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Piangendo Sulla Luce Versata
Piangendo Sulla Luce Versata

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Piangendo Sulla Luce Versata

Язык: Итальянский
Год издания: 2020
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Capitolo Zero

Capitolo i

Capitolo i^2

Capitolo i^3

Capitolo i^4

Capitolo 2i

Capitolo 2i^2

Capitolo 2i^3

Capitolo 2i^4

Capitolo 3i

Capitolo 3i^2

Capitolo 3i^3

Capitolo 3i^4

Capitolo 4i

Capitolo 4i^2

Capitolo 4i^3

Capitolo 4i^4

Capitolo 5i

Capitolo 5i^2

Capitolo 5i^3

Capitolo 5i^4

Capitolo 6i

Capitolo 6i^2

Capitolo 6i^3

Capitolo 6i^4

Capitolo 7i

Capitolo 7i^2

Capitolo 7i^3

Capitolo 7i^4

Capitolo 8i

Capitolo 8i^2

Capitolo 8i^3

Grazie per aver letto questo libro.

PIANGENDO SULLA LUCE VERSATA

Di George Saoulidis

Tradotto da Giulia Bussacchini

Copyright © 2019 George Saoulidis

All rights reserved.

Pubblicato da Tektime

Capitolo Zero

La signora in blu era immobile, e guardava verso l’angolo della stanza. L’aria attorno a lei era indisturbata, le particelle di polvere danzavano, ed alcuni raggi di sole illuminavano brevemente la loro traiettoria vorticosa.

Il corpo che aveva causato tale agitazione di polvere si trovava ancora nel bel mezzo dello spesso tappeto. Un uomo alto e pesante, non causa ai muscolosi, ma piuttosto agli spaghetti e formaggio feta, era faccia in giù, le sue membra immobili, e la sua bava veniva assorbita istantaneamente dal tappeto. I suoi piccoli occhiali erano schiacciati sotto il cranio, la montatura era storta, ma le lenti erano rimaste intatte.

La signora in blu alzò lo sguardo sulla lavagna.

Il movimento delle sue ciglia non fu abbastanza per disturbare la polvere che cadeva.

Sulla lavagna erano stati scarabocchiati simboli matematici, metà dei quali apparentemente scritti, cancellati e riscritti un miliardo di volte. L’angolo sinistro era asciutto, graffiato e logoro. Un inizio che aveva tormentato l’omone per anni. La lavagna torreggiava nella stanza, come un totem, un costante promemoria per l’uomo pesante di continuare a lavorare, continuare a riflettere sul significato dei simboli.

Non molto altro era degno di nota nella stanza. Era come se qualcuno avesse ereditato la casa della madre, piena di bric-à-brac - filati di lino da lavoro ed altri oggetti artigianali caratteristici di una casa greca - e poi avesse rimosso meticolosamente tutto quanto, lasciando macchie scolorite sulla vernice della mobilia. Mobili vecchi, fatti a mano, con chiavistelli scricchiolanti e piedi irregolari, resi saldi da una pagina di giornale piegata e ben posizionata, pressati dal peso degli anni, quasi come a farli ritornare alla polpa di legno da cui erano venuti. Qualcuno cresciuto in una casa simile potrebbe identificare facilmente la maggior parte degli oggetti mancanti solamente dalle ombre lasciate.

Lì, una cornice spessa. Là, appeso al chiodo ora orfano, si trovava un piatto decorato, che le persone sembrano amare appendere ai muri. Lì, un centrino bianco all’uncinetto copriva quella perfetta forma triangolare, quasi come una stampa.

Ogni elemento era mancante.

La donna in blu si diresse verso la lavagna, i suoi passi disturbarono i moti della polvere, facendola vorticare attorno a lei. Raccolse il pennarello dal pavimento, strappò con attenzione una pagina da un blocco note e ricopiò i simboli matematici dalla lavagna. Li ricontrollò, assicurandosi di aver trascritto tutto, e poi con il tessuto strappato che trovò accanto a lei ripulì la lavagna. Svolse l’operazione con forza, facendo in modo di cancellare tutto per bene. La parte in alto a sinistra dei simboli oppose resistenza, ma poi cedette.

Ripose il panno e piegò il foglio. Senza fatica.

Poi infilò la pagina piegata all’interno del suo vestito blu, proprio accanto al suo cuore. Senza fatica.

E poi trascinò il pesante uomo per la gamba fino in fondo al corridoio. Senza fatica.

Capitolo i

Yanni salì al piano superiore e si diresse nel suo ufficio/laboratorio. Azionò il laser ed accese il computer collegato allo stesso. Serrò le tende per oscurare la stanza, indossò gli occhiali protettivi, estrasse la sua sigaretta elettronica e emise il fumo nella direzione del fascio laser che puntava verso il soffitto.

Il fumo della finta sigaretta rese visibile il laser, il quale era diretto verso l’alto come una freccia.

Yanni era infastidito da tale sciocca conformità con le leggi della natura.

Esalò qualche altra boccata di fumo ed inserì diverse variabili su Matlab.

Il raggio di luce blu sfarfallò appena, ma non deviò la propria traiettoria.

Yanni grugnì e poi fissò il punto blu sul soffitto, riflettendo sulle equazioni.

Lavorava duramente in quel modo per sette ore di fila.

Thalia lo raggiunse e gli portò un sandwich. “Sei rimasto al buio tutto il giorno?” domandò.

“Non riesco a vedere il laser con una sorgente di diecimila lumen in stanza” disse.

La donna finse un sorriso, chiaramente non comprendendo il concetto, e poi gli disse, “Dovresti prenderti cura dei bambini, devo andare a comprare delle cose”.

“Sì, arrivo subito”, le disse Yanni quando la donna fece per richiudere la porta.

Thalia se ne andò lasciando Yanni al piano inferiore sul divano, con la bambina in braccio e Georgie intento a gettare farina sul suo camion giocattolo. Alla TV c’erano in cartoni, il cui volume sfiorava il rischio di scoppio cocleare, e la bambina piangeva perché voleva la sua mamma. La riposizionò fra le sue braccia e le diede il ciuccio. Poi Yanni s’appropriò del tablet per scrivere ai suoi amici su Facebook. Prese a digitare sul dispositivo, ma poi si rese conto che lo schermo era sporco di cioccolata, quindi lo pulì frettolosamente. Aggiunse tutti i suoi amici ad una chat di gruppo su Facebook, dicendo loro della festa che Thalia stava organizzando.

Poi scrisse un messaggio a Niko. Il suo amico era l’unico a non essere su Facebook, in tal senso l’uomo era all’antica. Insisteva nel non accettare contatti Facebook dalle ragazze, solo i loro numeri di telefono (nel caso in cui non salivano subito in auto con lui). Vedeva il fatto di ammirare in modo anonimo le foto di una ragazza come qualcosa da pervertito, e le donne gli mandavano delle foto osé autonomamente appena scoprivano che era un architetto.

Nikos lo chiamò, “Yasou, pensi che me ne sarei dimenticato amico? Il due settembre, il giorno in cui distruggiamo la casa, ogni anno, da quindici anni!”

Yanni provò un leggero imbarazzo e disse, “Già, temo che quest’anno la festa sarà molto più calma.”

Nikos disse, “Come l’anno scorso e quello prima ancora. È questo l’effetto che il matrimonio ha su di te. Sì, nessun problema amico, voglio solo trascorrere del tempo con te, ultimamente non ti vedo più”.

“A proposito, sarebbe utile che portassi con te una ragazza più appropriata. L’ultima volta le nostre mogli ci hanno quasi cavato gli occhi, amico. Hai alimentato il fuoco per decenni con il tuo modo di fare fastidioso” disse Yanni.

“Ahah già, è stato impagabile!” disse Nikos ridendo. “No, non preoccuparti, non porterò nessuno. Verrò solo”.

Yanni s’accigliò all’insolita affermazione dell’amico e domandò, “Solo? Tu? Come mai?”

“Ho trovato la mia Musa,” rispose Nikos. “Usciamo a bere una cosa e ti dirò tutto di lei”.

“Sembri serio. Devo saperne di più”, disse Yanni.

Si accordarono sul luogo e sull’orario, e poi Yanni controllò il tablet, il quale era ormai ricoperto di farina e bava. Georgie sedeva sul suo camion facendo finta di trasportare un carico di preziosa farina. Gli altri amici sposati avevano risposto alla chat di gruppo, avevano lasciato dei like e mandato delle emoji, iniziando a conversare in merito al portare quella bottiglia di buon vino che l’ultima volta era piaciuta a tutti.

Yanni si accomodò sul divano, reggendo la sua bimba in braccio, in attesa del ritorno della moglie. Tutto ciò che desiderava era che la sua Musa facesse ritorno.

Capitolo i^2

“Non sei così vecchio. Abbiamo la stessa età. Stai dicendo che anche io sono vecchia?” domandò Thalia con un’espressione che sembrava avvisarlo di fare attenzione a ciò che avrebbe detto.

Yanni aprì le braccia con fare di scuse e rispose, “No, certo che no. Sto parlando di età accademica. Di idee. Non mi sento più così sveglio”.

Thalia rifletté seriamente sulla situazione, cullando la bambina che stava dormendo; era l’immagine della dolcezza. “Yanni, fai ciò che riesci. Forse dovresti passare il testimone a qualcuno a cui insegnerai come raggiungere il traguardo. È una cosa tanto brutta?”

“Ugh. È la mia idea, tesoro. Ci ho lavorato per così tanti anni, non sopporterei vederla nelle mani di qualcun altro” disse Yanni, parlando più con sé stesso che con la moglie.

Thalia si portò di fronte a lui, come ad ordinare al marito di prestarle attenzione e disse, “Yanni. Se consoliderai gran parte delle tue prove, non avranno altra scelta che dartene credito. Pensa alla tua famiglia, fa’ un buon lavoro, passa il testimone e lascia che qualcun altro finisca la gara”. Gli porse la bambina in modo da poter svolgere le faccende domestiche.

Yanni prese la bimba fra le braccia prima di posarla nella culla. Poi accese il carillon, e la piccola rise di lui, i suoi occhi non si concentrarono mai veramente su qualcosa, ma guardavano tutto ciò che la circondava.

L’uomo trascorse la giornata lavorando nel suo laboratorio domestico. Almeno questa volta si ricordò di accendere il laser.

Lo guardò. La sorgente luminosa lo guardò di rimando, senza sfarfallare.

Indossò gli occhiali protettivi ed aumentò l’intensità. “Ho solo bisogno di un momento in cui esclamare Eureka. Un po’ di fortuna” pensò. Ovviamente sapeva che il momento in cui qualcuno esclamava Eureka era un mito. La vera scienza era lenta e continua, o non così ininterrotta, ma piena di vicoli ciechi.

Non gli avrebbe però fatto male tentare la sorte.

Procedette quindi inserendo valori casuali alle variabili con le quali stava lavorando, testando il laser con ogni modifica. La specificità delle sue prove dipendeva dalle equazioni di Maxwell, le quali, nella loro semplicità, avevano infinite permutazioni. Aveva maggiori possibilità di uscire con Kate Upton piuttosto che inserire la variabile che avrebbe validato la sua dimostrazione.

Scrivi. Invio. Nessun cambiamento.

Scrivi qualcos’altro. Invio. Come sopra.

Poi tentò il loro anniversario, non aveva senso non essere superstiziosi a quel punto.

Nada.

Il compleanno di Georgie?

Poi squillò il telefono. Fortunatamente.

Il messaggio di Nikos recitava: “Una persona che non ha dato il proprio contributo alla scienza prima dei trent’anni non ne sarà mai in grado. Albert Einstein”.

Yanni fece per rispondere qualcosa tipo, “Wow, grazie per aver rigirato il coltello nella piaga”, ma subito udì il suono di un clacson in strada, ed ovviamente si trattava di Nikos.

S’affrettò fuori, bramando un cambio di scenario, e chiuse la porta sul commento “non bere” di Thalia. Si sentì in colpa, quindi riaprì l’uscio, mise dentro la testa e disse, “Ok tesoro, non berrò. Promesso”.

Nikos lo stava aspettando nella sua decappottabile, accomodato al posto di guida come se si trovasse su un divano. Stava sorridendo a delle ragazze che stavano attraversando la strada, le quali gli sorridevano di rimando.

“Hai fatto quello che fai con le ragazze, scrivere il messaggio e suonare il clacson qualche secondo più tardi mentre stavo rispondendo. Non farlo più con me” disse Yanni con amarezza, senza salire in auto.

“Ehi, l’hai inventato tu. Io l’ho solamente perfezionato!” ribatté Nikos, ed entrambi scoppiarono a ridere.

“Già, sembra che ultimamente funzioni solamente così” disse Yanni con un’espressione triste e preoccupata in volto.

Capitolo i^3

“Quel che è fatto è fatto”, rispose la donna per la decima volta, piegando le tende del suo ufficio/laboratorio. Aveva rimosso tutto ciò che era stato intoccato dalle fiamme in modo che gli oggetti non assorbissero l’odore. Poi il suo viso aveva mostrato sincera preoccupazione ed aveva chiesto a voce bassa, “Demokritos sostituirà il laser?”

Yanni si sedette ed esalò diverse volte, come se la risposta fosse da ricercare nelle molecole attorno a lui. “Nai. Sì, devono. Ma ci vorrà un secolo perché preparino tutti i documenti e vengano approvati. Non verrà realizzato in tempo per la revisione dei finanziamenti”.

Thalia sistemò gli angoli delle tende al meglio che poté. Si trattava di qualcosa che era in grado di controllare, e si calmò prima di completare il lavoro in modo impeccabile. “So che il laser è caro, non possiamo ottenere quei soldi da qualche altra parte nel frattempo? Da Nikos, per esempio?”

Yanni cercò la cattiveria nel suo tono ma non la trovò. Il suo suggerimento era freddo e logico, non vendicativo. E aveva ragione. “Possiamo. Sì. Ma il problema non è il costo, è la disponibilità. Le parti sono sia care che non disponibili per i privati. Avere i soldi non è abbastanza, devi anche trovarti in un centro di ricerca per ottenere qualcosa del genere. Oppure nel dipartimento di ricerca e sviluppo di una grande azienda, qualcosa del genere”.

“Non puoi spiegare le circostanze ai membri della commissione di revisione?”

Yanni ripensò alla telefonata di prima, un socio lo aveva avvisato in merito al nuovo amministratore, il quale era determinato a tagliargli i fondi. Decise di non dirlo a sua moglie, per lasciarle un po’ di speranza. Era calma, ma forse se solo avesse appreso quell’informazione in particolare, ne sarebbe rimasta scossa. “Sì, certo. Non sono inavvicinabili, li chiamerò domattina per prima cosa”.

Forzò un sorriso, le diede un bacio e poi salì nel suo ufficio/laboratorio. Si accomodò alla sua sedia come faceva sempre, ed ispezionò i danni. Non era molto grave, ma sarebbe potuto andare anche peggio. Il laser mostrava una grande bruciatura sulla parte superiore della sua confezione, ovviamente causa il surriscaldamento. I fili erano bruciati e puzzavano, la plastica emetteva sempre quell’odore. L’angolo della scrivania era bruciacchiato, e nello stesso stato versavano la sua sedia ed il tappeto. Il Signor Andreas aveva veramente cercato di evitare di attaccare il laser con lo spray, era riuscito a sottrarre l’ossigeno dalla fiamma applicando poca schiuma. Un uomo pratico, il suo metodo di pensiero avrebbe potuto far risparmiare decine di migliaia di euro in riparazioni. Il tappeto era però distrutto. Non era un problema. Yanni ponderò anche sul fatto di contrastare sua moglie e lasciare la stanza in quelle precise condizioni.

Le cicatrici di un fallimento.

Pensò di riaccendere il laser. Forse era stato il suo incidente fortunato. Forse sarebbe stato il momento in cui avrebbe esclamato Eureka, la parte della vita in cui in incidente in laboratorio porta ad una scoperta in grado di cambiare il mondo. Era un pensiero stupido da parte sua, ma la tentazione fu troppa.

Si convinse quando pensò che il laser era già danneggiato, quindi non avrebbe peggiorato più di tanto la situazione. Si armò preventivamente di una vecchia coperta, dicendo a Thalia che stava tenendo la finestra aperta e che c’era fresco. Fuori era già buio, quindi non era poi così tanto una bugia.

Resse la coperta in mano in caso di un altro incendio, ed accese il laser sperando nel momento rivoluzionario che aveva sempre sognato, quello in cui avrebbe esclamato Eureka.

Capitolo i^4

Quando arrivò il laser era come se fosse stato Natale. I suoi occhi brillarono mentre rimuoveva con cura la custodia protettiva.

“L’effetto è visibile ad occhio nudo?” domandò Urania.

Yanni soffiò via alcune palline di polistirolo. “No, uso gli occhiali polarizzati per vedere l’effetto moiré. La matematica predice che quando le equazioni si allineano, quella particolare lunghezza d’onda produrrà un effetto moiré se visto attraverso gli occhiali”.

E poi aggiunse con un accenno di orgoglio, “l’ho scoperto io”.

“È geniale, Yanni!” disse la donna. “In tal modo non è necessario un chip di un computer quantico per testare la teoria”.

“Corretto. È parte del motivo per il quale sono riuscito ad assicurarmi i fondi tutto questo tempo, perché la fase di test era relativamente a buon mercato”.

Poi prese in mano il laser come un bambino afferrerebbe un brillante treno giocattolo, e corse al piano superiore per azionarlo.

Capitolo 2i

Yanni si spostava avanti e indietro nella stanza vuota, era furioso.

Che cosa stava facendo la Hermes con quei ragazzi? Li stavano usando per qualche tipo di esperimento d’interazione umana? Era una cosa sicura? Se non lo fosse stato, qualcuno l’avrebbe mai saputo? Che morali insegnavano a quei ragazzi? Se uno di loro faceva del male ad un altro, che cosa avrebbero fatto al riguardo le loro madri adottive?

Tutta la ragione lo abbandonò, e ciò che desiderava fare era urlare nella direzione della telecamera per averli messi in questa situazione, per aver messo Alex in questa situazione, ed avrebbe voluto riportare a casa il ragazzino, dove sarebbe stato al sicuro, dove sarebbe cresciuto in una vera casa, con una vera mamma.

La parte razionale del suo cervello prese il sopravvento, e gli fece pensare che l’avessero studiata a tavolino. Il giocattolo era esattamente lo stesso di suo figlio, il ragazzino poteva sembrare il fratello di Georgie se avesse dovuto. Avevano organizzato il tutto per tale responso, si trattava di un test. Anche se avesse potuto adottare il bambino e dargli una famiglia amorevole, che cos’avrebbe potuto fare per tutti gli altri? E chi poteva stabilire che non stessero meglio in così? Molto probabilmente nel loro futuro c’erano le migliori università, sarebbero forse diventati la vera e propria progenie aziendale, fedeli fino all’osso. Lui chi era per decidere di privarlo di questo?

Non poteva salvarli. Specialmente non adesso. Forse in futuro, quando avrebbe concluso le sue prove. Quando avrebbe avuto la stessa influenza sulla sua Compagnia nello stesso modo in cui faceva Niko. Forse avrebbe potuto fare qualcosa al riguardo. Avrebbe potuto minacciare di dirlo ai media. Qualsiasi cosa.

Ma doveva vincere questa battaglia. Per sé stesso, per la sua famiglia, per la scienza, per tutti quanti. Questa battaglia sadica, originata come per tormentarlo.

Si calmò e si sedette. Sperava di non aver spaventato il bambino, ma se Alex era impaurito non lo dimostrava.

“Alex” disse nel tono più dolce che riuscì a replicare. “Sono qui per insegnarti qualcosa. Ti andrebbe?”

Alex sorrise ed acconsentì con il capo.

“Okay. Ecco. Sai che cosa sono i computer, vero? Sicuramente ti hanno dato dei tablet e dispositivi simili per giocare, giusto?” domandò con il medesimo entuasiasmo di quando aveva chiesto a sua moglie di sposarlo.

Alex annuì nuovamente.

“Fantastico. Quei computer hanno dentro un cervello meccanico. Lo chiamiamo processore. Mi segui?”

“Sì. Pro-gesso”.

“Chiamiamolo così, non ha importanza. Il pro-gesso deve essere veloce affinché i giochi funzionino velocemente. Odiamo quando i giochi sono lenti, vero? Ottimo. Quindi realizziamo pro-gessi sempre più veloci, ma le cose che ci mettiamo dentro non possono andare troppo velocemente. Sono pigre e dicono, ‘Oh! Non spingere troppo forte’ e rimangono lì senza fare il proprio lavoro”.

Alex ridacchiò ed annuì.

“Ottimo. Quindi dobbiamo metterci dentro cose più veloci, cose che non sono pigre. E sai qual è la cosa più veloce al mondo?”

Alex scosse il capo, e con gli occhi ordinò di sapere la risposta.

“La luce. La luce del sole è la cosa più veloce del mondo intero. Non è per niente pigra. Ma la luce del sole è così veloce da aver bisogno di qualcosa di intelligente dove conservarla” disse Yanni, ed unì le mani a coppa. Poi scosse i palmi, che erano chiusi uno contro l’altro, come se al loro interno si trovasse una vespa. Il gesto sembrò intrattenere molto Alex.

“Quando dico alla Signora Luce di svolgere un lavoro, devo controllare se l’ha fatto o no, giusto?”

“Giusto”.

“Quindi sbircia qui dentro” disse avvicinando il volto alle proprie mani, ed Alex fece lo stesso, “ma la Signora Luce trova il buco e scappa via!” Aprì le mani liberando l’immaginaria Signora Luce.

“Heehee! Come. Come la farina”.

“Proprio come la farina”.

“Poi mammina si arrabbia se facciamo un disastro!”

“Sì! Quindi dobbiamo trovare un modo per far sì che la luce ruoti in cerchio. Cosicché quando sbirciamo, la maggior parte della luce resterà all’interno. Un uomo di nome Maxwell, che aveva una folta barba, pensò di ingannare la luce facendola annodare. Proprio come i lacci delle mie scarpe, vedi? Ho fatto un nodo, e non andranno da nessuna parte”.

“Non sono ancora capace di allacciarmi le scarpe, per questo ho le scarpe con gli strappi”.

“Lo so, nemmeno io ero capace di allacciarmi le scarpe quando ero piccolo. Ma adesso sono capace, ho imparato. E sto anche cercando di imparare ad annodare la luce del sole, in modo che possa restare dov’è e non sfuggire. Devo solo capire il sistema”.

“E poi potrai buttare via le scarpe con gli strappi e mettere quelle da ginnastica con i lacci, che sono più veloci, e anche tu puoi essere più veloce”.

“E?”

“E potrai essere abbastanza veloce da ingannare la Signora Luce e modificarla in piccoli…in piccoli nodi, come i lacci delle scarpe, e potrai sbirciare abbastanza velocemente da richiudere le mani” disse Alex sbirciando fra le sue manine.

Quindi un momento Eureka era così.

“E poi?”

“E poi il pro-gesso non sarà pigro e farà il suo lavoro velocemente e non dovrò aspettare il gioco lento!”

Qualcuno batté le mani. Un battito lento e pieno. Yanni si voltò e vide la donna di prima vestita elegantemente. “Eccellente, Dottor Tsafantakis. Venga con me. Non si preoccupi, verranno a prendere il bambino molto presto”.

Yanni salutò Alex con la mano. Il bambino alzò lo sguardo e domandò, “ti è permesso portare Georgie per farlo giocare con me?”

“Sarà la prima cosa che chiederò alla signora. Ciao Alex” disse.

“Ciao, signore” disse Alex prima di riprendere a giocare con il suo camion giocattolo.

Yanni seguì la donna ben vestita nella stanza accanto. A quel punto era pronto a tutto.

Capitolo 2i^2


Il sole stava scendendo, ma c’era ancora chiaro. Yanni si godeva il vento sul viso ed il suono della musica datata in radio. Nikos stava percorrendo la strada panoramica, salendo sulla montagna Parnete. Si stava facendo più fresco nel salire di quota, ma era invigorente.

Il casinò era stata un’idea di Niko, tutti i loro vecchi luoghi di ritrovo erano chiusi, mentre quelli nuovi erano a misura di bambino, quindi Yanni non aveva nemmeno provato a suggerirli a Nikos. L’uomo aveva portato la decappottabile all’ingresso, il valletto l’aveva chiamato per nome ed aveva parcheggiato l’auto accanto alle altre sportive.

Nikos gli aveva mostrato a braccia aperte il casinò come se lo stesse vendendo. “Esiste qualcosa di più mascolino? Guarda che vista” disse, e poi si accomodò su un divano di lussuosa pelle.

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