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Anima Nera Anima Bianca
Per il resto del tempo si rifugia nella sua capanna o sale su alte colline, portando con sé la Kora o l’Halam a cui confida la propria solitudine. Ama il proprio popolo ma è asceta per scelta, al fine di elevarsi dalle passioni quotidiane e divenire un essere puro, in grado di portare agli altri aiuto e insegnamenti imparziali.
Anche il Bluesman è solo, ma per motivi diversi. La schiavitù lo ha privato della propria individualità e quindi non ha diritti. Non ricorda più le favole della sua terra e quindi disperatamente ne inventa di nuove per convincersi di essere ancora un uomo. Anche lui si accompagna quotidianamente ad uno strumento a corde, che non è quello Africano ma uno strumento legato alla terra in cui è schiavo e che lui chiama Banjo.
Non avendo ricordi da raccontare canta se stesso e il proprio quotidiano, utilizzando la musica come arma contro la solitudine e balsamo per guarire dalla rabbia e dalla frustrazione. Un tentativo inconscio di guarire l’anima e di tornare a casa. Esperimento spontaneo per il quale vengono utilizzati simbolismi ed archetipi che vengono dall’ inconscio e che pongono il Bluesman in diretto contatto con una natura Africana che egli non sa di possedere.
Come il Griot, l’Afro-Americano conia una musica sul battito del proprio cuore.
Non c’è armonia nelle sue note ma solo senso ritmico, a cui egli aggiunge un eccezionale e personalissimo strumento: la sua voce. In Africa le distanze sono enormi. Ogni uomo o donna sa utilizzare la propria voce come mezzo di comunicazione ad ampio raggio, sia che viva da solo o in collettività. Unita alla ritmica delle danze tribali la voce acquisisce potere taumaturgico, e permette di guarire le malattie del corpo quanto quelle dell’anima. I parossismi vocali permettono l’estasi, attraverso cui l’essere umano si libera dalle proprie catene e parla direttamente con gli spiriti. E' l'unico modo in cui l' individuo può chiedere il loro aiuto, nel bene quanto nel male. Come cassa di risonanza egli utilizza dei rudimentali strumenti musicali, che hanno il compito di riprodurre i suoni della natura: tamburi (il cuore umano), zufoli ( l’aria, il soffio vitale) e gli strumenti a corde, che rappresentano la spinta dell' anima verso il cielo. Condotto a forza in America, lo schiavo era messo a lavorare nei campi, dove rimaneva costantemente in compagnia di altra gente ma in pratica era solo, in quanto il suo padrone gli vietava di stringere reali rapporti con i suoi simili. Ogni attività sociale era strettamente controllata dalla frusta dei sorveglianti, che impedivano qualsiasi forma di aggregazione. Gli era stato sottratto anche il prezioso tamburo, strumento eccezionale di comunicazione per il deportato Africano. Le uniche attività concesse dal padrone bianco ai suoi schiavi erano la danza e il canto. E l'Afro-Americano le utilizza egregiamente entrambe.

Neri ai lavori forzati, 1880
Lo schiavo sbarcherà in America con il suo Spiritual, una sorta di grido accusatorio nei confronti del padrone bianco e una vera e propria richiesta di aiuto a Dio, dal quale però non viene ascoltato. Lo Spiritual d’origine è un canto di umiliazione e di sconfitta, che si tramuterà in canto di liberazione solo molto tempo dopo, quando il nero d’Africa sposerà la religione Cristiana. Lo schiavo trascinato in catene tuttavia non si arrende. Si adatta alle angherie della vita ma NON SOCCOMBE alla nuova realtà. Cerca disperatamente un nuovo codice di comunicazione che gli permetta di mantenere viva nel cuore il sapore della propria terra e di entrare in contatto con i fratelli di sventura. Ci riesce quasi subito, attraverso la creazione delle Work Songs. Si trattava di arie improvvisate basate su un botta e risposta apparentemente innocuo e tale da non destare sospetti, ma che in definitiva contenevano codici nascosti di comunicazione. Per i negrieri le Work Songs rappresentavano una valvola di sfogo atta a mantenere il ritmo di lavoro degli schiavi, e per questo non furono mai vietate. In realtà esse permisero all’ Afro-Americano di mantenere deste dentro di sé le tradizioni della propria terra e l'abitudine al ricordo. Nel tempo, egli le utilizzò per comunicare ai compagni piani di fuga o riportare notizie di confratelli altrimenti vietate: ciò alimentò una sorta di comunione spirituale tra gli individui che, a dispetto dell’opera di disgregazione messa in atto dai padroni bianchi, stimolò nello schiavo il sentimento di rivalsa e fomentò la sua speranza di tornare a casa.
Parallelamente a questi canti collettivi ci sono poi quelli solitari, chiamati Hollers. Intonati dagli schiavi che lavoravano nei campi in solitudine o da quelli tenuti isolati nelle proprie celle di fango, questi canti iniziavano con un richiamo ad effetto, molto spesso un grido o un suono acuto che fendeva l'aria e destava l’attenzione di chi ascoltava. Anch’esso retaggio dell' Africa, dove questa tecnica permetteva di ritrovarsi empaticamente anche a grande distanza e di abbattere le barriere dello spazio, l’Holler NON aveva il fine di liberarsi ma quello di ”trasferire" le proprie pene all’anima di chi ascoltava. Lo schiavo Afro-Americano lo utilizzava con una duplice valenza: colpevolizzare il padrone bianco e nel contempo commuovere e indignare il fratello nero. In seguito la mescolanza tra Spirituals, Work Songs e Holler, unitamente alle suggestioni della musica Europea, partorì ciò che viene definito comunemente Blues. Prendendo origine da codici nascosti, truci passioni e richiami costanti alla parte oscura dell' individuo, tali da negare anche l'esistenza di Dio, il Blues acquistò ben presto un significato negativo e malefico, soprattutto poi quando si legò ai rituali voodoo e alla Magia Nera.
Blues e Magia

Blues e Magia nera. Se ne parla tanto, a volte in modo inesatto, a volte ripercorrendo la strada già tracciata ai tempi in cui agli schiavi ne era vietata la pratica definita malefica, e fissata nell’immaginario collettivo grazie al libro del 1884 Haiti or the black Republic, scritto da S. St John, che descriveva il voodoo come culto oscuro e lo legava indissolubilmente al Blues. In realtà di oscuro nel blues c’è solo il ricordo della patria perduta, il famoso ”ritorno a casa” che avviene ( perché solo lì può avvenire) in una dimensione spirituale, e c’è il dolore della schiavitù che tuttavia non ha annullato nell’ Afro-Americano l’orgoglio delle proprie radici. Lo schiavo, anche nelle condizioni più disperate, non ha mai smesso di essere figlio della propria patria. Ed è riuscito a mantenere vivo il legame con essa grazie alle poche armi con cui è salito sulle navi negriere, cioè la sua musica e la sua religione. Due armi ”nude” eppure infallibili, in quanto profondamente e indissolubilmente radicate in ogni individuo.
L’Africa è un continente dagli ampi spazi che l’uomo, unicamente con le sue forze fisiche, non può percorrere da solo. Ai tempi in cui lo schiavismo moderno fu legalizzato, nel 1510, distanze enormi separavano i piccoli villaggi e ogni uomo era solo a lottare con il volere del cielo. Perfettamente integrato nel suo piccolo universo l’Africano viveva in stretta simbiosi con tutti gli elementi della natura, a cui riconosceva una specifica identità. Ogni cosa aveva un’anima, il vento, l’acqua od un semplice sasso; in questo contesto l’uomo era soltanto UNA delle tante cose che costituivano il mondo, né migliore né peggiore delle altre. La possibilità di sopravvivenza era quindi determinata dal rispetto verso ogni forma vivente e dalla eventuale comunicazione che poteva stabilirsi con essa.
L’idea di un eventuale Dio Creatore nell' Africano è sempre stata molto pallida, rispetto al credo Europeo. Egli concepiva Dio non come un Essere Supremo presente e attivo nella vita terrena bensì come un'Entità astratta e poco definibile, che vive di riflesso nelle sue creature, a cui infonde parte della sua energia. Possederne anche solo una piccola parte era dunque per l’Africano dei villaggi l'unica modalità per dominare le forze della natura e riuscire infine ad elevarsi nel mondo degli Spiriti.
L'espressione più straordinaria dell' Energia è la "vibrazione", che è facilmente percepibile in ogni creatura vivente ma anche negli agenti atmosferici, negli oggetti inanimati e in tutto ciò che i circondai. I rituali Africani, quindi, si basano sull’utilizzo della vibrazione, sulla sua riproduzione attraverso il suono, la ritmica e la parola, e l’incanalamento di essa in oggetti riproducenti nelle fattezze il destinatario della Magia, oppure una sua rappresentazione simbolica.
Lo Sciamano, attraverso la ritmica del tamburo, delle mani o delle stesse voci dei componenti della tribù che partecipavano al Rito, entrava in contatto con l’essenza delle cose per carpirne i segreti e aiutare la sua gente a sopravvivere.
Aiutato da droghe vegetali, che ne alteravano lo stato di coscienza permettendogli di attingere alla parte più profonda dell’anima (ossia al sistema limbico del cervello umano, che controlla l’aspetto emozionale dell’uomo), lo Sciamano ”prevedeva” le gli esiti della caccia, combatteva gli spiriti malvagi che portavano le malattie, e si ingraziava le forze della natura parlandone la stessa lingua.
L’utilizzo del ”feticcio” era quindi strumentale: la riproduzione materiale di ciò che era una forza astrale, che quindi fungeva da catalizzatore di energia. Il feticcio ne assorbiva la potenza, riusciva a mantenerla nel tempo e, adeguatamente trattato, conferiva il suo potere a chi lo possedeva. Un gioco di vibrazioni che non ha nulla a che fare con la cosiddetta ”Magia Nera“.

Maschera Sciamanica Costa d’Avorio, 1700
Fu solo in seguito all' importazione forzata degli schiavi in America che la religione Africana subisce profondi cambiamenti. Una tratta che durò circa quattro secoli e che iniziò per opera dei Portoghesi allo scopo di sostituire la manodopera Africana, più robusta e longeva, a quella Indigena ormai decimata dalle malattie Europee. e dal super lavoro. Le Americhe, infatti, erano ricche di immense piantagioni che richiedevano costantemente manodopera a basso prezzo, e il mercato degli schiavi Africani si rivelò ben presto per tutti un’ attività estremamente redditizia.
Ebbe origine in territori come il Togo, il Ghana, il Benin (ex Dahomey) e la Nigeria, grazie al supporto dei Re locali che si arricchivano sulla pelle dei loro stessi connazionali vendendoli ai negrieri. Primi tra tutti gli AGASOUVI, i famosi Figli della pantera, la cui capostipite, Principessa di Aligbonon, secondo la leggenda si era accoppiata con una pantera. La dinastia era profondamente radicata nel Dahomey e fungeva da governo centrale per tutti i principi e i capo villaggio della zona, imponendo le proprie leggi grazie alle forti tecniche guerriere e, non ultimo, all’ ausilio delle mitiche Amazzoni.

Re del Dahomey, fine 1800

Rara foto di Amazzone
Esse sgozzavano con ferocia qualsiasi nemico, arrivando a strapparne la carne coi denti, ed erano altresì famose perché amavano ”spolpare” i crani dei loro nemici, offrendoli poi in dono agli alti funzionari Europei i quali, chiaramente, ne erano inorriditi. E giacché tutte le compravendite si svolgevano presso il Palazzo Reale dei figli della pantera in Abomey, ecco spiegata l’origine del termine abominio.
Se a ciò aggiungiamo che il trono di Ghezo, Re di Abomey, fino al 1858 poggiava vistosamente su 4 teschi umani… capirete come fosse facile abbinare l’Africa alla magia nera e all’idea del Male!
Altrettanto ”abominevole” era il tipo di pagamento degli schiavi ai re di Dahomey. Questa volta però non sembra che i Governi Europei, tanto facili a inorridire in materia di magia nera e di sacrifici di sangue, ne provassero orrore. Lo storico e scrittore Bruce Chatwin nel suo romanzo Il vicere di Ouidha ha ricostruito gran parte del primo periodo dello schiavismo in America, in particolare quello per opera dei Portoghesi, che usavano corrispondere dei Cipridi ai Re Africani in pagamento per gli schiavi. Si tratta di una sorta di lumache di fiume che prolificano sul fondo fangoso dei fiumi, agendo come naturali spazzini e cibandosi di tutta quella poltiglia di microorganismi dannosi che rendono tossiche le acque. Una moneta preziosa, dunque, per l’Africa da sempre afflitta dal problema della sete, e che vedeva nel guscio di queste creature non solo moneta corrente ma anche talismano propiziatorio. Purtroppo questi gasteropodi sono estremamente aggressivi e…carnivori, ghiotti di tessuti molli e spugnosi tipici dei mammiferi, per cui la loro cattura in acqua risultava assai problematica. Il Mississippi tuttavia ne era pieno, per cui i negrieri escogitarono un modo molto economico per pagare gli schiavi ai Re: sceglievano uno schiavo, gli legavano mani e piedi e lo buttavano in acqua a testa in giù. In tal modo i cipridi gli si attaccavano addosso e, mentre mangiavano vivo lo sventurato partendo dagli appetitosi occhi e dalla bocca, potevano facilmente essere tratti in secca e chiusi in bolle di vetro, e infine offerti in pagamento per gli schiavi. Il prezzo naturalmente variava a seconda della richiesta, ma in generale per ogni lumaca era facile ottenere almeno 10 individui in buona salute.

Mercato degli schiavi, fine 1700
Comprenderete dunque ”la forza del ricordo“ che ha sempre gonfiato le acque del Mississippi nell’ anima dell’Afro-Americano. Il luogo dell’olocausto diviene fulcro dell’identità dello schiavo, con doppia valenza: il dolore dell’ingiustizia e il desiderio di rivalsa. Quando si dice che il Blues è nato sul delta del Mississippi non si fa riferimento al solo elemento geografico, ma al culto della memoria che la Black People ha elaborato nei secoli. Ogni vittima del sacrificio si tramuta in un Dio che ha perduto la luminosità originaria e non alberga più nei cieli. Gli Dei degli schiavi divengono oscuri e minacciosi e l’acqua, da sempre portatrice di vita, si tramuta per l' Afro-Americano in una tomba fangosa.

Papa Legba Africano
Eppure, queste povere anime trasformate in Dei sono facili da raggiungere: essendo state una volta uomini conoscono le difficoltà dell’esistenza, e possono comprenderne i bisogni. Tuttavia la loro morte dolorosa le ha private del balsamo del perdono e sono divenute ostili nei confronti dell’umanità. Il loro potere è enorme, superiore perfino a quello degli Dei della luce, in quanto non conoscono limiti e non sono ostacolate da alcun senso di Giustizia. Esse rappresentano il vero ponte tra questa dimensione e quella ultraterrena, e solo tramite il loro aiuto è possibile ottenere favori.
Così nel pantheon degli Dei Africani, in genere legati alle forze benefiche della natura, si inseriscono terribili creature, gli EXU’ della Nuova Terra, raffigurate come ominidi armati di pala (la stessa con cui gli schiavi venivano recuperati dal Mississippi dopo il sacrificio delle cipridi) e conchiglie al posto degli occhi e della bocca.
Questi Dei feroci che non avevano ancora perso la nostalgia della dimensione terrena, venivano lusingati con doni molto semplici, ma non certo alla portata degli schiavi, come alcool, galline e sigari.

Un Papa Legba della religione voodoo. Dahomey, fine 1700
Non avendo ricevuto degna sepoltura, era facile richiamarli in luoghi silenziosi legati alla morte: cimiteri chiaramente, ma anche campi di grano, vecchie mura diroccate e lì dove si erano svolte esecuzioni capitali. I Rituali invece si svolgevano nei crocicchi, a rappresentare il punto di intersezione tra la dimensione umana e quella ultraterrena.
E' ciò che diverrà iconografia classica non solo del voodoo ma anche del Blues delle origini.
Signore dei crocicchi e padre di tutti i nuovi Exù era il temuto PAPA LEGBA, una figura emblematica già presente nella tradizione Africana, ma il cui significato originario di Luce portatrice di vita viene stravolto, fino ad assumere sembianze maligne e legate alla stregoneria. Erroneamente confuso con il Lucifero Cristiano, Papa Legba divenne l’elemento scatenante della feroce repressione nei confronti dei culti Africani e della musica che li celebrava, prima tra tutte il Blues. Molte canzoni del blues originario parlano esplicitamente di pratiche magiche e di possessioni demoniache. Vi ho già espresso le condizioni di degrado in cui vivevano gli schiavi, durante ma anche dopo la guerra di secessione. Il “To have the blue devils” che ha dato origine poi al termine BLUES è un mirabile modo per esprimere una condizione dell’ anima rintracciabile in tutti i bluesman dell’ epoca.
Il colore blue nella lingua inglese indica uno stato di sofferenza, di malinconia e di profondo disagio esistenziale; ma l’associazione al termine ”devil” (diavolo) ne amplifica le suggestioni, le lega al Male, rendendo doppiamente viva l’ immagine che ne scaturisce.
Il Blues NON è canto di rassegnazione ma di rabbia. NON è solo disperazione ma ansia di reazione.. Le famose NOTE BLUES (la III, la V e la VII della scala maggiore) che vengono abbassate di un semitono rendendo l'armonia leggermente calante, creano appositamente un’ atmosfera di luci e di ombre che fanno di ogni canzone un brano ”in divenire“, un' immagine proiettata nel futuro, un' attesa in musica di ”ciò che avverrà”, un futuro possibile in cui tutto sarà diverso. La cosiddetta FINE DEL TUNNEL, per essere chiari.
Il rifugiarsi nel talismano catalizzatore di energia e nella pratica magica, motivo dominante del primo blues, non è solo retaggio della cultura Africana ma un tentativo efficace di riversare il dolore dell’anima nell’oggetto catalizzatore, che potrà concedere al cantore la forza necessaria per vivere. Essa verrà fuori direttamente dall’oscurità, dagli abissi delle acque del Mississippi e dagli Dei limacciosi che la abitano, per portare la LUCE. Pregare Il diavolo equivale quindi a servirsi di lui per ottenere giustizia, poiché alla fine della notte c’è sempre il giorno, e in ogni piega del Male si nasconde il calore del Bene.

Satanizzazione di Papa Legba
I riferimenti alla Magia, bianca o nera, del primo blues si sprecano. Dalla figura emblematica dell’HOOCHIE COOCHIE MAN di Willie Dixon, l’eremita e stregone portatore della buona quanto della cattiva sorte, ai crocicchi di Robert Johnson, alle citazioni specifiche del ”lavoro con polveri magiche” di Muddy Waters, il Blues elargisce a piene mani i significati profondi della propria cultura. A conferma di ciò vi cito solo alcune delle frasi più indicative di famosi brani musicali. Partiamo dall' intramontabile Bessie Smith. Impensabile che anche nel Blues di città si alludesse alla magia nera? Niente affatto. Ecco cosa dice Bessie in Blue spirit Blues.
The devil came and grabbed my hand
Took me way down to that red hot land…
Mean blue spirits stuck their forks in me
Demons wid their eyelids dripping blood.
Il diavolo è arrivato e mi ha preso per mano
E mi ha portato in quel luogo così rosso e caldo
Turpi spiriti blu mi infilzavano con le loro forche
Demoni sprizzavano sangue dalle palpebre.
Questo invece è Robert Johnson in Hellhound on my trail di qualche anno dopo.
I got to keep movin’,
I got to keep movin’
There’s a hellhound on my trail.
Mi devo muovere, mi devo muovere,
C’è un cane infernale sulle mie tracce.
Per non parlare del termine ”MOJO” che troviamo praticamente in TUTTE le canzoni del primo Blues. Si tratta di un sacchetto di polveri magiche costituite da varie erbe afrodisiache ma soprattutto dal famoso John the Conqueror, un tubero di bosco che concede potenza fisica a chi lo possiede. E che dire dell’altrettanto famoso "black cat bone", un osso di gatto nero offerto in sacrificio al Dio dei crocicchi che, messo sotto la lingua, conferirebbe il dono dell’ invisibilità?

Evidente Americanizzazione di Papa Legba
Furono proprio l’esplicitazione delle pratiche magiche mescolate ai riferimenti satanici e sessuali a rendere inviso il Blues ai bianchi quanto ai neri, maledetto dalle Chiese e dalle masse, a far ripiombare i primi Bluesmen nel fango delle paludi da cui erano venuti….
Il cammino del Blues
Dal Delta alle grandi etichette discografiche

Il Blues non è solo musica viscerale. E’ un riflesso dell’ anima sulla solitudine della vita, è il grido di liberazione di un popolo vessato che ha saputo riscattarsi dalla schiavitù, ma soprattutto è l’odore della Nuova Era che si leva dalle paludi del Mississippi. Erroneamente considerato musica ripetitiva, di schema minimalista e poco armoniosa. ”Fare Blues” è un’arte per pochi.
Simile all’acqua del fiume dal quale si origina, questo genere musicale, esattamente come l’acqua, prende la forma dell’ambiente circostante, adattandosi pienamente agli usi e costumi del luogo pur mantenendo intatta la sua anima originaria.
I primi musicisti Blues, i famosi BLUESMAN ”brutti sporchi e cattivi” non avevano armi per esprimersi, se non un rudimentale strumento allestito artigianalmente col materiale che riuscivano a trovare, e la propria voce; in ciò esistono delle affinità con la musica di altri disperati, i cowboys. Tuttavia le similitudini finiscono qua: se li paragoniamo tra loro, ci rendiamo subito conto che tra questi due generi musicali non c’è altro aggancio se non quello di utilizzare chitarra e voce o chitarra e armonica.
Ciò che li separa NON E’ il senso di degrado che li accompagna, NON E’ la cultura Afro od Europea e NON E’ nemmeno il colore della pelle. I Cowboys, i Ramblers e i Bluesmen sono tutte persone sole, che esprimono attraverso la musica il proprio mal vivere e la rabbia dell’alienazione. Ma, se il cowboy e il rambler appoggiano la propria malinconia agli echi del passato Europeo che risuona nelle melodie Old Time, nel Bluesman si assiste ad un fenomeno che non ha precedenti nella storia: privato anche del ricordo delle proprie tradizioni egli riesce a costruire per se stesso una identità NUOVA, che tuttavia rimane istintivamente Africana .
Nato nel Nuovo Continente, lo schiavo Africano conia una musica con riflessi ATAVICI, ANIMISTI e SCIAMANICI che tuttavia si proietta inconsapevolmente verso il futuro, utilizzando un gioco di vibrazioni e suggestioni che si legano perfettamente alle tradizioni del proprio popolo, malgrado egli non le conosca affatto. Gli ideali di uguaglianza, liberazione e indipendenza saranno poi elementi costanti del Blues, rappresentativi di un punto di svolta non solo per l' Afro-Americano ma per l' intera America.

Sulle rive del Mississippi. Schiavi liberati,1875.