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Istoria civile del Regno di Napoli, v. 5
Intanto il Principe Manfredi avendo intimata la guerra al Papa, che allontanatosi dal Regno, avea prima in Anagni, e poi in Viterbo trasferita la sua Corte, s'accinse all'impresa di Terra di Lavoro, per restituirla sotto il suo dominio. Spiegò li suoi stendardi, e con potente esercito entrò ne' confini di Terra di Lavoro, e verso Napoli incamminossi. Fu veramente cosa maravigliosa, come notò il Costanzo[60], che la città di Napoli, la quale pochi anni prima avea tanto ostinatamente chiuse le porte e negata l'ubbidienza a Corrado, ora, mandasse fuori messi a Manfredi, mentre era ancor lontano, a spontaneamente offerirsegli[61]. Nè si crede che ne fosse stata altra cosa cagione, che le poche forze e vigore del Papa, e la fresca memoria, che sotto la speranza di Papa Innocenzio IV erano stati saccheggiati, e miseramente disfatti. Nè vi è dubbio, che vi cooperarono molto le promesse di Manfredi, il quale mandò a dire a molti gentiluomini suoi conoscenti, quanto gli uomini valorosi poteano sperare maggior esaltazione da lui, che dal governo de' Preti; il che si potea vedere per esempio di molti di Puglia e di Calabria e d'altre province, ch'egli con somma liberalità e munificenza avea esaltati con ordine di cavalleria, e con altre dignità e preminenze. In fatti i Napoletani riceverono con gran festa e giubilo Manfredi nella lor città; il quale, perchè l'effetto fosse conforme alle promesse, entrato che vi fu, fece tutto il contrario di quel, che avea fatto Corrado, rinovando a sue spese gli edificj pubblici, assecurando tutti coloro, che a tempo di Corrado ed a tempo suo s'erano mostrati inimici della Casa di Svevia, ed onorando molti Nobili, con pigliargli, secondo l'età e la virtù, o per Consiglieri, o per Cortegiani appresso la sua persona[62].
L'esempio di Napoli mosse anche i Capuani di rendergli parimente la loro città, ed il simile fecero tutte l'altre città convicine. Solo Aversa per la fazione, che v'aveano le genti del Papa, fece alquanto resistenza; ma finalmente bisognò, che cedesse alla forza di Manfredi, ed in breve tutta la provincia di Terra di Lavoro si sottopose alla sua ubbidienza. Ridotta questa provincia, passò in Capitanata, ed indi in Brindisi per reprimere la sedizione, che l'Arcivescovo di quella città aveagli fomentata: la ridusse in sua fede, ed imprigionò l'Arcivescovo. Ariano e l'Aquila, che furono l'ultime e le più ostinate a mantenersi in ribellione, furono da lui arse e distrutte.
Così avendo questo Principe restituito con tanto valore al suo dominio tutto il Regno di Puglia, si dispose di passare in Sicilia per maggiormente stabilirla nella fede regia, e purgare quell'isola d'ogni vestigio, che mai vi rimanesse della fazion contraria. Navigò lo stretto, ed in Messina giunto, fecevi dimora per pochi giorni, ed indi passò a Palermo regia Sede degli antichi Re di Sicilia.
Intanto il Pontefice Alessandro, non potendo per se solo rintuzzare le forze di Manfredi, rinovò in quest'anno 1257 le pratiche in Inghilterra, per ridurre quel Re ad accettar l'investitura del Regno offertagli per Edmondo suo figliuolo; e narra Matteo Paris, che Errico vi condescese; ma perchè le forze non erano pari all'impresa, il Re desiderava, che gl'Inglesi gli dessero validi ajuti: per la qual cosa fece egli unire un Parlamento, e fecevi in quello comparire Edmondo vestito alla Pugliese, per maggiormente spingergli a soccorrerlo, acciocchè il Regno offertogli, per cagion loro non si perdesse[63]; ma gl'Inglesi niente conchiusero, e come diremo, nell'anno 1259 il trattato rimase affatto estinto; e Manfredi per vano rumore, essere Corradino morto, fattosi incoronare a Palermo, si stabilì nel Trono di Sicilia: ciò che bisogna rapportare nel seguente libro di quest'istoria.
(Si leggono presso Lunig[64] due Brevi d'Alessandro IV uno scritto ad Errico Re d'Inghilterra padre d'Edmondo, ed un altro al Vescovo di Erford, perchè in vigor dell'investitura si sollecitassero per questa spedizione, e mandassero gente e 'l denaro promesso per discacciar Manfredi del Regno).
FINE DEL LIBRO DECIMOTTAVOLIBRO DECIMONONO
Mentre Manfredi era in Palermo, giunse quivi novella, che il Re Corradino fosse morto in Alemagna; ma in questo passo d'istoria gli Scrittori, secondo le fazioni contrarie, non convengono. I Guelfi, come Giovanni Villani Fiorentino, e gli altri Italiani di quel partito narrano, che Manfredi per eseguire il suo scellerato pensiero, che lungo tempo sotto contrario manto nascondeva d'usurpar il Regno al Re suo nipote, avendo tentato invano di farlo avvelenare, avesse ordinato alcuni falsi messi, che gli portassero nuova di Germania, prima dell'infermità, e poi della morte di Corradino, e che questo rumore sparso in Palermo, ed in tutte le città del Regno, fosse stato tutto per sua astuzia ed inganno; e che perciò, per maggiormente farlo credere, con dissimulazione grandissima di dolore inviò a' Baroni e Sindici delle terre dell'uno e l'altro Regno cotal avviso, pubblicando per vera la morte di Corradino, e che avendo in Palermo fatto celebrare con pompa reale, e con dimostrazione di grandissimo lutto i funerali per la finta morte di quel Principe, avesse egli in presenza di tutti i Conti, Baroni e Prelati ivi concorsi, fatta una gravissima orazione, colla quale connumerando i beneficj de' Principi Normanni, e degli Imperadori Svevi suoi progenitori verso l'uno e l'altro Regno, e l'opere fatte da lui a tempo di Corradino, e nell'infanzia di Corradino suo figliuolo, pregò tutti, che poichè la fortuna in sì poco spazio, mostrandosi nemica al sangue loro, avea mandato sotterra sì grande Imperadore, com'era stato Federico suo padre, con tanta numerosa progenie, non volessero fraudar lui di quella successione, che la volontà di Dio, e quella di suo padre dichiarata nel di lui testamento, l'avea destinata, avendolo lasciato vivo per sua misericordia, dopo la morte di tanti altri Regali. Ed aggiungendo poi la poca speranza, o il poco timore, che s'avea da tenere de' Pontefici romani, per essere il di lor governo breve e mutabile, nel quale la morte d'uno guasta quanto è fatto in molti anni di vita, e lascia al successore necessità di cominciare ogni cosa da capo: vogliono, che queste cose dette da lui con somma grazia e con mirabil arte, fossero state di tanta efficacia e vigore, che fu immantenente da tutti salutato per loro Re e Signore.
Dall'altra parte l'Anonimo, ancorchè Scrittor contemporaneo, ma tutto Ghibellino, e coloro che lo seguirono, narrano, che niente Manfredi usasse di simil inganni ed astuzie; ma che sparsosi nel Regno cotal rumore della morte di Corradino, quasi tutti i Conti, e gli altri Magnati del Regno, i Prelati ancora delle Chiese s'avviarono immantenente in Sicilia a trovar Manfredi, siccome fecero tutte le altre città dell'uno e l'altro Regno, con mandar i loro Sindici, e messi in Palermo: dove insieme uniti, di concorde volere tutti lo richiesero, che avendo egli sinora con tanta prudenza governato il Regno per parte sua, e di Corradino suo nipote, essendo questi mancato, dovesse egli come vero erede di quello, prenderne il governo, e coronarsi Re di Sicilia; che alle grida e a' desiderii di tutti, essendo concorso i Conti, i Baroni e tutti i Prelati del Regno l'avessero gridato Re, e colle solite cerimonie l'incoronassero nel Duomo di Palermo agli 11 del mese di agosto di quest'anno 1258[65].
Che che ne sia, se Manfredi colle sue arti s'avesse ciò proccurato, come è più verisimile a chiunque riguarda l'ambizione ch'ebbe di dominare, o fosse caso o volontà de' sudditi, fu egli con solenne cerimonia, secondo il costume de' maggiori concorrendovi tutti i Conti, Baroni, e gli altri Magnati del Regno, con molti Prelati, gridato e coronato Re, assistendo a questa sua incoronazione infiniti Vescovi e Prelati; e Rinaldo Vescovo d'Agrigento, che celebrò la messa, l'unse del sacro olio, assistendovi l'Arcivescovo di Sorrento, e l'Abate Cassinense, e poscia dagli Arcivescovi di Salerno, di Taranto e di Monreale gli fu posta, nel Trono assiso, la corona Reale. Alcuni sognarono, che Manfredi si fosse fatto anche incoronare Re di Puglia in Bari colla corona di ferro, siccome dissero di Errico e di Costanza; ma ancorchè il Beatillo nella vita di S. Niccolò di Bari, con autorità d'alquanti moderni Scrittori s'ingegni provarlo, è ciò tutta favola, non essendovi niuno Scrittore antico o contemporaneo, che lo rapporti.
Tosto che il Re Manfredi fu assunto al solio del Regno, per obbligarsi maggiormente i popoli, ed acquistarsi nome di benefico, e di liberale, nella festa della sua coronazione, a tutti i Sindici delle città e terre, che ivi si trovarono, fece splendidissimi doni, diede uffici e molti promosse a gradi ed onori di cavalleria. Indi di Palermo ritornò tosto in Puglia con alcuni Saraceni, per tener in freno i Tedeschi; ma scorgendo esser tutte le province pacate, e liete del nuovo suo dominio, e che erano in placidissima pace, celebrò un general Parlamento a Barletta, ove onorò molti dell'ordine di cavalleria, e molt'altri investì di vari Contadi, dando loro per lo stendardo l'investitura. Dopo questo intimò un'altra general Corte in Foggia, ove avendo convocati i Baroni, e' gentiluomini, ornò molti altri del cingolo della milizia, e profusamente concedè ad altri onori, ufficj e preminenze; e con magnifici giuochi, feste ed illuminazioni tenne i popoli tutti allegri e festanti, e pieni di gioja.
Il Pontefice Alessandro di mal animo vedendo i progressi di Manfredi, ed il poco conto che s'avea di lui, pensando che per reprimere le costui forze non erano sufficienti quelle della Chiesa, avea già sin dal passat'anno 1257 ripreso il trattato con Errico Re di Inghilterra, invitando Edmondo suo figliuolo alla conquista del Regno: ed in effetto, come si disse, avea mandati suoi Legati in Inghilterra a portargli l'investitura, per la quale investiva del Regno il Re Errico in nome d'Edmondo suo figliuolo, che allora era di minor età. E già Errico in nome di suo figliuolo diede il giuramento di fedeltà al Legato; e si erano stabiliti i patti ed il censo, che dovea pagarsi alla Sede Appostolica, ed avea promesso di presto venire con potente armata in Regno per discacciarne Manfredi. Ma o che questo Principe, meglio pensando, non volesse intrigarsi in questa nuova guerra, o che il censo stabilito ne' patti dell'investitura fosse veramente grave ed esorbitante, differiva l'espedizione, e sollecitato da Alessandro, rispondeva, che bisognava moderar il censo, ch'era esorbitante, prima d'ogni altra cosa[66]. Il Papa impaziente designò tosto di mandare in Inghilterra Arlotto Sottodiacono della Sede Appostolica, ed il suo Cappellano per trattar di questa moderazione; ma non fu ciò di mestieri, perchè nell'istesso tempo dal Re Errico furono spediti suoi Ambasciadori al Papa l'Arcivescovo di Tarantasia, i Vescovi di Bottun, e Roffense, e Maestro Nicolò di Francia suo Cappellano Regio per trattare di quest'istesso affare; ma essendosi costoro affaticati in vano, per li nuovi torbidi insorti in Inghilterra, finalmente nel seguente anno 1259 svanì ogni trattato; nè da poi si pensò più in Inghilterra, ma in Francia furono rivolti i pensieri d'Alessandro non meno, che del suo successore Urbano.
Mentre per queste cagioni si differiva tal espedizione, Manfredi intanto avea già discacciate le genti del Papa da Puglia, da Terra di Lavoro e da Sicilia: avea presi e puniti i ribelli, ed erasi già, come si è detto, fatto incoronare Re in Palermo. Per la qual cosa Papa Alessandro adirato più che mai, non volendo trascurare via di vendicarsi, e vedendo che le armi temporali niente giovavano, fu tutto rivolto alle spirituali, onde alle scomuniche, ed interdetti fece ricorso.
Prefigge in prima certo termine al Re Manfredi, perchè comparisse avanti di lui e dassegli soddisfazione, ed ammenda di tutto ciò, che contro la Sede Appostolica avea attentato, altramente l'avrebbe deposto, scomunicato e privato di tutti gli onori; ma non comparendo Manfredi, poco curante di queste minaccie, egli lo scomunica, lo dichiara ribelle, inimico della romana Chiesa, e sacrilego occupatore e predone delle sue ragioni, e che avea stretta confederazione co' Saraceni, de quali s'era fatto Capo. Lo priva del Principato di Taranto e di tutti i feudi, ragioni, onori e preminenze. Lo dichiara reo di esecrandi delitti, di aver preso, ed in oscuro carcere posto Fra Ruffino suo Cappellano, e suo Legato in Sicilia e Calabria; d'aver stese le sacrileghe mani sopra i beni delle Chiese del Regno di Sicilia; d'aver preso, e con dure catene tenuto in istrette prigioni l'Arcivescovo di Brindisi, con ispogliarlo di tutte le sue robe; e d'avere con esecrando ed orribile attentato aspirato al soglio regale di Sicilia, con aver occupato quel Regno devoluto alla Sede Appostolica, e sacrilegamente fattosene incoronare Re, senza sua permissione e consenso. Dichiarava perciò col voto, e consiglio de' suoi Cardinali Manfredi scomunicato, nulla ed irrìta la sua incoronazione, e tutti gli atti di unzione, ed ogni altro attinente a quella.
Interdisse tutte le città, luoghi e castelli, che ricevessero Manfredi, e lo avessero per Re. Proibì a tutti gli Arcivescovi, Vescovi, Abati e qualunque altra persona ecclesiastica di celebrare i divini uffici presente Manfredi, e che non ricevessero da lui beneficii ecclesiastici, e niuna amministrazione di Chiesa o monasteri; e che coloro, che si trovassero avergli ricevuti, fra due mesi dovessero onninamente resignargli.
Oltre ciò, asserendo egli, che mentr'era in Napoli rigorosamente avea ordinato a tutti i Prelati, ed a qualsivoglia persona ecclesiastica, che non s'accostassero a Manfredi, nè gli mandassero ambasciadori, nè ricevessero messi da lui inviati, nè gli prestassero ajuto, o consiglio; che ciò non ostante, contro questo suo divieto, quasi tutti gli Arcivescovi, Vescovi, Abati ed altri Prelati del Regno di Sicilia s'erano portati a Palermo, ed erano intervenuti alla di lui incoronazione: perciò avea fatti citar generalmente tutti coloro, che v'erano intervenuti, e nominatamente alcuni, che dovessero comparire personalmente fra certo termine avanti di lui; ma perchè niuno era comparso, niente curando della intimazione fattagli; perciò scomunicava Rinaldo Vescovo d'Agrigento, e lo deponeva dalla vescovil dignità, per aver colle sacrileghe sue mani unto in Re quel Principe, ed avea nel giorno dell'incoronazione solennemente celebrata la messa. Scomunicava ancora l'Arcivescovo di Sorrento, e lo deponeva della sua Chiesa come anche l'Abate Cassinense, privandolo del governo di quel monasterio per aver assistito a detta unzione e coronazione; comandando a' Capitoli delle Chiese d'Agrigento e di Sorrento, al Convento del monasterio di Cassino, ed a tutti i vassalli delle Chiese e monasterio suddetti che non li ubbidissero nè li riconoscessero per tali; nè più gli contribuissero l'entrate e loro ragioni. Agli Arcivescovi di Salerno, di Taranto e di Monreale, ch'erano parimente intervenuti alla coronazione, li quali all'indegno capo di Manfredi avean posta la real corona, e l'aveano posto nel regal Trono di Palermo, citò con termine perentorio e prefisso, che dovessero personalmente presentarsi avanti di lui nella prossima festività dell'ottava de' SS. Pietro e Paolo. La carta di queste terribili censure che Alessandro scagliò contro Manfredi e suoi partigiani, ove con formole orrende si lanciano tanti fulmini ed interdetti, vien rapportata dal Tutino e si legge nel suo trattato de' Contestabili del Regno[67].
Ma di questi fulmini non si facea alcun conto, erano riputati vani e senza ragionevol cagione scagliati; onde non si mossero punto nè Manfredi nè le città del Regno nè i Prelati, nè que' Popoli ad obbedirgli; anzi Manfredi godendo il frutto delle tante sue vigilie e sudori, sovente divertivasi in giuochi e nelle caccie rigorosamente comandando che si proseguissero per tutte le Chiese del Regno, come prima i divini uffici, nel che non incontrò veruna repugnanza ne' Prelati, ed in tutte l'altre persone ecclesiastiche. E resosi da per tutto potente e glorioso, già stendeva le sue forze fuori dei confini del Regno, e nell'altre parti d'Italia avea reso celebre e famoso il suo nome, tanto che per lui la fazione Ghibellina cominciò a sollevarsi sopra la Guelfa; ed in Lombardia ed in Fiorenza avea fatti mirabili progressi.
E perchè vedeva, che l'opulenza dell'uno e l'altro Regno, ancorchè fosse grande, non avrebbe bastato a mantenere grandi eserciti come bisognava, che e' tenesse per l'inimicizia de' Pontefici romani, prese partito di mandare parte dell'esercito in Toscana e parte in Lombardia in sussidio de' Ghibellini; onde venia insieme ad evitar la spesa, ed a divertire il pensiero del Papa dal molestarlo, al quale era più necessario attendere alla conservazione de' Guelfi, del patrimonio di S. Pietro, di Romagna e della Marca[68]. Ed egli rimase nel Regno, dove trattanto viveva quel tempo con molta felicità e splendidezza: dimorando nelle città marittime di Puglia e più d'ogni altra in Barletta.
Or mentr'egli dimorava in questa città giunsero quivi gli Ambasciadori della Regina Elisabetta, secondo l'Anonimo, ovvero di Margherita (secondo per una carta che rapporta, crede il Summonte) madre del Re Corradino e del Duca di Baviera, i quali esposero a Manfredi la loro ambasciata dicendogli, che Corradino era vivo, e che si doveano punire quelli che falsamente aveano pubblicata la sua morte; onde in nome della Regina e del Duca lo pregavano che volesse lasciare il Regno, che legittimamente era di Corradino. Manfredi ricevè gli Ambasciadori con grand'onore e stima; e come molto accorto e prudente avendo prevista l'ambasciata, prontamente loro rispose: ch'era già notorio e palese a tutti, che il Regno era perduto per Corradino, e che egli con tanti sudori e vigilie per viva forza avealo ricuperato dalle mani di due Pontefici: ch'essendo Corradino di poca età tornerebbe facilmente a perderlo; ed i Pontefici romani fieri inimici della casa Sveva con facilità glielo ritoglierebbero; oltre che le genti del Regno non avrebbero comportato, dovendosi egli valere de' Tedeschi, dei quali aveano orrore, che dominasse più in quello la nazion tedesca; che non bisognava ora che i popoli erano assuefatti al suo dominio, ed alle sue maniere placide ed all'Italiana, con dar loro nuovo Principe, mettersi in pericolo di nuove rivoluzioni; e perchè si scorgesse, che non per ambizion di regnare, ma per maggior utile del piccolo Re, egli non lasciava il Regno, prometteva di conservarlo per lui e governarlo per lui, e mentr'egli vivea, e da poi lasciarlo a Corradino: che perciò avrebbe la Reina fatto assai prudentemente di mandarlo a lui ad allevare, acciocchè apprendesse i costumi italiani perch'egli l'avrebbe tenuto, non come nipote, ma come proprio suo figliuolo[69]. Gli Ambasciadori ricevuta tal risposta, chiesta licenza, si partirono riccamente presentati; e mandò al Duca di Baviera dieci corsieri bellissimi, ed al picciolo Corradino molte gioie.
Rimandati con queste risposte i Legati del Duca e della Regina, riputando questa infelice Principessa esser molto dura e difficil impresa poter colle sue forze ritoglier ora dalle mani di Manfredi il Regno, le fu forza dissimular il tutto, riserbando a tempo migliore di poter vedere il piccolo Re suo figliuolo restituito al Trono di Sicilia.
Intanto Manfredi stabilito ora più che mai nel Regno, avendo abbassate le forze del Pontefice, e dei Guelfi in Italia, s'era reso formidabile a tutta Italia, avea esteso oltre quella la sua fama e grido per tutte le altre Nazioni d'Europa per lo suo coraggio, munificenza e splendidezza, e per tutte le altre virtù, che adornavano la sua persona, veramente regie. Si vide perciò favorito e stimato da quasi tutti i Principi di Europa, co' quali egli trattava con estraordinaria magnificenza e splendore; ed accadde in questi tempi, ch'essendo venuto a Bari Baldovino Imperador di Costantinopoli, trovandosi egli in Barletta, andò subito cortesemente a riceverlo, e lo trattenne in splendidissime feste e diversi giuochi d'armi; e non perdonando a spese, fece far superbi apparati e giostre continue, ove furono invitati i Signori più riguardevoli così dell'uno, come dell'altro reame.
Per la celebrità della fama, che aveasi con sì generosi modi acquistata, fu mosso il Re Giacomo d'Aragona a volersi imparentar con lui, sposando il suo primogenito Pietro d'Aragona alla sua figliuola Costanza, ch'egli avea generata di Beatrice figliuola di Amadeo Conte di Savoja sua prima moglie, presa in tempo, che ancor vivea l'Imperadore suo padre[70]; ed il Marchese di Monferrato si sposò un'altra sua figliuola.
Dispiacquero al Pontefice Alessandro queste parentele, e per impedire quella col Re d'Aragona ingiunse a Raimondo di Pennaforte Frate Domenicano, e celebre per la sua Compilazione delle Decretali, che s'adoperasse con ardore, ed efficacia appresso quel Re, di cui egli era Confessore, per frastornarla; ma tutti gl'impegni del Papa, e le insinuazioni di Fra Raimondo a nulla valsero; laonde vedutosi Alessandro fuor di speranza, non ebbe ardire per quel tempo, che sopravvisse, di mai più molestarlo; per la qual cosa Manfredi insino alla morte d'Alessandro, regnò con molta quiete e felicità, riordinando le cose del Regno; e nato per opre magnifiche, volle anco presso di noi lasciar di se perenne ed immortal memoria, con fondare alla falda del Gargano ne' lidi del mare Lina magnifica città, che estinse affatto l'antica Siponto, e che dal suo insino ad ora ritiene il nome di Manfredonia, ancorchè Carlo d'Angiò occupato il Regno, ed i romani Pontefici per l'implacabil odio al nome di Manfredi, avessero fatto ogni studio, perchè non Manfredonia, ma Nuovo Siponto s'appellasse.
Il Pontefice Alessandro non potendo sostener di vantaggio i continui dispiaceri, che per le prosperità di Manfredi, e de' Ghibellini riceveva nell'animo, vinto finalmente da grave cordoglio, mentr'era colla sua Corte a Viterbo, gravemente infermossi, ed indi a poco uscì di vita in quest'anno 1260 secondo l'Anonimo, perchè il Sigonio, Inveges ed altri comunemente riportano la sua morte nell'anno seguente 1261.
I Cardinali nell'elezione del successore furono in grandissimi contrasti; e finalmente non potendo infra di loro convenire, dopo tre mesi elessero persona fuori del lor Collegio. Questi fu Giacomo Patriarca di Gerusalemme, che si trovava allora in Viterbo per promovere col Papa alcuni interessi della sua Chiesa. Egli era di nazione franzese, uomo di grande spirito, zelantissimo di promovere le pretensioni della romana Corte, ed in conseguenza fiero inimico di Manfredi, e de' suoi Ghibellini. Urbano IV nomossi; nome assai luttuoso, e memorando all'infelice Casa di Svevia.
CAPITOLO I
Spedizione d'Urbano IV contro Manfredi; ed inviti fatti in Francia per la conquista del Regno
Il Re Manfredi intesa l'elezione d'Urbano oltremodo turbossene, e cominciò a temere non volesse ricorrere alle forze di Francia per turbar quella pace, ch'ora godeva il Regno. Nè furon vani i suoi sospetti, poichè il nuovo Pontefice, appena assunto al Ponteficato, adoperò nuovi mezzi perchè il Re Giacomo d'Aragona disfacesse il matrimonio già conchiuso da Pietro suo figliuolo con Costanza figliuola di Manfredi[71]; e per mostrare maggior coraggio del suo predecessore, volle sul bel principio ritrattar la causa di Manfredi; onde nel dì della Cena del Signore in presenza d'innumerabil concorso di popolo solennemente gli spedì una terribile citazione[72], e per renderla più strepitosa, la fece affiggere nelle porte delle Chiese, per la quale citava Manfredi di dover comparire avanti di lui per purgarsi e difendersi sopra molti altri gravi ed enormi delitti, e ricever da lui que' castighi e quelle pene, che la giustizia gli avrebbe persuaso d'imporgli.
I delitti ch'erano espressi in quella citazione rapportata dal Tutini[73], e sopra de' quali voleva prender ammenda, erano, che Manfredi per mano de' Saraceni avea fatto abbattere e ruinare sin da' fondamenti la città d'Ariano; che avea fatto vergognosamente uccidere Tommaso d'Oria e Tommaso Salice; avea data crudel morte, e con tradimento a Pietro Ruffo di Calabria Conte di Catanzaro, e fatta crudel strage di molti fedeli della romana Chiesa.
Che in disprezzo dell'autorità Appostolica, e delle censure ecclesiastiche, ed in destruzione di quelle, faceva celebrare avanti di lui ne' luoghi interdetti i divini Ufficj, ciò che non era senza sospetto d'eretica pravità: e che citato perciò dal suo predecessore Alessandro, nè comparendo, era stato da colui scomunicato.
Che egli in obbrobrio della fede cattolica, preferiva a' Cristiani i Saraceni, valendosi de' loro riti, e conversando con essi assai famigliarmente; che avea ridotto il Regno di Sicilia ad uno stato ignominioso ed in dura servitù, per l'acerbe taglie ed imposizioni, colle quali gravava gli abitatori; che s'era anche imbrattato del sangue de' suoi congiunti; ed avea fatto proditoriamente trucidare Corrado Busario Nunzio e vassallo di Corradino; oltre di molti esecrandi eccessi, per li quali era dannato di notoria infamia.