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Il Morbo Di Parkinson In Tempi Di Pandemia
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Il Morbo Di Parkinson In Tempi Di Pandemia

Язык: Итальянский
Год издания: 2020
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È proprio quello che cercano di accertare l’Ospedale “Moriggia-Pelascini”, l’Istituto di Scienze di Pavia, l’Istituto di Scienze di Montescano (Italia) e l’Università di Tel-Aviv (Israele) [5].

La Sindrome di Pisa è definita come una torsione sostenuta del tronco di almeno dieci gradi, che può essere osservata sia da seduti che in posizione eretta, ma scompare non appena la persona si corica.

Nello studio, a settantaquattro pazienti con diagnosi di Morbo di Parkinson sono state effettuate misurazioni EMG (ElectroMyographic) per verificare il livello di deviazione della persona; per questo sono state eseguite in diverse posture, anche in posizione supina.

Sono stati valutati tre momenti diversi, a riposo, contratti verso la posizione naturale dei muscoli e contratti dal lato opposto a quello naturale.

È stato osservato che il 78% dei pazienti mostrava differenze significative in termini di deviazione muscolare, in particolare il muscolo obliquo esterno dell’addome, che era quello che forniva il maggior numero di informazioni tra tutti quelli valutati.

Va tenuto presente che, come riportato dagli autori, si tratta di un primo approccio per determinare un metodo valido per rilevare la presenza della Sindrome di Pisa nei pazienti con Morbo di Parkinson, quindi sono necessarie nuove ricerche a questo proposito al fine di stabilire una procedura diagnostica più efficace.

Lo studio non riporta le caratteristiche sociodemografiche dei malati di Parkinson, né la loro età, né il loro sesso … aspetti fondamentali se i risultati devono essere estrapolati ad altre popolazioni.

Nonostante quanto sopra, l’uso dell’elettromiografia, una tecnica molto semplice e diffusa nella pratica medica, rende più facile ed efficace la diagnosi della Sindrome di Pisa, soprattutto se la valutazione viene eseguita sul muscolo obliquo esterno dell’addome.

Va tenuto presente che, come in ogni altro caso, soffrire di due patologie contemporaneamente, in questo caso il Morbo di Parkinson e la Sindrome di Pisa peggiora la prognosi clinica della persona, rendendo difficile la guarigione.

Inoltre, la sotto diagnosi della Sindrome di Pisa serve solo a nascondere i sintomi che saranno presenti, interferendo con la qualità di vita del paziente affetto da Parkinson, purché non riceva il trattamento appropriato.

A tal proposito è ancora da capire come si debba trattare la Sindrome di Pisa e se questo trattamento comporterà qualche tipo di controindicazione rispetto a quello ricevuto per il Morbo di Parkinson.

Allo stesso modo, e all’interno dei problemi di movimento che inizialmente potrebbero essere attribuiti al Morbo di Parkinson, ma che richiedono una diagnosi differenziale, va fatta una distinzione rispetto alla distonia neurocircolatoria, che può essere definita come la modifica del corretto “uso” dei muscoli da parte del corpo.

Un esempio di questa modifica è quando abbiamo eseguito degli esercizi ginnici senza il riscaldamento preliminare appropriato, che possono provocare dei crampi nelle ore successive all’attività fisica.

Allo stesso modo, l’esercizio eccessivo di un gruppo di muscoli può renderli temporaneamente “flosci” e flaccidi, recuperando il loro “tono” muscolare dopo poche ore.

Tenendo conto che i muscoli distribuiti in tutto il corpo permettono alla persona di eseguire movimenti grazie alla loro capacità di contrarre e rilassare i tessuti che li compongono.

Tutto questo “guidato” dal sistema nervoso centrale, che impartisce gli ordini che consentono di eseguire i movimenti in modo coordinato.

Basti pensare a tutti i gruppi muscolari coinvolti nella deambulazione e che senza un “piano” prestabilito sarebbe difficile, se non addirittura impossibile, riuscire a deambulare “armoniosamente”.

Tornando alla distonia, quando è cronica, si chiama sindrome distonica, dove la tonalità dei muscoli è alterata, totalmente o parzialmente, solitamente associata a cause genetiche o a un trauma cranico, che può essere espresso con perdita di forza nei muscoli, crampi, spasmi involontari, tremori e incoordinazione dei movimenti, accompagnati in alcuni casi da dolore.

Oltre ai segni, tra i sintomi ci sono irrequietezza nei movimenti, tentativo di nascondere mani e piedi, frequenti schiarimenti della gola, dovuti al cambio di tono della voce, tutti fattori che porteranno ad esaurimento fisico e psicologico, difficoltà di concentrazione, disturbi dell’umore dovuti ad una sensazione di mancanza di controllo del proprio corpo, problemi digestivi e disturbi del sonno, che in alcuni casi portano alla depressione.

Sintomi simili a quelli manifestati dai pazienti, con sindrome di Tourette denominata anche dei tic cronici, dove sono presenti anche segni motori involontari espressi sotto forma di tic, che ricorrenti cronicamente interferiranno con il normale sviluppo della vita sociale, poiché solitamente sono associati alla coprolalia, che è l’espressione di parole oscene e socialmente inappropriate, causate dalla mancanza di controllo.

Come possiamo vedere, un’alterazione del tono muscolare sarà anche un’indicazione che qualcosa non sta andando bene nel nostro corpo, sia a livello neurologico che midollare, normalmente correlato al sistema nervoso.

Così, quando questo controllo sui movimenti è “compromesso” da qualche malattia neurologica, può produrre patologia come il Parkinson o la Corea di Huntington, nota anche come Ballo di San Vito.

Per quanto riguarda i problemi di controllo muscolare, sebbene possano essere utilizzate molte classificazioni di tremori, in base ai muscoli interessati o alla funzione coinvolta, in questo libro li distingueremo tra tremori a riposo e tremori da azione.

I primi si riferiscono ai muscoli in stato di rilassamento, cioè mentre la persona rimane ferma, in piedi o seduta, senza fare nulla, e nonostante questo il paziente soffre di tremori; mentre i tremori di azione, d’altra parte, sono quelli che compaiono solo quando un’azione sta per essere eseguita, sia che si tratti di prendere un oggetto o di camminare.

Lo svantaggio di soffrire di quest’ultimo tipo di tremore è che ostacola l’azione intrapresa, ad esempio, quando si vuole portare il cibo dal piatto alla bocca, avere tremori di azione alla mano o all’avambraccio significa che il cibo viene rovesciato a causa di tali tremori.

Va ricordato che quando si esegue un’azione, ad esempio quando si flette il braccio, ci sono muscoli che si contraggono, cioè quando subiscono il tremore durante l’azione, e muscoli che rimangono rilassati, che di solito non soffrono di tremore, ma come sono correlati i tremori nel Morbo di Parkinson?

Questo è esattamente ciò che si è cercato di scoprire con una ricerca condotta dalla Parkinson’s Clinic di East Toronto e dal Centre for Movement Disorders (Canada) [6].

Lo studio ha incluso 100 pazienti con diagnosi di Morbo di Parkinson, di età compresa tra 43 e 99 anni, nei quali è stata osservata la lateralità dei tremori, sia di riposo che di azione, studiando solo i tremori delle estremità superiori, valutati utilizzando la Unified P.D. Rating Scale [7].

I risultati indicano una relazione inversa tra l’intensità del tremore a riposo e il tremore d’azione, una relazione che viene mantenuta solo sullo stesso lato del corpo.

Pertanto, la presenza di tremore moderato a riposo in un arto significa che, su quel lato del corpo, c’è una probabilità significativamente inferiore di subire un tremore d’azione.

Tremori dei muscoli che inizialmente appariranno al centro del corpo, ma che possono diffondersi anche all’altra metà, tenendo conto che, sebbene la caratteristica più eclatante sia proprio questo tremore, il Morbo di Parkinson presenta anche sintomi come la rigidità e instabilità posturale e lentezza nei movimenti.

Come è stato affermato finora, il Morbo di Parkinson è una patologia neurodegenerativa associata al controllo muscolare, quindi i suoi effetti peggioreranno con l’età.

A questo vanno aggiunti i problemi del passare del tempo, con la progressiva diminuzione dell’autonomia personale.

Questo aspetto è una delle maggiori preoccupazioni per i pazienti affetti dal Parkinson, sapendo che è una questione di tempo prima che diventino sempre più dipendenti dal fare quasi qualsiasi attività.

Va tenuto presente che i problemi muscolari associati alla malattia sono in aumento, ma esiste una relazione tra Morbo di Parkinson e problemi cognitivi?

A questo si è cercato di dare una risposta con un’indagine condotta dal Dipartimento di Neurologia, Facoltà di Medicina, Università Ondokuz Mayis; insieme alla Clinica Neurologica, Formazione e Ricerca Ospedaliera; e il servizio di neurologia, Carsamba State Hospital (Turchia) [8].

Allo studio hanno partecipato trentasette pazienti con diagnosi di Morbo di Parkinson, di età compresa tra 55 e 77 anni, di cui diciannove donne.

I partecipanti hanno compilato una scala per determinare il livello di indipendenza utilizzando le Scales for Outcomes nel Morbo di Parkinson – Automatiche [9]; le Hoehn e Yahr Scale sono state utilizzate per determinare la gravità della [10]malattia; allo stesso modo, le capacità cognitive sono state valutate utilizzando il Mini Mental State Examination test [11,12], il Blessed test [13] e il Frontal Evaluation Test [14].

La scala della depressione geriatrica è stata utilizzata per rilevare i sintomi depressivi; e infine, per valutare l’attenzione e la memoria a breve termine, è stato utilizzato un test di sequenza numerica.

I risultati riportano che non esiste una correlazione significativa tra il livello di autonomia e le capacità cognitive, funzionando in modo indipendente.

D’altra parte, esiste una correlazione negativa tra la gravità della malattia e le capacità cognitive, ovvero, maggiore è la gravità, minori sono i punteggi ottenuti nelle capacità cognitive.

Tra i limiti dello studio, va notato che, pur avendo quasi lo stesso numero di partecipanti per ogni sesso, non è stata effettuata un’analisi comparativa, quindi non è possibile fare alcuna inferenza al riguardo in base al genere.

Allo stesso modo, la gamma dei partecipanti è molto ampia e gli effetti dell’età possono essere confusi, quindi sarebbe bene se fossero stati separati in due gruppi, ad esempio sotto e sopra i 65 anni, per verificare se ci sono differenze, che potrebbero essere spiegate solo dall’età.

Nonostante i limiti di cui sopra, i risultati mostrano un certo livello di indipendenza tra capacità cognitive e autonomia personale.

Va notato che, essendo il Morbo di Parkinson neurodegenerativo, ciò implica che progredirà fino a quando non finirà per influenzare tutte le funzioni del corpo, sebbene il suo sintomo più evidente sia il tremore.

Così, le aree cerebrali colpite dal Morbo di Parkinson fanno sì che tutti i muscoli a poco a poco “fuori controllo” perdano la loro utilità, oltre a questa perdita di controllo caratterizzata da tremori, si produce una graduale rigidità di alcuni gruppi muscolari.

Anche se i più “evidenti” all’inizio sono in quei movimenti che richiedono la partecipazione di un numero maggiore di fasce muscolari, come il camminare, dove interviene anche l’informazione vestibolare che serve a riequilibrare la postura ad ogni passo.

Man mano che la malattia progredisce, si produrrà “interferenza” nel resto dei muscoli, come quelli della mascella e della lingua, che sono essenziali per una corretta prestazione linguistica. Di conseguenza, con il progredire del Parkinson, sarà più difficile capire cosa sta dicendo il paziente.

Non perché abbia qualche tipo di patologia neurologica legata alla parola o al pensiero, ma perché i muscoli intorno alla bocca e anche la lingua non rispondono adeguatamente ai suoi comandi, ma si può diagnosticare la presenza del Parkinson dal modo in cui una persona parla?

È quanto si è tentato di risolvere con un’indagine condotta dal Dipartimento di Informatica e Ingegneria e dal Dipartimento di Tecnologie dell’Informazione dell’Università di Ingegneria RAGHU, insieme al Dipartimento di Tecnologie dell’Informazione dell’Università. GITAM; e il Dipartimento di Microbiologia e Bioinformatica dell’Università Bilaspur (India) [15].

In questo studio sono stati utilizzati database su audio con registrazioni vocali e, tramite Big Data, sono state ricercate differenze tra i pazienti con Morbo di Parkinson da fare un confronto con la popolazione generale di età inferiore ai 40 anni.

Questi dati sono stati elaborati utilizzando tre diversi metodi di analisi matematica computerizzata, dove si verificava la chiarezza, la modulazione, la fase o l’impedenza delle frasi sia dei pazienti con Parkinson che delle persone che non ce l’hanno, che rappresentavano il gruppo di controllo.

I risultati indicano che l’uso di tecniche come la Support Vector Machine possono essere utilizzate per la diagnosi differenziale tra pazienti con e senza Morbo di Parkinson, a partire dai 40 anni, con una percentuale di successo del 70%.

Nonostante la chiarezza di questi risultati, la selezione dell’età come punto di cut-off tra prima e dopo l’insorgenza del Parkinson può essere evidenziata come una limitazione dello studio, a causa delle differenze individuali esistenti non controllate in questo studio.

Come sottolineano gli autori, se i risultati di queste analisi saranno corroborati, consentirà a chiunque di pronunciare tutte le vocali dieci volte e, dopo l’obbligatoria analisi matematica, sarà possibile sapere se stanno presentando i primi sintomi “silenti” del Morbo di Parkinson o meno.

Un grande passo avanti, poiché prima viene diagnosticata questa malattia, prima è possibile intervenire, allungando così la qualità della vita del paziente, e tutto questo con pochi minuti davanti a un microfono.

Come accennato, i problemi di linguaggio, indipendentemente dall’età in cui si presentano, renderanno difficile per il paziente avere una relazione sociale adeguata, da qui l’importanza di verificarne gli effetti nel Parkinson.

Essendo la capacità di comunicare una delle problematiche più importanti che incidono sulla qualità della vita dei pazienti con il Parkinson, è stato osservato che nel 90% dei casi è ostacolata dalla progressione della malattia, sia da alterazione nella velocità di parola sia dalla loro capacità discorsiva, ma i pazienti affetti dal Parkinson presentano problemi di linguaggio in funzione dell’età?

Questo è esattamente ciò che si è cercato di risolvere attraverso un’indagine condotta dal Dipartimento di Neurologia della Facoltà di Medicina dell’Università di San Paolo (Brasile) [16].

Lo studio ha incluso 50 pazienti con diagnosi di Morbo di Parkinson, tutti di età superiore ai 40 anni, che sono stati separati in due gruppi in base all’età, il primo, di 30 pazienti con età compresa tra 40 e 55 anni; e il secondo, con 20 partecipanti, tutti di età superiore ai 65 anni.

Sono state somministrate tre misure, una neuropsicologica per valutare la progressione del Parkinson attraverso la scala di Hoehn e Yahr e la [10] Unified Parkinson´s Disease Rating Scale[17]; una seconda di tipo percettivo dove è stata valutata la velocità discorsiva; e una terza di tipo acustico, dove la capacità di generare parole è stata valutata spontaneamente attraverso l’analisi delle vocali utilizzate in base al V.A.I. (Vowel Articulation Index).

Lo studio riporta che non ci sono differenze tra i gruppi di età in termini di nessuna delle tre misure, cioè né nella gravità del Morbo di Parkinson, né nella velocità né nella capacità di parlare.

Uno dei limiti dello studio è non aver separato i pazienti in base ai punteggi ottenuti nelle misure neuropsicologiche, cioè in base alla gravità della malattia.

Nonostante ciò, lo studio si concentra su un aspetto a volte dimenticato rispetto al Parkinson, la capacità di comunicare, fondamentale in una società basata sulla comunicazione orale.

I dati mostrano che l’età non è una variabile rilevante nei problemi di linguaggio associati al Morbo di Parkinson, il che indica che a qualsiasi età dovrebbe essere possibile intervenire attraverso una terapia specifica eseguita da un logopedista per aiutare a compensare le perdite dovute alla malattia.

Se guardiamo al morbo di Parkinson da un punto di vista neurologico, c’è un compromesso nel cervelletto che è anche associato al deterioramento dovuto all’età, il che conclude che in generale si potrebbe dire che ci sono difficoltà nelle capacità motorie volontarie, in particolare del gli organi fonoarticolanti che hanno a che fare direttamente con la pronuncia dei diversi fonemi associati alla parola.

Questo deterioramento è anche associato all’espressione genetica. Non si sa quando inizierà questa difficoltà, tutto dipende dall’ambiente, dalla qualità della vita, dalla diagnosi e dall’intervento precoci e dalla genetica.

I sistemi di intelligenza artificiale sono attualmente utilizzati per scoprire quali mutazioni genetiche sono correlate alla comparsa del Parkinson.

Questo sarà fondamentale nel trattamento del Parkinson nel prossimo futuro.

Pertanto, i modelli predittivi di AI (intelligenza artificiale) basati su reti neurali sono già in fase di sviluppo e con la capacità, oltre a metodi di analisi statistica che utilizzano AI, come il Deep Learning aiuteranno i neurologi a identificare i pazienti candidati a ricevere eventuali cure attraverso la medicina personalizzata e la telemedicina, in base alle loro caratteristiche genetiche e cliniche.” Dra. Mabel Velandia Ramos Audiologa Colombia.

Va notato che a volte il pubblico in generale ha maggiori conoscenze sulle malattie a causa delle conseguenze nelle fasi avanzate, come nel caso del Morbo di Parkinson.

Essendo il Morbo di Parkinson neurodegenerativo, nel tempo gli effetti peggioreranno gradualmente, progredendo dai primi sintomi dello Stadio I, con lievi movimenti in una sola parte del corpo, trascinando un po’ i piedi, cominciando a mostrare i primi sintomi di rigidità.

Nello Stadio II, la persona inizia a piegarsi in avanti, cominciano i problemi di equilibrio e le difficoltà ad iniziare i movimenti (bradicinesia).

Nello Stadio III e IV i sintomi si complicano, rendendo difficile l’equilibrio e la deambulazione.

Fino all’ultima fase dello Stadio V, dove la dipendenza è massima, richiedendo una terza persona per svolgere qualsiasi attività della vita quotidiana, il paziente trascorre buona parte del suo tempo seduto o sdraiato a causa dei continui tremori.

Va tenuto presente che con il progredire della patologia le opzioni di trattamento per il Parkinson si riducono, a partire da quello farmacologico e riabilitativo fino a quello chirurgico. Tra questi ultimi, è possibile distinguere tra le cure reversibili come la stimolazione cerebrale profonda, e quelle irreversibili, che includono la chirurgia in cui si interviene in alcune parti del cervello.

Per quanto riguarda questi interventi chirurgici, la pallidotomia è la più comune, dove viene praticata un’incisione nel globo pallido del cervello, un intervento che invece è stato osservato avere conseguenze emotive nei pazienti operati, ma un intervento chirurgico nel cervello del paziente con il Morbo di Parkinson porta cambiamenti emotivi?

A questo si è cercato di rispondere con un’indagine condotta dall’Hospital de Santa María (Portogallo) [18].

Lo studio ha coinvolto 30 pazienti che hanno subito un intervento chirurgico per curare gli stadi avanzati del Parkinson.

Tutti sono stati sottoposti ad uno studio precedente e a un follow-up di un anno dopo l’intervento in cui hanno dovuto rispondere a un questionario standardizzato per il rilevamento delle emozioni chiamato Comprehensive Affect Testing System [19] in cui vengono valutate 7 emozioni di base nelle attività di riconoscimento facciale e 4 sul linguaggio (prosodia).

I risultati mostrano che non ci sono cambiamenti significativi tra i dati ottenuti prima e dopo l’intervento chirurgico. Nonostante ciò, una sintomatologia di apatia o depressione era stata osservata in 6 dei partecipanti prima dell’intervento, e che successivamente il numero è aumentato fino a 14 dopo un anno dall’intervento.

Quello che senza dubbio dovrebbe essere oggetto di studio è il motivo per cui il numero di persone con sintomi depressivi è raddoppiato in un anno, e se questo corrisponde a un’evoluzione “normale” della malattia o è il prodotto di un intervento chirurgico.

Come carenze dello studio, va notato che non è stato istituito un gruppo di controllo con cui confrontare l’evoluzione della malattia nel tempo, e che non è stata effettuata una valutazione esaustiva dell’umore del paziente né prima né dopo l’intervento chirurgico.

A causa dei limiti dello studio, i risultati non possono essere generalizzati fino a quando il numero di partecipanti non verrà ampliato, includendo un gruppo di controllo e verrà analizzata l’evoluzione dell’umore dei pazienti che hanno subito un intervento chirurgico come misura per affrontare la fase più avanzata del Morbo di Parkinson.

Sebbene i sintomi più evidenti del morbo di Parkinson siano proprio i tremori, ce ne sono altri non legati ai movimenti, come i disturbi del sonno, con una prevalenza che colpisce tra il 40 e il 90% di chi soffre di questa malattia sia con insonnia, sia con eccessiva sonnolenza diurna, apnea notturna o problemi durante il sonno.

Quelle persone che non soffrono di questo tipo di disturbi, tendono a non capire quanto sia invalidante non riposare e non poter iniziare una nuova giornata.

A questo proposito, va notato che una delle difficoltà che hanno i pazienti con Morbo di Parkinson è che quando compaiono problemi di sonno, non possono essere trattati adeguatamente, poiché il farmaco utilizzato in questi casi è solitamente incompatibile con quello adottato nel trattamento del Parkinson stesso.

Allo stesso modo, alcuni esercizi indicati per questi pazienti non sono così promettenti come ci si aspetterebbe, mantenendo così le difficoltà del sonno, ed i problemi che questo comporta per chiunque, ma ora aggravati dal Parkinson, ma i disturbi del sonno causati dal Parkinson possono essere superati?

Questo è proprio quanto si è cercato di scoprire con un’indagine congiunta svolta dall’Ospedale “S. Isidoro”; la Fondazione IRCCS S. Maugeri, Ospedale “Le Terrazze”; l’Ospedale Moriggia Pelascini, l’Istituto di Perfezionamento Clinico (Italia); e il JFK Johnson Rehabilitation Institute; insieme al Center for Movement Disorders della City University di New York (USA) [20].

Hanno partecipato allo studio 138 pazienti con un’età media di 69 anni, di cui 77 donne. I partecipanti sono stati divisi in due gruppi, il primo con 89 pazienti, che hanno ricevuto congiuntamente cure farmacologiche e allenamento fisico, e l’altro, con 49 partecipanti, che hanno ricevuto solo cure farmacologiche. Tutti sono stati esaminati per verificare la loro diagnosi, attraverso la scala dei sintomi del Morbo di Parkinson denominata Hoehn and Yahr Scale [10] ed il Mini-Mental State [12].

Dopo 28 giorni, tutti i partecipanti sono stati riesaminati per vedere se c’erano effetti differenziali tra i due gruppi, questa volta utilizzando la scala standardizzata chiamata Unified Parkinson’s Disease Rating Scale [17].

I risultati mostrano miglioramenti significativi nel trattamento congiunto tra il trattamento farmacologico e gli esercizi studiati per questo scopo, producendo una diminuzione dei disturbi del sonno, d’altra parte non sono state riscontrate differenze nel gruppo di controllo che ha ricevuto solo un trattamento farmacologico per trattare i problemi del sonno associati. Tra i limiti dello studio c’è il non avere un terzo gruppo di ricerca, che riceve esclusivamente esercizio fisico, per verificare se si producono o meno gli effetti positivi desiderati.

Allo stesso modo, effettuare un’unica valutazione a 28 giorni non garantisce che gli effetti positivi sul miglioramento dei disturbi del sonno si manterranno nel tempo, quindi sarebbero necessarie valutazioni successive per verificarlo.

Sintomi non motori del Morbo di Parkinson

Il Morbo di Parkinson è una malattia causata dalla degenerazione delle cellule nervose (neuroni) nel cervello. Questa malattia si presenta generalmente con disturbi del movimento come tremori, rigidità, bradicinesia e instabilità nella postura del corpo, ma possono verificarsi anche sintomi non motori, che possono precedere i sintomi classici. Questo potrebbe essere un segno precoce del Parkinson.

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