ripreso appieno i tuoi panni di poliziotto. Mi adeguo, ma mi raccomando al tuo buon senso, ora che oltre a essere un poliziotto sei anche una mamma.»
Mmh... non c'è due senza tre. Chi sarà il prossimo a farmi raccomandazioni? Rimuginai tra me e me. Poi, ad alta voce: «Tranquillo, so badare a me stessa!»
Mentre Stefano andava a prendere l'estintore, io riflettei su quale fosse la via d'accesso migliore per entrare in villa. Reputavo infatti l'ingresso principale troppo rischioso. A piano terra c'erano almeno due ingressi di servizio, scelsi di utilizzare quello dal lato opposto rispetto alla zona in cui, al piano superiore, si era verificata l'esplosione. E feci bene, perché in corrispondenza dell'altro ingresso, il solaio era ceduto e avrei trovato l'accesso sbarrato da una montagna di detriti. Entrai con l'estintore in mano, incontrai alcuni camerieri e cuochi che avevano fatto servizio durante la serata e che, per fortuna, stavano rigovernando la lavastoviglie ed erano quindi tutti nel lato della casa rimasto illeso. Se fossero stati nelle cucine, sarebbero stati investiti dallo sprofondamento del solaio sovrastante.
«Polizia! Tutto bene qui?» fu la domanda di rito. Erano tutti impauriti, ma incolumi. Dal momento che l'impianto elettrico era saltato, la dimora era pressoché sprofondata nel buio, a parte la fievole illuminazione fornita dalle luci di emergenza.
«Inutile dirvi che dovete uscire da qui, ma nessuno deve allontanarsi da questo luogo per alcun motivo finché non arriveranno i miei colleghi per prendere le vostre generalità e interrogarvi sull'accaduto! Come si fa ad andare di sopra?»
Ero conscia che l'attentatore o gli attentatori potevano benissimo essere all'interno dell'abitazione. E io ero disarmata. L'unica cosa con cui mi potevo difendere era l'estintore ma, contro una pistola o, peggio, dell'altro esplosivo, sarebbe servito a poco! Comunque un sesto senso mi diceva che non avrei trovato criminali all'interno della villa. Si potrebbe essere trattato di un ordigno a tempo, o magari telecomandato. E poi perché ero convinta si trattasse di un attentato? Forse per tutte le storie che avevo avuto modo di ascoltare sulla villa? Potrebbe essersi trattato di un semplice incidente, che so, dovuto all'esplosione di una tubatura del gas. Ma proprio in quella serata e con quel tempismo? L'esplosione sembrava avvenuta ad arte, nel salone dove erano rimasti ormai solo i membri delle famiglie Brandi e Gloriani. Inutile fare congetture prima dell'arrivo della Scientifica. In quel momento c'era solo da preoccuparsi di vedere se ci fosse qualche superstite da trarre in salvo.
Fu il capo cameriere a indicarmi una porta, da cui si accedeva al vano scale che conduceva al piano di sopra. Arrivata nel salone, riuscii a domare un piccolo principio di incendio grazie all'estintore. Fortuna aveva voluto che vicino alle fiamme non ci fossero suppellettili propense a prendere fuoco, tipo librerie o mobili in legno, e il pavimento era piastrellato, niente moquette o parquet. Ma lo spettacolo che si presentò ai miei occhi era comunque raccapricciante. Le cinque persone che solo pochi minuti prima erano stati ameni interlocutori erano riversi a terra, senza segni di vita. Il signor Aldo aveva la testa fracassata e il corpo, a ridosso di una parete contro la quale era stato scaraventato dall'esplosione, era piegato ad angolo retto, il tronco appoggiato al muro e le gambe al pavimento. La sua gamba sinistra era stranamente ripiegata su se stessa, spezzata in due, mentre credo che la destra si fosse disarticolata dal bacino, in quanto sporgeva in maniera smisurata dal pantalone. Suo fratello, il signor Giulio, a giudicare dalla scia di sangue, si era trascinato, gravemente ferito, fino alla voragine aperta dall'esplosione, magari cercando scampo all'esterno, ma era ora senza vita, riverso bocconi con la testa penzolante dalla facciata esterna della casa e l'addome squarciato, da cui fuoriuscivano le interiora. Il corpo di Giada Spergolini era carbonizzato, alcuni lembi dei suoi vestiti erano ancora in fiamme, la poveraccia era stata investita dalla fiammata innescata dalla deflagrazione. Non avrebbe mai più parlato di musica jazz con Stefano. La signora Liana e il Signor Alfredo sembravano quelli in condizioni migliori. Forse erano rimasti più distanti degli altri e avevano subito meno insulti. La donna era riversa sul pavimento, faccia a terra. Palpai il collo per cercare un battito sulla doccia giugulare, niente. Ripetei la stessa operazione sul marito, c'era battito. Cercai di metterlo supino e di praticare massaggio cardiaco e respirazione artificiale, come mi era stato insegnato ai corsi di primo soccorso. Dopo alcuni cicli di percussioni sopra l'aia cardiaca, alternate a potenti immissioni di aria nella bocca dell'anziano, tenendo chiuso il suo naso con le mie dita, lo vidi sollevare l'addome e fare un atto respiratorio spontaneo, poi un altro, e un altro ancora. Il suono delle sirene giunse come una melodia alle mie orecchie. Mi affacciai dalla voragine, vincendo il raccapriccio che provocava in me la vicinanza del cadavere di Giulio Gloriani, e mi feci notare dal personale a bordo della prima ambulanza che era arrivata.
«Quassù, presto! Ce n'è uno ancora vivo. In pessime condizioni, ma vivo.»
Dal momento che erano arrivati i soccorsi, potevo uscire da quel luogo trasformato in così poco tempo da angolo di paradiso in girone infernale. Scesi le scale come un automa e raggiunsi l'auto della Polizia, accanto alla quale trovai la presenza rassicurante dei miei colleghi. Mi accorsi che stavo tremando, e non di freddo. La scarica di adrenalina in circolo era terminata, e non avevo certo vissuto un'avventura piacevole.
Mentre raccontavo a Roberta e Andrea ciò di cui ero stata testimone, il piazzale intorno casa si trasformò in un andirivieni di mezzi che illuminavano di luce azzurrina lampeggiante il buio della notte. L'Ispettore Santinelli e Gaetano Perrotta erano giunti nel frattempo con un'altra auto, seguiti dal furgone della scientifica. I Vigili del Fuoco finirono di domare i focolai di incendio e, quando il capo squadra giudicò che l'edificio era in sicurezza, fecero cenno ai miei colleghi che sarebbero potuti entrare. Per primi entrarono il Medico Legale e i ragazzi della Scientifica, bardati in tute bianche, calzari e guanti di lattice, seguiti da Santinelli e Perrotta.
«Io ho già visto abbastanza, non ho voglia di entrare di nuovo là dentro», dissi, rivolta a Roberta e Andrea, che ancora erano accanto a me. «Voi due che ne dite di fare due chiacchiere con il personale che era presente nelle cucine? È quel gruppetto di persone laggiù.»
«Benissimo, Dottoressa! E Lei?»
«E io, per il momento, mi ritirerei alla mia vita privata. Sono qui per sbaglio e...»
Non feci in tempo a finire la frase, che squillò il palmare. Guardai il display e vidi la scritta a caratteri maiuscoli QUESTORE. Ero tentata di premere il tasto di rifiuto, a cui sarebbe seguito il messaggio preimpostato Spiacente, ho da fare. Richiamate più tardi, per favore. Ma il mio dito deviò all'ultimo momento sul tasto verde.